Per la salvaguardia dei fondali marini c’è una nuova minaccia. Nuove società minerarie private e compagnie di armi, situate tra Europa e Nord America, vedono nell’estrazione mineraria dal fondo degli oceani un nuovo fruttuoso business. Un’indagine di Greenpeace sostiene che tali aziende starebbero cercando in fondo al mare riserve di cobalto e nichel. Estrazioni di questo tipo, oltre a mettere a repentaglio la salute degli esseri viventi che popolano i mari, contaminerebbe l’acqua, produrrebbe inquinamento acustico e distruzione dell’habitat per polpi, pangolini di mare e altre specie che si annidano nelle profondità. Per Greenpeace, invece che approvare nuove licenze, i governi dovrebbero attuare una regolamentazione sulle leggi dell’oceano, per garantire protezioni adeguate. L’estrazione mineraria in acque profonde è una delle attività più distruttive La ricerca di minerali, ad esempio, viene effettuato da grossi trattori che scavano il fondo del mare. Azioni di questo tipo, inoltre, peggiorano ulteriormente l’emergenza climatica, perché ostacolano i processi naturali che immagazzinano carbonio.
L’Autorità internazionale dei fondali marini dell’Onu (Isa) non ha rifiutato nessuna delle 30 richieste ricevute da parte delle società e – particolare che rappresenta un possibile conflitto d’interessi – l’Isa incassa 500.000 dollari per ogni autorizzazione. Le aree marine in imminente pericolo coprono già un’area di dimensioni equivalenti a Francia e Germania messe insieme. Si tratta di numeri destinati a crescere rapidamente, nonostante le continue lotte degli ambientalisti in difesa della biodiversità.