Ieri, per la prima volta, i leader di Stati Uniti, Corea del Sud e Giappone si sono riuniti allo stesso tavolo per un importante vertice trilaterale. L’incontro, andato in scena nella residenza estiva del presidente americano Joe Biden a Camp David, nel Maryland, è stato organizzato con lo scopo di rafforzare la partnership strategica fra i tre Paesi. L’obiettivo sotteso alla costruzione della nuova alleanza, che trova il suo fulcro in un impegno comune sul versante della sicurezza militare, è chiaramente quello di indebolire l’influenza della Cina di Xi Jinping. La cui reazione piccata, come prevedibile, non si è fatta attendere. L’incontro di Camp David potrebbe rappresentare un punto di svolta fondamentale nel riallineamento geopolitico della presente fase storica.
Nell’occasione, Joe Biden, il primo ministro giapponese Fumio Kishida e il presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol hanno stretto un patto di sicurezza “per un Indo-Pacifico libero, aperto e prospero”, rafforzando la cooperazione sulla difesa da missili balistici e impegnandosi a svolgere esercitazioni militari annuali. I tre leader hanno sottoscritto un “Impegno alla consultazione reciproca” in cui vengono stabiliti “incontri al vertice annuali” e una “condivisione di informazioni e comunicazioni in risposta a contingenze e crisi”. L’accordo va dunque a rafforzare l’aspettativa che i tre Paesi, in caso di attacco, possano muoversi in maniera coordinata.
Inoltre, è stata annunciata l’attivazione di un “meccanismo di allerta” ove dovessero emergere “nuove interruzioni della catena di approvvigionamenti” (in particolare in relazione a microchip e batterie), come successo nel periodo pandemico. Nella dichiarazione congiunta, i leader hanno rinnovato l’appello alla Corea del Nord affinché rinunci alle sue armi nucleari. Nella cornice della crisi russo-ucraina, Tokyo e Seoul rappresentano importanti partner per Washington, avendo offerto massimo sostegno al governo di Kiev: il presidente Yoon, negli scorsi mesi, ha addirittura messo da parte una norma che vieta la fornitura diretta di armi ai Paesi in conflitto, esprimendo pubblicamente l’intenzione di unirsi alle altre nazioni nell’invio di materiale bellico all’Ucraina.
Per attutire il peso esercitato da Pechino nella regione affacciata sull’oceano Pacifico occidentale, gli Stati Uniti puntano insomma tutte le loro carte sul riavvicinamento di due Paesi che, pur essendo stretti alleati di Washington, hanno sempre conservato tra loro un rapporto piuttosto astioso. Le ragioni della tradizionale ostilità tra Giappone e Corea del Sud sono da ricercare nelle storiche ferite prodotte dal colonialismo giapponese, con l’occupazione della penisola coreana da parte di Tokyo dal 1910 al 1945. Ad ogni modo, la distanza tra le parti sembra essersi progressivamente ridimensionata: il premier giapponese Fumio Kishida ha aperto a una stretta collaborazione con la Corea del Sud sul piano economico e militare, in particolare per alzare le difese comuni contro le possibili aggressioni della Corea del Nord, e anche Yoon sembra deciso ad abbandonare le acredini del passato, dichiarando di voler guardare avanti e definendo quella del vertice una «giornata storica» che potrà garantire una «solida base istituzionale» ai rapporti tra le nazioni partecipanti.
Come era ampiamente prevedibile, la Cina ha reagito manifestando tutto il suo disappunto. «Tingiti i capelli di biondo o modellati il naso a punta, non potrai mai diventare un europeo o americano, non potrai mai diventare un occidentale», ha dichiarato il Ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, in un video diffuso dai media ufficiali. «Dobbiamo sapere dove poggiano le nostre radici», ha aggiunto, esortando Tokyo e Seul a lavorare con la Cina per «rivitalizzare l’Asia orientale». Il portavoce del ministro, Wang Wenbin, ha bollato il trilaterale come un tentativo «impopolare di portare scontri di campo e blocchi militari nell’Asia-Pacifico», che «susciterà inevitabilmente vigilanza e opposizione dai Paesi della regione». Wembin ha puntato il dito contro quella che ha definito una «mini-Nato» nel Pacifico, promettendo «misure efficaci per difendere con fermezza la sovranità nazionale cinese e l’integrità territoriale». Chiaro il riferimento a Taiwan.
Da parte sua, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha voluto evidenziare che il meeting non riguardava la Cina. Ciononostante, nella dichiarazione congiunta i tre leader hanno contestato il “comportamento pericoloso e aggressivo” del governo cinese nelle controversie del Mar Cinese Orientale e Meridionale. “Ci opponiamo fermamente a qualsiasi tentativo unilaterale di cambiare lo status quo nelle acque dell’Indo-Pacifico”, è scritto nero su bianco nel documento.
[di Stefano Baudino]