Il 26 aprile 1986 una enorme e mai prima registrata quantità di materiali radioattivi fu rilasciata nell’ambiente a causa dell’esplosione della centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina. La contaminazione interessò non solo le aree vicine alla centrale, ma si diffuse in diverse aree di Bielorussia, Ucraina e Russia e, in modo minore, anche in altre parti dell’Europa, Italia compresa. La nube radioattiva scaturita dall’incidente, che venne in seguito classificato come catastrofico e con il livello 7 di pericolosità massima, nel giro di 10 giorni si depositò su tutta l’Europa e i Balcani. A quasi quarant’anni di distanza le conseguenze del grande disastro nucleare continuano a farsi sentire.
Chernobyl e tumori della tiroide
Fin da subito fu grande la preoccupazione circa le conseguenze a lungo termine sulla salute della popolazione nelle vicinanze dell’impianto. Le sostanze radioattive, infatti, penetrano nel corpo umano, essendo inalate, o ingerite tramite alimenti contaminati, e negli anni possono far aumentare il rischio di sviluppare malattie, compresi i tumori.
È stato documentato come il disastro di Chernobyl abbia provocato un aumento dei casi di tumore della tiroide nelle zone vicine all’incidente (oltre all’Ucraina, anche Russia e Bielorussia), soprattutto nei bambini, con un incremento anche fino a 10 volte rispetto al periodo precedente il disastro. Tra le sostanze tossiche rilasciate dalla nube di Chernobyl, infatti, quella più abbondante, è stato lo iodio radioattivo. Dopo l’inalazione o l’ingestione, questo elemento viene assorbito e accumulato nella tiroide, che normalmente lo utilizza per formare gli ormoni tiroidei. I residenti delle zone di Chernobyl hanno assorbito lo iodio-radioattivo soprattutto attraverso il latte fresco proveniente dai pascoli contaminati. In particolare, i bambini sono stati più sensibili all’esposizione allo iodio perché consumano quantità maggiori di latte e latticini, ma soprattutto perché hanno una maggiore richiesta di iodio, dal momento che l’ormone tiroideo è fondamentale per la crescita. Fortunatamente il tumore della tiroide è un cancro, in genere, con un buona probabilità di guarigione.
Importanza della iodio-profilassi
Ingerire la quantità corretta di iodio è importante, non solo per prevenire le malattie della tiroide (noduli ed ipotiroidismo) ma anche per prevenire i tumori tiroidei provocati dalla liberazione di iodio radioattivo nell’ambiente. La tiroide è avida di iodio e lo diventa ancora di più se ne ingeriamo poco in generale con la dieta. Lo iodio-radioattivo è stato maggiormente captato e trattenuto dalla tiroide dei bambini cresciuti nei Paesi con carenza di iodio e questo spiega l’alta incidenza di tumore della tiroide nelle aree contaminate dallo iodio radioattivo di Chernobyl.
Nel caso di incidenti nucleari, l’accumulo di iodio radioattivo nella tiroide può essere bloccato somministrando alte dosi di iodio per tempo, prima dell’esposizione o poche ore dopo l’inizio (iodio-profilassi terapeutica). Questo è esattamente il motivo per cui sentiamo parlare nei media di pastiglie di iodio da assumere in caso di guerra nucleare o attacco con armi nucleari, come è successo di recente anche durante i primi mesi della guerra tra Russia e Ucraina. Ma il problema della pericolosità delle sostanze radioattive purtroppo non si risolve così facilmente: oltre allo iodio radioattivo ci sono molte altre sostanze pericolose quando scoppia un reattore nucleare o si sgancia una bomba nucleare, per esempio il cesio radioattivo è una di queste altre sostanze, che sfortunatamente quando cade su un terreno ha tempi di dimezzamento di circa 30 anni, ovvero rimane attivo e pericoloso per lungo tempo.
Gli effetti di Chernobyl sulla salute delle nuove generazioni
L’esposizione alle radiazioni rilasciate dal disastro della centrale nucleare del 1986 ha aumentato il rischio di tumori alla tiroide dovuti al danno al DNA tra la popolazione dell’area coinvolta, ma non ha prodotto mutazioni genetiche trasmissibili alle generazioni successive. È quanto emerge da due estese e approfondite analisi genomiche su persone vissute nella regione all’epoca del disastro e sui loro figli. Si tratta di due diversi studi pubblicati su Science, uno dei quali non ha rilevato conseguenze di rilievo nel genoma dei figli delle persone esposte, mentre l’altro ha documentato l’origine molecolare del danno che ha portato all’insorgenza delle neoplasie, collegandolo alle radiazioni.
Nel primo studio, Meredith Yeager del National Cancer Institute a Rockville, nel Maryland, e colleghi si sono concentrati sulle possibili conseguenze delle radiazioni di Chernobyl nella generazione successiva a quella esposta. A questo scopo, hanno analizzato il genoma di 130 soggetti nati tra il 1987 e il 2002 da coppie di genitori in cui almeno uno dei due partner era stato esposto alla nube radioattiva. Gli autori hanno analizzato in particolare le possibili mutazioni genetiche. Il risultato è che l’incidenza di queste mutazioni è paragonabile a quella riportata nella popolazione generale, indicando che le radiazioni di Chernobyl hanno avuto un impatto minimo sui discendenti della generazione esposta, almeno dal punto di vista genetico.
Nel secondo studio i ricercatori hanno indagato sul rischio di insorgenza di cancro nella popolazione esposta alla contaminazione radioattiva di Chernobyl, focalizzando l’attenzione sui tumori della tiroide. Dai dati è emerso chiaramente che a generare il tumore tiroideo è stato il danno al DNA indotto dalla radiazione, la cui impronta è rintracciabile in una specifica alterazione chiamata rottura del doppio filamento. Inoltre, l’analisi ha mostrato che il danno genomico era più grave nei soggetti esposti in età più giovane ed era proporzionale alla dose di radiazioni assorbita.
[di Gianpaolo Usai]