Disastro ambientale, gestione illecita di ingenti quantitativi di rifiuti speciali, getto pericoloso di cose, lesioni personali a carico di numerosi cittadini: sono questi i reati contestati a 18 indagati in seguito alla chiusura di un’inchiesta – condotta dal Nucleo Operativo Ecologico (Noe) dei Carabinieri di Ancona e coordinata dalla Procura dorica – relativa ad un incidente verificatosi 4 anni fa nella raffineria Api di Falconara Marittima. Quest’ultimo, consistette nell’inclinazione del tetto galleggiante di un serbatoio situato all’interno del polo petrolifero e secondo gli inquirenti non fu di certo casuale. Dalle indagini, infatti, è emerso che la gestione degli impianti era improntata al risparmio, con l’intenzione di evitare ingenti costi per l’ispezione, la manutenzione e l’adeguamento degli stessi.
Sarebbe per questo, dunque, che l’11 aprile 2018 si verificò l’incidente sul TK 61 – uno dei serbatoi più grandi d’Europa caratterizzato da una capacità di portata pari a 160.000 metri cubi di petrolio greggio – che provocò la fuoriuscita di una nuvola di gas idrocarburici e la conseguente percezione di forti e prolungati miasmi da parte della popolazione della zona, oltre al serio pericolo per la sicurezza derivante dal rischio di esplosioni. Un vero e proprio disastro che si porrebbe sulla scia di tutta una serie di violazioni appunto motivate dalla volontà di risparmiare. “La conseguente attività d’indagine ha permesso di ricostruire le modalità gestionali dello stabilimento, caratterizzate da ripetute violazioni, sia delle prescrizioni contenute nei provvedimenti autorizzativi, sia degli stessi dettami sanciti dalla specifica normativa di settore”. Questo si legge nel comunicato diffuso dai Carabinieri, i quali dunque non a caso fanno sapere che “sono inoltre stati contestati delitti contro la pubblica amministrazione, la violazione della normativa sulla gestione degli impianti a rischio di incidente rilevante e la responsabilità amministrativa degli enti nei confronti della società Api Raffineria S.p.A”.
Le indagini espletate hanno fatto emergere gravi carenze strutturali negli impianti, con diffusione incontrollata e prolungata nell’ecosistema di inquinanti pericolosi per l’ambiente e per l’uomo. In tal senso, secondo gli inquirenti nel territorio di Falconara Marittima si è registrato un significativo inquinamento ambientale causato dalle attività della raffineria che, “pur operando sulla scorta dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) n. 171 del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare rilasciata in data 11.05.2018, ne ha violato le prescrizioni ed i limiti di emissione con riferimento alle emissioni in atmosfera, agli scarichi idrici, ai rifiuti, alla gestione dei malfunzionamenti e degli eventi incidentali”. Nello specifico, gli inquirenti parlano di una “compromissione della qualità dell’aria delle zone limitrofe all’impianto petrolchimico falconarese” che sarebbe stata “provocata dalle ripetute emissioni in atmosfera di gas derivanti dalla lavorazione degli idrocarburi”. Inoltre, pongono l’attenzione sull'”inquinamento e la perdurante dispersione di prodotti nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque”, che sarebbero stati principalmente provocati proprio dallo stato di deterioramento degli impianti e dalle gravi carenze riscontrate nell’ispezione e manutenzione di vari serbatoi, di rilevanti dimensioni, nonché degli impianti di trattamento delle acque di scarico (T.A.S.), di trattamento delle acque di falda (T.A.F.) e della rete fognaria oleosa della raffineria”.
Insomma non una ma diverse condotte illecite, come anticipato sorrette dalla volontà di risparmiare denaro. Basterà pensare che la sola bonifica di uno dei serbatoi oggetto delle indagini avrebbe comportato un esborso pari ad oltre 2 milioni di euro, mentre lo smaltimento dei rifiuti liquidi costituiti dalle acque di processo avrebbe comportato dei costi di almeno 8 milioni di euro all’anno. A determinare le violazioni, però, sarebbe stata altresì l’intento di non compromettere l’attività produttiva, rallentando i processi di lavorazione che, in caso di esecuzione delle dovute opere di ispezione e manutenzione, avrebbero subito una inevitabile riduzione.
[di Raffaele De Luca]