L’Italia è stata nuovamente deferita alla Corte di giustizia dell’UE a causa dell’inadeguato trattamento delle acque reflue urbane. In particolare, in questo caso, al Belpaese è stato contestato il non aver pienamente attuato la sentenza della Corte dell’aprile 2014, quando venne stabilito che 41 agglomerati urbani non avevano garantito la raccolta e il trattamento adeguati delle acque reflue urbane. Trascorsi nove anni, di questi 41 agglomerati, 5 sono ancora fermi al palo: 1 in Valle d’Aosta e 4 in Sicilia. “La mancanza di adeguati sistemi di trattamento per questi cinque agglomerati – ha scritto la Commissione UE che ha preso la decisione nei confronti dell’Italia – comporta rischi significativi per la salute umana, le acque interne e l’ambiente marino nelle aree critiche sotto il profilo ecologico in cui sono scaricate le acque reflue non trattate”. Quello di qualche giorno fa, rappresenta il secondo rinvio alla Corte UE e, come legge comunitaria prevede, potrebbe presto comportare sanzioni pecuniarie. “L’Italia – ha ricordato tra l’altro Bruxelles – avrebbe dovuto garantire il rispetto della direttiva concernente il trattamento delle acque reflue urbane sin dal 31 dicembre 1998”.
Per acque reflue urbane si intende l’insieme delle acque di scarto domestiche e industriali convogliate in reti fognarie a partire da un agglomerato urbano. Le prime provengono da insediamenti di tipo residenziale e sono costituite prevalentemente dai ‘rifiuti’ del metabolismo umano e delle attività domestiche. Le seconde variano in funzione della tipologia di attività industriale condotta in un dato stabilimento e possono essere classificate come ‘pericolose’ o ‘non pericolose’ per l’ambiente. Nelle acque reflue urbane rientrano poi anche le cosiddette acque di ruscellamento, come quelle meteoriche di dilavamento o quelle derivanti dal lavaggio delle strade. Vien da sé che, nel complesso, stiamo parlando di una miscela di inquinanti organici ed inorganici altamente eterogenea e pericolosa per l’uomo e gli ecosistemi naturali. Pertanto, tali acque di scarto, che certamente non possono essere reimmesse nell’ambiente tal quali, devono essere sottoposte a dei rigorosi trattamenti atti a depurarle.
La raccolta e il trattamento delle acque reflue è essenziale quindi per ridurre i rischi per la salute umana e per l’ambiente, in particolare per fiumi, laghi e acque costiere. In un’ottica di economia circolare, ma solo laddove si arrivasse ad un livello di depurazione eccellente, queste acque, da rifiuto, potrebbero divenire poi una risorsa, specie in un contesto di progressiva carenza idrica. Nel 2021, l’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA) ha reso noti dei dati che evidenziavano quanto la quota di acque reflue urbane raccolte e trattate in linea con gli standard dell’UE fosse in aumento in tutta l’Unione, con oltre il 90% delle acque reflue urbane raccolto e trattato in conformità alla relativa direttiva comunitaria. “Sulla base dei profili dei Paesi, 4 Stati membri (Austria, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi) trattano il 100% delle loro acque reflue urbane in conformità con i requisiti della direttiva – sottolineava due anni fa l’EEA – mentre altri 10 Paesi hanno raggiunto un tasso di conformità superiore al 90%. All’altra estremità della scala ci sono 5 Paesi (Irlanda, Bulgaria, Romania, Ungheria e Malta) che rispettano gli stessi standard in meno della metà delle loro aree urbane”. E l’Italia? Con circa il 56% delle acque reflue trattate in conformità con la direttiva UE, il Belpaese si posizionava poco sopra i peggiori della classe. Ad oggi, si registrano solo dei timidi progressi e nessun particolare sforzo finalizzato a risolvere al più presto la situazione. Anzi, in relazione all’ultimo richiamo, le autorità italiane fanno persino sapere che “la piena conformità alla sentenza del 10 aprile 2014 non sarà raggiunta prima del 2027”.
[di Simone Valeri]