Mentre era latitante, Matteo Messina Denaro è stato molto probabilmente favorito e supportato da “talpe” all’interno delle forze dell’ordine o comunque da tecnici esperti. Lo sottolinea il gip di Palermo Saverio Montalto nell’ordinanza di custodia cautelare per la sorella del boss di Castelvetrano, Rosalia Messina Denaro – arrestata venerdì scorso dagli uomini del Ros – sulla base di quanto emerso dal contenuto di una serie di documenti rinvenuti nelle abitazioni della donna. Rosalia, la maggiore delle quattro sorelle di “u Siccu”, è accusata di aver favorito la latitanza del fratello, di aver gestito la cassa familiare e di aver agito come “messaggera” per la distribuzione dei “pizzini” con cui il boss veicolava informazioni e impartiva ordini ai suoi uomini più fidati. Quegli stessi “pizzini” che, ora nella disponibilità degli inquirenti, stanno facendo emergere ulteriori elementi scottanti.
A fare luce sulle potenziali entrature di Messina Denaro nell’universo delle forze di pubblica sicurezza o nel mondo dei “professionisti” sarebbe in particolare un vademecum, scritto a mano dalla stessa Rosalia – la quale aveva ricopiato una lettera inviatale dal fratello il 9 novembre 2021 – che conteneva informazioni recuperate dal boss “attraverso canali tutti da investigare” in merito alle microspie piazzate dalle forze dell’ordine nelle case in cui vivevano i membri della sua famiglia. Il gip ne evidenzia un “evidente tecnicismo lessicale” che può essere proprio solo di “specialisti forniti di uno specifico know how nel settore”, in particolare nel riferimento alle “‘cassette di rilancio segnale’ che vengono impiegate per occultare la trasmissione dei segnali audio e video”.
Nel foglio, infatti, si legge: “Quando si tratta di telecamere, ci deve essere nella cassetta necessariamente un buco, il buco è nella direzione dove vogliono guardare. Senza buco non può mai essere telecamera ci sono tante cassette senza buco, che loro montano nei pressi delle case dove montano microspie e telecamere. Queste cassette si chiamano “cassette di rilancio segnale”, cioè, le telecamere e le microspie che loro montano nelle case non hanno la forza di mandare il segnale sin dove sono loro. Allora ci vogliono queste cassette di rilancio che captano il segnale dalle vicine microspie e telecamere e lo rilanciano fin dove sono loro, queste cassette di rilancio fanno arrivare il segnale a centinaia di km […] Se sono cassette di rilancio segnale perché montarli proprio ora e non prima dato che le microspie da te ci sono da sempre?“.
Il boss forniva quindi alla sorella indicazioni specifiche per evitare guai: “Prima ti devi accertare se sono telecamere o cassette di rilancio, e questo lo puoi capire se c’è il buco o meno. Se non ti convinci chiami un elettricista e gli dici chiaramente che ti hanno montato queste cose e che da quando le hanno montate a casa tua hai problemi di luce […]. Quindi gli dice che vuoi sapere cosa sono e che le vuoi tolte, se ha problemi fa che usi carta intestata dove attesti che sei tu che le hai volute tolte perché hai problemi di luce a casa, e che e che firmi il foglio […] non prendere la corrente ti prego, usa sempre pinze con manici isolanti e i fili toccarli sempre ad uno ad uno, mai toccarli due assieme, e stacca sempre il contatore, e quando fai ciò portati qualche familiare”.
Eppure, oltre all’attenzione certosina riservata alle precauzioni pratiche per il buon proseguimento della latitanza, i documenti dimostrano che nelle comunicazioni con le persone più vicine Messina Denaro amava anche rimarcare l’approccio “spirituale” con cui incarna orgogliosamente il ruolo di boss mafioso. “Essere incriminati di mafiosità, arrivati a questo punto, lo ritengo un onore – scrive “U Siccu” in un pizzino del 15 dicembre 2013, scritto pochi giorni dopo l’arresto di sua sorella Patrizia e del nipote Francesco e ritrovato insieme agli altri nella casa di Rosalia -. Siamo stati perseguitati come fossimo canaglie, trattati come se non fossimo della razza umana, siamo diventati un’etnia da cancellare. Eppure, siamo figli di questa terra di Sicilia, stanchi di essere sopraffatti da uno Stato prima piemontese e poi romano che non riconosciamo“. Il tono del boss si fa sempre più ontologico e identitario: “Siamo siciliani e tali volevamo restare. Hanno costruito una grande bugia per il popolo. Noi il male, loro il bene. Hanno affossato la nostra terra con questa bugia. Ogni volta che c’è un nuovo arresto si allarga l’albo degli uomini e delle donne che soffrono per questa terra. Si entra a far parte di una comunità che dimostra di non lasciare passare l’insulto, l’infamia, l’oppressione, la violenza. Questo siamo ed un giorno sono convinto che tutto ci sarà riconosciuto e la storia ci restituirà quel che ci ha tolto la vita“. Insomma, l’ennesimo (ed emblematico) pezzo di propaganda mafiosa, che attraverso carismatici interpreti trova costantemente la forza per essere alimentata.
[di Stefano Baudino]