Sono iniziati i tempi supplementari del governo Draghi e della crisi politica che nelle prossime ore potrebbe ufficialmente trasformarsi in crisi di governo. Ieri, al Senato era attesa l’approvazione della fiducia posta dall’esecutivo sulla conversione in legge del decreto Aiuti. Il presidente del Consiglio ha incassato il consenso delle forze di maggioranza, fatta eccezione per il Movimento 5 Stelle, che al momento della votazione è uscito dall’Aula. Così, Mario Draghi ha raggiunto Sergio Mattarella per un breve incontro e poi è ritornato a Palazzo Chigi per il Consiglio dei Ministri, dove ha annunciato le sue dimissioni. Alle 19.15 è salito al Quirinale per porre fine alla sua esperienza politica ma il presidente della Repubblica ha rifiutato le dimissioni, rinviandolo mercoledì alle Camere. A questo punto, gli scenari possibili sono diversi: dal rinnovo della fiducia alla conferma delle dimissioni, passando per le elezioni anticipate o un governo “traghettatore”. E l’ipotesi di uno strappo mediatico – al sapore di atto finale – da parte del M5S non può essere esclusa.
«Le votazioni di oggi in Parlamento sono un fatto molto significativo dal punto di vista politico. La maggioranza di unità nazionale che ha sostenuto questo governo dalla sua creazione non c’è più», ha affermato Mario Draghi durante il Consiglio dei Ministri. «Dal mio discorso di insediamento in Parlamento ho sempre detto che questo esecutivo sarebbe andato avanti soltanto se ci fosse stata la chiara prospettiva di poter realizzare il programma di governo su cui le forze politiche avevano votato la fiducia. Questa compattezza è stata fondamentale per affrontare le sfide di questi mesi. Queste condizioni oggi non ci sono più», ha poi aggiunto, lasciando intendere la conferma delle dimissioni mercoledì prossimo al Parlamento. Ad oggi, in base alle ultime dichiarazioni, sembra essere la strada più probabile; tuttavia, la politica e la statistica spesso non coincidono. 5 giorni separano il governo Draghi dal suo destino: 120 ore frenetiche in cui potrebbe accadere di tutto. Alla base della decisione del presidente del Consiglio non c’è, infatti, una motivazione dettata dai numeri o dal bisogno sostanziale di una maggioranza, dal momento in cui ieri la conversione in legge del decreto Aiuti è stata approvata con 172 voti favorevoli e 39 contrari. La motivazione è politica e risiede nell’ethos che Draghi ha costruito durante la sua carriera e nell’ultimo anno a Palazzo Chigi: ritrattare la propria posizione e trovare un accordo – appunto politico – o tenere fede alla propria natura da tecnico e confermare le dimissioni? Sarà questa la domanda che accompagnerà Draghi nei prossimi giorni.
Ai sensi degli articoli 87 e 88 della Costituzione italiana, “il presidente della Repubblica può sciogliere le Camere”, terminando di fatto la Legislatura con otto mesi di anticipo e indicendo nuove elezioni. Questa sarebbe l’ipotesi maggiormente gradita da Lega e Fratelli d’Italia. «Non accettiamo scherzi, questa Legislatura per noi è finita: vogliamo elezioni subito», ha dichiarato Giorgia Meloni qualche minuto prima della decisione di Mattarella di rinviare la crisi a mercoledì. Matteo Salvini nei giorni scorsi aveva sostenuto che il non-voto del M5S rappresentasse sostanzialmente la fine del governo, con conseguente «parola agli italiani». Scelte comprensibili da ambo i lati poiché, superando il velo demagogico, ci si ricorda come Fratelli d’Italia sia al vertice dei sondaggi – con quasi il 22% dei consensi (dati AGI) – e in pole per diventare la prima forza del Parlamento. Allo stesso modo, la Lega non vuole perdere ulteriore terreno nei confronti del nuovo partito leader del centrodestra. Dal Pd è emersa, invece, la volontà di ricostruire la maggioranza mercoledì alle Camere e far ripartire il governo, con o senza il M5S. Un’ipotesi sostenuta anche da un ambiguo Silvio Berlusconi, che se da un lato ha dichiarato: «Forza Italia attende le decisioni di Draghi, le urne non ci spaventano», dall’altro ha confermato che il governo possa andare avanti anche senza il Movimento 5 Stelle. La palla passa al Parlamento, che mercoledì valuterà l’esistenza dell’eventuale nuova maggioranza, in linea con la volontà di Mattarella, secondo cui la mancanza definitiva della fiducia e la perdita dei numeri necessari a governare debbano essere certificate da un voto delle Camere, che potrebbe dunque trasformare la crisi politica in crisi di governo. Remota, ma non impossibile, la scelta di un esecutivo “traghettatore”, che arrivi a marzo 2023 e alla conclusione naturale della Legislatura.
Ciò che è certo è che l’Italia si trovi di fronte a una crisi strana, quantomeno evitabile, sia perché il governo potrebbe restare in piedi anche senza il M5S – volontà di Draghi permettendo –, sia perché erano state avviate delle trattative tra il presidente del Consiglio e il leader dei grillini sui nodi del dl Aiuti, formalmente la causa della crisi. Giuseppe Conte aveva presentato una serie di richieste, riguardanti il rinnovo del Superbonus edilizio, il rafforzamento del reddito di cittadinanza e il blocco dei progetti relativi alla costruzione di un termovalorizzatore a Roma, specificando che non si trattasse di un “ultimatum”. Mario Draghi, nel corso dell’ultima conferenza stampa, ha dichiarato: «quando ho letto la lettera del Movimento 5 Stelle ho trovato molti punti di convergenza con l’agendo di governo», puntando su una certa vaghezza. Ad ogni modo, l’ipotesi che vedrebbe la crisi come uno strappo mediatico non può essere esclusa, soprattutto alla luce della caduta libera del M5S nei consensi, passati dal 32,68% di inizio Legislatura al 2,1% nelle ultime amministrative, in cerca di un cambio di rotta verso le prossime elezioni. Inoltre, il partito starebbe valutando di ricorrere al voto degli iscritti per decidere su una eventuale fiducia al governo Draghi mercoledì in Parlamento. L’ennesima giravolta della politica italiana che, paradossalmente, potrebbe rafforzare colui che si era cercato di affondare: Mario Draghi, attaccato e poi rivoluto, dopo nemmeno 24 ore. Un atto – l’ultimo del M5S, che ha esaurito la sua spinta “innovativa” e si avvia all’oblio – che segna l’implosione del sistema partitico a vantaggio della figura tecnica, non più ausiliare di quella politica ma capace di coglierne l’eredità.
[di Salvatore Toscano]
M5s uguale a fine. Ma gli italiani sono particolari e imprevedibili. Quanto sarà bravo Conte a coinvolgerli se si andasse al voto?
Per me è Colao il vero mostro da abbattere, e la sua macchina digitale del controllo sociale. Meglio ora che dopo, potrebbe essere troppo tardi.
Ma i 5S che tentano di riverginarsi hanno la dignità sotto i piedi, e non è neppure la loro, è quella degli italiani.