venerdì 22 Novembre 2024

Akira Miyawaki, il botanico che ha elaborato un metodo per riforestare il Pianeta

Chi definisce le foreste “il polmone verde del Pianeta” ha ragione. Gli alberi ci forniscono aria pulita, regolarizzano il ciclo dell’acqua, catturano CO2, limitano le conseguenze del cambiamento climatico, la perdita di biodiversità e l’erosione del suolo. Certo, a patto che gli alberi ci siano. E se non ci sono di natura o se li abbiamo tagliati via, bisogna ripristinarli ricorrendo a strumenti alternativi, e che siano rapidi. Il metodo Miyawaki – dal nome del suo inventore, il botanico giapponese Akira Miyawaki – è quello che sulla riforestazione sembra apparentemente funzionare meglio e in poco tempo. Tant’è che in Brasile sono già in molti ad averlo adottato, raccontando di risultati incredibili. Il sistema ideato da Miyawaki prevede la coltivazione di piante autoctone (grandi alberi, cespugli, arbusti…) resistenti, spontanee e che si “riproducano” velocemente – e per questo accuratamente individuate e selezionate – su terreni abbandonati e nei cortili delle grandi città, ricreando ambienti simili a quelli delle foreste native (e selvagge) nel giro di – massimo – un paio di decenni. Un metodo alla cui base, dunque, vi è moltissimo studio. È essenziale conoscere, oltre alla flora locale, la tipologia di suolo, il clima e più in generale la topografia del territorio.

L’Instituto Amigos da Floresta Amazônica (ASFLORA, un ente civile senza scopo di lucro, la cui missione è, tra le altre, riforestare la regione dell’Amazzonia) dice che il sistema di Miyawaki è a dir poco efficace, oltre che essenziale in aree così a rischio.

Negli ultimi quattro anni, infatti, sotto l’amministrazione di Jair Bolsonaro, la deforestazione in Brasile è aumentata del 59,5%. Sotto la sua giurisdizione solo negli ultimi due anni – dal primo agosto 2021 al 31 luglio 2022 – sono stati disboscati 1,16 milioni di ettari di alberi: poco meno rispetto agli 1,30 milioni dell’anno precedente. Una tendenza che il neo eletto Presidente Luiz Inácio Lula da Silva ha promesso di invertire, incentivando tra l’altro la rigenerazione dei terreni degradati.

Obiettivi condivisi dalla popolazione e che, a prescindere dalla politica nazionale, sono già nei programmi di numerose entità territoriali. Tra queste c’è Belém, chiamata anche Belém del Pará, una città brasiliana considerata “la porta d’accesso al Rio delle Amazzoni”. Sfruttando le indicazioni del metodo Miyawaki – polivalente per via della sua applicabilità sia in aree selvagge che urbane – si è scoperto che in questa zona la foresta pluviale non ha difficoltà a crescere neppure accanto al cemento. Hannah Lewis, autrice del libro “Mini-Forest Revolution” e specializzata in ecologia e scienze, intervistata da internimagazine.it, ha detto che «il metodo Miyawaki richiede una preparazione intensiva del terreno. Si chiede di seminare in abbondanza e in maniera molto fitta, mantenendo attivamente il sito per i primi 3 anni, quando la foresta si stabilizza e trova la sua forma di base». Questo stimolerebbe le interazioni tra le piante, il suolo e i suoi microrganismi.

Fonte ASFLORA
Fonte ASFLORA

Prima di questo passaggio, però, ha una grossa importanza anche la fase preliminare, durante la quale ogni piantina viene sostanzialmente preparata ad essere piantata. Questa viene ‘nutrita’ in vivaio per circa tre mesi, in un ambiente con il 50% di ombra, affinché sviluppi le radici. Il terreno che le dà da mangiare deve contenere materiali organici come pietra, terra nera, paglia di riso, fibra di cocco, escrementi e quant’altro. Dopo novanta giorni, quando le piantine sono alte almeno 30 centimetri, inizia la fase di adattamento: queste vengono spostate in un luogo più soleggiato, e una volta pronte saranno piantate in maniera casuale in un terreno preparato appositamente per loro, e, come detto dalla Lewis, in maniera molto fitta – da due a tre piantine per metro quadrato. Anche se il numero totale di piantine coinvolte in un progetto Miyawaki dipende dall’area disponibile, solitamente non è mai inferiore a 5.000.

Fonte ASFLORA
Fonte ASFLORA

In questo modo «già dopo due anni i giovani alberi avranno formato una chioma sufficientemente spessa da ombreggiare le piante erbacee più basse, riuscendo a creare un microclima che protegge il sottobosco dagli agenti atmosferici estremi. A questo punto la micro foresta è autosufficiente e non necessita più di alcuna forma di manutenzione». È questo l’approccio che permette alle piante di crescere così velocemente, e di essere forti e robuste dopo soli pochi anni, a patto che si rispettino tre condizioni fondamentali: gli alberi devono essere autoctoni; vanno mescolate più specie, in maniera casuale; e il terreno e le piantine devono preferibilmente essere privi di qualsiasi sostanza chimica o artificiale. Per la buona riuscita, la qualità del ‘prodotto’ è un elemento essenziale.

A differenza di molti altri metodi, quello di Miyawaki non ha uno scopo commerciale. In altre parole, non si cerca di piantare più alberi per produrre di più. Il senso è restituire al mondo la natura che gli abbiamo tolto. Secondo uno studio del Cyberspace Institute Specialization in Geoprocessing and Georeference of Rural Properties dell’Università Rurale dell’Amazzonia, citato da Mongabay, questo sistema funziona sia dal punto di vista biologico che ambientale. Tra l’altro in una città calda come Belém – riforestata di 14.734 ettari con il metodo Miyawaki – l’ombra fornita dai numerosi alberi aiuta ad abbassare la temperatura.

Fonte ASFLORA

Allora perché non promuovere il sistema in altre parti del Pianeta?

Prima di tutto, per via delle sue peculiarità e specificità richieste (oltre a tutti le fasi previste dal processo) il metodo alla fine risulta essere piuttosto costoso. I finanziamenti necessari a metterlo in campo non sono facili da ottenere – ricordiamo che il fulcro del Miyawaki non è l’arricchimento economico. «È più facile ottenere finanziamenti per altri progetti di riforestazione che mirano a una sorta di ritorno finanziario» ha commentato Josiane Mattos, project manager di ASFLORA. «Un’altra difficoltà» ha aggiunto «è la mancanza di prove scientifiche dei risultati ottenuti con il metodo Miyawaki in Brasile. L’osservazione visiva non è sufficiente per la scienza». È un peccato, visto che anche le nostre stesse città, ad esempio, avrebbero bisogno di una riqualificazione urbana. «Anche visivamente l’impatto è molto diverso dalla classica area verde alla quale siamo abituati: ci si trova di fronte a una fittissima macchia di vegetazione multistrato, ricchissima di varietà e vita», ha sottolineato la Lewis.

Ci sono tuttavia degli spiragli di speranza. Negli ultimi anni il metodo Miyawaki è stato utilizzato da organizzazioni come Urban Forests, che a Tolosa (Francia) ha riforestato un’area di 400 metri quadrati con 1.200 alberi di 22 specie diverse. L’Olanda, invece, con la sua Tiny Forest Initiative ha già creato 100 foreste Miyawaki in tutto il Paese e conta di farne nascere altre.

[di Gloria Ferrari]

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