È stata finalmente fissata la data della decisione sull’appello finale contro l’estradizione di Julian Assange negli USA. I giudici dell’Alta Corte di Londra si riuniranno infatti il 20 e 21 febbraio del 2024: la due giorni di udienza potrebbe essere l’ultima possibilità per il giornalista australiano di evitare di essere consegnato alle autorità statunitensi. Dopo l’annuncio della data del processo, i sostenitori della campagna per la libertà di Assange – appoggiata da Amnesty International, dall’Unione nazionale dei giornalisti, da Reporter senza frontiere e da moltissimi sindacati dei diritti civili e dei giornalisti – hanno lanciato una mobilitazione di protesta che si terrà davanti all’Alta Corte di Londra il mattino dell’udienza, alle 8:30, invitando tutti coloro che sostengono la libertà di stampa a unirsi alla manifestazione. Dal nostro Paese, hanno ovviamente risposto presente il gruppo Free Assange Italia e il Comitato per la liberazione di Julian Assange. Se l’estradizione dovesse arrivare, Julian Assange, accusato per la aver pubblicato sul portale WikiLeaks, nel 2010, file riservati del governo americano che hanno svelato i crimini di guerra consumati dagli USA nella prigione di Guantanamo Bay, a Cuba, in Iraq e in Afghanistan, rischierà una condanna fino a 175 anni di carcere.
L’udienza di febbraio si terrà davanti a un collegio composto da due giudici che sarà chiamato a riesaminare una precedente decisione dell’Alta Corte adottata da un giudice monocratico lo scorso 6 giugno 2023. Quest’ultimo ha, infatti, negato all’attivista australiano il permesso di fare appello. La partita che si gioca all’Alta Corte di Londra sarà dunque decisiva e potrà sfociare in due possibili esiti: da un lato si potrà stabilire che Assange abbia ancora l’opportunità di discutere il suo caso davanti ai tribunali nazionali del Regno Unito; dall’altro, la decisione potrà invece definitivamente sancire che l’imputato avrà esaurito i ricorsi a sua disposizione, aprendo la strada al processo di estradizione negli Stati Uniti. Se dovesse perdere anche questa sfida, Assange avrà come ultima possibilità solo quella del ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. “Il giorno X è arrivato. L’udienza pubblica presso la Royal Courts of Justice si terrà il 20 e 21 febbraio – ha commentato sui propri canali social Stella Morris, moglie e avvocatessa del giornalista -. Potrebbe essere l’ultima occasione per il Regno Unito di bloccare l’estradizione di Julian. Ritrovo fuori dal tribunale in entrambi i giorni. È ora o mai più”.
Assange è recluso nel carcere londinese di Belmarsh dal 2019. Se nel gennaio 2021 il Tribunale inglese aveva negato la sua estradizione negli USA, la Corte d’Appello ha ribaltato la decisione. Così, nell’aprile 2022 la Westminster Magistrates’ Court di Londra ha emesso per lui l’ordine formale di estradizione, avallato dalla ministra degli Interni inglese Priti Patel. Se estradato negli Usa, Assange potrebbe affrontare 18 capi d’accusa: 17 ai sensi della Legge sullo spionaggio e uno ai sensi della Legge sulle frodi e gli abusi informatici. Dallo scorso anno, però, sono state tante le voci che si sono sollevate in suo favore, a livello globale, nel mondo dell’associazionismo, dell’editoria e della politica. The Guardian, The New York Times, Le Monde, Der Spiegel e El País, testate che hanno collaborato professionalmente con Assange per la pubblicazione di estratti di documenti, hanno scritto una lettera aperta per chiedere agli USA di ritirare le accuse nei suoi confronti. Tre mesi fa, una delegazione di deputati australiani è approdata negli Stati Uniti per chiedere la libertà del giornalista. Qualcosa si muove anche negli Usa: lo scorso mese alcuni deputati hanno inviato una missiva a Biden per chiedere la chiusura del procedimento contro Assange e, negli scorsi giorni, deputati di ogni schieramento hanno controfirmato una risoluzione presentata al Congresso attraverso cui hanno chiesto che le svariate e pesanti accuse rivolte ad Assange siano definitivamente revocate.
[di Stefano Baudino]
Speriamo che finalmente l’Australia, che si vede i figli migliori rovinati dal revanscismo Britannico, trovi il coraggio di uscire dal Commonwealth, che oggi è ormai solo un Commonfascism, come gli accordi anti migranti con la Meloni, provano.