mercoledì 18 Dicembre 2024

Infiltrazioni mafiose: in Italia ogni mese viene sciolta un’amministrazione locale

Dal 1° gennaio 2022 al 30 settembre 2023 sono stati sciolti per mafia ben 18 enti locali in tutta Italia. È quanto emerge dal dossier di avviso pubblico La linea della Palma sui Comuni sciolti per infiltrazioni della criminalità organizzata – curato dall’Osservatorio Parlamentare – in cui si attesta come in Italia, nell’arco di quasi due anni, si sia verificata la media di uno scioglimento ogni mese. Dal 1991, anno in cui è stata introdotta la normativa di riferimento, oggi delineata dall’art. 143 del Testo Unico sugli Enti Locali, al 30 settembre del 2023 sono stati partoriti in tutto 383 decreti di scioglimento in undici regioni della Penisola, di cui sei nel Nord o nel Centro Italia. Inoltre, i recenti scioglimenti del Comune di Caivano (Campania) e Capistrano (Calabria) non sono compresi nella ricerca, essendo avvenuti dopo la sua chiusura. Il report evidenzia poi che 76 Amministrazioni hanno subito più di uno scioglimento e che l’offensiva mafiosa si sia concentrata maggiormente sui piccoli Comuni (il 72% dei Comuni sciolti ha meno di 20mila abitanti, il 52% meno di 10mila), dove la criminalità organizzata può godere maggiori garanzie in termini di controllo del territorio e della società civile, anche grazie alla scarsità dei presidi delle forze di polizia e della ridotta attenzione mediatica.

Tracciando un bilancio, Avviso Pubblico rileva come le infiltrazioni nei Comuni, “lungi dal costituire un dato episodico”, rappresentano un “dispositivo strutturale dei clan”, capaci di ottenere “occasioni strategiche di radicamento territoriale e di arricchimento”. In particolare, l’associazione evidenzia che, sebbene “non manchino pressioni, minacce e intimidazioni sulle amministrazioni o durante il delicato momento delle campagne elettorali”, la strategia privilegiata dai clan “è quella utilitaristica”, che li spinge “a sfruttare ogni varco e ogni relazione possibile, anche con l’imprenditoria”. Proprio per questo motivo, nonostante fino a oggi il 95% degli scioglimenti si concentri in quattro regioni del Sud – Calabria, Campania, Sicilia e Puglia – risultano ormai in crescita esponenziale anche gli scioglimenti di Enti Locali nel territorio del Nord e del Centro Italia, il cui retroterra economico si presenta estremamente funzionale agli investimenti illegali delle mafie. I numeri, d’altronde, parlano chiaro: nella fase compresa tra il 1991 e il 2010, in quest’area sono stati sciolti per mafia solo 2 comuni; dal 2011 al 2022, gli scioglimenti sono stati ben 11. Tra gli ambiti prediletti della criminalità organizzata al Nord e al Centro Italia, ci sono gli affari nel settore degli appalti, dei lavori pubblici, dell’edilizia privata, oltre a quello patrimoniale-finanziario, delle risorse umane e, ovviamente, del voto di scambio.

Solo nel 2023, sono stati sciolti per mafia 9 comuni. In Sicilia, Mojo Alcantara (Messina), Castiglione di Sicilia e Palagonia (Catania); in Calabria, Scilla (Reggio Calabria), Rende (Cosenza), Acquaro e Capistrano (Vibo Valentia); in Puglia, Orta Nova (Foggia); in Campania, Caivano (Napoli), al suo secondo scioglimento. Per quanto riguarda il Nord Italia, il primo comune a essere sciolto per infiltrazioni mafiose fu, nel 1995, Bardonecchia (Torino). Negli anni successivi, lo stesso è accaduto, tra gli altri, a Sedriano (che fu il primo caso nella regione Lombardia), Brescello (Reggio Emilia), Lavagna (Genova). Soltanto tre anni fa, è stato sciolto addirittura un comune della Valle D’Aosta, Saint-Pierre. Per quanto riguarda il Lazio, e in particolare la provincia di Roma – che le relazioni della Dia hanno inquadrato come territorio di battaglia e di conquista di decine di clan – sono stati sciolti per mafia Nettuno (per due volte), Anzio ed Ostia. Tale circostanza, come ricorda Avviso Pubblico, “esprime la diffusione a macchia d’olio del fenomeno mafioso, capace di inquinare enti locali limitrofi con l’obiettivo di conquistare il controllo del territorio e di garantirsi un ruolo dominante anche nella gestione della cosa pubblica, a discapito della collettività”.

[di Stefano Baudino]

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