Dopo le previsioni della Commissione europea rispetto a una forte frenata della crescita dell’economia italiana sia nel 2023 che nel 2024, è arrivato il monito della banca d’affari americana Morgan Stanley, secondo la quale «un bilancio 2024 complesso renderà questo autunno probabilmente molto impegnativo per il governo». La banca americana evidenzia come il Pil italiano nel secondo trimestre sia calato più del previsto (- 0,4%) e anche se non esclude «un balzo nel terzo trimestre», avvisa che «indicatori come il PMI e le prospettive per l’economia tedesca indicano un margine di miglioramento limitato». Le stime sono state riviste al ribasso sia per il 2023 che per il 2024 allo 0,8%, rispetto al precedente 1% previsto per l’anno in corso e allo 0,9% previsto per il prossimo. La conclusione degli analisti di Morgan Stanley è che «una recessione non può essere esclusa del tutto».
Da qui, la previsione di un disavanzo pubblico più elevato e contemporaneamente una crescita del Pil più debole che si rifletterà sull’andamento dei tassi d’interesse da pagare agli investitori di BTP. «Prevediamo che lo spread tra i titoli i Btp e i Bund a 10 anni tornerà a 200/210 punti base entro la fine dell’anno. […] I fattori di supporto che hanno permesso allo spread di attestarsi a 160 punti base si sono dissolti», scrivono gli analisti. Ad alimentare il differenziale di rendimento tra i titoli italiani e tedeschi sarebbero «vari fattori, tra cui il deterioramento dei dati sull’attività dell’eurozona, una preferenza per la duration rispetto al credito e un potenziale annuncio della Bce riguardo agli investimenti Pepp», il programma di acquisto di titoli varato per aiutare le economie dell’Eurozona durante il picco della pandemia, che al momento prevede reinvestimenti almeno fino alla fine del 2024.
L’analisi di Morgan Stanley sostiene che una crescita più debole si tradurrà probabilmente in «un aumento del deficit fiscale» nel 2023 e nel 2024, con «il costo più elevato dei crediti d’imposta per la ristrutturazione, come il Superbonus» che «potrebbe essere un driver di questo aumento». Il deficit è atteso al 5% nel 2023 ma «l’inclusione di 30 miliardi di spese extra per il Superbonus potrebbe farlo aumentare di 1,5 punti percentuali quest’anno» mentre nel 2024 viene visto al «4,2%, rispetto al 3,7% previsto dal governo ad aprile». Il tutto potrebbe essere peggiorato dal ritorno imminente del Patto di Stabilità – sospeso durante il periodo pandemico – che ridurrà ulteriormente la possibilità dello Stato di ricorrere al deficit pubblico.
Non è certamente la prima volta che le agenzie di rating o gli analisti bancari lanciano avvertimenti all’Italia sulla tenuta dei suoi conti pubblici e sulla sua affidabilità creditizia: si tratta infatti di un modo per esercitare pressioni politico-economiche sui governi e per far sì che gli stessi si attengano alle riforme e alle regole fiscali stabilite da Bruxelles e sostenute dagli ambienti finanziari internazionali. Già lo scorso autunno, in vista della manovra per il 2023, l’agenzia di valutazione Moody’s, in un rapporto, era tornata ad avvertire l’Italia sul rischio di declassamento del rating – ossia la valutazione sull’affidabilità del debito sovrano – in caso di mancata attuazione delle riforme strutturali, comprese quelle previste dal PNRR. Si tratta, dunque, di una pratica consolidata che torna alla ribalta ciclicamente in occasione di cambi di governo, elezioni o del varo della manovra economica. Tali moniti possono a tutti gli effetti essere visti come ingerenze nelle decisioni economiche di Paesi terzi da parte di banche straniere che usano la leva finanziaria e l’ormai consueto “ricatto” dello spread per assicurarsi che il governo di Roma si attenga scrupolosamente a politiche economiche restrittive in nome del dogma dei conti pubblici in ordine, prospettando – diversamente – un costo più alto per il collocamento dei BTP (buoni del Tesoro poliennali) a causa della scarsa fiducia dei mercati.
Tuttavia, ad innescare l’eventuale incertezza dei mercati, ossia degli investitori internazionali, rispetto al debito pubblico italiano sono proprio gli allarmi – spesso ingiustificati – degli organismi e delle agenzie finanziarie, in quanto è stato dimostrato che lo spread può essere ridotto o addirittura azzerato solo con la garanzia sui titoli di una banca centrale e non con l’austerità di bilancio: la rigida austerità fiscale portata avanti dal governo Monti nel 2012, ad esempio, non è servita a far calare il differenziale di rendimento tra BTP e Bund tedeschi. Il crollo dello spread, invece, si è avuto solo con l’annuncio di Mario Draghi di un intervento massiccio della BCE.
Morgan Stanley, dunque, insieme alle altre istituzioni finanziarie internazionali, monitora attentamente il corso e la politica fiscale italiana, mettendo l’accento sulla frenata della crescita della Penisola, in buona parte dovuta a fattori esterni, quali la recessione della locomotiva economica europea – la Germania – e le sfavorevoli congiunture internazionali, ma anche interni: tra questi vanno sicuramente annoverate le politiche economiche restrittive che l’Italia persegue da decenni in nome dell’austerità fiscale propugnata da Bruxelles e dall’ambiente finanziario d’oltreoceano.
[di Giorgia Audiello]
Tranquilli i Meloni ci sono e per il Prosciutto ci penseranno Emilia Romagna e Friuli!
Povera Italia dei Meloni invece che dei Draghi.