lunedì 22 Luglio 2024

La parabola di Meloni: dal sovranismo alle privatizzazioni in nome dei parametri europei

Tra domande di gossip politico, spari alle feste di capodanno e richieste di andare in bagno, sulla maggior parte dei media il resoconto della conferenza stampa di fine anno tenuta ieri dalla premier Giorgia Meloni – rimandata da fine dicembre a inizio gennaio per motivi di salute – somiglia più a un appuntamento di colore piuttosto che a una questione politica. Le domande presentate in conferenza stampa, cui hanno avuto accesso solo giornali facenti parte del sistema mainstream, non sono state certo particolarmente degne di nota. Ciononostante, trattando delle misure economiche su cui il governo intende puntare, Giorgia Meloni ha nuovamente svelato la trasformazione di Fratelli d’Italia da forza politica sedicente sovranista a partito che, in nome degli equilibri e dei vincoli di bilancio stabiliti a Bruxelles, prepara un nuovo piano di vendita dei gioielli di Stato. La premier ha infatti ribadito che si va verso la privatizzazione di Poste Italiane e Ferrovie, nella prospettiva di ridurre la presenza dello Stato «dove non necessario».

«Nella Nadef abbiamo stabilito l’obiettivo di 20 miliardi di privatizzazioni nel triennio 2024-2026», ha detto Giorgia Meloni nel corso della conferenza stampa, spiegando con uno stratagemma narrativo che la sua idea è quella di «ridurre la presenza dello Stato dove non è necessaria e riaffermare la presenza dello Stato dove invece è strategica», ma sempre nell’ottica di una apertura al mercato. E, nello specifico, in seguito al «segnale dato con Mps» – il cui 25% è stato ceduto per 950 milioni – Meloni proseguirebbe sulla scia delle privatizzazioni con la cessione di quote di Poste e Ferrovie. D’altronde, il ritorno all’austerità è stato ufficialmente sancito dai contenuti della legge di Bilancio, con privatizzazioni per 20 miliardi, e, soprattutto, dal via libera al Nuovo Patto di Stabilità, che la stessa Meloni ha confessato non essere quello che avrebbe voluto. Per reperire risorse attenendosi ai rigidi parametri europei il governo avrà due sole vie possibili: l’aumento delle tasse o tagli alla spesa pubblica, che per Paesi come il nostro ammontano almeno a 10-12 miliardi l’anno. E, di aumentare le tasse, Meloni ha detto di non avere alcuna intenzione. Furbescamente, dopo il via libera al Patto di Stabilità, con il piccolo “colpo teatro” della bocciatura del MES il governo è riuscito senza troppa fatica a veicolare i media mainstream verso la narrazione di un “braccio di ferro” con l’Europa, da cui, in realtà, sono stati accettati a testa bassa i diktat più restrittivi e impattanti. Con evidenti conseguenze sulle tasche dei cittadini, che con le maxi privatizzazioni potrebbero vedersi notevolmente alzati i costi dei servizi. Sono passati solo pochi anni da quando Meloni, dall’opposizione, tuonava contro il “fallimento in Italia e in Europa” delle “politiche imposte dall’Ue” all’insegna della “austerità”, ritenendo necessario “un imponente piano nazionale ed Europeo di investimenti pubblici in infrastrutture, trasporti, rete digitale, edilizia scolastica e messa in sicurezza del territorio”, o da quando invitava i “burocrati ciarlatani” di Bruxelles, Junker in testa, a “preparare gli scatoloni” in vista di un radicale cambio di marcia in Europa con l’avvento dei “sovranisti” al potere.

Prime vittime dei progetti di privatizzazione meloniana potrebbero dunque essere Poste e Ferrovie. Che hanno un comune denominatore: il fatto di essere pienamente in salute e di portare molto denaro nelle casse dello Stato. Basti pensare che, nei primi nove mesi del 2023, Poste Italiane ha registrato un notevole successo finanziario, presentando un utile netto di 1,5 miliardi di euro, che rappresenta un aumento del 5,8% rispetto al medesimo periodo dell’anno precedente. A metà dicembre, ha addirittura vinto l’“Oscar di Bilancio 2023” nella categoria “Grandi imprese quotate”, avendo raggiunto livelli molto alti “in termini di rendicontazione finanziaria e di integrazione di informazioni relative a tematiche di sostenibilità”. Nell’aprile del 2023, in occasione dell’approvazione del bilancio in Cda, è stato reso noto Gruppo Ferrovie dello Stato ha archiviato il 2022 con ricavi in crescita a 13,7 miliardi di euro, registrando un incremento complessivo di 1,4 miliardi di euro (+12%), rispetto all’esercizio 2021. Un utile netto di 202 milioni di euro, +5%, e pari a +9 milioni di euro sull’anno precedente. Ciononostante, il governo Meloni – ormai pienamente convertitosi all’ottica neoliberista propria di quelli che un tempo additava come traditori della volontà popolare – vuole tirare dritto.

[di Stefano Baudino]

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