lunedì 25 Novembre 2024

Il vero impatto ambientale degli alimenti confezionati

Un nuovo studio condotto dai ricercatori dell’Università di Oxford ha fatto chiarezza sul reale impatto degli alimenti confezionati. Sono stati analizzati 57mila prodotti commercializzati su tutto il territorio britannico e irlandese, prendendo in considerazione quattro indicatori fondamentali ovvero le emissioni di gas serra, l’uso del suolo, lo stress idrico e il potenziale di eutrofizzazione (cioè l’aumento incontrollato di sostanze nutrienti, soprattutto fosforo e azoto, all’interno dell’ecosistema acquatico). Quella dei ricercatori di Oxford è la prima reale analisi che prenda sotto esame alimenti composti da più ingredienti. I risultati pubblicati sono stati diffusi sulla rivista scientifica PNAS (Proceedings of the national academy of sciences) ove ci si pone l’obiettivo di stimare l’impatto ambientale dei prodotti in commercio e si chiarisce altresì l’importanza di concentrarsi sulla conoscenza reale dell’impatto ambientale data dagli ultimi. Perché per cambiare davvero in meglio e arrivare a sistemi alimentari sostenibili è imprescindibile avere a disposizioni dati dettagliati, così da agire con l’approccio più giusto e modificare i punti realmente critici. Per esempio una delle prime tendenze individuate è quella che riguarda gli alimenti maggiormente nutrienti, più facilmente sostenibili dal punto di vista ambientale rispetto ai sostituti simili, anche se questi possono avere impatti ambientali diversi a seconda di svariate variabili.

La ricerca dell’Università di Oxford è particolarmente importante e unica nel suo genere perché finora si conoscono “facilmente” le conseguenze di prodotti come la carne, ormai notoriamente causa di ingenti emissioni di CO2. Ma come conoscere l’impatto di prodotti composti da tanti ingredienti diversi? La questione sollevata è ciò da cui la nuova ricerca parte per potere dare un vero slancio qualitativo al commercio alimentare.

Le analisi effettuate fino ad oggi confrontavano l’impatto di prodotti alimentari come frutta, grano e carne bovina, quando la maggior parte dei prodotti alimentari contiene invece numerosi ingredienti, comunque difficili da studiare. Dei 57mila prodotti confezionati disponibili sugli scaffali dei supermercati britannici e irlandesi non è stato per niente facile risalire perfettamente alla composizione, visto come le informazioni sul tipo e sulla quantità degli ingredienti non siano in realtà tanto limpide. Solo per circa il 3% degli alimenti confezionati c’è vera possibilità di risalire correttamente a una scheda completa e dettagliata. Tuttavia, grazie all’ideazione di un algoritmo su misura, gli studiosi sono riusciti a continuare la ricerca nonostante sia rimasto il problema di risalire alla provenienza del tutto certa e alla tecnica di produzione utilizzata per ogni singolo ingrediente.

I risultati ottenuti sono dunque frutto dei dati a disposizioni ponderati, mentre qualsiasi informazione non completa è stata esclusa. Assegnando ogni volta a 100 grammi di uno specifico prodotto un punteggio da 0 a 100 (eco-score) quindi da un impatto ambientale minimo a un impatto invece massimo, gli alimenti confezionati più dannosi sono quelli a base di carne e latticini.

Per quanto riguarda le sempre più diffuse alternative vegetali, dalle vegetariane alle vegane, l’impatto ambientale non è nullo, ma comunque minore rispetto ai prodotti che esse “sostituiscono” ma molto variabile. Rimane infatti essenziale guardare sempre alla quantità di un certo ingrediente, perché per quanto quasi del tutto privo di elementi derivanti dal mondo animale, “l’inganno” è dietro l’angolo.

La critica finale mossa dai ricercatori è che nelle tante discussioni e strategie per ridurre le emissioni di CO2 sembra solo si debba ridurre il consumo di carne. Punto sicuramente fondamentale, ma che rimane un’azione a metà se non si considerano realmente tutte le emissioni. Ciò vuol dire conoscere e limitare anche le conseguenze di alimenti a cui non si pensa perché non palesemente impattanti tanto quanto la carne, ma che sono anch’essi alla base di ingenti emissioni di gas serra.

[di Francesca Naima]

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