Il giacimento di gas di Groningen, nei Paesi Bassi, chiuderà i battenti nel 2024. Ad annunciarlo il Primo Ministro del paese Mark Rutte. La causa della decisione resa nota i primi di ottobre va ricercata nelle ormai troppo frequenti scosse di terremoto, legate all’estrazione fossile, che hanno già danneggiato migliaia di edifici nei pressi del giacimento. Una decisione che, in tempi di crisi energetica e nel contesto degli estenuanti tentativi di ridurre la dipendenza dalla Russia, allarma in modo particolare il resto dell’Unione Europea. Il giacimento in questione è infatti il più grande del Vecchio Continente ed è attivo fin dal 1963. La sua produzione, a pieno regime, avrebbe persino la potenzialità di soddisfare il 10% del consumo energetico europeo. Contiene infatti ancora 450 miliardi di metri cubi di gas e – secondo la Shell che gestisce le operazioni nel giacimento insieme alla statunitense ExxonMobil – da questo si potrebbero estrarre 50 miliardi di metri cubi di gas l’anno in più rispetto a quanto si sta estraendo ora. Ma piuttosto che tenerlo in vita, Amsterdam pare preferisca prolungare l’attività delle sue centrali nucleari.
Nonostante l’importanza strategica del giacimento in questione, i Paesi Bassi hanno deciso di tirare dritto: l’estrazione sarà progressivamente ridotta prima di cessare del tutto entro la fine del 2024. Un colpo basso per l’UE che riteneva il giacimento di Groningen – come lo ha anche definito l’Economist – l’unico potenzialmente adatto nel continente europeo per sostituire la fornitura di gas proveniente dalla Russia. Fornitura che, nel frattempo, è scesa dal 41 al 7,5%. Una decisione che delude quindi Bruxelles, ma che rincuora i residenti delle località prossime al giacimento. Infatti, da anni ormai questi protestano affinché la sicurezza pubblica non sia sacrificata in nome di quella energetica. Tutto ha avuto inizio nel 1956, anno in cui il giacimento è stato scoperto. L’estrazione dell’idrocarburo gassoso è iniziata nel 1963, ma solo da gli anni ’80 i residenti hanno cominciato ad aver sospetti sulle sempre più frequenti scosse di terremoto, fino a poi collegarle definitivamente con l’estrazione di gas. Dal 1986, anno in cui si è iniziato a monitorare l’attività sismica, nella zona sono state registrate oltre mille scosse. I terremoti, in genere di bassa intensità (fino a 3.6 gradi della scala Richter), sono stati comunque sufficienti a provocare danni agli edifici. Per oltre un miliardo di euro di risarcimenti, le sole segnalazioni ufficiali sono state oltre 120 mila. Nonostante ciò, i residenti non hanno però mai smesso di manifestare, fino a che, nel 2018, il governo ha annunciato di fermare le estrazioni. Inizialmente entro il 2030, poi, a causa di nuove infervorate proteste, entro il 2023. E infine ora la decisione ultima, che pare fissi la scadenza del giacimento al 2024.
L’attività sismica indotta dalle operazioni fossili non è una novità. Tuttavia, non si tratta di una correlazione data sempre per scontata. Anzi, a lungo è stata spesso ignorata e rilegata alla sfera complottista. Ma ora, le prove secondo cui le operazione petrolifere hanno un ruolo nell’induzione dei fenomeni di subsidenza si moltiplicano a vista d’occhio. In particolare, il responsabile è il fracking, l’attività estrattiva sfruttata dai colossi fossili anche a Groningen, finalizzata a ricavare petrolio e gas di scisto da rocce argillose nel sottosuolo. La tecnica consiste in una prima perforazione finalizzata a raggiungere i giacimenti nei quali, successivamente, si inietta ad alta pressione una miscela di acqua, sabbia e prodotti chimici di sintesi allo scopo di facilitare la fuoriuscita degli idrocarburi. Ed è proprio questa iniezione che, alla lunga, fornisce l’energia responsabile dell’attivazione di fenomeni tettonici. Alla luce del complessivo impatto delle attività petrolifere, quindi, la decisione di Rutte rassicura, specie in un contesto in cui gli Stati appaiono disposti a tutto pur di garantire la sovranità energetica dell’Unione. Compreso il prendere decisioni contradditorie, come nel caso degli accordi energetici con gli instabili paesi Nordafricani o del voler sostituire il gas russo con quello d’oltreoceano USA in barba a tutte le lotte ambientali e climatiche.
[di Simone Valeri]