Il Consiglio dei ministri ha approvato, nella serata di mercoledì, un decreto-legge che introduce “disposizioni urgenti per la gestione dei flussi migratori“. Abbandonata l’illegittima – e più volte rilanciata in campagna elettorale – ipotesi della chiusura dei porti, il governo Meloni ha messo a punto una nuova strategia anti-ONG. “Si compie una scelta a favore di un sistema sanzionatorio di natura amministrativa, in sostituzione del vigente sistema di natura penale”: multe da 10mila a 50mila euro e, in caso di reiterazione, confisca delle imbarcazioni per chi viola le norme. Queste consisterebbero, secondo le prime bozze, nella “comunicazione immediata del salvataggio al centro di coordinamento competente” per recarsi “senza ritardo” al porto sicuro designato, nel divieto di trasbordi da una nave all’altra e nell’impegno dei capitani a prendere le richieste di asilo. Non dovrebbe figurare in modo manifesto l’obbligo di realizzare un solo salvataggio prima dello sbarco, anche se tale pratica potrebbe essere indotta dalla nuova logica dietro all’assegnazione dei porti sicuri, che potrebbe avvenire sì rapidamente ma a distanze sempre maggiori, come dimostrano gli sbarchi delle Sea-Eye 4 e Life Support avvenuti a Genova.
Un’azione politica con cui il nuovo esecutivo rinuncia allo scontro frontale con costituzionalisti, governi esteri e Unione Europea ma, allo stesso tempo, assicura una certa continuità con il proprio indirizzo politico, ostacolando il lavoro delle ONG e aumentando i costi dei soccorsi attraverso sanzioni amministrative e l’assegnazione di porti sicuri lontani. Già nei giorni scorsi, Roma ha designato il porto di Livorno per gli sbarchi delle navi Sea-Eye 4 e Life Support. Con il nuovo decreto-legge, il governo Meloni punta così ad allontanare le ONG dalla zona di Ricerca e soccorso (SAR) dopo il primo salvataggio per raggiungere “senza ritardo” il porto sicuro. Ciò non vieterà di rispondere alle richieste di aiuto lungo la rotta, come avvenuto tra domenica e lunedì scorso per le Life Support e Sea-Eye 4 che, mentre risalivano verso Livorno, hanno salvato rispettivamente 72 e 45 migranti. «Lasciare scoperta la zona dei soccorsi e assegnare porti sicuri lontanissimi va a discapito della protezione della vita, aumenta il rischio di altre morti in mare, aumenta di quattro volte le spese per gli spostamenti e allontana testimoni scomodi», ha dichiarato Riccardo Gatti, responsabile soccorsi di Medici senza frontiere (Msf) e presente nel Mediterraneo con la Geo Barents.
Sulla designazione del porto sicuro da parte delle autorità interne vige una certa discrezionalità, su cui il diritto internazionale potrebbe non avere alcuna presa. Secondo la convenzione Amburgo-Sar, dopo i soccorsi le imbarcazioni si devono discostare “il meno possibile dalla rotta prevista”. Tale disposizione coinvolge però le navi commerciali e non quelle umanitarie, che non hanno una rotta predefinita ma sono guidate dalle richieste di aiuto. Già con Livorno, si parla di centinaia di miglia nautiche da percorrere dopo l’intervento. La pratica potrebbe estendersi ad altri porti del nord Italia, creando una prassi che vedrebbe come norma lunghe traversate, a questo punto non più esclusivamente verso le città settentrionali della penisola ma anche verso i “vicini” porti francesi.
[di Salvatore Toscano]