Negli ultimi tempi, le prove scientifiche che confermano la drammatica riduzione delle popolazioni di impollinatori si sono moltiplicate a vista d’occhio. Le principali cause di questo calo sono legate, nel complesso, alle pratiche di agricoltura industriale, prima fra tutte l’uso intensivo di pesticidi sintetici. I fitofarmaci utilizzati per proteggere le colture da organismi patogeni non rappresentano però l’unica minaccia alla sopravvivenza degli insetti essenziali per la nostra sicurezza alimentare. Oltre, ad esempio, alla perdita di habitat, va senza dubbio citato anche l’impatto di agenti patogeni di varia natura. L’agricoltura intensiva, infatti, ha su più fronti aumentato anche la vulnerabilità delle api agli attacchi da parte di parassiti, come l’acaro Varroa destructor o i più recenti calabrone asiatico (Vespa velutina) e il coleottero dell’alveare Aethina tumida. Ma nei confronti delle conseguenze di quest’ultimo, per ora diffuso solo nel Sud della Calabria, una possibile soluzione innovativa viene dall’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA).
L’istituto di ricerca, in collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno, ha messo a punto una sostanza che sfrutta delle molecole che esercitano un controllo naturale sui parassiti senza andare ad impattare negativamente sulle api, su altri insetti pronubi o sull’ecosistema in generale. I ricercatori hanno testato la sostanza, che è anch’essa a tutti gli effetti un pesticida, proprio in Calabria, nella sezione dell’Istituto Zooprofilattico di Reggio Calabria, «dove – spiegano gli autori dello studio – il coleottero viene mantenuto in allevamento sottoposto a stringenti misure di contenimento». La tecnica alla base dello sviluppo di questa innovazione è quella dell’RNA interferente, grazie alla quale sono state sintetizzate delle molecole che inducono un decremento nel tasso di sviluppo, un rallentamento nel ciclo biologico e una sensibile riduzione della fertilità nei parassiti target. Questi tre effetti in una popolazione naturale – auspicano i ricercatori – potrebbero portare a «un contenimento dei danni del coleottero a carico dell’alveare, della produzione apistica, senza alcun rischio per l’ambiente e per l’uomo».
Il prodotto testato, come anticipato, è un pesticida. Un pesticida, infatti, è una sostanza finalizzata a controllare la proliferazione di organismi infestanti, detti ‘pest’, che hanno un impatto negativo sulla produzione agricola. In questo caso specifico, quella di miele. Purtroppo, i pesticidi utilizzati per proteggere invece le coltivazioni continuano a danneggiare gli impollinatori e, ad oggi, non sembra abbiano preso piede valide soluzioni alternative. Un pesticida contro un parassita delle api, a maggior ragione se privo di effetti collaterali, resta comunque una buona notizia. Basti pensare che anche quest’anno, a causa della siccità e del caldo estremo, la produzione nazionale di miele, segnando un -40%, si è attestata ben lontana dal potenziale produttivo. Certamente, in questo contesto, il dover combattere anche con dei parassiti non aiuta. Il coleottero dell’alveare, l’obiettivo della formulazione di ENEA, è un insetto della famiglia Nitidulidae e dell’ordine dei Coleoptera, infestante le colonie dell’ape domestica (Apis mellifera). Le sue larve scavano gallerie nei favi dove mangiano e rilasciano rifiuti organici, causando la fermentazione del miele non ancora estratto. Originaria del Sud Africa, la specie è stata rinvenuta per la prima volta in Europa, in Calabria per l’appunto, nel 2014. L’insetto è inserito nell’elenco del Codice sanitario per gli animali terrestri dell’OMS e nell’allegato II del Regolamento UE 429/2016 che impone l’obbligo di notifica e misure per l’eradicazione. Un problema emergente che, grazie alla scoperta fin qui descritta, potrebbe quindi essere contenuto ancor prima che si diffonda. La sperimentazione, tuttavia, è stata appena conclusa, quindi per la commercializzazione del prodotto potrebbero volerci anni.
[di Simone Valeri]