Il ministro degli Affari interni e quello della Difesa – Bratislav Gašić e Miloš Vučićević – hanno ordinato la piena prontezza al combattimento di tutte le unità del ministero degli affari interni e dell’esercito serbo, su ordine del presidente della Serbia, Aleksandar Vučić. ll capo di stato maggiore dell’esercito serbo, Milan Mojsilovic, inoltre, pochi giorni fa si è recato urgentemente a Raska, al confine col Kosovo, con l’obiettivo di dispiegare le truppe. «Secondo l’ordine del presidente della Repubblica e del comandante in capo dell’esercito e delle forze armate della Serbia, Aleksandar Vučić, ho ordinato la piena prontezza al combattimento di tutte le unità del MUP, della gendarmeria, della SAJ e della polizia Brigata, non appena saranno poste sotto il comando del Capo di Stato Maggiore Generale e occuperanno le posizioni previste dal piano operativo», ha dichiarato Gašić in una nota.
L’ordine arriva in seguito all’escalation di tensione che si sta verificando ormai da settimane tra i kosovari di etnia serba e le istituzioni di Pristina ed era già stato preannunciato settimane fa quando all’arresto di un ex agente serbo della polizia kosovara, gli abitanti della parte nord della città di Mitrovica – a maggioranza serba – avevano reagito innalzando barricate e facendo blocchi stradali. Le autorità di Belgrado ritengono legittimo l’intervento dell’esercito in difesa dei cittadini serbi residenti in Kosovo, specialmente dopo la decisione di Pristina di inviare contingenti di forze speciali della polizia nazionale nella parte nord della città di Mitrovica. Inoltre, l’iniziativa di impiegare l’esercito è legittimata dalla risoluzione 1244 delle Nazioni Unite del 1999, secondo la quale Belgrado può dispiegare truppe nella provincia kosovara per un massimo di 1.000 uomini con funzione di protezione dei siti religiosi cristiani ortodossi, dei valichi di frontiera e della popolazione serba a condizione che il contingente Kfor della Nato conceda la sua approvazione.
La decisione si è resa poi necessaria anche in seguito all’inasprirsi delle proteste dei serbi del nord del Kosovo e Metohija, i quali durante la notte hanno eretto una nuova barricata, composta da diversi camion carichi di pietre e sabbia, nella parte settentrionale di Mitrovica in via Knjaza Miloša, che dal ponte orientale conduce alla parte meridionale della città, dalla direzione di Bošnjačka Mahala, al centro della città, come riferiscono le principali agenzie di stampa serbe. La condizione richiesta per la rimozione delle barricate è il rilascio dei tre serbi arrestati, tra cui l’ex poliziotto, nonché il ritiro delle forze speciali di polizia dal nord del Kosovo. Si apprende, inoltre, la notizia di una sparatoria avvenuta a Zubin Potok – uno dei quattro maggiori comuni del nord a maggioranza serba – durante la quale sarebbe stata attaccata una pattuglia della Kfor, la forza Nato in Kosovo. Secondo il quotidiano di Pristina, Koha, i soldati lettoni della Kfor sono stati attaccati, ma non si registrano vittime né feriti. Secondo alcune fonti, la sparatoria si sarebbe verificata dopo che la polizia kosovara ha cercato di smantellare una delle barricate erette due settimane fa dai serbi. Sempre ieri, invece, nei pressi di Zubing Potok si è svolto uno scontro armato, con raffiche di fuoco.
In seguito a questi episodi, il presidente serbo Alexandar Vucic ha convocato una riunione urgente con il primo ministro Ana Brnabic e i vertici militari. Dopo l’incontro tra Vucic e il Capo di stato maggiore delle forze armate serbe, Mojsilovic, si apprende che quest’ultimo si è recato urgentemente a Raska, distretto collocato nella parte centro-meridionale della Serbia centrale al confine col Kosovo. Successivamente, l’esercito serbo ha stanziato diversi obici a lungo raggio nella zona di sicurezza terrestre, vicino al valico amministrativo di Jarinje, come riferiscono diverse agenzie di stampa locali. «I compiti affidati alle forze armate serbe saranno pienamente attuati e realizzati come tali. La situazione è complessa, richiede la presenza delle forze armate serbe lungo la linea amministrativa e, nei periodi successivi, le forze armate serbe serviranno come soglia di pace e stabilità. Abbiamo tutte le informazioni in dettaglio. Dovete sapere che le misure prese e gli incarichi ricevuti saranno pienamente adempiuti», ha detto Mojsilović a TV Pink.
Il rischio che le tensioni sfocino in un vero e proprio conflitto armato sono purtroppo sempre più concrete e causate anche dal lavoro diplomatico di mediazione parziale dell’Unione Europea che, non di rado, ha dato manforte a Pristina, appoggiando, o quantomeno non condannando, alcune mosse divisive intraprese dal presidente Albert Kurti, come quella dell’arresto degli ufficiali kosovari serbi che ha scatenato le proteste. Gli scontri risalgono alle guerre jugoslave e sono proseguiti nonostante gli accordi precari raggiunti negli anni Novanta, aggravandosi con la dichiarazione d’indipendenza di Pristina del 2008, non riconosciuta da Belgrado e da buona parte della comunità internazionale. Recentemente sono stati riaccesi dalle vicende relative all’obbligo di reimmatricolazione dei veicoli dei serbi kosovari con le targhe di Pristina e pare stiano raggiungendo l’apice, tanto che il primo ministro serbo Ana Brnabic poco tempo fa ha dichiarato che la situazione con il Kosovo è «sull’orlo di un conflitto armato».
[di Giorgia Audiello]