venerdì 22 Novembre 2024

Il 2022 si chiude con un consumo globale di carbone da record

Nel 2022 il consumo globale di carbone è aumentato dell’1,2%, superando per la prima volta – e in un anno solo – quota 8 miliardi di tonnellate, battendo così il precedente record del 2013. È quanto si legge fra le righe di “Coal 2022”, il nuovo rapporto dell’agenzia internazionale dell’energia (IEA), secondo cui tali ritmi rimarranno piuttosto invariati nei prossimi anni – almeno fino al 2025 – se non ci saranno maggiori sforzi per accelerare la transizione verso la produzione e l’utilizzo di energia pulita.

In effetti ad oggi, mentre là fuori si combatte una guerra che coinvolge anche il settore energetico, è difficile immaginare un futuro prossimo diverso da questo. Negli ultimi mesi è bastato l’aumento del prezzo del gas – oltre alle condizioni meteorologiche sfavorevoli e alla scarsa produzione di energia nucleare – per farci tornare piuttosto in fretta a considerare il carbone come punto di riferimento energetico (anche se il rallentamento della crescita economica ha contemporaneamente ridotto la domanda di elettricità). È successo nel Regno Unito, il cui Governo ha approvato il progetto di una nuova miniera di carbone a Whitehaven, nel nord est dell’Inghilterra, a trent’anni dall’ultima apertura registratasi nel Paese. L’impianto servirà a estrarre coke – un combustibile a base di carbone – per la produzione di ferro e acciaio. Guardando ai dati però al momento è la Cina il più grande consumatore di carbone al mondo: nel 2021 gli è appartenuto il 53% della domanda globale. All’India invece il 13%, mentre l’Unione Europea e gli Stati Uniti hanno rappresentato ciascuno circa il 6%.

Secondo Keisuke Sadamori, direttore dei mercati energetici e della sicurezza dell’AIE, «la domanda di carbone così alta farà schizzare alle stelle le emissioni globali». Tuttavia «ci sono molti segnali che la crisi odierna sta accelerando la diffusione delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica. Sarà questo che ci aiuterà a invertire la rotta nei prossimi anni», con l’aiuto, ovviamente, delle politiche governative dei singoli stati. Motivo per cui, dopo il 2025, la domanda europea di carbone dovrebbe scendere al di sotto dei livelli del 2020. Infatti, nonostante per i produttori di carbone si prospettino margini di guadagno più alti, l’agenzia internazionale non ha rilevato un aumento degli investimenti in progetti finalizzati all’aumento della sua messa in commercio. Gli “scommettitori”, guardando al medio e lungo termine e alle “tendenze future”, non credono più nel rendimento economico del combustibile fossile.

Le previsioni indicano infatti che la domanda di carbone, nei prossimi anni, subirà un declino nelle economie più avanzate, sostituita da quella per le energie rinnovabili. È anche vero che le economie emergenti e in via di sviluppo – come quelle asiatiche – sono invece destinate ad aumentare l’uso di carbone – la più grande fonte di emissioni di anidride carbonica del sistema energetico globale- per far fronte alla loro crescita economica.

Rimane comunque un grosso punto interrogativo, alimentato dal modo in cui si è da poco conclusa la Ventisettesima Conferenza delle Parti sul Clima (COP27) di Sharm el-Sheikh. L’accordo raggiunto ha lasciato a bocca asciutta chi nel vertice riponeva delle speranze in fatto di lotta alla crisi climatica. Nel documento finale è stato mantenuto l’obiettivo previsto dall’Accordo di Parigi relativo al contenere il riscaldamento globale entro gli 1,5°C, ma solo a parole. Nessuna “uscita graduale dalle fonti fossili”, ma solo una richiesta agli Stati Membri di “aumentare rapidamente la diffusione della produzione di energia pulita e delle misure di efficienza energetica e di accelerare gli sforzi per la riduzione graduale del carbone e l’eliminazione graduale degli inefficienti sussidi ai combustibili fossili”. D’altronde c’era da aspettarselo, vista la corposa e aumentata partecipazione al Summit di delegati dell’una o l’altra industria fossile. Alla COP27 – secondo un’analisi resa nota dalla BBC e realizzata dall’organizzazione Global Witness – il numero di profili legati al settore degli idrocarburi è infatti persino aumentato del 25% rispetto alla COP precedente, e oltre 600 persone presenti ai negoziati sul clima in Egitto erano in qualche modo legate all’industria del petrolio e del gas.

[di Gloria Ferrari]

 

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