domenica 24 Novembre 2024

Perché è meglio evitare di mangiare noodles istantanei

Molto apprezzati dai giovani per la loro estrema facilità e rapidità di preparazione, i noodles istantanei hanno ormai contagiato il mondo intero. Il piatto, inventato nel 1958 dall’azienda giapponese Nissin, si propone come una particolare tipologia di pasta lunga, precotta e disidratata (insieme al condimento), pronta per essere gustata in pochi minuti dopo essere stata immersa in acqua bollente. Si vendono nei supermercati in contenitori di plastica adatti al microonde, eliminando persino la necessità di stoviglie aggiuntive. Un pasto ideale per chi nella propria quotidianità desidera mangiare saporito con poco tempo e denaro a disposizione. Nonostante l’allettante praticità, tuttavia, i noodles istantanei hanno suscitato le preoccupazioni di nutrizionisti e scienziati, a causa della correlazione tra l’alto contenuto di sale in questi prodotti e l’aumento delle malattie non trasmissibili, soprattutto quelle legate al cuore.

A lanciare l’allarme è stato il The Guardian con un’inchiesta sulla crescente diffusione dei noodles istantanei in Africa, Sud America e alcune parti dell’Asia, dove questi non sono una componente tradizionale delle diete locali. “Tra il 2018 e il 2022, la Nigeria – scrive il The Guardian – ha registrato un aumento del 53% della domanda, da 1,82 miliardi di porzioni a 2,79 miliardi, secondo i dati della World Instant Noodles Association con sede in Giappone. Mentre in paesi come il Kenya, la domanda nello stesso periodo è cresciuta del 160%, da 50 milioni a 130 milioni di porzioni. È aumentata anche del 150% in Colombia e del 110% in Egitto.” Un fenomeno che desta le preoccupazioni degli scienziati visto che una sola bustina da 70 grammi di questi vermicelli precotti, equivarrebbe al 59% della dose giornaliera di sodio raccomandata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità

La situazione più preoccupante si rileverebbe soprattutto nei Paesi a medio reddito, dove uno studio del 2017 aveva scoperto un contenuto di sale notevolmente più elevato (dal 35% al 95% dell’assunzione giornaliera di un adulto) rispetto ai noodles venduti nei paesi ricchi. Si parla di Paesi in cui le normative sull’etichettatura sono piuttosto deboli, sarebbe quindi difficile per i consumatori coglierne i rischi, vista la convenienza, il gusto umami e la comodità. Il fenomeno sarebbe, inoltre, aggravato dalle strategie del marketing. In Nigeria, ad esempio, il mercato è dominato da Indomie (marchio indonesiano) e il critico gastronomico Opeyemi Famakin ha accusato la pubblicità di rivolgersi in particolare ai bambini: «Catturali giovani in modo che crescano con te e, per impostazione predefinita, diventino fedeli. I Millennial in Nigeria sono cresciuti mangiando Indomie. Gli è stato venduto anche il tempo di cottura di due minuti. Nessun piatto in Nigeria cuoce in meno di due minuti».

Anche per l’India vale lo stesso ragionamento. Nel continente più popoloso dell’Asia la marca più consumata di noodles è Maggi, di proprietà Nestlé. Secondo la ricercatrice dell’organizzazione indiana della Nutrition Advocacy in Public Interest (Napi), Nupur Bidla, l’azienda ha puntato sull’onnipresenza: «È disponibile fino all’ultimo miglio del Paese: disponibile nei villaggi, nelle remote zone collinari… potresti non trovare verdure lassù, ma troverai Maggi», afferma. È proprio un recente rapporto di Napi sugli alimenti ultra-processati che afferma che la pubblicità dei noodles Maggi “nasconde deliberatamente informazioni importanti” come i livelli di sodio a dir poco elevati. Il rapporto afferma anche che il marketing del marchio si basa sull’uso dei bambini nella pubblicità e sul richiamo alle emozioni, per attirare i giovani

A detta degli esperti, inoltre, di questi prodotti non si riesce a dimenticare il gusto e anche i dati possono confermare la tesi. Basti pensare che solo lo scorso anno, secondo la World Instant Noodles Association – un’associazione di aziende legate al settore lanciata nel 1997 nel perseguimento di un sano sviluppo di quest’ultimo -, i consumatori di oltre 50 paesi hanno assaporato un record di 121,2 miliardi di porzioni di noodles istantanei, con un aumento del 2,6% rispetto all’anno precedente. Dati derivanti anche dal periodo di crisi del costo della vita iniziato con la pandemia da Covid. I paesi con una lunga storia di consumo di noodles erano prevedibilmente in cima alla classifica dei consumi, guidati da Cina/Hong Kong (45000 milioni di porzioni) e Indonesia (14260 milioni). Vietnam (8480 milioni) e Giappone (5980 milioni) si sono classificati al terzo e quinto posto, mentre il quarto è stato occupato dall’India (7580 milioni), dato che va a sottolineare la crescente popolarità del cibo in paesi non associati solitamente al consumo di noodles. L’Italia, invece, si trova in quarantottesima posizione con 40 milioni di porzioni consumate e un aumento del 30% rispetto al 2020. 

Insomma, la rivoluzione nata dalla Nissin nel 1958 non sembra arrestare la propria crescita e, se nello scorso decennio i Paesi occidentali e a medio reddito non ne conoscevano praticamente l’esistenza, ora la situazione non è più la medesima. Tuttavia, se il consumo di noodles di tanto in tanto può passare, l’uso ricorrente e prolungato è assolutamente sconsigliato da medici, nutrizionisti e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

[di Iris Paganessi]

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