venerdì 22 Novembre 2024

Donald Trump in arresto e poi rilasciato, accusa Biden: “persecuzione politica”

Poco dopo le 19 italiane, Donald Trump ha lasciato la Trump Tower per dirigersi al tribunale di Manhattan, a New York. Qui ha avuto luogo un’udienza storica, dove per la prima volta un ex presidente degli Stati Uniti è finito sotto inchiesta penale nonché in stato di arresto. La procura lo accusa di essere il responsabile di “una cospirazione che ha minato l’integrità delle presidenziali del 2016”. Nello specifico, Trump avrebbe utilizzato parte dei fondi della sua campagna elettorale (circa 130mila dollari) per comprare il silenzio della pornostar Stormy Daniels e dell’ex modella di Playboy Karen McDougal nonché quello di un portiere della Trump Tower che minacciava di rivelare l’esistenza di un suo presunto figlio illegittimo. Una volta giunto in aula, l’ex presidente statunitense si è dichiarato non colpevole per i 34 capi di imputazione contestatigli. Alla fine della seduta, il giudice Juan Merchan ha rilasciato Trump prima di fissare la prossima udienza a dicembre. L’ex presidente si è dunque diretto verso la sua residenza a Mar-a-Lago, dove in conferenza stampa ha dichiarato: «l’unico crimine che ho commesso è stato difendere l’America da chi la vuole distruggere».

«Trump ha ripetutamente e fraudolentemente falsificato i documenti aziendali a New York per coprire comportamenti criminali volti a nascondere informazioni compromettenti agli elettori durante le elezioni del 2016», ha spiegato in una conferenza stampa il procuratore distrettuale Alvin Bragg svelando i 34 capi di imputazione. Si tratta di falsificazione di documenti aziendali avvenuta tra il 14 febbraio e il 5 dicembre del 2017: reati di classe E (la categoria più bassa di reati a New York), che prevedono una pena massima di 4 anni di galera ciascuno. Attraverso i suoi profili social, Donald Trump ha attaccato il procuratore Bragg definendo l’indagine sui pagamenti una «caccia alle streghe» ordinata da Joe Biden, una «persecuzione politica» nonché la prova che gli Stati Uniti sono un «Paese del terzo mondo»: «roba che farebbe arrossire Mao, Stalin, Pol Pot».

La prossima apparizione di Trump in tribunale è attesa per il 4 dicembre, per poi arrivare al processo il mese successivo. Nel frattempo, Show must go on. Lo sa bene l’imprenditore statunitense che ha tentato di trarre più vantaggio possibile dalle accuse presentategli a Manhattan. L’ex presidente intendeva, infatti, usare la foto segnaletica dell’arresto come poster elettorale. La giustizia statunitense ha però giocato d’anticipo, risparmiandogli foto e manette. Poco male per Trump, che dalla notizia della sua incriminazione ha ampliato i consensi in vista della prossima corsa elettorale, salendo tra i repubblicani dal 44% al 48%; allo stesso tempo, il suo principale rivale potenziale, il governatore della Florida Ron DeSantis, ha subito un tracollo dal 30% al 19% dei consensi. Inoltre, da quando è arrivata la notizia della sua incriminazione, il team che si occupa di organizzare la campagna elettorale ha comunicato di aver raccolto ben 7 milioni di dollari in donazioni.

[di Salvatore Toscano]

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