Il Presidente della Colombia, Gustavo Petro, ha dichiarato di aver sospeso il cessate il fuoco pattuito il 31 dicembre con le maggiori bande di narcotrafficanti del Paese – tra cui i ribelli dell’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN) e i dissidenti delle ex Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC) – a causa di alcuni attacchi armati compiuti dal Clan del Golfo, noto anche come Gaitanista Self-Defense Forces (AGC), una delle più grandi organizzazioni criminali sul territorio. La tregua, annunciata a Capodanno e arrivata dopo anni di lotte interne che hanno causato la morte di quasi mezzo milione di persone, sarebbe dovuta durare per almeno sei mesi, ma «ho ordinato alle forze di sicurezza di riattivare tutte le operazioni militari», ha scritto Petro su Twitter. «Non permetteremo loro di continuare a seminare ansia e terrore nelle comunità», come starebbe invece facendo l’organizzazione da più di due settimane, ai danni degli abitanti dei villaggi nel Nord-Ovest del Paese.
"El ‘Clan del Golfo’ también somete a la comunidad minera “a una especie de confinamiento poblacional y a una instrumentalización para salvar lo que no es el interés de la pequeña minería, que es la gran minería ilegal", Presidente @petrogustavo pic.twitter.com/aRd3j6aWpm
— Resistencia en Colombia (@ColResistiendo) March 20, 2023
Secondo il Governo, gli esponenti del Clan avrebbero interrotto la tregua sparando colpi di fucile contro le forze di polizia, durante una manifestazione organizzata dai minatori di oro della zona contro i presidi militari che monitorano e bloccano l’estrazione illegale del metallo prezioso. I narcotrafficanti, secondo Petro, avrebbero poi distrutto un acquedotto appartenente alla comunità per aizzare l’odio della popolazione contro gli agenti. Invece, «rompendo le tubature, hanno lasciato Taraza senza acqua potabile. Il Clan del Golfo contro la gente umile», ha commentato il Presidente. Le autorità ritengono che l’organizzazione si stia servendo della gente comune, dando dei soldi ai minatori «per causare danni e far passare questa violenza come uno sciopero sociale».
Infatti i lavoratori delle miniere illegali protestano dal 2 marzo contro la distruzione da parte del Governo dei macchinari usati per scavare nel terreno alla ricerca dell’oro – sono 13 quelli fatti saltare in aria nelle ultime due settimane. Una pratica, tra l’altro, che i Clan hanno tutto l’interesse di tutelare perché, secondo l’Amministrazione, i gruppi criminali colombiani ricavano dalle miniere illegali quasi lo stesso denaro che ricavano dal traffico di cocaina. I danni ambientali sono però inestimabili: l’estrazione è considerata pericolosa soprattutto per via della contaminazione da mercurio, che potrebbe coinvolgere i fiumi.
El Presidente @petrogustavo anunció que "iniciaremos el trabajo de legalización de maquinaria y de titulación para que una familia minera pueda extraer oro sin afectar el territorio, y pueda levantar a su familia sin estar sujetos a organizaciones oscuras". pic.twitter.com/LYR9Jf0stu
— Presidencia Colombia 🇨🇴 (@infopresidencia) March 20, 2023
La Polizia Nazionale dice che il Clan del Golfo – un gruppo costituito principalmente da narcotrafficanti ed ex paramilitari di estrema destra – è una delle “organizzazioni più pericolose della criminalità transnazionale” proprio perché le sue attività illecite vanno al di là del traffico di droga. Il cartello, secondo le stime ufficiali, oltre a gestire dal 30 al 60% della droga esportata dalla Colombia e ad essere il più grande produttore della sostanza al mondo, è anche coinvolto nel contrabbando di persone e nell’estrazione illegale di oro. Traffici che negli anni hanno seminato una scia di sangue lunghissima.
Per questo motivo Petro aveva pensato per la Colombia un piano di “pace totale” che desse respiro all’intero territorio. Certo, che non sarebbe stato facile lo sapeva anche lui: la guerriglia interna, nel Paese, va avanti da più di cinquant’anni. Le speranze e le aspettative erano molte e molto alte, ma che il patto con la criminalità potesse fallire, era stato messo in conto (visto che di tentativi, nel tempo, ce ne erano stato parecchi). La Colombia ha lottato a lungo e più volte per consolidare la pace, firmando numerosi accordi con gruppi armati, tra cui quello degli anni 2000 con i paramilitari di destra e quello con le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) nel 2016. Ma il fallimento dei Governi precedenti nell’attuare i patti e nell’assumere il controllo della situazione ha portato con sé un aggravamento della violenza.
Nell’accordo ci aveva creduto anche Camilo Posso, Presidente di Indepaz – l’Istituto per lo sviluppo e la pace in Colombia – per cui «la gente non vuole la guerra, non vuole le armi, o la politica come la conosciamo noi. Vuole un cambiamento che dia un futuro a questa società. Questo è ciò che vogliamo con questo progetto di pace totale: un futuro».
[di Gloria Ferrari]