In vista delle prossime elezioni Amministrative, in programma a maggio, il Parlamento non potrà segnalare agli elettori i nomi dei candidati sindaci e degli aspiranti consiglieri inquisiti e condannati. A sei mesi dall’insediamento dell’assemblea legislativa, infatti, la Commissione antimafia – chiamata a vagliare le candidature secondo il codice di autoregolamentazione dei partiti e il dettato della legge Severino – non è stata ancora formata. Addirittura, al momento i partiti non hanno nemmeno designato i nomi dei suoi futuri componenti. Nella cornice delle elezioni da sempre più “penetrabili” da parte della criminalità organizzata, dunque, il filtro di controllo più importante sui candidati che hanno conti aperti con la giustizia non funzionerà.
La Commissione antimafia è stata ufficialmente istituita dal Parlamento lo scorso 2 marzo. Da quella data, si è mosso davvero poco. Anche ove si accelerasse sulla formazione della Commissione, l’iter per il controllo su curriculum e certificati penali dei candidati sarebbe comunque troppo lungo e articolato per poterlo applicare in occasione della tornata elettorale della primavera. Occorrerebbe infatti l’insediamento e il lavoro di un ufficio di presidenza e di consulenti deputati a un controllo certosino sulle liste. Un’attività, questa, da svolgere a braccetto con le Prefetture, chiamate ad attuare una prima scrematura sulle candidature, che poi dovrebbero passare il testimone alla Direzione nazionale antimafia per un ulteriore filtro. La Commissione Antimafia avrebbe poi il compito di apporre il timbro finale con un check conclusivo e l’elaborazione definitiva della lista degli “impresentabili”.
In occasione delle ultime elezioni amministrative, svoltesi nel 2022, la Commissione antimafia operativa nella passata legislatura – presieduta dall’ex 5 Stelle Nicola Morra – di “impresentabili” ne aveva indicati ben 18 (fra l’oro c’era anche un candidato sindaco) nell’ambito dei 57 Comuni chiamati al voto. Tra i reati loro contestati, vi erano anche estorsione, riciclaggio, corruzione e concussione, aggravati in alcuni casi dalla finalità mafiosa.
Lo spaccato sulla trasparenza delle prossime elezioni amministrative risulta ancor più preoccupante in seguito alla decisione con cui il governo ha “disinnescato” gli effetti della Legge Severino, permettendo ai politici a rischio di condanna penale di patteggiare la pena al fine di non incorrere nella condizione di incandidabilità. Secondo il Viminale, infatti, la riforma Cartabia avrebbe ridotto gli aspetti extrapenali del patteggiamento, superando la Severino, che equiparava condanna e patteggiamento come cause di inidoneità assoluta alla candidatura.
Come dimostrano le cronache cittadine – solo pochi giorni fa vi abbiamo parlato dell’arresto del sindaco di Melito di Napoli per voto di scambio -, per le mafie le elezioni amministrative rappresentano l’occasione in assoluto più succulenta per esercitare influenza, muovere “pedine” e ottenere in cambio utilità nell’ambito della cosiddetta “zona grigia“. E, dati i problematici presupposti, vi è il concreto rischio che l’appuntamento elettorale ormai alle porte possa aprire grandi praterie per rapporti e contiguità indicibili.
[di Stefano Baudino]