giovedì 12 Dicembre 2024

In Marocco, tra i villaggi dell’Alto Atlante devastati dal terremoto

Non ha più lacrime per piangere Lhoussain Asoki, classe 1985. Ha perso tutti. Sotto le macerie sono rimaste sepolte sua moglie, Soad Ait, e i tre figli Marwa, Mohamed e Salma. Maewa, la più grande, aveva cinque anni, Mohamed ne aveva tre, mentre Salma, l’ultima arrivata, era nata da appena due giorni. Il terremoto se li è portati tutti via. La casa di terra, mattoni e argilla è crollata troppo in fretta, non sono riusciti a uscire. Lhoussain é l’unico sopravvissuto. Ha una ferita in testa e la morte nel cuore. Non vuole tornare a vedere dove tutto è accaduto. La famiglia è stretta intorno a lui in un accampamento di tende costruito sulla cima della collina. Sono tutti di origine berbera, come la gran maggioranza della popolazione più toccata dal terremoto. Nessuno dorme in casa, la paura di ulteriori scosse è ancora troppo forte.

Il comune rurale di Moulay Brahim, 50 chilometri a sud di Marrakech,è uno degli epicentri del terremoto che venerdì 8 settembre ha sconvolto la regione di Marrakech e i monti sull’Atlante. Il bilancio dei morti continua a salire. Per ora se ne contano più di 2.800, con oltre 2.500 feriti. Ma è destinato ad aumentare. Molte case sono crollate, e i detriti riempiono la visuale ovunque si guardi. La maggior parte delle abitazioni ancora in piedi sono state comunque abbandonate per le numerose crepe che si sono aperte. Non si sa quanti siano i morti nel paese: alcuni dicono 30, altri più di 40. Alcuni corpi restano sotto le macerie. Intanto, si continua scavare.

La strada che arriva a Ijoukak è una fila di macchine infinita. La strada, che è la R203 che porta ai comuni montani a sud di Marrakech, è stata stata riaperta dopo due giorni, ma il percorso è ancora pieno delle rocce cadute durante il terremoto ed é pericolante. La maggior parte degli aiuti umanitari è arrivato solo oggi, ed è ancora completamente insufficiente per aiutare le migliaia di persone che hanno perso tutto. La zona di Ijoukak, 100 chilometri a sud di Marrackech, é una delle più colpite: i morti sono centinaia, qualcuno dice quasi ottocento, nessuno ha un conteggio preciso. L’ultimo censimento contava circa 6.700 persone abitanti in tutto il paese. In alcuni dei centri abitati che compongono la vallata non c’è nessuna casa in piedi. «C’est la dévastation complete», ripetono alcuni dei superstiti. è la devastazione completa.

Intorno, solo macerie. «È crollato tutto. I miei vicini sono tutti morti». Ha perso il fratello Ibrahim Baraka, con la moglie e due dei figli. Solo uno è sopravvissuto. «Vivevano nella casa lì sotto». Non resta più niente. «La casa accanto è semplicemente scivolata giù dalla riva». Ibrahim dorme in una delle tende che ospitano centinaia di sopravvissuti, insieme alla famiglia dell’altro fratello, anche lui vivo. Era via per lavoro. I bambini giocano e ridono nella notte che avanza. «È stato un miracolo. Pensavamo fossero tutti morti, la casa era completamente crollata». Qui intorno, nei villaggi più alti, la situazione è ancora peggiore. «Là nemmeno i soccorsi e gli aiuti arrivano. La situazione è ancora più catastrofica».

Dopo due giorni di isolamento e assenza di aiuti, ora i soccorsi sono all’opera; volontari e pompieri stanno scavando per tirare fuori le decine di corpi ancora sotto le pietre. Le possibilità di trovare qualcuno ancora vivo é scarsa, anche se la speranza muove la pala di chi da una mano. Tra tutti i centri abitati attraversati finora, Ijoukak è nella situazione peggiore. Di una buona parte del paese non restano che macerie. «Per fortuna le persone sono molto solidali tra di loro qui. Tutti si aiutano. E anche dal resto del Marocco sono arrivati aiuti da parte della popolazione civile». Dice Ibrahim. Ma non basta. Ci vorranno anni a ricostruire tutto.

La devastazione è realmente totale e difficile da descrivere. In tutta la provincia di Al Haoz le scene si ripetono: case crollate, detriti ovunque, famiglie spaccate e vite portate via; accampamenti autocostruiti fatti di teli e coperte lontano dalle macerie; feriti con bende di fortuna e persone che cercano di salvare il salvabile dai resti delle proprie case. Ogni tanto c’è qualche tenda messa a disposizione da una ONG o dallo stato, ma la maggior parte degli aiuti sono dati dall’autorganizzazione della comunità e anche dalla solidarietà diretta delle persone che da Marrakech si sono mosse verso le zona più colpite.

A Tafeghaghte anche gli animali sono morti, togliendo uno dei pochi introiti agli abitanti dei centri più poveri. Camminando lungo la strada si vedono ancora i cadaveri di asini e capre mezzi sepolti e coperti di polvere. Il tanfo di morte impregna l’aria. La povertà uccide due volte. I paesi più colpiti sono infatti quelli meno benestanti, con le case costruite di terra, argilla e qualche mattone. Sono gli stessi centri abitati dove le strade non sono asfaltate e sono poco accessibili. Sono i villaggi dimenticati, proprio perché già poveri. «Qui abbiamo fatto tutto da soli. Abbiamo tirato fuori noi i corpi, nessuno ci ha aiutato. Solo ora arriva qualche aiuto» dicono dal villaggio berbero di Tafeghaghte, altra zona devastata dal sisma. Anche qui sono poche le case in piedi.

Si parla di circa 380.000 persone toccate dal terremoto che hanno bisogno di aiuti. Per ora il Marocco ha concesso solo a quattro stati di mandare soccorsi, ovvero Regno Unito, Spagna, Qatar e Emirati Arabi. Numerosi altri sono in attesa di risposta. «Bisogna continuare a sperare. È triste. Ma come facciamo? Non possiamo fare tornare indietro i morti. Li piangiamo. Abbiamo anche perso tutto. Dobbiamo capire come andare avanti». Ci saluta così Ibrahim, prima di allontanarsi nella notte. Domani, continuano le ricerche.

[testo e foto di Monica Cillerai]

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