domenica 24 Novembre 2024

Ucraina: sulla “camera di tortura dei bambini” i media fanno l’ennesima figuraccia

Una camera per detenere e torturare i bambini durante l’occupazione di Kherson. È questa l’accusa raccapricciante riferita da Dmytro Lubinets, commissario per i diritti umani della Verkhovna Rada, il parlamento unicamerale ucraino, citato da Kyiv Independent. La notizia ha fatto il giro del mondo ed è stata ripresa dagli organi di stampa italiani – senza una dovuta verifica dei fatti – scandalizzando per l’ennesima volta l’opinione pubblica, proprio nel momento in cui arriva la richiesta congiunta, da parte di Ursula Von der Leyen e di Volodymyr Zelensky, di istituire un tribunale speciale per perseguire i crimini di guerra russi.

A parte la tempestività della notizia, le considerazioni da fare sono molteplici. Innanzitutto, non possiamo non ricordare che il predecessore di Lubinets, Lyudmila Denisova, aveva ammesso apertamente di aver diffuso notizie imprecise, parziali o addirittura false al punto da essere destituita dal Parlamento.

In questo caso, a corredo dell’accusa di Lubintes abbiamo delle immagini che mostrano solamente una stanza con delle sedie accatastate, alcune bottiglie d’acqua, un materasso, una coperta o un indumento e un libro. Non emerge alcuna prova che si tratti di una camera delle torture: la stanza non è attrezzata con dispositivi di tortura, non ci sono tracce ematiche né sulle sedie né sulle pareti, né altri dettagli che possano attestare la veridicità delle accuse ucraine.

La presunta “camera di tortura dei bambini” trovata a Kherson

L’immagine rilasciata dalle Forze armate ucraine della presunta camera di tortura è apparsa un mese dopo il ritiro delle truppe russe da Kherson: questa foto avrebbe potuto essere scattata ovunque e in qualsiasi momento. Non si sa nemmeno se la stanza si trovi in un seminterrato o altrove, come osserva il canale Telegram Warfakes. Non emergono indizi precisi volti ad avvalorare le accuse di Lubinets. Pertanto, ci si dovrebbe muovere con cautela, in quanto, in precedenza, i canali ucraini avevano già cercato di presentare fotografie di rifugi antiaerei sotterranei come prova della presenza di presunte camere di torture russe, nelle città della regione di Kherson. Come se non bastasse, le autorità ucraine lunedì 14 novembre hanno revocato ad alcuni giornalisti stranieri il permesso per svolgere il loro lavoro informativo proprio a Kherson dove, secondo gli ucraini, i russi avrebbero compiuto ripetuti “crimini di guerra”.

Un’altra osservazione da fare riguarda l’approccio dei media italiani: l’agenzia di stampa diffusa da Ansa titola: Kiev, scoperta camera di tortura per bambini a Kherson; le fa eco Rainews: Kherson, scoperta una stanza delle torture per bambini creata durante l’occupazione russa. Ancora più di impatto il titolo di Today: Guerra in Ucraina, scoperta nuova camera degli orrori a Kherson: si torturavano bambini. Chiunque legga distrattamente il titolo di questi articoli senza approfondirne il contenuto, è legittimato a ritenere fondata la notizia. I titoli non presentano nessun virgolettato ed elevano quindi la notizia immotivatamente a fatto verificato e meritorio dell’indicativo. Virgolettato adottato invece da altre testate (per es. Adnkronos). Mancano anche i condizionali che sarebbero d’obbligo dato che ci troviamo di fronte a delle accuse da parte del governo ucraino che al momento non hanno trovato riscontri. Non possiamo infatti dimenticare che molte accuse di atrocità sul campo imputate alle forze armate russe e rilanciate dai media mainstream occidentali si sono spesso rivelate delle vere e proprie bufale, come quella di una fossa comune con 132 corpi di civili, prima torturati e poi giustiziati dai russi a Makariv, vicino Kiev, oppure quella di una presunta camera delle torture.

Questo tipo di lavoro poco accurato, incurante del codice deontologico,  testimonia ancora come molti mass media appaiano più interessati a spettacolarizzare l’informazione e a orientare l’opinione pubblica, piuttosto che a verificare le notizie prima di diffonderle. La disinformazione, infatti, nasce quando si antepone, alla verifica dei fatti, il sensazionalismo e la divulgazione affrettata di dettagli eccessivi e morbosi.

[di Enrica Perucchietti]

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