In quella che si è configurata come la prima causa al mondo intentata da degli azionisti contro una multinazionale, l’organizzazione ClientEarth, appoggiata da diversi investitori istituzionali, ha denunciato la compagnia olandese Shell per “non aver gestito i rischi materiali e prevedibili posti all’azienda dal cambiamento climatico”. ClientEarth sta così portando in tribunale gli 11 direttori del colosso petrolifero sulla base del fatto che quest’ultimo non sarebbe stato in grado di tutelare gli interessi legali dei suoi azionisti (tra cui la stessa organizzazione). In particolare, le accuse riguardano l’obiettivo di Shell di dimezzare le proprie emissioni entro il 2030. Obiettivo che interesserebbe appena il 10% delle emissioni totali della compagnia quando, invece, una corte olandese ha già stabilito che la Shell dovrà tagliare i suoi gas serra di almeno il 45% entro fine decennio.
Gli obiettivi climatici della compagnia, a conti fatti, porterebbero ad un realistico calo nel rilascio di anidride carbonica di appena il 5%. Percentuale del tutto insufficiente affinché il colosso possa dichiarare di impegnarsi in termini di transizione, ma anche illegale. Questo perché, come anticipato, nel 2021 il Tribunale de L’Aia ha imposto alla compagnia obiettivi vincolanti ben più ambiziosi. Si è trattato del primo grande processo di giustizia climatica conclusosi con la vittoria degli attivisti, alla cui sentenza l’ONG ClientEarth si sta ora appellando. «Per garantire che l’azienda rimanga competitiva nei mercati energetici del futuro, dato che i Paesi e i clienti di tutto il mondo scelgono un’energia più economica e pulita, Shell deve abbandonare i combustibili fossili per adottare un modello commerciale alternativo», ha spiegato ClientEarth nei giorni in cui ha avanzato la causa al cospetto dell’Alta Corte dell’Inghilterra e del Galles.
Quella portata avanti dall’ONG insieme a numerosi investitori istituzionali rappresenta una una cosiddetta causa derivata, una causa intentata dagli azionisti nei confronti dell’azienda che hanno scelto di sostenere. ClientEarth, che è un ente di beneficenza focalizzato sul diritto ambientale, detiene un pacchetto di azioni Shell, probabilmente, proprio allo scopo di farla rigare dritto sulla questione climatica. Ad ogni modo, se questa rappresenta la prima causa intentata da degli azionisti contro una multinazionale, già da qualche anno i principali investitori hanno iniziato a chiedere ai colossi petroliferi, e alle grandi aziende in generale, di allineare le loro emissioni all’Accordo di Parigi. Verso la fine del 2022, ad esempio, un gruppo di azionisti con un patrimonio complessivo di 1.300 miliardi di euro ha chiesto alle maggiori compagnie petrolifere del mondo di agire più rapidamente per ridurre il loro impatto climatico. Così come, nel 2019, 200 investitori istituzionali, con un patrimonio complessivo di 6,5 mila miliardi di dollari, hanno chiesto a 47 delle maggiori società statunitensi quotate in borsa di allineare le loro attività di lobbying sul clima agli obiettivi di Parigi, avvertendo che le attività non coerenti con il raggiungimento degli obiettivi climatici costituiscono un rischio per gli investimenti.
[di Simone Valeri]