Il Parlamento italiano non ha ancora reso pubblico il report annuale sulle importazioni ed esportazioni di armi per l’anno 2022, un documento che per legge dovrebbe essere trasmesso entro il 31 marzo dell’anno seguente (cioè quello in corso). Una mancanza denunciata dall’organizzazione non governativa ‘Rete Italiana Pace e Disarmo’, secondo cui la relazione è stata inviata alle Presidenze delle Camere il 9 maggio scorso, ma “ad oggi il testo non risulta ancora pubblicato ufficialmente e non risulta all’attenzione dei Parlamentari”. I motivi non sono ancora chiari, ma qualcosa di certo c’è: il documento in questione è di estrema importanza per comprendere le tendenze delle vendite all’estero delle armi italiane, soprattutto a seguito dello scoppio della guerra in Ucraina.
Difatti la sua pubblicazione ha una duplice valenza: quella, già ribadita, di rendere i dati sul commercio di armi accessibili e consultabili – in quest’ambito la trasparenza gioca un ruolo chiave per via delle diverse tematiche che si intrecciano attorno al tema – e quella di controllo. Una funzione, quest’ultima, spiegata da Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere (OPAL) e di Rete Pace Disarmo: «Lo scorso anno la relazione governativa inizialmente inviata alle Camere riportava un’ampia mancanza di dati nella sezione redatta dall’Agenzia delle Dogane: errore che era sfuggito sia al controllo dei funzionari governativi che hanno preparato, compilato e diffuso il testo sia ai Parlamentari». Un ‘vuoto’, quello individuato e segnalato invece dai ricercatori delle organizzazioni, che negli anni è però diventato sistemico. «Registriamo ormai da diversi anni una continua erosione della trasparenza che ha finito per penalizzare l’attività di controllo sull’operato del Governo anche da parte del Parlamento».
È quindi piuttosto chiaro quanto sia fondamentale, ora più che mai, che lo ‘sguardo’ della società civile vigili e ci sia: certo, a patto che prima ci sia la relazione. Sebbene il Governo italiano ci abbia abituato negli anni a ritardi del genere, “mai, fino ad oggi, si era arrivati al mese di luglio senza la pubblicazione”. Tant’è che per capire il ruolo dell’Italia nel commercio delle armi bisogna – momentaneamente – accontentarsi dei dati del 2021.
In quell’anno il nostro Paese ha esportato più di 4miliardi e mezzo di armamenti – l’importazione si è fermata a quota 679 milioni – prodotti da circa 140 società (la sola Leonardo, l’azienda il cui maggiore azionista è il Ministero dell’Economia, ne ha fabbricati quasi la metà del totale venduto).
Tra i maggiori destinatari dell’artiglieria “made in Italy” hanno figurato Qatar (959 milioni euro), Kuwait (875 milioni di euro), Egitto (773 milioni di euro euro), Turkmenistan (378 milioni di euro), tutti Paesi più volte messi in discussione per via delle loro politiche poco democratiche e rispettose dei diritti umani fondamentali.
Numeri che quest’anno e i prossimi potrebbero salire, soprattutto visti i recenti avvenimenti. Oltre al proseguo della guerra in Ucraina – per cui tra l’altro è ancora in corso la raccolta firme per bloccare l’invio di armi nel Paese (qui l’elenco aggiornato dei banchetti) – l’Italia ha revocato le limitazioni all’export di bombe e missili verso l’Arabia Saudita. Queste erano state disposte dal governo Conte I per prevenirne l’utilizzo nella guerra in Yemen. Secondo Palazzo Chigi “l’esportazione di bombe e missili verso l’Arabia Saudita non ricade nei divieti di esportazione stabiliti dall’articolo 1, commi 5 e 6, della legge 9 luglio 1990, n. 185, essendo conforme alla politica estera e di difesa dell’Italia”.
Ma concretamente delle conseguenze delle decisioni prese del Governo potremo rendercene conto solo quando avremo davanti numeri e dati.
[di Gloria Ferrari]
Governo di guerrafondai opportunisti corrotti