martedì 3 Dicembre 2024

Per risolvere il problema degli incendi non basta occuparsi dei piromani

Negli ultimi giorni decine di incendi scoppiati principalmente tra Sicilia, Calabria e Puglia hanno devastato enormi distese di vegetazione, causando morti, feriti e danni alle infrastrutture. Secondo i dati dell’European Forest Fire Information System, da inizio anno al 27 luglio, in Italia sono andati in fumo ben 51.386 ettari: una superficie pari a quella dell’intero Comune di Foggia, ottava città italiana per estensione territoriale. Oltre 31mila ettari sono bruciati in soli tre giorni, dal 25 al 27 luglio. La gran parte degli incendi sono di origine dolosa, e questo è un fatto. Tuttavia concentrarsi solo sulla caccia ai piromani – verso i quali il governo ha annunciato nuove pene più severe – rischia di essere fuorviante, perché il loro “successo” in termini di espansione e durata dell’incendio è dato non solo dal vento, ma anche da altri fattori, che chiamano in causa direttamente le politiche ambientali e di protezione territoriale portate avanti in Italia.

Una narrazione che si esaurisce incolpando chi appicca il fuoco, è da considerarsi «un ragionamento povero, i piromani sono la causa efficiente o ‘prossimale’, l’agente che ha attivato l’effetto», spiega Filippo Barbera, professore ordinario di Sociologia economica presso l’Università di Torino. Ci sono altri due fattori essenziali da tenere in considerazione, senza i quali l’atto criminale dei piromani non avrebbe ottenere lo stesso devastante effetto: abbandono dei territori e cambiamenti climatici.

«Gli incendi sono così distruttivi perché insistono su aree di territorio abbandonate», spiega Barbera. In Italia ci sono 3,5 milioni di ettari di terreni agricoli inattivi, improduttivi cioè dal almeno tre anni, e questi sono obiettivi primari degli incendi.

Mentre per quanto riguarda le cause climatiche, non attribuibili generalmente al caldo, ma alla combinazione di più elementi propri della crisi in atto, che include scarse precipitazioni ed eventi metereologici estremi, la spiegazione è la seguente: «il cambiamento climatico ha reso la struttura del territorio più fragile e attaccabile: meno acqua, più caldo, frequenti condizioni climatiche avverse che facilitano la propagazione delle fiamme». La forza di un incendio, infatti, se da una parte dipende dalla natura dei combustibili utilizzati – o incontrati durante la propagazione – e dalle condizioni di combustione – la quantità di ossigeno disponibile, per esempio –, dall’altra è modulata dalle proprietà del suolo, che influiscono sulla trasmissione del calore più o meno in profondità.

Una volta appiccate, dal punto di accensione le fiamme divampano sia lateralmente che verticalmente, dunque nel terreno, e fino a raggiungere la parte minerale o una condizione di umidità che non supporta la combustione. Va da sé che terreni sempre più aridi e secchi sono quindi ideali per la diffusione di incendi di vasta portata. Sostanzialmente, ribadisce Barbera, «sostenere che ‘sono stati i piromani’ equivale a guardare solo l’ultimo metro della catena causale. Senza considerare come, in assenza delle altre sue cause sopracitate, l’effetto non sarebbe stato così distruttivo».

Tuttavia se su certe questioni non è possibile invertire immediatamente la rotta – tipo la condizione del suolo – dall’altra parte però è pur vero che saremmo potuti arrivare molto più preparati. Non è la prima volta che il nostro Paese si trova avvolto dalle fiamme, ma a conti fatti ci sono più incendi che mezzi in grado di contenerli. Mancano per esempio i Canadair, aeroplani in grado di volare a bassa quota e raccogliere acqua in tempi rapidissimi, la cui produzione si è stoppata ormai da qualche anno. Il nostro Paese ne possiede 18 (più altri 54 elicotteri antincendio), distribuiti su tutto il territorio: un numero troppo basso però per far fronte all’attuale portata degli incendi. Ma, anche in questo caso, si tratta comunque di una misura di emergenza – oltretutto insufficiente – anziché di prevenzione. E che quindi, per sua natura, non può essere l’unica risposta al problema – visto che, tra l’altro, la portata degli incendi aumenta di anno in anno.

Sarebbe piuttosto più opportuno investire risorse ed energia – che l’attuale Governo sta invece decimando – affinché le fiamme non divampino – e certo, riservare comunque una parte del gruzzolo alla gestione del danno. Ma che significa fare prevenzione? Legambiente ha stilato dieci proposte per contrastare il fenomeno degli incendi boschivi, affinché la risoluzione politica non si concentri solo sul contare i danni. Li riportiamo qui di seguito:

-Un soggetto unico come la Protezione Civile nazionale per gestire gli incendi in maniera integrata, garantire un maggiore coordinamento tra le istituzioni e gli attori nazionali e regionali coinvolti, e vigilare sull’applicazione della legge quadro sugli incendi boschivi (L. 353/2000) e le sue modifiche introdotte con la legge 155/2021.

-Puntare sulla integrazione tra pianificazione forestale e strategie di adattamento climatico per contenere gli incendi e attuare misure di selvicoltura preventiva.

-Integrare le strategie contro gli incendi con la politica agricola, e considerare l’agricoltura come una parte della soluzione poiché i campi coltivati riducono l’infiammabilità e la biomassa disponibile.

-Pascolo e fuoco prescritto sono strumenti di prevenzione utili negli ambienti mediterranei per ridurre il carico di combustibile.

-Responsabilizzazione e coinvolgimento dei cittadini e dei proprietari nella lotta agli incendi attraverso la informazione e la formazione, la corretta conoscenza della prevenzione e dei principi dell’autoprotezione dagli incendi.

-Statistiche e catasto incendi aggiornati sono essenziali per la comprensione e il governo del fenomeno. Ma bisogna migliorare la base di raccolta dei dati che si basa solo sul sistema europeo EFFIS che non conteggia gli incendi inferiori ai 30 ettari (che sono la gran parte degli incendi che interessano il nostro Paese), non fornisce dati immediati sulla consistenza delle aree incendiate ed i comuni maggiormente interessati.

-La pianificazione del ripristino ecologico e funzionale nella ricostituzione post-incendio deve essere affrontata con interventi e soluzioni tecniche adeguate caso per caso.

-Integrare la pianificazione urbanistica con la prevenzione degli incendi nelle aree urbane dove è alto il rischio e la probabilità di propagazione di grandi incendi.

-Pene più severe: estendere le pene previste dal Codice Penale per il reato di incendio boschivo a qualunque tipologia di incendio.

-Potenziare i presidi pubblici, statali e regionali, nella lotta agli incendi boschivi.

[di Gloria Ferrari]

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2 Commenti

  1. Buongiorno, articolo interessante specialmente per aver sottolineato in maniera chiara che uno degli approcci fondamentali alla lotta agli incendi boschivi è la prevenzione in particolar modo le attività colturali sia di tipo agricolo che forestale, consiglio di leggere l’approfondimento sul tema che una rivista di settore (Sherwood e teknico e pratico) fa sul tema: https://twitter.com/share?url=https://www.rivistasherwood.it/t/novita-e-notizie/incendi-luglio-2023.html&text=Vasti%20incendi%20in%20Sicilia%20e%20Calabria:%20la%20situazione%20a%20fine%20luglio

    Francesco Sulli

  2. C’è un piccolo particolare i piromani si chiamano Mafiosi ed è dagli anni 70 che il Sud brucia tutte le estati, una volta per i pascoli, poi per la speculazione edilizia e oggi per creare tanti bei parchi eolici e solari…così mentre tre quarti di mondo continua a inquinare, noi facciamo i “ green”.

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