Nella giornata di mercoledì un tribunale di Tokyo ha ordinato a quattro ex dirigenti della Tokyo Electric Power Company (Tepco), la compagnia che gestiva la centrale nucleare “Fukushima Dai-ichi” al momento del disastro del 2011, di pagare un risarcimento da 94,6 miliardi di euro. I quattro individui, infatti, sono stati ritenuti responsabili dei danni legati alla catastrofe, che secondo il tribunale non sono stati in grado di prevenire. Si tratta di una sentenza di notevole importanza, essendo quest’ultima – come riportato dall’agenzia di stampa Kyodo News – la prima con cui gli ex dirigenti della Tepco sono stati condannati a pagare un risarcimento in seguito al disastro nucleare.
Nello specifico secondo il giudice del tribunale, Yoshihide Asakura, le quattro persone coinvolte non hanno adempiuto ai loro doveri dirigenziali: se infatti si fosse agito in tempo, mettendo in campo le misure atte a prevenire l’allagamento delle strutture principali, anche il disastro si sarebbe potuto prevenire. Logica conseguenza, dunque, è che i dirigenti debbano ora pagare la cifra sopracitata, della quale beneficerà lo stesso operatore come richiesto dagli azionisti della Tepco, che avevano intentato la causa nel lontano 2012 soffermandosi sulle enormi perdite subite dalla società dopo l’incidente: tra queste, quelle dovute ai costi per lo smantellamento dei reattori danneggiati dell’impianto ed ai risarcimenti indirizzati ai residenti locali costretti ad evacuare.
Gli azionisti, ai quali quindi il verdetto ha dato ragione, avevano precisamente accusato i dirigenti tecnici di Fukushima di non aver messo in atto subito le misure di sicurezza preventive in seguito ad una valutazione di rischio sismico effettuata nel 2002 dal governo, definita dagli azionisti come la “migliore valutazione scientifica”. Gli avvocati degli ex dirigenti, dal canto loro, avevano sostenuto che la valutazione non fosse affidabile, ma il tribunale ha adesso messo la parola fine sul contenzioso ritenendo invece che la valutazione del governo fosse sufficientemente affidabile, al punto tale da obbligare l’azienda ad adottare le misure. “È estremamente irrazionale e imperdonabile” rimandare la decisione di agire in base allo studio del governo, viene infatti affermato nella sentenza.
Con la decisione del Tribunale è stata dunque fatta giustizia sul disastro di Fukushima, il più grave incidente nucleare dopo quello di Chernobyl del 1986. L’11 marzo 2011, infatti, un terremoto di magnitudo 9 al largo della costa settentrionale del Giappone provocò un enorme tsunami e la successiva fusione di tre reattori nucleari presso la centrale “Fukushima Dai-ichi”, situata nella Prefettura di Fukushima. A morire furono oltre 15mila persone mentre circa 154mila residenti furono costretti a fuggire, con le autorità che infatti – in seguito al rilascio di radioattività nell’aria e alla contaminazione dei terreni circostanti – nei giorni successivi al disastro ordinarono l’evacuazione dei residenti entro un raggio di 20 chilometri. A caratterizzare il disastro infine il rilascio di elementi radioattivi nell’oceano: la contaminazione da perdite d’acqua radioattiva verso l’ambiente oceanico oltre che verso il sottosuolo ad oggi è ancora esistente, e vi sono incertezze e preoccupazioni relativamente alla sua evoluzione.
[di Raffaele De Luca]