lunedì 25 Novembre 2024

L’incidente in Calabria fa scattare la rabbia dei ferrovieri: è sciopero nazionale

Ritardi, code alle stazioni, cancellazioni. I lavoratori del settore ferroviario, dopo l’ennesimo incidente mortale che è costato la vita a due persone, hanno deciso di incrociare le braccia per chiedere maggiori tutele. Ieri è toccato al personale iscritto ai sindacati FILT CGIL, FIT CISL, Uiltrasporti, UGL Ferrovieri, ORSA trasporti e Fast CONFSAL, per un’adesione che in certe stazioni ha toccato punte fino al 100%. Oggi invece hanno manifestato il proprio dissenso i lavoratori iscritti ai sindacati di base CUB trasporti, CAT, SGB e USB, con uno sciopero che durerà fino alle 21 di questa sera. In entrambi i casi le organizzazioni sindacali hanno indetto l’astensione dal lavoro senza preavviso, facendo appello all’articolo 2, comma 7, della legge 146/90, secondo cui le disposizioni relative al preavviso minimo e all’indicazione della durata non si applicano per le proteste “in difesa dell’ordine costituzionale o di protesta per gravi eventi lesivi dell’incolumità e della sicurezza dei lavoratori”. Scelta che il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini, ormai un habitué della precettazione, non ha digerito, parlando di “scene indegne alle stazioni”.

Ritardi e cancellazioni nel trasporto ferroviario, 30 novembre 2023.

Lo scorso martedì sera, a Corigliano-Rossano (Cosenza), un treno regionale ha travolto un camion rimasto bloccato all’interno del passaggio a livello, uno dei sei disseminati sul territorio comunale. In seguito all’incidente, su cui sta indagando la Procura di Castrovillari, sono morte due persone: la capotreno del convoglio e il conducente del camion. I sindacati hanno immediatamente risposto con uno sciopero, denunciando “un sistema infrastrutturale dimostratosi ancora una volta inadeguato per utenza e lavoratori”. L’accusa è rivolta principalmente alla mancata installazione del PAI-PL, sistema di sicurezza in grado di comunicare presenze anomale tra le sbarre abbassate, mantenendo il segnale semaforico al rosso e consentendo ai treni di potersi fermare prima di un eventuale impatto. Il prezzo per la realizzazione di tale sistema di sicurezza, secondo quanto riportato nel tariffario ufficiale, ammonta a meno di 50 mila euro.

Sul treno regionale 5677, partito da Sibari e diretto a Catanzaro, erano presenti altre dieci persone, ferite solo lievemente. Un numero all’apparenza strano, esiguo, considerato l’orario e la tratta da “pendolari”. Un numero che però acquisisce un senso se si tiene conto dello stato dei convogli nel Mezzogiorno, soprattutto nelle (tante) tratte dove l’alta velocità è solo un sogno e a regnare è la legge del poco: poche corse, pochi (e vecchi) vagoni, poco ammodernamento del pluridecennale materiale rotabile. Abbondano invece i tempi di percorrenza e i disagi per i cittadini, lesi nella tutela del principio di uguaglianza (articolo 3 della Costituzione).

Stando agli ultimi dati ISPRA, la rete ferroviaria italiana è composta da 17.333 chilometri di binari, concentrati principalmente al nord in una quota pari al 43 per cento del totale (7.538 chilometri). Seguono il sud e le isole, con una rete di 5.714 chilometri, mentre chiude la classifica il centro con 3.457 chilometri di binari. La rete ferroviaria italiana può essere misurata anche dal punto di vista qualitativo: è possibile distinguere, seguendo un decrescendo tecnologico, tra rete elettrificata a binario doppio, rete elettrificata a binario semplice e rete non elettrificata, la predominante al sud e nelle isole, dove copre il 42 per cento del totale. Al centro e al nord la quota crolla, attestandosi rispettivamente al 20 al 22 per cento. Come riporta Legambiente, in Puglia, Basilicata e Campania l’età media del materiale rotabile è pari a 19,7 anni. Seguono Sicilia e Calabria, con un’età media di 19,1 e 18,9 anni, a fronte di una media nazionale pari a 15,4.

Treno delle Ferrovie dello Stato in Sicilia.

Il sistema ferroviario italiano non brilla. Lo fa ancora meno nel Mezzogiorno, che paga decenni di investimenti statali mancati e politiche locali inefficaci, tra dispersione di risorse e cantieri mai realizzati. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), dal sapore di ultimatum per un’Italia a velocità unica, continua ad attirare critiche per i ritardi accumulati. «Le misure che potrebbero non rispettare le tempistiche prefissate, e quindi a rischio fallimento risultano essere ancora 78, con una dimensione finanziaria di oltre 83 miliardi, di cui 39 (il 47% circa) riguardanti interventi localizzati nelle regioni del sud Italia», ha dichiarato il segretario confederale della CGIL Christian Ferrari lo scorso settembre, al termine di un confronto con il governo. Alla Camera dei Deputati è stato di recente presentato il Rapporto annuale sulle infrastrutture strategiche prioritarie 2023, in cui vengono delineati il loro costo, pari a 448 miliardi di euro, e la relativa copertura finanziaria, che ammonta però al 70 per cento del totale: 315 miliardi di euro. «Tutto il sistema avrebbe dovuto puntare a maggiori investimenti» nel Mezzogiorno, «invece abbiamo 181 miliardi di euro al nord contro i 158 al sud», ha dichiarato il presidente di ANAC Giuseppe Busìa, in riferimento alla ripartizione dei fondi per le infrastrutture strategiche prioritarie.

[di Salvatore Toscano]

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