Il popolo Auyu – un popolo indigeno che si trova nella Papua Occidentale – potrà continuare ad usufruire di oltre 65mila ettari di foresta pluviale incontaminata: è quanto si evince da un recente provvedimento del Tribunale amministrativo di Giacarta, che ha deciso di respingere una causa intentata da due società produttrici di olio di palma contro il Ministro dell’Ambiente e delle Foreste indonesiano. Quest’ultimo, infatti, nel mese di marzo era stato citato in giudizio dalle aziende PT Megakarya Jaya Raya e PT Kartika Cipta Pratama, che puntavano a ribaltare un decreto con cui erano stati messi i bastoni tra le ruote all’ampliamento delle piantagioni di palma da olio nelle aree forestali. Una richiesta che però non è stata accolta dal Tribunale indonesiano, il quale con la sua decisione ha da un lato messo al riparo il vasto territorio dalle mani delle aziende e dall’altro riconosciuto il diritto degli indigeni ad usufruirne.
«La sentenza del Tribunale amministrativo di Giacarta rappresenta un precedente importante e sancisce il diritto alla terra del Popolo Auyu»: questo ha infatti affermato Martina Borghi, la responsabile della campagna foreste di Greenpeace Italia, sottolineando che la decisione deriva da «una lunga battaglia legale sostenuta dal Popolo Auyu insieme a Greenpeace e ad altre associazioni e fondazioni indonesiane». «Grazie ad essa le due aziende, che avevano già distrutto quasi 9.000 ettari di foresta per favorire l’espansione di piantagioni di palma da olio, sono ora costrette a fermarsi», ha inoltre aggiunto Borghi, le cui parole fanno tra l’altro luce sul duro lavoro degli Auyu. Come precisato da Greenpeace Indonesia, del resto, sei indigeni si sono “costituiti parte civile”, aiutando il Ministro dell’Ambiente e delle Foreste ad “affrontare la causa intentata dalle aziende”. Queste ultime, secondo gli Auyu, avrebbero con le loro azioni legali palesato i loro insostenibili intenti, che dovrebbero essere definitivamente riconosciuti come tali a livello istituzionale.
«Si spera che con questa causa il Ministero dell’Ambiente e delle Foreste si renda conto che le aziende non hanno buone intenzioni e revochi immediatamente e completamente i loro permessi»: questo ha infatti dichiarato l’indigeno Gergorius Yame, aggiungendo che il popolo Auyu rivorrebbe la sua «foresta tradizionale». Del resto, non solo le aziende hanno come detto già distrutto quasi 9000 ettari di terreno, ma altre società sembrano pronte a seguirle. “Sforzi legali per difendere le foreste tradizionali sono stati intrapresi dagli Auyu anche presso il Tribunale amministrativo di Jayapura”, comunica infatti Greenpeace Indonesia, ricordando che lo scorso 13 marzo l’indigeno Hendrikus “Franky” Woro ha “citato in giudizio il governo della Provincia di Papua per un permesso di fattibilità ambientale rilasciato ad un’altra azienda produttrice di olio di palma, la PT Indo Asiana Lestari”. Woro precisa che la speranza è quella di ricevere altre «buone notizie» dal processo, che si andrebbero ad aggiungere a quella attuale ed alla recente decisione del governo di riconoscere la proprietà indigena sulle foreste ancestrali della provincia di Aceh.
L’auspicio di Woro è più che legittimo: come ricordato da Greenpeace Italia l’analisi di impatto ambientale è infatti alla base di un permesso per la deforestazione di un’area di decine di migliaia di ettari di foresta e, secondo gli Auyu, sarebbe gravemente inaccurata. Basterà citare le parole di Martina Borghi, che ha precisato come la foresta distrutta per produrre olio di palma non sia solo «il luogo in cui il Popolo Auyu trova cibo, medicine e mezzi di sussistenza», ma anche «l’habitat di flora e fauna uniche al mondo, endemiche della Papua». Risulta fondamentale, dunque, una maggiore tutela di queste terre da parte del governo indonesiano, che tra l’altro si è impegnato a ridurre le emissioni di gas serra del 31%, o del 43% con il sostegno finanziario internazionale, entro il 2030. Una promessa fatta con lo scopo di rispettare gli obiettivi dell’accordo sul clima di Parigi, che però di questo passo non verrebbero perseguiti: la “principale fonte di emissioni dell’Indonesia deriva dalla deforestazione”, sottolinea infatti Greenpeace Italia, aggiungendo che “il rilascio di permessi per distruggere la foresta non permetterà al Paese di rispettare gli impegni assunti”.
[di Raffaele De Luca]