giovedì 21 Novembre 2024

Le mire territoriali del Venezuela riportano i venti di guerra anche in Sudamerica

Una diatriba territoriale pluridecennale rischia di accendere un conflitto in Sudamerica. Stiamo parlando della regione Esequiba, facente parte della Guayana ma contesa da decenni tra la medesima e il Venezuela, che ne rivendica la sovranità. Le tensioni stanno aumentando con l’avvicinarsi del 3 dicembre, giorno per il quale le autorità venezuelane hanno convocato un referendum popolare nel quale i cittadini venezuelani saranno chiamati a decidere se annettere alla repubblica bolivariana il territorio di Esequiba, i suoi 128mila abitanti (i quali non avranno però diritto di esprimersi) e soprattutto gli abbondanti giacimenti di petrolio e gas scoperti nel suo sottosuolo. Il timore è quello che, all’indomani del referendum, il Venezuela possa muovere le proprie truppe alla conquista del territorio, eventualità che potrebbe riportare il tema delle guerre territoriali anche in America Latina. Nel tentativo di spingere il presidente venezuelano Nicolas Maduro a desistere dagli intenti espansionistici, il suo omologo brasiliano Lula ha deciso di mobilitare le truppe intensificando le “azioni difensive” lungo i confini.

Il 3 dicembre i cittadini venezuelani saranno chiamati alle urne per rispondere a cinque quesiti referendari in merito ai “diritti dell’Esequiba”, ignorando i proclami contrari della Guayana e il parere della Corte Internazionale di Giustizia (CIG), verso la quale pende il ricorso della Guayana che chiede che il referendum sia considerato nullo sulla base delle leggi internazionali. Il governo del Venezuela ha confermato che andrà avanti qualunque cosa accada. Il presidente venezuelano Nicolás Maduro ha gettato tutto il peso del suo governo nello sforzo di convocare gli elettori alle urne per rispondere a cinque domande circa la possibilità di annessione e di concessione della cittadinanza venezuelana ai residenti attuali e futuri della regione. Maduro ha inoltre denunciato che gli Stati Uniti, la Guyana e la compagnia petrolifera ExxonMobil stanno cercando di sabotare o impedire il referendum sul territorio di Essequibo previsto per domenica. «Dico al governo della Guyana, alla ExxonMobil e al Comando Sud degli Stati Uniti che domenica 3 dicembre, in Venezuela, con pioggia, tuoni o fulmini, la patria si sveglierà benedetta e la gente sarà nelle strade a votare e a decidere, perché in Venezuela è il popolo a governare», ha detto il Presidente Venezuelano.

I rapporti dell’intelligence brasiliana suggeriscono la possibilità concreta che dopo il referendum del 3 dicembre il Venezuela intraprenda una mossa militare contro la Repubblica di Guyana, sollevando preoccupazioni per la stabilità regionale e le dispute territoriali in Sud America. Il Brasile «ha intensificato le azioni difensive» lungo il suo confine settentrionale mentre monitora i suoi vicini, Guyana e Venezuela, come riferito dal ministero della Difesa. «Il Ministero della Difesa ha monitorato la situazione. Le azioni difensive sono state intensificate nella regione di confine settentrionale del Paese, promuovendo una maggiore presenza militare», si legge in un comunicato.

Le rivendicazioni del Venezuela sull’Esequiba, fonte di una disputa territoriale di lunga data, si sono riaccese negli ultimi anni dopo la scoperta di ingenti riserve di petrolio e gas da parte della Guyana all’interno del proprio territorio e al largo delle coste. Parliamo di una regione grande 160 mila chilometri quadrati su una superficie totale della Guayana di 215 mila chilometri quadrati, più di due terzi dell’intero territorio nazionale. Il contenzioso è tornato centrale nel settembre scorso quando la Guayana ha ricevuto diverse offerte per l’esplorazione e l’estrazione delle risorse fossili da diverse aziende del settore, tra cui alcune cinesi così come la già citata Exxon Mobile. E così, il 23 settembre di quest’anno, l’Assemblea Nazionale del Venezuela ha approvato una risoluzione che chiede un referendum in merito alla sua rivendicazione del territorio assegnato alla Guyana Britannica nel 1899.

Mappa della Guyana Essequiba; L’area delineata in arancione costituisce l’area rivendicata dal Venezuela [fonte: Wikimedia commons]
Il confine tra Guyana e Venezuela è stato stabilito da un trattato e da un processo legale vincolante che il Venezuela ha avviato 124 anni fa. Con il Trattato di Washington del 1897, il Venezuela concordò con gli inglesi che l’arbitrato sarebbe stato un “accordo completo, perfetto e definitivo” del confine. Il cosiddetto “Lodo Arbitrale” fu emesso nel 1899. Il lodo arbitrale concesse l’Esequiba alla Guyana, un tempo colonia del Regno Unito. Tuttavia, sin dagli anni 1960, il Venezuela ha contestato la decisione. Per affrontare la controversia, il Regno Unito e il Venezuela hanno firmato l’Accordo di Ginevra del 1966. Nello stesso anno, dopo aver ottenuto l’indipendenza, la Guyana è diventata parte dell’accordo, che, all’articolo IV, paragrafo 2, stabilisce che nel caso in cui le controparti non fossero riuscite a raggiungere un accordo, il Segretario generale delle Nazioni Unite avrebbe determinato il metodo di risoluzione delle controversie. Dopo il fallimento delle trattative e la rottura delle relazioni diplomatiche tra Venezuela e Guyana nel 2018, il Segretario generale ha scelto di sottoporre il caso alla Corte internazionale di giustizia, spingendo la Guyana ad avviare formalmente il procedimento.

Il Venezuela si è tuttavia opposto alla giurisdizione della Corte, astenendosi dal presentare un contro-memoriale e decidendo di non riconoscerne l’autorità sulla questione. Il 31 ottobre 2023 la Guyana ha chiesto misure provvisorie in relazione all’imminente referendum in Venezuela del 3 dicembre 2023. Il 14 novembre La Guyana ha chiesto alla Corte di emettere un ordine di emergenza nei confronti del Venezuela. La CIG potrebbe esprimersi a breve intimando al Venezuela di non procedere con il referendum mentre da Carcas fanno sapere che, in un modo o nell’altro, il Venezuela procederà con le votazioni e poi intraprenderà ogni mossa affinché il risultato delle urne sia rispettato.

[di Michele Manfrin]

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