Terza notte di scontri per la morte di Nahel, il ragazzo di 17 anni ucciso a sangue freddo da un agente di polizia per non aver rispettato un fermo in macchina. Le proteste investono non solo i quartieri popolari di Parigi e di molte altre città francesi, ma si sono allagate anche alle zone centrali della capitale. Il dispiegamento di oltre 40mila agenti sulle strade, di cui 5.000 solo a Parigi, e l’utilizzo delle unità speciali non é riuscito a fermare i disordini. Agli attacchi contro la polizia e contro gli edifici di commissariati e municipi si sono aggiunti gli espropri di supermercati e negozi del lusso. Mentre proseguono le manifestazioni di massa che coinvolgono decine di migliaia di francesi di tutte le età. La situazione per il governo pare talmente fuori controllo da aver convinto, notizia dell’ultim’ora, il presidente Macron ad abbandonare il Consiglio Europeo in corso per tornare di gran fretta nella capitale. Mentre anche l’ONU è intervenuta, invitando il governo francese ad «affrontare i problemi profondi del razzismo e della discriminazione razziale tra le forze dell’ordine».
Nella notte si sono registrati scontri anche a Bruxelles, dove gruppi di giovani sono scesi per strada in solidarietà al ragazzino ucciso, denunciando il «razzismo sistematico» della polizia che negli scorsi mesi aveva acceso tensioni anche nella capitale belga. Il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, presidierà una nuova “cellula interministeriale di crisi”, la seconda in due giorni. Questa mattina la Primo ministro, Elisabeth Borne si é riunita con diversi ministri a Matignon per fare il punto dopo la terza notte di disordini, denunciando in un tweet gli atti «intollerabili e ingiustificabili». Il presidente Macron, lasciando il Consiglio Europeo, si è dichiarato «pronto a valutare tutte le soluzioni per ristabilire l’ordine, senza tabù».
Già la sera di mercoledì la rabbia era esplosa non solo nelle banlieu della capitale, ma aveva coinvolto diverse città, specialmente Tolosa, Lione, Lille, Digione e Amiens, con proteste intense durate a lungo nella notte. Attacchi alle stazioni di polizia, con incursioni e incendi ai mezzi delle forze dell’ordine, ma anche incendi e saccheggi a supermercati e negozi. Bruciati alcuni bus, danneggiati dei tram, attaccato anche l’ingresso della prigione di Fresne (Val-de-Marne) con fuochi di artificio, nel tentativo forse di aprire le porte ai detenuti. I commissariati sono stati gli obbiettivi più ambiti di molti dei manifestanti notturni, e numerosi quelli danneggiati con bombe molotov o bruciati fino ad oggi. Presi di mira anche alcuni Municipi e altri edifici pubblici. I video che circolano in rete mostrano scene di giovani incappucciati che rubano mezzi stradali per abbattere pali con le telecamere cittadine, espropriare supermercati, indossare magliette della polizia rubate nei commissariati, servirsi un gelato al McDonald sfondato. I negozi di Zara e Nike nel centro di Parigi sono stati saccheggiati.
A Nanterre, dove é successo l’omicidio, la rivolta é stata intensa e non solo giovanile, ma ha coinvolto varie generazioni di età. La rabbia é tanta, e ricorda le rivolte delle periferie francesi del 2005. Auto in fiamme, barricate sulla strada e scontri violenti con le forze di polizia, che mercoledì hanno dovuto ritirarsi dalla cité di Pablo-Picasso, sopraffatti dai manifestanti incappucciati. 150 gli arresti mercoledì notte, 667 invece i fermi dichiarati questa mattina dal ministro degli interni Darmanin. La maggior parte sono giovani e giovanissimi, tra i 14 e i 18 anni. 249 i poliziotti e gendarmi feriti.
Ieri pomeriggio, la marche blanche indetta dalla madre di Nahel ha riunito ieri più di 6000 persone, con canti come “police partout, justice nulle part” (polizia dappertutto, giustizia da nessuna parte). A margine della manifestazione sono scoppiati scontri che hanno continuato nella notte, a Nanterre come in tutto l’Esagono.
Mercoledì l’esecutivo aveva cambiato i toni sulla vicenda, nel tentativo di evitare il proseguo della rivolta. Normalmente abituato a difendere i poliziotti accusati di aver sparato in situazioni similari – come le dichiarazioni di martedì annunciavano – Emmanuel Macron, Élisabeth Borne e Gérald Darmanin hanno condannato l’azione del poliziotto che ha ucciso il giovane Nahel a Nanterre.
«Tutti gli agenti di polizia sono sconcertati da queste requisizioni aberranti», afferma Davido Reverdy, segretario nazionale del sindacato Alliance per le province, parlando del discorso del presidente Macron, che aveva qualificato come «inaccettabile» lo sparo. Alliance, Unité SGP Police, Synergie officiers e Alternative police-CFDT hanno sottolineato la “presunzione di innocenza” di cui dovrebbero godere i loro colleghi.
Ieri il Procuratore di Nanterre ha deciso l’arresto preventivo con l’accusa di “omicidio volontario” per il poliziotto di 38 anni che ha premuto il grilletto. Questa decisione, inusuale in questo tipo di casi, ha immediatamente suscitato la rabbia dei sindacati di polizia, che hanno anche accusato il governo di interferire in un procedimento giudiziario in corso. Normalmente infatti i poliziotti vengono assolti.
La politica da una parte cerca di non alimentare le tensioni abbassando i toni, dall’altra militarizza e quadruplica il numero di agenti per strada, autorizzando l’intervento delle forze speciali e il via libera agli arresti diffusi. «Tutti quelli che sputano sulla polizia e sulla giustizia sono i complici morali di quello che sta succedendo», ha detto il ministro della Giustizia, Eric Dupond Moretti, in visita al tribunale di Asnières-sur-Seine, vicino a Parigi, danneggiato nella notte durante gli scontri.
I prefetti di numerosi dipartimenti dopo la seconda notte di scontri hanno autorizzato le forze di polizia a utilizzare i droni, sempre per cercare di limitare e controllare la rivolta. Alcuni politici e rappresentanti della destra hanno chiesto l’instaurazione dell’Etat d’urgence, il regime eccezionale e controverso che deve essere dichiarato per decreto dal Consiglio dei Ministri, risultato di una legge approvata nel 1955 a seguito della guerra d’Algeria. In base a questo “stato di emergenza”, il Ministro degli Interni, Gérald Darmanin, e i prefetti possono vietare manifestazioni e raduni, vietare riunioni pubbliche, chiedere la chiusura di luoghi pubblici e stabilire il coprifuoco. Ieri però fonti governative hanno dichiarato a FranceInfo che l’instaurazione dell’état d’urgence «non è tra le opzioni attualmente prese in considerazione».
Due comuni francesi sede degli scontri delle scorse sere, Clamart e Neuilly-sur-Marne hanno dichiarato il coprifuoco da ieri fino a lunedì, tutte le notti fino alle 6 del mattino.
Un eventuale instaurazione dello stato di emergenza ricorderebbe ancora di più le rivolte del 2005, anche se le condizioni di oggi e di allora sono sicuramente differenti. Eppure il razzismo istituzionale che si manifesta sulla pelle degli abitanti, molti figli e nipoti di immigrati, é lo stesso. E gli agenti di polizia continuano a fare troppo spesso violenze che raramente pagano. La morte di Nahel, ripresa in diretta, é stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ad essa si aggiungono le difficili condizioni di molti degli abitanti delle cité e delle periferie, appartenenti alle classi sociali più basse e marginalizzate, spesso emarginate in parti ben definite delle città francesi, e la mancanza di prospettive concrete.
Le rivolte del 2005
Come risultato di tutte le politiche francesi condotte dagli anni ’80 e dalle condizioni delle banlieu (periferie) parigine, le rivolte del 2005 nelle periferie francesi sono iniziate a Clichy-sous-Bois in seguito alla morte di due adolescenti, Zyed Benna e Bouna Traoré, il 27 ottobre 2005, fulminati all’interno di una sottostazione elettrica mentre cercavano di sfuggire a un posto di blocco della polizia.
Tre giorni dopo, la rabbia provocata da una granata di gas lacrimogeno lanciata all’ingresso della moschea Bilal da poliziotti durante i disordini allarga le proteste da Clichy-sous-Bois e Montfermeil a tutta la Seine-Saint-Denis, e due giorni dopo a più di 200 comuni in tutta la Francia. L’8 novembre 2005 è stato dichiarato lo stato di emergenza, poi prorogato per tre mesi. Il 17 novembre la situazione è tornata alla normalità. In totale, sono state arrestate 2.921 persone e ne sono morte 3. Ingenti i danni alle infrastrutture e alle attrezzature, tra cui 10mila auto bruciate e 230 edifici danneggiati o bruciati. 217 i feriti tra le forze di polizia.
Nel 2015 i due poliziotti, accusati di omissione di soccorso per non aver aiutato i ragazzini, furono assolti, provocando forti reazioni di rabbia da parte dei parenti in attesa di giudizio da 10 anni, e scontri nella sera davanti al Palazzo di Giustizia di Bobigny, a Parigi.
Chiaramente il governo Macron, già toccato dalle proteste contro la riforma delle pensioni, e sicuramente con la memoria anche ai movimenti recenti come quello dei Gilets Jaunes, farà di tutto per evitare di rivivere quei giorni, che avevano messo a dura prova la Repubblica d’Oltralpe.
Forse teme anche l’unione della rabbia delle periferie, delle seconde e terze generazioni di immigrati, e del resto della popolazione, già in subbuglio negli scorsi mesi e sicuramente rancorosa verso le forze di polizia, che negli ultimi anni hanno fatto sempre più feriti gravi nelle manifestazioni. I prossimi giorni – e le prossime notti – saranno cruciali per capire come evolverà la situazione.
[di Monica Cillerai]
Black Live Matter in salsa Francese. Curioso l’evento scatenante simile a quello americano (beh, non proprio identico, siamo comunque un paese Europeo). Curioso anche come ovunque o quasi la polizia sappia di dover far particolare attenzione quando si accosta a gente di colore. C’è evidentemente un grosso problema culturale che va oltre il razzismo.
Razzismo al contrario, i negri ci odiano e vogliono farci la pelle! Ce ne faremo una ragione…..
Il razzismo al contrario non esiste, quando si discrimina sulla base della razza si è razzisti e basta, che sia un bianco a discriminare un nero o viceversa
A scherzare col fuoco, prima o poi ci si brucia…
Vivo in Francia da più di trent’anni. Un quarto di secolo fa, nell’allora prestigioso quotidiano Le Monde, si leggeva di giovani alle prese con seri e profondi problemi identitari dato che si sentivano rifiutati ( o solo parzialmente accettati) da nessuna delle due culture di riferimento ovvero quella delle origini dei genitori (o di uno dei due) e quella francese. Questi giovani sono diventati adulti e hanno fatto figli i quali, a loro insaputa, hanno assimilato le frustrazioni e le rivendicazioni sopite di padri, madri e magari pure quelle dei nonni. Quest’ultimi, avevano assistito e/o contribuito all’indipendenza delle ex-colonie del Maghreb e anche loro non sapevano bene da che parte mettersi, salvo che mordevano il freno vivendo la loro sofferenza in dignitoso silenzio.
Oggi, i discendenti dei migranti nostri connazionali che li avevano preceduti a cavallo delle due guerre mondiali ( i “Macaroni” e i “Ritals”) avrebbero molto da raccontare e specialmente a chi ignora tutto del nostro passato.
Più in generale, in merito alle complesse dinamiche proprie all’esperienza della migrazione (quali ne siano le motivazioni, obbligo o scelta) una volta di più il mainstream mediatico tratta solo e soltanto degli aspetti economici, sociali e politici, quasi mai di quelli psicologici ed emotivi che coinvolgono pienamente il soggetto e, come è ben noto, un’intera comunità.
Se si aggiunge poi che in tutto l’Occidente i quattro quinti della classe politica ( per lo più strutturalmente ignorante) non ha trovato di meglio che sfruttare indegnamente la delicata questione identitari, il quadro è completo.
Se non si vive la migrazione nella propria pelle, se ne ignora l’essenza ( e lo affermo da individuo e cittadino pienamente conscio, integrato nel Paese di residenza ma senza aver perso alcunché della mia cultura originaria, anzi). Potrei scrivere un libro.
Giustizia popolare, polizia assassina,ora so caxxi ,macron de mi cojons
Proprio un bel quadretto di democrazia e libertà quello che si vede in Francia.
E e destre invocano lo stato di emergenza. Fantastico.
E poi questi vanno a fare le prediche a Mosca.