Da qualche settimana ho cambiato lavoro: da consulente aziendale a veggente. Ricevo infatti decine di domande su cosa accadrà nei prossimi mesi all’economia italiana e, soprattutto, alle piccole imprese italiane, a fronte della valanga ormai imminente. E probabilmente deludo tutti nel ribadire l’unica verità possibile. Ovvero che “dipende”.
Pensare di trovare rimedi oggi, ormai tardivi e costosi, è come pensare di iniziare una cura dopo che per anni la malattia si è manifestata in maniera evidente ma è stata colpevolmente trascurata. Perché una cosa va detta: per quanto gli eventi abbiano avuto un’improvvisa accelerazione non si può certo dire che quello che sta succedendo fosse “imprevedibile”.
Dal momento che per anni le banche centrali hanno immesso denaro sui mercati era facile prevedere che prima o poi tutto questo si trasformasse in inflazione. Poteva arrivare un po’ in anticipo o un po’ in ritardo. Ma prima o poi il conto sarebbe arrivato. Ed infatti è arrivato.
Così come è da anni che alle aziende viene suggerito di rendere più efficienti le loro strutture, sia in termini energetici che organizzativi. Perché la direzione da prendere non poteva che essere quella: intervenire sui costi fissi e variabili per migliorare la solidità aziendale.
Poi, certo, la storia si ripete e sappiamo che ad un certo momento avvengono dei fatti improvvisi che fanno esplodere quel fenomeno già in atto da tempo, rendendolo visibile anche ai più ciechi. Ma a quel punto non si possono più cercare soluzioni reali, perché il danno è fatto. Si può solo tentare di limitare i danni.
Quindi a chi mi chiede del futuro delle nostre piccole aziende non posso che rispondere facendo una grande distinzione. Da una parte quelle che fino ad oggi sono state gestite da imprenditori lungimiranti, che hanno investito per organizzare meglio l’azienda, costruire rapporti solidi con i fornitori, attirare collaboratori di qualità e offrire servizi eccellenti ai clienti. Che hanno previsto quello che prima o poi sarebbe arrivato e si sono premuniti, diversificando se il loro settore era a rischio o innovando per distinguersi dai concorrenti.
Dall’altra parte invece gli imprenditori che si sono fatti fagocitare dalla routine, o paralizzare dalla paura di questi ultimi anni. Che sono stati sommersi dall’operatività e hanno trascurato la parte strategica. Che si sono accontentati delle prestazioni mediocri dei loro collaboratori o che hanno rincorso i clienti facendo leva solo sul prezzo. Magari hanno anche ironizzato sui loro colleghi che frequentavano corsi di formazione tecnica o imprenditoriale, sostenendo di non avere tempo per “quelle cose”. O semplicemente si sono accontentati di “tirare avanti” per non dover affrontare determinati cambiamenti.
Ora, inevitabilmente, tutto questo verrà a galla. In maniera drammatica e repentina. Mettendo in luce quel divario che prima era mitigato da mercati drogati, denaro a costo zero e sovvenzioni varie. Sarà drammatico e doloroso. Ma non possiamo dire che fosse “imprevedibile”, dal momento che i segnali c’erano tutti.
Quello che davvero non sappiamo è la potenza di questa valanga. Dal momento che ha origini molto lontane, non legate all’economia reale ma ad una finanza ormai totalmente fuori controllo. Che come sempre cercherà di far pagare il conto dei suoi errori ai più deboli. Bisogna vedere come reagiranno imprenditori e lavoratori all’ennesimo saccheggio. Se chinando la testa e accettando il fato malevolo o sollevandola per guardare negli occhi i veri artefici di tutto questo. Affinché pretendano che siano loro, una volta tanto, a pagare i danni creati.
Ma forse la mia è solo una vana illusione.
[di Fabrizio Cotza]
Detta così mi pare un po’ troppo semplicistica. Qui anche chi ha curato gli aspetti di cui parli rischia di schiantarsi contro eventi al di sopra delle proprie possibilità di controllo. Paradossalmente uno stop ascetico ad ogni attività produttiva potrebbe segnare il cambio di rotta interferendo con i piani accentratori delle élite finanziarie. Tokenizzare l’economia, passare a una visione collaborativa e non competitiva, redistribuire la ricchezza e decentralizzare il potere coinvolgendo tutti gli attori del sistema è l’unica opzione possibile per uscire da questa strada cieca. Invertire la rotta, tornare sui propri passo fino al bivio e scegliere un’altra strada.
Nulla di complicato: si cerca (con successo) di fare terra bruciata in Europa per permettere agli USA di espandere qui la loro economia. Dopo un annetto, o anche meno, di “sanzioni alla Russia” e di “crisi energetica speculativa”, l’Europa (Italia compresa) sarà bell’e pronta per una svendita totale alle multinazionali USA.