Nonostante lo sfarzo della celebrazione per l’incoronazione di re Carlo III e della regina Camilla, avvenuta sabato scorso a Londra, e il clamore mediatico e istituzionale che ne è derivato, l’impero britannico appare sempre più decadente e proprio l’incoronazione del nuovo monarca ha accelerato i piani delle ex colonie appartenenti al Reame del Commonwealth per liberarsi della monarchia inglese. Il sovrano d’Inghilterra, infatti, non è solo re del Regno Unito e capo della Chiesa anglicana, ma anche capo di Stato di 15 nazioni del Commonwealth. Quest’ultima è un’organizzazione intergovernativa fondata nel 1921, composta da 56 stati indipendenti, accomunati dalla passata appartenenza all’impero britannico. L’adesione all’organizzazione è volontaria e la maggior parte dei Paesi membri non riconosce l’obbedienza alla corona inglese, ad eccezione di 15 stati che, invece, hanno scelto di riconoscere la sovranità, più che altro simbolica, dei reali d’Inghilterra. Tuttavia, con l’incoronazione di Carlo III, anche queste nazioni stanno mostrando un’insofferenza sempre più accentuata verso la monarchia britannica, spinti dal risentimento verso il passato colonialista dei reali inglesi, accusati di aver oppresso i popoli indigeni e saccheggiato le loro risorse. A riguardo, i capi indigeni di tutto il Commonwealth hanno scritto una lettera per chiedere al re Carlo III di presentare scuse formali per gli effetti della colonizzazione britannica. Un fatto quasi completamente trascurato dai media occidentali, troppo intenti ad esaltare la sontuosità della cerimonia d’incoronazione e i pettegolezzi di palazzo.
Per l’attività diplomatica della monarchia, avere buone relazioni con gli Stati del Commonwealth è fondamentale, anche perché si tratta di un contesto che permette di avere influenza su uno scenario globale. Per questo il nuovo sovrano ha accolto con tutti gli onori a Londra i rappresentanti degli Stati dell’organizzazione, mettendo a disposizione degli invitati addirittura una nave da guerra, il cacciatorpediniere Hms Diamond, ormeggiato a Greenwich. Il tutto però non è bastato a contenere le “spinte indipendentiste” delle ex colonie: secondo un sondaggio svolto da Lord Ashcroft e riportato dal Times, infatti, almeno sei dei quindici Stati del Commonwealth – Canada, Australia, Bahamas, Giamaica, Isole Salomone e Antigua e Barbadua – voterebbero a favore della trasformazione in repubblica qualora si svolgesse un referendum. La minuscola isola del Pacifico di Tuvalu è quella più propensa a mantenere il re: secondo quanto rilevato, il 71% degli abitanti voterebbe a favore della permanenza della monarchia costituzionale. Sul fronte opposto, invece, si trovano le Isole Salomone, sempre nel Pacifico, con il 59% degli abitanti che si dichiara favorevole ad abolire la monarchia.
Oltra al sondaggio in questione, a re Carlo III è giunta una missiva direttamente dai rappresentanti delle ex colonie in cui si chiedono le scuse ufficiali della corona per la «terribile atrocità» della schiavitù, ma soprattutto di impegnarsi immediatamente a discutere di risarcimenti per «l’oppressione dei nostri popoli, il saccheggio delle nostre risorse, la denigrazione della nostra cultura e di ridistribuire la ricchezza su cui si basa la corona ai popoli a cui è stata rubata». «Noi sottoscritti chiediamo al monarca britannico, re Carlo III, nella data della sua incoronazione di riconoscere l’orribile impatto e l’eredità del genocidio e della colonizzazione dei popoli indigeni schiavizzati», si legge nella lettera sottoscritta dai vertici di Antigua e Barbuda, Aotearoa (Nuova Zelanda), Australia, Bahamas, Belize, Canada, Grenada, Giamaica, Papua Nuova Guinea, Saint Kitts e Nevis, Saint Lucia e Saint Vincent e Grenadine. Allo stesso tempo, l’idea di cambiare la forma di governo e recidere il residuo vincolo istituzionale con la casata inglese si sta affermando anche in Canada e in Australia. Quest’ultima, in particolare, ha di recente deciso di eliminare l’effige del sovrano britannico dalle nuove banconote da cinque sterline preferendo una raffigurazione in onore della cultura aborigena.
Le esternazioni più esplicite sulla volontà di modificare la forma di governo sono arrivate dalla Giamaica: il ministro per gli affari legali e costituzionali dell’isola caraibica, Marlene Malahoo Forte, infatti, ha dichiarato alla stampa internazionale che l’incoronazione di re Carlo ha accelerato i piani dell’isola per diventare una Repubblica. «È giunto il momento che la Giamaica torni ai giamaicani», ha affermato Forte alla rete britannica Sky News, precisando che il paese intende presentare, il mese prossimo, un disegno di legge per recidere definitivamente i legami con la monarchia britannica, rimuovendo re Carlo dalla poltrona di Capo di Stato entro il 2024.
La grandezza e lo sfarzo delle celebrazioni della corona inglese appaiono, dunque, come il residuo di un “glorioso” passato a cui ormai si sovrappone la decadenza di un impero che, dietro lo stendardo dello sviluppo, della pace e della democrazia, ha più di uno scheletro nell’armadio da nascondere e a cui le ex colonie hanno ormai deciso di presentare il redde rationem.
[di Giorgia Audiello]
Chissà perché ho sempre avuto un’idiosincrasia verso i reali inglesi. Forse perché da piccolo ho letto Robin Hood, del grande scrittore francese A. Dumas…
Si Loretta. Dice proprio bene
Era ora… questi monarchi massoni fautori del great reset non hanno senso di esistere