Dopo due settimane di negoziati, l’ISA (l’Autorità internazionale per i fondali marini) ha scelto di non dare il via libera al discusso deep sea mining, l’estrazione mineraria in acque profonde internazionali. Per ora. La decisione è stata solo rimandata, dal momento che la riunione per la regolamentazione si è conclusa venerdì a Kingston in Giamaica senza che fosse trovato un accordo sulle modalità di regolamentazione del settore.
Un documento brevissimo annuncia la scelta: una pagina e mezza e quattro punti totali che non spiegano bene la complessa situazione né tantomeno i rischi legati all’estrazione dei noduli polimetallici nelle profondità marine. Si legge nel testo che l’ISA “intende proseguire l’elaborazione di norme, regolamenti e procedure relative allo sfruttamento in vista di una loro adozione durante la trentesima sessione dell’Autorità” che, teoricamente, sarà nel 2025. Tuttavia la data è indicativa, non vincolante, e già si anticipa una molto probabile futura approvazione di questi nuovi processi estrattivi. Da nessuna parte si parla di una moratoria per bloccare sul nascere lo sfruttamento di questi giacimenti, come avevano chiesto numerosi stati, cittadini, scienziati e gruppi di indigeni contrari alla distruzione di uno degli ecosistemi più fragili del pianeta.
Il dibattito – tenutosi a porte chiuse – è stato spinto e incalzato da una scappatoia nota come la “regola dei due anni”, secondo la quale il Consiglio dell’ISA deve “considerare e approvare provvisoriamente” le domande di sfruttamento due anni dopo la loro presentazione, indipendentemente dal fatto che si siano finalizzati o meno i regolamenti. Nauru, la piccola isola del Pacifico nonché base della canadese TMC (The Metals Company) che punta a estrarre noduli di materie strategiche al largo delle sue coste, ha attivato il meccanismo legale della “regola dei due anni” nel luglio 2021 ma, nonostante la scadenza sia passata, l’ISA ha annunciato lunedì che ad oggi non è stata ricevuta alcuna richiesta per iniziare l’attività estrattiva. In una dichiarazione, il Consiglio dell’ISA ha affermato che, qualora fosse pervenuta una richiesta di “piano di lavoro” prima del completamento dei regolamenti minerari, avrebbe preso una decisione sull’applicazione della regola dei due anni “in via prioritaria” durante la prossima riunione.
L’ISA ha già dato numerosi permessi di ricerca per aree di centinaia di chilometri quadrati a vari stati per esplorare i fondali oceanici. Per i sostenitori del deep sea mining, infatti, l’estrazione sottomarina è necessaria per la cosiddetta transizione energetica e per le nuove tecnologie; i critici che vi si oppongono, invece, affermano che lo sfruttamento minerario in acque profonde non sia necessario per l’approvvigionamento dei minerali e causerebbe danni diffusi e di vasta portata agli ecosistemi marini che sostengono la vita sulla Terra.
Il presidente e amministratore delegato di TMC, Gerard Barron, ha dichiarato in un comunicato che la società è “delusa” dal fatto che l’ISA non sia riuscita a completare i regolamenti in tempo, ma è fiducioso che l’attività estrattiva inizierà presto. “Ora si tratta di capire quando – e non se – inizierà la raccolta di noduli su scala commerciale”, ha dichiarato. “Credo che il traguardo sia ormai a portata di mano e attendiamo con ansia il testo normativo consolidato alla prossima riunione del novembre 2023”. Intanto, per ora, i titoli della TMC sono crollati.
La settimana scorsa, uno studio apparso su Current Biology – il primo a monitorare l’impatto reale del deep sea mining e non a basarsi su stime – aveva dimostrato come appena due ore di estrazione al largo delle coste giapponesi avevano dimezzato la popolazione ittica, anche dopo più di un anno, sia in quell’area che nelle zone adiacenti. A giugno 2023 anche l’organizzazione indipendente Planet Tracker ha pubblicato un rapporto riguardo agli impatti ambientali e ai costi economici dell’estrazione in acque profonde: “tentare di riparare ai danni causati dall’estrazione mineraria nei fondali oceanici costerebbe talmente tanto che né le aziende né i governi pagherebbero per farlo. Le istituzioni finanziarie quindi non dovrebbero supportare il deep sea mining“. Un recente lavoro pubblicato su Scientific Reports stima inoltre che metà delle specie abissali del Pacifico dipenda in qualche modo dalla presenza dei noduli polimetallici sui fondali, la cui estrazione si tradurrebbe quindi in perdita di habitat e biodiversità.
Le ricerche sulle conseguenze di questa pratica estrattiva sono ancora minime e, spesso, condotte dalle stesse aziende minerarie, mancando quindi di una visione oggettiva del processo. Le poche ricerche indipendenti, dal canto loro, sottolineano la pesantezza dell’impatto di questa pratica. Per questo molte associazioni e ONG, gruppi di indigeni ed esperti avevano chiesto uno stop preventivo, una moratoria globale finché non ci siano tecnologie e prove che assicurino un impatto più accettabile sull’ecosistema.
L’ISA lavora solo sulle acque internazionali e vari sono gli Stati – come la Norvegia – che hanno già annunciato la volontà di iniziare piano di sfruttamento minerario sottomarino nelle loro acque territoriali in quanto non soggette alle regole delineate dall’organismo dell’ONU. Le conseguenze, ovviamente, saranno le stesse, e impatteranno tutto l’oceano.
[di Monica Cillerai]