lunedì 22 Luglio 2024

Crollo della diga Kakhovka: cosa sappiamo fino ad ora

L’esplosione della diga di Nova Kakhovka, avvenuta lo scorso 6 giungo, nella regione ucraina meridionale di Kherson, ha comportato gravi danni ambientali, tanto che si parla di “ecocidio”, oltre al consueto scambio di accuse tra Mosca e Kiev. Tuttavia, non vi sono ancora elementi sufficienti per stabilire chi abbia causato il crollo della diga, né per poter chiarire le dinamiche dell’esplosione. L’ipotesi più accreditata fino ad ora – avanzata dal New York Times – è quella di un’esplosione dall’interno, ma non si esclude anche un cedimento strutturale a causa dei continui bombardamenti. Secondo quanto riferito dalla CNN, infatti, la diga era già danneggiata da alcuni giorni prima del crollo, ma non si può verificare se il danno preesistente abbia comportato il cedimento della struttura oppure se questa sia stata distrutta con un attacco deliberato. Dal canto suo, l’Agenzia atomica internazionale (Aiea) ha rassicurato sul fatto che non c’è alcun rischio immediato per la centrale nucleare di Zaporizhzia, sebbene siano a rischio di fusione i reattori dell’impianto.

Le autorità della località di Nova Kakhovka hanno dichiarato lo stato di emergenza dopo la rottura della struttura superiore della diga, affermando che la centrale idroelettrica è completamente distrutta e che si sono riversate nel fiume Dnepr almeno 150 tonnellate di olio idraulico. «Durante l’esplosione delle fondamenta della diga, anche la sala macchine è stata distrutta», ha detto il ministro dell’Interno ucraino, Igor Klymenko. Al momento dell’esplosione c’erano «450 tonnellate di olio idraulico nella sala macchine e 150 tonnellate sono già nel fiume Dnepr». La sostanza inquinante starebbe scendendo «a grande velocità» attraverso il fiume fino a raggiungere il mar Nero. Al contempo, circa 40.000 persone dovrebbero essere evacuate, ha detto il viceprocuratore generale dell’Ucraina Viktoriya Lytvynova: 17.000 nel territorio controllato dall’Ucraina e 25.000 in quello controllato dai russi, a seguito dell’allagamento di almeno 15 villaggi.

Il Cremlino ha condannato come un atto di «sabotaggio deliberato» da parte di Kiev la parziale distruzione della diga, mentre per il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky, le forze russe hanno fatto esplodere dall’interno la struttura della diga. Il presidente russo Vladimir Putin ha parlato anche di «atto barbarico». Difficile al momento stabilire se e quale delle due parti in conflitto abbia provocato la distruzione della diga a causa degli scarsi dati a disposizione sull’incidente, sebbene ad una prima analisi i danni per Mosca risultino più ingenti considerato che, tra le altre cose, è a rischio l’approvvigionamento idrico al canale della Crimea settentrionale. In ogni caso, proprio per fare luce sull’accaduto, il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, parlando al telefono con il suo omologo ucraino, Volodymyr Zelensky, ha suggerito di formare una commissione internazionale per indagare sui fatti con la partecipazione della Russia. Erdogan ha sottolineato che «la Turchia è pronta a fare tutto ciò che è in suo potere in questa materia» e che «è possibile utilizzare il meccanismo dei negoziati come nel caso del corridoio del grano». Si configura, dunque, uno scenario molto simile a quello dell’esplosione dei Nord Stream, quando all’attentato era seguita una serie di accuse reciproche nonché di congetture sulle responsabilità che poi hanno virato sempre di più in favore di Mosca, riconoscendone la sostanziale estraneità all’accaduto.

Nel caso in questione, entrambe le parti hanno ottenuto danni considerevoli, ma anche alcuni vantaggi sul piano strategico: sul piano dei “vantaggi” da parte russa, l’esplosione avrebbe rallentato una possibile controffensiva ucraina nel versante est del fiume Dnepr controllato dai russi. Zelensky, infatti, ha accusato Mosca di aver fatto saltare la diga proprio per paura della controffensiva: «Hanno paura che noi iniziamo la controffensiva in questa direzione e vogliono complicare la liberazione dei nostri territori. Loro capiscono molto bene che perderanno questa battaglia. E rallentano la liberazione dell’area», ha affermato. Inoltre, Kiev ha subito rilevanti danni agricoli – con più di 100.000 ettari di terreno allagati – e di approvvigionamento idrico con ben 31 sistemi di irrigazione interrotti.

Tuttavia, sul piano strategico militare e logistico i danni sono stati molto più pesanti per le forze russe, sia in termini di vite che per le linee di difesa. Infatti, molti militari russi sono stati travolti dalle acque dopo la rottura dell’infrastruttura e, come riporta il sito specializzato “Analisi Difesa”, «tutte le fonti concordano nel valutare che il crollo della diga di Nova Kakhovka abbia causato danni ben più gravi sulla sponda sinistra controllata dai russi e dove erano state realizzate nei mesi scorsi ampie opere difensive in vista di un possibile assalto ucraino che cercasse di costituire una testa di ponte sulla sponda sinistra del Dnepr. L’acqua le ha spazzate via insieme ai campi minati, anche quelli lasciati dai russi sulla riva destra in mano agli ucraini dopo la ritirata del novembre scorso». Ecco perché l’inondazione provocata dal crollo della diga risulta militarmente più funzionale agli obiettivi di Kiev che a quelli di Mosca, anche considerando che le forze ucraine «non dispongono dei mezzi per attraversare in forze il Dnepr». Lo stesso capitano ucraino Andrei Pidlisnyi ha spiegato che dopo il cedimento della diga i soldati ucraini hanno visto militari russi trascinati dalla corrente del fiume. «La conformazione del terreno attorno al fiume ha fatto sì che l’esercito russo, situato sulla sponda orientale, abbia subito gravi perdite a causa della breccia nella diga», ha dichiarato. A ciò si aggiunge il fatto che le truppe russe di stanza sulla riva sinistra del Dnepr sarebbero state costrette a ritirarsi di diversi chilometri in seguito all’inondazione. D’altro canto, vi è poi anche la questione – tutt’altro che secondaria – dei rifornimenti idrici alla Crimea: secondo il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, uno degli obiettivi inequivocabili di quello che ha definito un «sabotaggio deliberato da parte ucraina» era quello di privare la Crimea dell’acqua: «Il livello dell’acqua nel bacino idrico sta diminuendo; quindi, l’approvvigionamento idrico al canale [della Crimea settentrionale] è drasticamente ridotto».

Finora, questi sono tutti gli indizi a disposizione per avere un quadro più chiaro degli avvenimenti, ma è ancora impossibile stabilire con certezza le dinamiche e le responsabilità dell’accaduto, sulle quali nel tempo faranno luce le indagini internazionali e le inchieste giornalistiche come accaduto anche con l’esplosione dei gasdotti nel Mar Baltico: su quest’ultimo argomento proprio pochi giorni fa il Washington Post ha rivelato che l’Amministrazione Biden, attraverso uno stretto alleato, era a conoscenza di un piano delle forze militari ucraine per colpire le infrastrutture sottomarine già tre mesi prima che gli attacchi venissero effettuati da una squadra di incursori subacquei al diretto comando del capo delle Forze Armate di Kiev, cioè il generale Valery Zaluzhny. Nel caso della diga di Nova Kakhovka non è da escludere un cedimento strutturale della barriera, a causa dei continui bombardamenti. Infatti, secondo la testimonianza del presidente del distretto di Novaja Kakhovka, Vladimir Leont’ev, ci fu un giorno «in cui circa 80 HIMARS furono lanciati sulla centrale». Dalle ultime notizie, si apprende di un miglioramento generale della situazione con il livello dell’acqua del bacino idrico di Kakhovka che è sceso di quasi 1,5 metri nelle ultime 24 ore.

[di Giorgia Audiello]

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