Lo stato argentino è stato riconosciuto responsabile del Massacro di Napalpí, uno dei più gravi crimini contro l’umanità commessi nel Paese durante il Ventesimo secolo. Una carneficina che risale al 19 luglio 1924, occultata per anni e riconosciuta formalmente e ufficialmente quasi un secolo dopo con un processo storico detto “per la verità” (perché i presunti colpevoli sono ormai morti) conclusosi lo scorso maggio nel tribunale della città di Resistencia, capoluogo della provincia del Chaco. Vista la difficile reperibilità dei dati, le stime sul numero di indigeni Quom e Moquoit, violentemente uccisi in un solo giorno, variano da 400 a 700. Si stima che a sopravvivere furono circa quaranta bambini e meno di venti adulti. Più di 5.000 proiettili sparati contro uomini, donne, anziani, bambini, e per i pochi superstiti furono messe in atto brutalità disumane, col fine di non lasciare testimoni. Nativi mutilati o sgozzati con machete ed asce, corpi squarciati poi appesi o impalati. Cadaveri irriconoscibili sepolti infine in fosse comuni nello stesso luogo del massacro, un’area rurale di circa un chilometro.
All’epoca della strage, Napalpí era una delle riserve interne a quel che veniva identificato come Territorio Nazionale del Chaco. Fin dall’inizio del Novecento i coloni avevano relegato nella riserva indigeni di diverse etnie, prevalentemente Qom e i Moqoit, trattati letteralmente come schiavi. A giustiziare essere umani cui unica “colpa” era quella di pretendere condizioni di vita e lavoro dignitose, furono le forze di polizia del Chaco e i gruppi paramilitari di allevatori regionali, coloni bianchi e altri uomini assoldati dall’allora governatore del Territorio, Fernando Centeno. Una strage punitiva volta a reprimere le proteste nate da parte degli abitanti ai quali il Governo, oltre all’asfissiante sfruttamento già messo in atto, aveva imposto una tassa sul raccolto del cotone, introdotto nella riserva come coltivazione proprio negli anni Venti.
Nonostante l’entità e la ferocia del Massacro di Napalpí, solo 97 anni dopo il sopruso, a settembre 2021, il giudice federale di Resistencia ha autorizzato il Processo per la verità (juicio por la verdad) che ha poi preso ufficialmente il via il 19 aprile 2022. Perché, come spiega Teresa Bo, corrispondente di Al Jazeera la quale ha toccato con mano la situazione e si è confrontata con i pochi superstiti della strage, in Argentina esiste una delle politiche più severe e occultanti contro le comunità indigene. Senza conoscenza è più difficile garantire una maggiore equità, di certo non conveniente a chi sfrutta la situazione in cui ancora oggi certe comunità sono immerse.
Il modus operandi del Paese ha portato solo ora a riconoscere il Massacro di Napalpí, il che rappresenta uno step tanto piccolo quanto potente; ma di eventi simili mai venuti fuori ne esistono a iosa ed è possibile affermare che quello di Napalpí sia stato uno dei pochi realmente indagati, e dopo anni di richieste e movimenti, proteste, tentativi di processi e indagini mai davvero andati a buon fine.
La discriminazione contro le comunità indigene in Argentina è un fatto reale per troppo tempo completamente negato, per questo lo scorso maggio il giudice ha anche sottolineato l’importanza di introdurre il Massacro nei programmi scolastici, di parlare ed educare a riguardo anche attraverso l’istituzione di musei dedicati, perché ciò che a quasi 100 anni dopo il massacro è stato riconosciuto come crimine contro l’umanità, permetta finalmente di attestare quel che è accaduto, così da smuovere coscienze, avere memoria, nella speranza che tali violenze possano garantire un maggiore rispetto presente e futuro. Però le comunità di indigeni nel Paese vivono continuamente discriminazioni e ingiustizie, senza parlare della povertà che tuttora regna nella stessa provincia di Chaco, della mancanza di alloggi, della scarsa cura sanitaria e della poca educazione garantita. Non solo, ma proprio a dimostrazione di quanto dalla storia passata poco si sia appreso – anche perché molto è stato, appunto, per troppo tempo celato – molti nativi denunciano svariati abusi e soprusi da parte delle forze di sicurezza. E se per anni del Massacro di Napalpí si è parlato pochissimo in Argentina e lo Stato non aveva mai riconosciuto alcuna colpevolezza, anche dei nativi ancora discriminati si sa ben poco. Delle ingiustizie vissute ogni giorno dagli indigeni hanno risonanza solo casi eclatanti e che riescono ad essere diffusi, come il video di una donna prelevata con la forza dalla sua abitazione dalla polizia durante la recente pandemia.
Un accadimento che ha lasciato indignate associazioni umanitarie e cittadini in tutto il Paese, gli stessi che hanno udito le recenti parole dell’attuale presidente Fernández volte a sottolineare come gli argentini siano “perlopiù europei”. Un intervento trasformatosi subito in caso mediatico, uno “scivolone” assai grave, tra l’altro anche insulto per gran parte delle comunità da sempre parte del Paese.
Il senso nazionale rimane purtroppo confuso e uscite del genere da parte del leader argentino di certo non sono d’aiuto. Basti pensare che dei 47 milioni di argentini solo 1 milione si considera con qualche discendenza indigena: un «Numero piccolissimo in un paese tanto grande», come ha sottolineato la giornalista Teresa Bo. Un ulteriore esempio di come alcune popolazioni ancestrali, aventi ogni diritto alla vita specialmente nelle loro terre natie e capaci di salvaguardarle ben meglio degli attuali capi politici, fatichino ancora oggi a ottenere giustizia e vivere con umana dignità.
[di Francesca Naima]
Per non parlare del popolo Mapuche, delle ingiustizie che ha subito e ora relegato
Ricorda per certi versi il festival dell’ipocrisia messo in scena non molto tempo fa da Bergoglio con i nativi del Canada, dove il criminale si scusa, si perdona e si assolve tutto in una volta.