Quando gli scrutini delle votazioni per il parlamento israeliano sono ormai arrivati quasi alla conclusione, sembra del tutto evidente che Benjamin Netanyahu sarà chiamato a formare un nuovo governo. Dopo la quinta votazione legislativa in tre anni e mezzo, la venticinquesima Knesset vedrà un’ampia partecipazione di membri di partiti della destra sionista e religiosa, alleati con il Likud di Netanyahu e che saranno quindi anche parte importante del nuovo governo. Una coalizione che non promette nulla di buono innanzitutto per i palestinesi, lasciando presagire – se possibile – un ulteriore peggioramento nel trattamento dei loro diritti.
Il partito Likud guidato da Benjamin Netanyahu vede al momento assegnarsi 32 seggi sui 120 che formano la Knesset, il parlamento israeliano. Gli ex Primo Ministro israeliani, Yair Lapid (Yesh Atid) e Benny Gantz (National Unity) si aggiudicherebbero rispettivamente 24 e 12 seggi. Per formare la maggioranza necessaria (61 seggi), sarà quindi fondamentale l’apporto dei partiti estremisti che hanno visto crescere a dismisura il consenso. Religious Zionist, partito sionista-religioso di estrema destra, capeggiato da Ben Gvir, si attesta sui 14 seggi, mentre i due partiti ultraortodossi Shas e Torah unita nel giudaismo, rispettivamente 11 e 8 seggi. Dunque, al momento che gli scrutini sono stati eseguiti al 90%, il blocco dei partiti di destra avrebbe la maggioranza della Knesset con 65 seggi.
Questi partiti, con cui Netanyahu dovrà fare bene i conti, rivendicano di dover agire per promuovere la sicurezza e difendere la religione e lo Stato ebraico. Ben-Gvir è interessato a guidare il Ministero della Pubblica Sicurezza mentre Bezalel Smotrich vuole assumere la carica di Ministro della Difesa, volendo rafforzare Giudea e Samaria. Sia Smotrich, i membri del suo partito e il clan di Ben Gvir hanno un programma per “rafforzare il carattere ebraico di Israele”. Questi partiti sono tutti molto attivi sul fronte coloniale e spingono per un’accelerazione dei piani di colonizzazione dei territori palestinesi occupati.
«Quando ci sono suprematisti ebrei nelle principali posizioni di gabinetto politico, cosa ci dice questo sulla capacità di Israele di difendersi dalle accuse di apartheid altrove? Tutto quello che devi fare è guardare a quello che è successo in Sud Africa per avere un’idea del tipo di sanzioni economiche con cui potremmo essere colpiti se questo governo seguirà anche solo una parte delle cose che hanno promesso di fare», è il commento del professor Dan Ben-David, della Università di Tel Aviv e capo della Shoresh Institution for Socioeconomic Research.
Secondo Haarez il bibi-ismo (dal soprannome di Netanyahu, Bibi) si conferma dunque il vero perno della politica israeliana cui tutto ruota attorno. Il governo che si appresta a guidare avrà certamente una spinta importante da parte di movimenti razzisti anti-arabi e ultrareligiosi che cercheranno di imporre la loro visione all’operato del governo. A tal proposito, il giornalista di Haarez, Eric H. Yoffie, si preoccupa di come possa reagire a questo risultato elettorale una buona fetta degli ebrei statunitensi.
Se “Re Bibi”, come è stato definito, è tale, altrettanto vero è che i partiti della destra ultranazionalista e suprematista ebraica hanno adesso un peso rilevante, addirittura maggioritario se presi tutti insieme, nella Knesset e sul governo che dovrà essere formato.
[di Michele Manfrin]