domenica 24 Novembre 2024

La Turchia approva la diga di Cizre, minacciando l’ambiente e il popolo curdo

Il governo turco ha approvato la costruzione della diga di Cizre, città della provincia a maggioranza curda di Sirnak attraversata dal fiume Tigri, il più lungo del Medio Oriente. Secondo le stime, la realizzazione della diga comporterà la sommersione di decine di insediamenti curdi e l’estinzione di diverse specie marine che attualmente vivono nel Tigri. A ciò si aggiunge il rischio di una grave e diffusa crisi idrica, che dovrebbe interessare particolarmente l’Iraq, dove il Tigri scorre prima di sfociare nel Golfo Persico. Samir Muxif Ciburi, presidente della commissione per le risorse idriche del parlamento iracheno, ha dichiarato che «una volta completata la costruzione della diga, l’acqua del fiume non fluirà più in Iraq». La condanna verso quella che Baghdad ha definito una violazione del diritto internazionale si discosta dalla sostanziale accondiscendenza con cui il governo iracheno ha trattato le violazioni della propria sovranità statale a opera della stessa Turchia, che negli anni ha bombardato il nord del Paese, il cosiddetto Kurdistan iracheno, nel suo piano di persecuzione del popolo curdo.

In Turchia, circa il 20 per cento della popolazione è costituito da una minoranza che il governo non riconosce né tutela: i curdi, un gruppo etnico iranico originario del Medio Oriente. Si tratta del popolo più esteso al mondo a cui non è riconosciuto dalla comunità internazionale alcun territorio. In Turchia, i curdi vivono principalmente nell’area situata nelle regioni dell’Anatolia orientale e sudorientale, in quello che viene definito Kurdistan settentrionale. Il sogno accarezzato nel 1920 con il Trattato di Sèvres di uno Stato curdo indipendente non è mai stato realizzato. Tuttavia, i curdi rivendicano ancora oggi la sovranità sulla regione geografica abitata storicamente e corrispondente oggi a parti di Siria, Iraq, Iran, Armenia e Turchia. La diga approvata dal governo turco riguarderà proprio il sud del Paese (o Kurdistan settentrionale), a maggioranza curdo. Il progetto è stato messo a gara nel 2013, poi sospeso e infine approvato da Ankara. La diga di Cizre sarà la decima del Tigri, nonché la seconda più grande dopo la discussa diga di Ilısu, con una potenza prevista di 240 MW. Al termine della costruzione, decine tra villaggi, siti storici, come quello della madrasa, e terreni agricoli verranno sommersi, attentando la vita e l’economia delle popolazioni locali. Un attacco chiaro e diretto che si inserisce nella più ampia cornice di persecuzione che Ankara attua indisturbata nei confronti dei curdi.

Alla discriminazione interna, si aggiungono le decine di incursioni operate negli anni nel nord della Siria e dell’Iraq, i territori dove i curdi godono di una maggiore autonomia, usata per realizzare esperienze di confederalismo democratico basato su rapporti orizzontali e non gerarchici, equa distribuzione delle risorse, parità dei sessi e rapporto simbiotico con la natura. Un esempio è il campo profughi di Makhmour, nel Kurdistan iracheno, abitato da circa 14mila persone e bersaglio di innumerevoli offensive provenienti tanto da Ankara quanto da Baghdad. Il 15 giugno 2020, 60 aerei da guerra sono partiti dalla penisola anatolica per bombardare 81 località dell’Iraq, tra cui appunto Makhmour. La violazione del diritto internazionale ha disturbato soltanto formalmente Baghdad, che se in superficie mostra irritazione in profondità coltiva il supporto al progetto turco per tutelare l’importante cooperazione economica con Ankara. Lo scorso maggio, il campo profughi si è opposto con tenacia all’aggressione dell’esercito iracheno, sferrata in un quadro d’intesa geopolitica con la Turchia. Intesa che adesso, con la costruzione della diga di Cizre, rischia di saltare.

[di Salvatore Toscano]

L'Indipendente non riceve alcun contributo pubblico né ospita alcuna pubblicità, quindi si sostiene esclusivamente grazie agli abbonati e alle donazioni dei lettori. Non abbiamo né vogliamo avere alcun legame con grandi aziende, multinazionali e partiti politici. E sarà sempre così perché questa è l’unica possibilità, secondo noi, per fare giornalismo libero e imparziale. Un’informazione – finalmente – senza padroni.

Ti è piaciuto questo articolo? Pensi sia importante che notizie e informazioni come queste vengano pubblicate e lette da sempre più persone? Sostieni il nostro lavoro con una donazione. Grazie.

Articoli correlati

Iscriviti a The Week
la nostra newsletter settimanale gratuita

Guarda una versione di "The Week" prima di iscriverti e valuta se può interessarti ricevere settimanalmente la nostra newsletter

Ultimi

Articoli nella stessa categoria