«Abbiamo istruzioni che non ci permettono di vendere prodotti a cittadini russi». Così si è giustificata la commessa di uno dei negozi del marchio Bottega Veneta presenti a Firenze, per aver allontanato un ragazzo rifiutandosi di servirlo a causa della sua cittadinanza russa. L’episodio sta provocando un certo caos mediatico, soprattutto dopo la presa di posizione di alcune testate di fact-checking che hanno giustificato la commessa ed il marchio. Gli stessi siti, anziché ridimensionare l’accaduto, hanno rivelato alcuni dettagli che rendono il caso ancor più degno di attenzione. Ecco cosa è successo.
Nel video, ripreso dal diretto interessato, si sentono chiaramente le parole della commessa, che dopo aver negato la vendita dei prodotti dell’azienda al ragazzo russo, a causa della propria cittadinanza, avrebbe invece consentito ad un suo amico con il passaporto italiano di comprargli un giacchetto. Questo ha scatenato il web che ha lanciato l’hashtag #bottegaveneta per boicottare il brand. Ma non solo.
In seguito alla diffusione su Twitter del video, il portale italiano Bufale.net ha pubblicato un fact-checking intitolato “Perché non bisogna demonizzare Bottega Veneta e la commessa” nel quale giustifica l’operato della lavoratrice e del marchio grazie all’applicazione di un articolo del Reg. 427/2022. Il Regolamento di Esecuzione UE del 15 marzo, 427/2022 introduce restrizioni alla vendita, fornitura, trasferimento ed esportazione diretta o indiretta di beni di lusso il cui valore è superiore a 300 euro per articolo, salvo diversa indicazione. Nel caso di Bottega Veneta, brand di lusso, qualsiasi articolo viene considerato tale.
La citazione del regolamento sulle sanzioni è corretta. Effettivamente una interpretazione in chiave restrittiva di quanto previsto a livello comunitario permette che i negozi del lusso siano chiusi ad alcuni clienti semplicemente in base a criteri di appartenenza etnica. Non si parla di sanzioni che vanno a colpire una lista di oligarchi o personaggi giudicati vicini al potere politico di Vladimir Putin, ma genericamente ogni cittadino russo. Anche se magari residente in un Paese europeo da anni, anche se magari oppositore dello stesso governo Putin. Un fatto che dovrebbe spingere la stampa alla riflessione, considerando anche la brutalità di fatti di cronaca come questo.
Ma così non è. L’attenzione dei paladini del fact-checking si concentra ancora una volta su una difesa cavillosa della norma, criticando chi – seguendo i principi del diritto di critica – si permette di sottolineare i profili di ingiustizia e di presunta illegittimità, quantomeno in Italia dove è in vigore una Costituzione che al suo articolo numero tre prevede che nessun cittadino possa essere discriminato per ragioni razziali.
Su un punto la critica ci trova tuttavia d’accordo. Non è stato corretto diffondere il video senza oscurare il viso della commessa, la quale è chiaramente esecutrice di ordini che le sono stati impartiti e non deve essere posta in condizione di essere vittima di possibili atti dimostrativi. Per questo abbiamo modificato il filmato coprendo il viso dell’interessata. Ma questa considerazione non può omettere il fatto più importante, ovvero la discriminazione subita all’interno di una paese democratico da parte di un cittadino semplicemente a causa della sua nazionalità.
[di Iris Paganessi]
Ma chi gli ha detto che era russo, occorre mostrare i documenti d’identità per acquistare?
Prima i non vaccinati, poi i russi. Volenti o nolenti siamo tornati al “vietato l’ingresso ai cani e agli ebrei”, che schifo..
Questi episodi, nella loro drammaticità, sono acqua che si accumula e che, piano piano, travolgerà questi piani criminali che stanno distruggendo la nostra società. La loro disumanità e irrazionalità sono così palesi che faranno aprire gli occhi anche a chi finora credeva di vivere nel mondo libero e democratico conosciuto più di trent’anni fa
Fatelo chiudere