281,200 chilometri quadrati, tra il Mare di Barents e il Mare di Groenlandia, lungo la piattaforma continentale della Norvegia. Un’area grande quasi quanto l’Italia. Questa la zona individuata e annunciata il 20 giugno dal governo norvegese come possibile futura, enorme, area di estrazione mineraria sottomarina. Sempre in nome della transizione energetica. «Abbiamo bisogno di minerali per riuscire nella transizione verde», ha dichiarato Terje Aasland, ministro norvegese del Petrolio e dell’Energia. L’area si trova nelle acque territoriali norvegesi e quindi un eventuale intervento non necessiterà dell’autorizzazione e dell’approvazione di nessuno se non del Parlamento del Paese, che discuterà formalmente la questione nel corso dei prossimi mesi. Ma la maggior parte dei partiti politici norvegesi è attualmente favorevole all’estrazione in acque profonde, nonostante gli avvertimenti dei suoi stessi scienziati sui pericoli delle miniere sottomarine. Il governo ha dichiarato di voler dividere quest’enorme area estrattiva in blocchi più piccoli per gestire l’esplorazione commerciale delle risorse.
«L’estrazione in acque profonde aiuterebbe l’Europa ed essere indipendente dalla Cina per quanto riguarda i minerali utili per favorire la transizione energetica» ha dichiarato al Financial Times il segretario di stato Amund Vik. Nonostante tutti gli studi preventivi abbiano dimostrato come uno sfruttamento di tali zone potrebbe comportare la distruzione di un habitat unico, quello dei mari nordici, e della fauna vivente nelle acque dell’Artico. Una biodiversità protetta (teoricamente) a livello internazionale che rischierebbe di scomparire o di essere fatalmente compromessa pur di essere autonomi dall’industria cinese. Il deep-sea mining prevede infatti di raschiare il fondale oceanico e di risucchiare il materiale smosso attraverso delle tubature per raccogliere i noduli di materie rare, di fatto distruggendo tutte le forme di vita presenti e innescando una serie di effetti a catena le cui conseguenze non sono ancora realmente prevedibili.
«Queste acque contengono specie marine artiche vulnerabili e sono già minacciate dalla riduzione dei ghiacci a causa degli impatti della crisi climatica», ha dichiarato Jessica Battle della No Deep Seabed Mining Initiative del WWF. «Questa mossa del governo norvegese è una completa ipocrisia. Una delle peggiori decisioni ambientali» che il Paese abbia mai preso. «La Norvegia si dipinge come un Paese verde sulla scena mondiale, ma le sue azioni dicono il contrario», ha dichiarato Frode Pleym di Greenpeace Norvegia a Mongabay. «Invece di ascoltare i pareri scientifici, il governo sta dando alle compagnie minerarie d’alto mare esattamente quello che vogliono».
Varie ricerche nell’ultimo anno hanno riportato il ritrovamento di alti quantitativi di metalli critici nelle acque territoriali norvegesi: si parla di milioni di tonnellate di rame (tra le 21 e le 38), tra le 20 e le 45 milioni di tonnellate di zinco e poi cobalto e altre tonnellate di terre rare. Una fortuna sotto forma di noduli sottomarini. Che il governo norvegese – e le aziende estrattive – non vogliono perdere. Anche se il prezzo ambientale da pagare sarà altissimo.
Come abbiamo scritto in precedenza, il Consiglio consultivo scientifico delle Accademie europee (EASAC), che fornisce consulenza indipendente ai responsabili politici – ha annunciato all’inizio del mese il suo sostegno a una moratoria sull’estrazione in profondità, sostenendo che causerebbe danni irreparabili agli ecosistemi marini. Nel rapporto, l’EASAC ha anche contestato l’affermazione diffusa secondo cui l’estrazione in profondità sia necessaria per procurarsi i minerali utili alle tecnologie per le energie rinnovabili, sostenendo che si possono trovare altrove e con conseguenze meno impattanti.
Il governo norvegese ha dichiarato che autorizzerà l’inizio dello sfruttamento solo se l’industria dimostrerà che l’estrazione in acque profonde può avvenire in modo sostenibile e responsabile. In precedenza, l’agenzia ambientale norvegese aveva sollevato dubbi su una valutazione d’impatto condotta dal governo per studiare gli effetti dell’estrazione in alto mare nelle acque vicine. L’agenzia ha sostenuto che tale valutazione non ha fornito informazioni adeguate su come l’estrazione sottomarina possa essere effettuata in modo sicuro e sostenibile, violando così la legge nazionale sui minerali dei fondali marini (Seabed Minerals Act). Ma sembra che il governo sia deciso a tirare dritto comunque, nonostante le opposizioni di scienziati, ambientalisti, e anche dell’associazione norvegese dei pescatori. Gli interessi economici sono enormi, e le licenze potrebbero iniziare a essere assegnate già tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024. Non si capisce infatti come possa essere l’industria a dimostrare che l’estrazione avverrà in maniera sostenibile.
L’amministratore delegato dell’azienda estrattiva mineraria norvegese Locke Marine Minerals ha dichiarato al Financial Times che «Presto in altri paesi come Giappone, Nuova Zelanda e Isole Cook verrà approvata questa attività, la corsa è iniziata e se c’è qualcuno che deve arrivare per primo vogliamo essere noi».
L’Autorità internazionale per i fondali marini (ISA, l’International seabed authority), l’ente regolatore dell’attività estrattiva su mandato delle Nazioni Unite, sta infatti supervisionando i piani per aprire ampie fasce di acque internazionali all’estrazione sottomarina nel prossimo futuro, un’iniziativa che ha sollevato critiche da parte di scienziati e società civile. Il mese prossimo, i delegati dell’ISA si riuniranno a Kingston, in Giamaica, per discutere l’eventuale adozione di regolamenti sull’estrazione mineraria che consentirebbero l’inizio dello sfruttamento.
L’ISA si basa solo sui dati forniti dalle compagnie interessate allo sfruttamento di giacimenti e depositi sottomarini, che non ha mai accettato di rendere pubblici, impedendo così un controllo indipendente sulle ragioni alla base delle autorizzazioni di ricerca che ha già concesso (circa una trentina). Che rischiano di poter diventare operative dal mese prossimo, dando il via a una nuova, violenta, corsa all’estrazione mineraria senza precedenti. In nome della transizione energetica e della lotta al cambiamento climatico.
[di Monica Cillerai]
Guadagni privati, danni ambientali pubblici. Un modello pluri-collaudato.
Di male in peggio…