L’Italia è il Paese dell’eurozona più suscettibile ad una crisi del debito come conseguenza della decisione della BCE di alzare i tassi d’interesse e comprare meno titoli di stato nei prossimi mesi: è quanto emerge da un sondaggio del Financial Times (FT) in cui nove economisti su dieci hanno concordato sul fatto che – a causa delle decisioni dell’Istituto di Francoforte – l’Italia è una delle nazioni «più a rischio di una svendita non correlata nel suo mercato obbligazionario». Nonostante il proposito del governo in carica di seguire una “corretta” politica fiscale, riducendo il deficit come prevedono i parametri di Maastricht, secondo il quotidiano economico britannico ciò potrebbe essere non sufficiente ad evitare una crisi nel rifinanziamento della spesa pubblica, in quanto «il debito pubblico italiano rimane uno dei più alti in Europa attestandosi a poco più del 145% del Pil». Il governo Meloni ha previsto di ridurre il deficit dal 5,6% del 2022, al 4,5% nel 2023 per raggiungere il 3% negli anni successivi.
Gli oneri finanziari italiani sono iniziati ad aumentare notevolmente da quando la BCE ha iniziato ad aumentare i tassi d’interesse la scorsa estate. «Il rendimento obbligazionario a 10 anni è salito sopra il 4,6% la scorsa settimana, quasi quadruplicato rispetto al livello di un anno fa e 2,1 punti percentuali sopra il rendimento equivalente sui titoli tedeschi», scrive il quotidiano economico britannico. Marco Valli, economista di UniCredit, ha detto che «maggiori esigenze di rifinanziamento del debito» e la situazione politica dell’Italia «potenzialmente complicata» rendono il Paese più vulnerabile a un sell-off sui mercati obbligazionari. Da parte sua, la premier Giorgia Meloni ha espresso il suo disappunto e la sua preoccupazione per le politiche adottate dall’istituto di credito europeo: ha affermato, infatti, che il governo italiano rispetta l’autonomia della BCE, aggiungendo però che «per come la vedo io, nella situazione attuale sarebbe meglio evitare scelte peggiorative e soprattutto sarebbe utile gestire bene la comunicazione sulle scelte che si fanno».
La manifestazione di contrarietà del governo italiano però non è servita ad ammorbidire le posizioni del consiglio direttivo della BCE che ha fatto sapere che continuerà ad alzare i tassi di mezzo punto durante i primi mesi di quest’anno. Klaas Knot, il governatore della banca centrale olandese annoverato tra i falchi del Consiglio, ha detto che la BCE ha appena cominciato il “secondo ciclo” di rialzo dei tassi.
Le critiche alle decisioni dell’Istituto di Francoforte non arrivano solo da parte italiana, ma anche diversi analisti credono che la BCE stia sopravvalutando il rischio di inflazione e sottovalutando quello di recessione: non a caso, le stime del FMI prevedono che più della metà dei Paesi europei si troverà in recessione nel 2023. Per queste ragioni, la maggior parte dei 37 economisti intervistati dal FT «prevede che la BCE smetterà di alzare i tassi nei primi sei mesi del 2023, mentre due terzi di loro aveva previsto che avrebbe iniziato a tagliarli l’anno successivo in risposta a una crescita più debole».
L’allarme lanciato dal FT mette in risalto due aspetti non trascurabili: l’importanza del ruolo e delle decisioni della banca centrale per quanto riguarda la garanzia dei titoli di Stato, più che un’astratta fiducia degli investitori nella capacità dello Stato di ripagare i titoli in scadenza e – di conseguenza – la dipendenza di Roma dalle scelte di istituti spesso slegati dalle politiche e dagli interessi nazionali.
Non a caso, la BCE ha elaborato un nuovo strumento – noto come Transmission protection instrument (TPI) – per affrontare un aumento ingiustificato degli oneri finanziari di uno Stato membro. Tuttavia, secondo più di due terzi degli economisti intervistati dal FT, la BCE non userà mai tale strumento. Difficile però pensare che Francoforte non intervenga, qualora necessario, per “salvare” Roma senza incorrere in un’implosione della stessa eurozona, considerato che l’Italia è la terza economia europea e il terzo contributore netto. Ecco perché Mujtaba Rahman, amministratore delegato per l’Europa della società di consulenza Eurasia Group, ha detto che il prossimo anno una recessione più profonda di quanto ci si aspetta «potrebbe mettere i paesi ad alto deficit e ad alto debito sotto una pressione ancora maggiore», inducendo così la BCE ad adottare un «percorso più morbido di politica monetaria».
[di Giorgia Audiello]
Sono dei pezzi di merda, e questo è quanto!