Un gruppo di 67 donne groenlandesi, di etnia inuit, ha chiesto al Governo danese un risarcimento di circa 40mila euro per ciascuna per avergli impiantato fra gli anni ’60 e ’70 – quando alcune di loro erano ancora adolescenti – un dispositivo contraccettivo senza che ne fossero a conoscenza o avessero dato il proprio consenso. In totale le vittime del ‘programma’, istituito dalla Danimarca per contenere le nascite nel territorio artico, sono almeno 4.500, molte delle quali venute a conoscenza solo poco tempo fa di quanto accadutogli in passato. È stata Naja Lyberth, una delle 67 donne, a denunciare per prima di aver subito l’impianto di una spirale contraccettiva durante una visita medica a scuola, senza che lei o i suoi genitori ne avessero dato il consenso. La sua storia si è tuttavia diffusa solo dopo alcuni anni, grazie alla pubblicazione di un podcast (chiamato ‘Spiralkampagnen’), prodotto dall’emittente pubblica danese. Quest’ultima, passando in rassegna gli archivi nazionali, è riuscita a scovare i documenti necessari a dimostrare che quanto sostenuto da Lyberth è vero.
Dopo l’uscita del podcast, il Governo danese e quello autonomo della Groenlandia hanno deciso nel 2022 di istituire una commissione di indagine indipendente, messa in piedi – seppure a fatica e con molti ritardi – per esaminare quanto accaduto in quegli anni alle donne inuit. I risultati dell’inchiesta dovrebbero essere resi noti nella primavera del 2025, ma il gruppo vorrebbe che i risarcimenti venissero distribuiti già prima della data: molte delle donne coinvolte nella vicenda sono già piuttosto anziane, e potrebbero non goderne mai. Se il Governo dovesse rifiutare tale condizione, le 67 denuncianti hanno dichiarato di voler portare il caso in tribunale, così da rimarcare quanto gli accadimenti abbiano compromesso la vita e la salute di molte di loro. Se Lyberth è riuscita in seguito, per esempio, ad avere dei figli, per alcune delle vittime non è stato lo stesso. In molte la mancanza di cure post – impianto ha provocato forti dolori addominali, emorragie, infezioni e sterilità – seguita in alcuni casi all’asportazione dell’utero.
Non è la prima volta che la storia degli inuit si scontra con quella danese. Nel 2020 Mette Frederiksen, la prima ministra danese Mette Frederiksen, si era scusata con la popolazione per un altro fatto accaduto circa settant’anni prima. Nel 1951, infatti, 22 bambini groenlandesi tra i sei e i dieci anni furono separati dalle proprie famiglie inuit e caricati su una nave alla volta della Danimarca. Il piano prevedeva che i piccoli , una volta giunti in Europa, venissero ‘rieducati’ in stile Occidentale, così da portare ‘modernità’ e ‘civiltà’ una volta tornati a casa. In realtà fecero ritorno, un anno dopo, solo 16 di loro – a 6 di questi è stato recentemente riconosciuto un risarcimento – rinchiusi in un orfanotrofio per impedirgli di tornare alle ‘vecchie’ abitudini locali, giudicate arretrate e incivili.
Nonostante la Groenlandia, un’isola posta geograficamente fra l’Arcipelago artico canadese e l’Islanda, goda dal 1979 di autonomia interna, che prevede un’assemblea legislativa propria e un governo proprio, non ha mai smesso di essere difatti una colonia danese – o una contea, come è chiamata dal 1953.
Se da una parte il Paese può godere di una propria bandiera, lingua, cultura, istituzioni e primo ministro, dall’altra la valuta, il sistema giudiziario e gli affari esteri e di sicurezza sono sotto l’autorità della Danimarca.
[di Gloria Ferrari]
Hanno precorso i tempi
Hanno fatto su un piccolo gruppo quello che l’OMS di Bill Gates vuole fare a livello planetario.