Questo lunedì la Corte Suprema indiana ha confermato la revoca dell’autonomia alla regione del Kashmir – unica regione indiana a prevalenza musulmana – che era stata promulgata il 5 agosto 2019 dal premier Narendra Modi, esponente del Partito del Popolo Indiano e promotore di una politica di stampo fortemente indù-nazionalista. La sentenza della Corte si configura come un evento dalla portata storica, che rischia di riaccendere i conflitti territoriali che coinvolgono la regione del Jammu e Kashmir, da anni contesa tra le potenze nucleari di India e Pakistan sotto l’occhio vigile e interessato della Cina. L’abolizione delle leggi che reggevano l’autonomia della regione del Kashmir si colloca infatti in un ben più ampio progetto nazionalista volto a trasformare l’India in uno Stato indù, che il premier Modi porta avanti da anni e che si accompagna – come spesso accade ai nazionalismi – a mire territoriali espansionistiche.
La storia dei conflitti nel Kashmir è vecchia almeno quanto India e Pakistan, i due Stati primariamente coinvolti, proclamati indipendenti nel 1947 in seguito alla dissoluzione dei domini britannici. Quello stesso anno ebbe luogo la prima guerra indo-pakistana, che costrinse il Maharaja del Kashmir, che non sapeva a quale dei due Stati affiliarsi, a chiedere aiuto all’India e a federarsi a essa. Gli scontri si fermarono nel 1949 quando l’ONU divise l’area kashmira affidando i 2/3 orientali all’India e il restante 1/3 occidentale al Pakistan, scontentando di fatto entrambe le parti, ma agli inizi degli anni ’60 fu la volta della Cina di rivendicare parte del territorio kashmiro (in particolare l’area vicina al Tibet, da sempre oggetto di reclamazioni cinesi); dopo una serie di schermaglie e violazioni di confine, la situazione si inasprì, e nel 1962 la Cina lanciò un devastante attacco lampo che sconfisse rovinosamente le forze dell’India e dei suoi alleati statunitensi.
Il 1965 Pakistan cercò di emulare la Cina, ma il tentativo di iniziare e terminare la campagna rapidamente fallì, e finì per sfociare nella seconda guerra indo-pakistana. Questa fu la prima occasione dalla nascita dei due Stati in cui India e Pakistan fecero uso delle proprie forze aeree ponendole l’una contro l’altra, e vide uno dei più brutali impieghi di schieramenti corazzati dal secondo dopoguerra a oggi. Al secondo conflitto, terminato con la dichiarazione di Tashkent (che sanciva sostanzialmente la vittoria dell’India), ne seguì un terzo nel 1971: questo si rivelò il più grande tra gli scontri che coinvolsero la regione del Kashmir, e scoppiò in occasione della guerra di liberazione bengalese. Alla fine di esso fu siglato l’accordo di Simla, col quale si consolidarono i confini già abbozzati nel 1949, e la Linea di controllo si consolidò come tratto di demarcazione tra i due Stati, senza tuttavia costituire un vero e proprio confine internazionale riconosciuto, lasciando aperte le rivendicazioni unilaterali.
Nel corso degli anni l’area kashmira fu oggetto di numerosi altri scontri (interni ed esterni) che tuttavia non sono mai degenerati a tal punto da causare una quarta guerra indo-pakistana. La situazione apparentemente statica è tuttavia andata sempre peggiorandosi nel corso degli anni, perché il Pakistan ha continuato a rivendicare il diritto sul Kashmir, e la stessa popolazione kashmira ha sviluppato sempre più un sentimento di indipendenza. Il senso di identità della popolazione del Jammu e Kashmir è avvalorato proprio dagli articoli della costituzione che furono oggetto di revisione nel 2019, i quali fornivano una sostanziale autonomia amministrativa alla regione. Prima dell’avvento di Modi, infatti, il Kashmir era dotato di una costituzione propria, garantitagli dall’articolo 370 della costituzione indiana, che forniva alla regione la totale libertà di delibera su qualsiasi materia a esclusione degli esteri, della difesa e della comunicazione; l’articolo 370 era poi accompagnato dal 35a, che impediva la possibilità di acquistare terreni a chi non fosse del Kashmir.
Il PPI portava avanti un’aspra battaglia contro l’autonomia del Kashmir, già prima delle elezioni, promettendo ai cittadini l’abolizione degli articoli 370 e 35a. Nel 2014 Modi fu eletto a premier e confermò la campagna di rivalutazione della regione del Kashmir, dapprima smembrandola in due diverse regioni, e, successivamente, cancellandone i privilegi con la riforma del 2019. Le mire del premier indiano sono pienamente comprensibili se si considera il suo vasto progetto di nazionalizzazione dell’India, fondato sulla conversione del Paese in uno Stato indù. Il processo di indianizzazione del Kashmir suggerisce una possibile escalation dei conflitti interni e un eventuale riaffiorare delle storiche tensioni col Pakistan, mai davvero conclusesi. L’abolizione degli articoli 370 e 35a non è infatti stata presa bene dalla popolazione kashmira, tanto che dopo la riforma del 05 agosto 2019 si è formato il Fronte di Resistenza che ha più volte portato avanti azioni di repressione e attentati terroristici contro la minoranza indù della regione. L’India dal canto suo non è stata a guardare e ha aumentato le azioni di rappresaglia e gli arresti nella regione del Jammu e Kashmir.
È dal 2020 ormai che gli scontri si sono riaccesi. Il Pakistan, come si può vedere dalle dichiarazioni su X del ministro degli esteri, appoggia apertamente il Kashmir e mira a conquistare i 2/3 della regione che reputa essergli stati indebitamente sottratti; l’India, invece, porta avanti da ormai quasi un decennio una politica di stampo nazionalista che non accenna a fermarsi e che pare volere concretizzare delle sempre più evidenti mire espansionistiche. Con la decisione della Corte Suprema tanto ben accolta da Modi, la situazione rischia una escalation senza precedenti che, se dovesse verificarsi, riaccenderebbe un conflitto vecchio quanto i Paesi coinvolti, e che pare non voler terminare.
[di Dario Lucisano]
Mi verrebbe da dire che la vincono sempre gli assassini, in India hanno assassinato il troppo dialogante Ghandi e il nazionalismo padroneggia, in USA i Kennedy ed idem, in Israele Rabin ed idem, in Italia Moro ed idem.
Ma la guerra è ancora in corso e son convinto che se il bene del dialogo ha perso decine di vite, gli assassini pagheranno un prezzo astronomico al Redde Rationem.