La Soprintendenza delle province di Venezia, Belluno, Padova e Treviso ha autorizzato un nuovo collegamento sciistico tra il Comelico, nel bellunese, e l’Alta Val Pusteria, nella provincia di Bolzano. Il progetto, che prevede due impianti di risalita con cabinovia, è stato finanziato con circa 40 milioni di euro, dei quali il 70% da fondi pubblici. L’obiettivo dichiarato dell’opera sarebbe quello di rivitalizzare la zona del Comelico, la quale è a rischio spopolamento. Tuttavia, non la pensano così le associazioni ambientaliste Mountain Wilderness, Italia Nostra e Lipu secondo cui il progetto rappresenta «una decisione anacronistica in epoca di cambiamenti climatici». Le associazioni, che hanno contrastato l’idea progettuale fin dal principio, hanno così ora deciso di ricorrere al Consiglio di Stato. Una mossa recente che segue però un già avviato ricorso al TAR Veneto contro una variante del Piano che, tra le altre cose, vedrebbe la realizzazione di nuovi impianti all’interno della Zona di Protezione Speciale “Dolomiti del Cadore e Comelico”.
Una prima bozza del progetto risale al giugno 2011, quando la Comunità Montana Comelico e Sappada ne rende nota la rilevanza strategica al Comune di Comelico Superiore. Solo nel 2017 l’idea prende forma: a metterla su carta, la società Drei Zinnen Dolomites, la quale incarica lo studio Plan Team di Bolzano di realizzare uno studio di fattibilità per la valorizzazione sciistica dei pendii della valle del Comelico. Popolazione, Comuni, Regione: tutti entusiasti della possibilità che gli impianti di risalita del versante veneto vengano collegati con la rete di impianti sciistici della provincia di Bolzano. Nessuno però, eccetto le menzionate associazioni, si preoccupa dell’impatto ambientale dell’opera, nonché dell’assurdità di investire ancora in un settore in crisi. La decisione però sembra ormai presa. Salvo un’improbabile, ma non impossibile, sentenza contraria del Consiglio di Stato. L’organo costituzionale ha fissato l’udienza pubblica relativa al ricorso degli ambientalisti il prossimo 15 giugno. Ma c’è ancora un altro contenzioso in sospeso: il ricorso da parte delle stesse tre associazioni al TAR Veneto contro la Variante al Piano d’area transfrontaliero Comelico Ost Tirol, autorizzata dalla Giunta Comunale di Comelico Superiore a dicembre 2019. Variante che introduce la possibilità di realizzare anche nuovi impianti per “motivi imperativi di rilevante interesse pubblico”. Tuttavia, come anticipato, l’area interessata dagli interventi ricade totalmente entro i confini di un sito della rete di aree protette UE Natura2000. Secondo quanto sottolineato a luglio 2021 dal ministero della Transizione ecologica, riguardo al Parco Nazionale dello Stelvio, tale circostanza renderebbe impossibile la realizzazione di nuovi impianti di risalita.
Ciononostante, la Soprintendenza, esprimendo il proprio parere favorevole, ritiene che il progetto “sia stato pensato integrando ambiente, cultura, storia e sviluppo con una visione verso il futuro, inserendo anche elementi di studio riferibili alle peculiarità del sito Unesco e alla neutralizzazione delle emissioni di carbonio”. Una dichiarazione a tratti paradossale, specie considerando che l’intero progetto ruota attorno ad uno dei settori maggiormente messi in ginocchio dalla crisi climatica. E che l’opera sia anacronistica non lo pensano solo le tre associazioni ricorrenti. I dati, infatti, non mentono. Nella Penisola, nonostante le copiose nevicate di gennaio, il deficit nel livello di neve si è attestato al -45% rispetto alla media del 2011-2021. In Italia, l’inverno, termometro alla mano, è infatti durato poco più di una settimana. Vaste aree del Po sono già riarse, mentre il livello dell’acqua del Lago di Garda è il più basso degli ultimi 35 anni durante la stagione fredda. Intanto per lo Stivale, così come per buona parte d’Europa, si prevedono nuove anomalie termiche e, di conseguenza, l’ennesimo anno di siccità severa.
[di Simone Valeri]
Attenti a fare ricorso, potreste incorrere nel reato di terrorismo ambientale o peggio, terrorismo occupazionale. Siamo nel 2023 post “pandemia” e finire in galera è un lampo.