Una potente tempesta invernale sta colpendo la California, portando piogge intense, venti forti e abbondanti nevicate, con visibilità quasi nulla nelle aree montane. Il maltempo è arrivato mentre milioni di persone erano in viaggio per le festività, rendendo le condizioni stradali estremamente pericolose. In California meridionale sono stati emessi avvisi di evacuazione, in particolare nelle zone già colpite dagli incendi di gennaio. A Los Angeles un uomo intrappolato in un tunnel di drenaggio è stato salvato. Il governatore Gavin Newsom ha dichiarato lo stato di emergenza in sei contee, mobilitando squadre di soccorso e la Guardia Nazionale.
Emilia-Romagna, allerta rossa per maltempo
Natale in Emilia-Romagna è arrivato insieme a un forte maltempo, con le piogge intense che ha portato a diramare una allerta rossa per rischio idraulico e idrogeologico nell’area di Bologna, Ferrara e Ravenna. Una allerta gialla è stata diramata anche nelle Regioni di Lazio, Puglia, Campania e Toscana. In Friuli, invece, sono state registrare raffiche di vento fino a 100 km/h.
24 dicembre 1971, una poesia di Iosip A. Brodskij
Siamo tutti a Natale un po’ Re Magi.
Negli empori, fanghiglia e affollamento.
La gente, carica di mucchi di pacchetti,
mette un bancone sotto accerchiamento
per un po’ di croccante
al gusto di caffè
così ciascuno è cammello
e insieme re.
Reticelle, sacchetti, borse della spesa,
colbacchi e cravatte che vanno di traverso.
Effluvi di vodka, odori di pino e baccalà
e di cannella, mandarini e mele.
Marea di volti, e per via del vento misto a neve
il sentiero verso Betlemme non si vede.
Quelli che portano i modesti doni
saltano sui mezzi, sfondano i portoni,
spariscono negli abissi dei cortili,
eppure sanno che la grotta è vuota:
niente greppia, né un bue con l’asinello,
o Colei che circonfusa è da un aureo anello.
Il vuoto. Ma basta immaginarlo con la mente,
e dal nulla, di colpo un guizzo luminoso.
Deve saperlo Erode che quanto più è potente,
tanto più certo, ineludibile è il prodigioso evento.
La costanza di tale affinità è il meccanismo fondante della Natività.
E adesso ovunque festeggiano
il Suo avvento, mettendo tutti i tavoli vicino.
Ancora non serve la stella nel turchino,
ma già si può vedere da lontano
la buona volontà di ogni figlio d’Adamo,
mentre i pastori attizzano i falò.
Fiocca la neve: non fumano i comignoli
sui tetti, squillano invece i volti come macchie.
Erode beve. Le donne nascondono i piccini.
Chi sta giungendo – non si sa mai:
ignoriamo i presagi, e il cuore sull’istante
potrebbe non ravvisare un forestiero nel viandante.
Ma quando, nel gelo della porta spalancata,
una figura avvolta nello scialle emerge
dalla foschia fitta della notte,
senti esistere in te senza vergogna
il Bambino e lo Spirito Santo;
poi guardi il cielo ed eccola – la Stella.
Una poesia costruita come una sceneggiatura, ma poi eccoli i volti squillanti, il guizzo luminoso, i pastori che attizzano i falò: bagliori di discontinuità, quasi un suggerimento al direttore della fotografia.
Il Natale, la stella, arriva annunciata da un viandante, perché se è vero che tutti i riti del consumo ci rendono anonimi, confusi nell’identico, dentro un’unica galleria pieni di ansia, lo straniero avvolto nel mantello è portatore di una novità, è l’attore che mette in scena non un regalo ma una profezia.
È arrivato Godot, l’atteso poi disatteso, metafisica sospensione del tempo. Qualcosa sta per succedere, si sono uniti i tavoli, possiamo finalmente stare vicini.
La potenza di Erode sembrava inattaccabile, ancora affolla il presente, la quotidianità: “fiocca la neve”,”Erode beve”…
Ma c’è in preparazione il cambiamento, la rivelazione e la rivoluzione di un potere Bambino e divino, totalmente nuovo rispetto al potere di chi trascura i presagi e crede di non dover temere nulla.
Elezioni in Honduras: vince il candidato vicino a Trump
Il consiglio elettorale dell’Honduras ha dichiarato Nasry Asfura vincitore delle elezioni presidenziali del Paese. L’annuncio arriva dopo oltre 20 giorni di tensioni con i leader degli altri partiti, che accusavano Asfura di brogli e di avere permesso interferenze straniere; il candidato, supportato apertamente dal presidente degli USA Trump, si è imposto con il 40,3% delle preferenze, mentre il leader del Partito Liberale, Salvador Nasralla, è arrivato secondo con il 39,5% dei voti. Nasralla non ha riconosciuto il risultato annunciato dal consiglio elettorale, ma ha invitato il popolo alla calma, stroncando sul nascere eventuali proteste di piazza.
Da Santo a brand globale: come Santa Claus è diventato il volto del consumismo natalizio
La figura di Santa Claus è oggi una delle immagini più riconoscibili del pianeta. Eppure la sua identità non nasce dalla fantasia contemporanea, ma da una stratificazione complessa in cui convergono religione, folklore europeo, trasformazioni sociali e, negli ultimi decenni, la potenza del marketing applicato al commercio. Ripercorrere le sue origini significa attraversare secoli di storia e smontare alcune credenze consolidate, ma anche interrogarsi su come un simbolo religioso e popolare sia diventato una delle icone globali del consumismo più sfrenato.
San Nicola e l’origine del mito
Il punto di partenza documentato è San Nicola di Myra, originario dell’attuale Turchia meridionale e attuale patrono della città di Bari. Fu un vescovo cristiano nato nel terzo secolo dopo Cristo che divenne noto soprattutto per atti di carità verso poveri e bambini, la cui venerazione si radicò nell’Europa medievale al punto da generare tradizioni di doni e protezione dei più fragili. Considerato come un Santo quando era ancora in vita, a lui sono attribuiti diversi miracoli e azioni esemplari nel combattere le ingiustizie. Il miracolo più raccontato – che introduce anche la pratica del dono fatto di nascosto – è quello delle tre fanciulle salvate grazie alla sua carità. Secondo la leggenda, un padre ridotto in miseria non poteva offrire la dote alle tre figlie, condannandole così a un destino disperato. Nicola, per non umiliarlo e mantenere l’anonimato, durante tre notti consecutive lasciò tre sacchetti d’oro nella casa della famiglia (in alcune versioni li gettò dalla finestra, in altre attraverso il camino), permettendo alle ragazze di sposarsi dignitosamente.
Nei Paesi Bassi la sua figura si traduce in Sinterklaas, celebrato il 6 dicembre, che entra nelle case portando regali: è da qui che, attraverso l’emigrazione olandese negli Stati Uniti tra XVII e XIX secolo, si forma il passaggio linguistico e culturale a Santa Claus. Studi storici e religiosi come quelli di Gerald Bowler (Santa Claus: A Biography), ricerche universitarie sulla storicità di Nicola come quelle dell’University of Queensland o dell’University of Winchester e lavori di Tom A. Jerman (Santa Claus Worldwide) confermano questa genealogia come principale radice documentata.

Il contributo del folklore europeo
Santa Claus però non è solo eredità cristiana. Nel Nord Europa circolano figure invernali che alimentano un immaginario parallelo. In Inghilterra si sviluppa Father Christmas, personificazione dello “spirito del Natale”, spesso rappresentato con abito verde, legato alla natura e al ciclo stagionale. In ambito germanico e scandinavo sopravvivono eco di narrazioni pre-cristiane legate a Yule e a figure come Odino, immaginato come un vecchio viaggiatore barbuto che attraversa i cieli invernali. Più che una derivazione diretta, si tratta di un simbolismo che nel corso del tempo si innesta sulla figura di San Nicola, alimentando il mito.
Rosso o verde?
Una delle storie più affascinanti riguarda il colore dell’abito. Secondo la leggenda contemporanea, Babbo Natale avrebbe indossato in origine un costume verde, diventato rosso per merito (o colpa) di Coca-Cola. La ricerca storica racconta una realtà diversa: già nell’Ottocento illustratori come Thomas Nast raffigurano Santa Claus con abito rosso, ma anche con varianti cromatiche. Nel primo Novecento il rosso è già ampiamente diffuso. Il ruolo di Coca-Cola, a partire dalle celebri illustrazioni di Haddon Sundblom negli anni ’30, non è dunque creativo, ma, al contrario, standardizzante: la multinazionale non crea l’immagine, ma la codifica e la diffonde globalmente, trasformandola in linguaggio universale che si sposa perfettamente con i colori del marchio. Lo riconoscono tanto storici come Stephen Nissenbaum (The Battle for Christmas), quanto la stessa azienda.
Sciamani, slitte e funghi
Negli ultimi decenni è circolata anche una narrazione alternativa, affascinante ma controversa: quella che lega Santa Claus a pratiche sciamaniche dell’Europa nord-orientale, all’uso rituale dell’Amanita muscaria, all’ingresso invernale attraverso camini e all’uso della slitta. Studi di R. Gordon Wasson e letture etno-antropologiche come quelle di John A. Rush hanno contribuito a diffondere questa interpretazione. Tuttavia numerosi ricercatori – tra cui studiosi Sámi come Tim Frandy e analisi pubblicate da testate come National Geographic – invitano alla prudenza: si tratta più di un’ipotesi suggestiva che di una verità storica.
Secondo questa lettura, le analogie non sarebbero casuali: gli sciamani che abitavano la vasta zona dominata dai monti Urali e la Siberia, durante i rituali invernali, si spostavano su slitte trainate da renne, figura animale centrale anche nell’iconografia moderna di Santa Claus. In inverno, quando le porte erano bloccate dalla neve, si racconta che potessero entrare nelle abitazioni attraverso il tetto o il camino, gesto che richiama uno degli elementi narrativi più noti del mito natalizio. Inoltre, l’uso rituale dell’Amanita muscaria, il fungo (rosso) dai puntini (bianchi) associato a stati alterati di coscienza, viene messo in parallelo con la simbologia cromatica del costume di Santa Claus e con la dimensione “magica” del viaggio notturno. Questi elementi, messi insieme, producono una suggestiva somiglianza narrativa tra lo sciamano artico e il Babbo Natale contemporaneo: un mediatore tra mondi, capace di viaggiare nel freddo invernale e di portare qualcosa di speciale alle comunità.
La trasformazione decisiva, invece, è sociale ed economica. È tra XIX e XX secolo che Santa Claus diventa il simbolo perfetto del Natale borghese e domestico, legato ai bambini, alla casa e, progressivamente, al mercato. Il lavoro di Nissenbaum mostra come il Natale venga rimodellato dalla società industriale e come Santa Claus diventi un attore centrale di un rituale ormai profondamente commerciale. Il risultato è il personaggio che conosciamo oggi: non solo figura fiabesca e generosa, ma icona globale del consumismo festivo, sintesi potente di marketing, emozione e tradizione reinterpretata.
Bombardieri russi sul mar di Norvegia, decollano jet stranieri
I bombardieri strategici russi Tu-95MS delle Forze Aerospaziali hanno effettuato un volo pianificato di oltre sette ore sopra le acque internazionali dei mari di Barents e di Norvegia, a nord della Scandinavia. Lo ha fatto sapere il ministero della Difesa russo. Gli aerei, in grado di trasportare armi nucleari, sono stati scortati da jet da combattimento di Paesi stranieri e monitorati dagli aerei della NATO presenti nella regione. Mosca ha sottolineato che queste missioni avvengono regolarmente e nel rispetto del diritto internazionale.
Ucraina, Zelensky presenta il piano di pace USA: “non prevede la rinuncia alla NATO”
Elezioni dopo la firma dell’accordo, garanzie di sicurezza per prevenire future aggressioni russe, creazione di una zona demilitarizzata nell’Ucraina orientale, linee guida per la ricostruzione del Paese. Sono questi alcuni dei 20 punti dell’ultimo piano per la pace tra Russia e Ucraina, illustrato martedì dal presidente Volodymyr Zelensky alla stampa. Il documento, elaborato con gli Stati Uniti nei colloqui a Miami che si sono tenuti nei giorni scorsi, non contiene alcuna clausola che imponga all’Ucraina di rinunciare alla prospettiva di aderire alla NATO, che resta per la Russia una linea rossa invalicabile, rendendo il piano largamente irricevibile.
La versione attuale della proposta, più snella rispetto a una prima bozza in 28 punti, è stata trasmessa formalmente alle autorità russe attraverso canali diplomatici statunitensi. Se Zelensky ha dichiarato di attendere una risposta di Mosca in giornata, il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha escluso commenti pubblici: la Russia valuterà il piano USA dopo il report dell’inviato Kirill Dmitriev, che ha incontrato a Miami gli emissari di Donald Trump. Le reazioni a Bruxelles e Washington oscillano tra cauta speranza e pragmatismo, tuttavia, l’assenza di un accordo con Mosca sulle linee territoriali rende incerto l’esito finale. Il testo prevede un congelamento delle linee del fronte attuali, con monitoraggio internazionale e la possibilità di istituire zone demilitarizzate e libere zone economiche nell’est del Paese, condizionate al ritiro reciproco delle forze e all’approvazione di un referendum ucraino dopo un effettivo cessate il fuoco. In parallelo, il piano prevede una serie di misure economiche e istituzionali: accelerazione dell’accesso all’Unione Europea, un ingente pacchetto di aiuti e investimenti per la ricostruzione postbellica e la formazione di un Consiglio di Pace internazionale che includa USA, Europa, NATO, Russia e Ucraina per supervisionare l’attuazione dell’accordo. La bozza stabilisce garanzie di sicurezza ispirate all’Articolo 5 della NATO fornite da USA, Europa e Paesi firmatari. Queste previsioni sono intese a proteggere l’Ucraina da future aggressioni, senza che sia necessario aderire formalmente all’Alleanza Atlantica. Zelensky ha escluso la rinuncia alla prospettiva di adesione: «Spetta alla NATO decidere», ha sottolineato, ricordando che l’Ucraina non intende modificare la Costituzione per inserire una clausola specifica.
Se il nodo centrale rimane quello dell’adesione alla NATO, resta aperta la partita sul futuro del Donbass e della centrale nucleare di Zaporizhzhia, due temi su cui Kiev e Washington divergono dalle richieste russe. Zelensky ha anche chiarito che la bozza dell’accordo non prevede il ritiro delle sanzioni contro Mosca da parte degli Stati Uniti, ma che Washington intende revocarle gradualmente dopo la fine della guerra. Più che una piattaforma di compromesso, il piano presentato da Zelensky appare come una cornice politica che cristallizza le posizioni di Kiev e dei suoi alleati, scaricando sul tavolo negoziale condizioni che Mosca considera, da tempo, inacettabili.
I 20 punti del piano di pace USA
Ecco l’elenco sintetico dei 20 punti presentati da Zelensky:
- Conferma della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina.
- Stipula di un patto di non aggressione totale e incondizionato tra Russia e Ucraina.
- L’Ucraina riceverà solide garanzie di sicurezza.
- Le Forze armate ucraine manterranno una forza in tempo di pace di 800.000 effettivi.
- Garanzie di sicurezza fornite da Stati Uniti, NATO e Paesi europei secondo criteri simili all’Articolo 5.
- Impegno della Russia a formalizzare politiche di non aggressione verso Ucraina ed Europa.
- Impegno per l’accesso e l’adesione dell’Ucraina all’Unione Europea con tempi definiti.
- Un programma di sviluppo globale per l’Ucraina, da definire in un accordo separato sugli investimenti e la prosperità futura.
- Creazione di fondi dedicati alla ripresa dell’economia ucraina, alla ricostruzione del Paese e alle questioni umanitarie
- Dopo l’accordo, l’Ucraina accelererà la conclusione di un trattato di libero scambio con gli USA.
- Creazione di zone demilitarizzate nelle aree di conflitto con controllo internazionale.
- Gestione congiunta della centrale di Zaporizhzhia tra Ucraina, USA e Russia.
- Impegno congiunto su educazione e inclusione, con programmi contro razzismo e pregiudizi e adeguamento dell’Ucraina agli standard UE su tolleranza religiosa e tutela delle lingue minoritarie
- Riconoscimento dell’attuale linea di contatto con monitoraggio internazionale, ritiro russo da altre regioni come condizione dell’accordo e pieno rispetto delle Convenzioni di Ginevra.
- Avendo concordato futuri accordi territoriali, la Federazione Russa e l’Ucraina si impegnano entrambe a non modificare tali disposizioni con la forza.
- La Russia non impedirà all’Ucraina di utilizzare il fiume Dnepr e il Mar Nero per scopi commerciali.
- Costituzione di un comitato umanitario per garantire l’attuazione dell’accordo e per le questioni in sospeso. Scambio di prigionieri e ricongiungimento delle famiglie.
- Elezioni libere e plurali subito dopo la firma dell’accordo.
- Il presente accordo è giuridicamente vincolante.
- Cessate il fuoco completo immediatamente dopo l’accettazione formale da tutte le parti.
Sea-Watch: naufragio al largo della Libia, 116 morti
Almeno 116 migranti sarebbero morti nel naufragio di un’imbarcazione partita dalla Libia la sera del 18 dicembre, secondo la ONG Sea-Watch. L’unico sopravvissuto sarebbe stato tratto in salvo da un pescatore tunisino, dopo che l’imbarcazione sarebbe andata in avaria e sarebbe affondata poco dopo la partenza, in condizioni meteorologiche critiche con venti forti. La Sea-Watch e il network Alarm Phone avevano lanciato l’allarme per l’imbarcazione con circa 117 persone a bordo, di cui non si avevano più notizie dopo il distacco dai porti libici. Proseguono le operazioni di ricerca.
A 15 anni da Fukushima il Giappone riaprirà la centrale nucleare più potente al mondo
Il 22 dicembre 2025 resterà una data spartiacque nella storia energetica del Giappone. Con un voto di fiducia cruciale, l’assemblea della prefettura di Niigata ha rimosso l’ultimo ostacolo politico alla riapertura della centrale di Kashiwazaki-Kariwa, l’impianto nucleare più potente del pianeta. Il gestore dell’impianto è Tokyo Electric Power Company (TEPCO), lo stesso operatore della centrale di Fukushima, colpita da terremoto e maremoto nel 2011 e i cui scarti radioattivi sono stati sversati da TEPCO, su autorizzazione del governo nipponico, nell’Oceano Pacifico. Kashiwazaki-Kariwa, colosso da 8,2 gigawatt, si appresta a riaccendere i propri reattori dopo quindici anni.
Questa decisione non è un evento isolato, ma il culmine di una metamorfosi strategica che vede il Sol Levante abbandonare la prudenza post-disastro per abbracciare nuovamente l’atomo come pilastro della propria sicurezza nazionale e della transizione ecologica. Tuttavia, il ritorno all’operatività di Kashiwazaki-Kariwa riapre ferite mai del tutto rimarginate e solleva interrogativi critici sulla capacità di TEPCO di garantire una sicurezza infallibile in una delle aree più sismiche del mondo. La centrale di Kashiwazaki-Kariwa è un gigante addormentato dal 2011. E non fu il solo. A seguito del disastro di Fukushima, l’intero parco nucleare giapponese fu messo a revisione. Decine di reattori sono stati disattivati, alcuni definitivamente, altri in attesa di lavori drastici. Per TEPCO, il percorso di riabilitazione è stato costellato di ostacoli non solo tecnici, ma anche etici.
Nel 2021, l’Autorità di Regolamentazione Nucleare (NRA) aveva imposto un divieto operativo all’impianto a causa di gravissime falle nella sicurezza antiterrorismo, tra cui l’uso improprio di tesserini identificativi e il malfunzionamento dei sistemi di monitoraggio degli accessi. Solo dopo anni di riforme interne e la revoca del ban nel tardo 2023, la società ha potuto compire le procedure finali di riavvio. La priorità è ora fissata sul reattore n. 6, con l’obiettivo di riportarlo in rete entro il 20 gennaio 2026. Mentre TEPCO lotta per recuperare credibilità, la Kansai Electric Power (KEPCO) ha già tracciato una rotta ancora più ambiziosa. Nel corso del 2025, KEPCO ha annunciato l’intenzione di costruire un nuovo reattore di “prossima generazione” presso il sito di Mihama, nella prefettura di Fukui. Si tratta del primo progetto di costruzione di un reattore ex novo dal 2011, un segnale inequivocabile del cambio di paradigma nel Paese.
Questo dinamismo è alimentato dal Settimo Piano Strategico per l’Energia approvato dal governo giapponese nel febbraio 2025. Il documento ha ufficialmente rimosso l’obiettivo di ridurre il più possibile la dipendenza dal nucleare, sostituendolo con la direttiva di massimizzarne l’uso. Entro il 2040, il Giappone punta a far sì che il nucleare copra il 20% del mix elettrico nazionale per sostenere la crescente domanda derivante dai data center e dalle industrie legate all’intelligenza artificiale.
La decisione della prefettura di Niigata non è stata priva di tensioni. Lunedì scorso, mentre i legislatori votavano, centinaia di manifestanti si sono radunati davanti agli uffici governativi con cartelli che ricordavano l’incubo di Fukushima. Per molti residenti, la sfiducia nei confronti di TEPCO rimane un dogma insuperabile. La preoccupazione principale riguarda i piani di evacuazione: l’area di Kashiwazaki è stata colpita in passato da forti terremoti (come quello del 2007) e la vulnerabilità delle infrastrutture stradali resta un punto critico.
Non si è trattato solo di una manifestazione di dissenso, ma del riflesso di una nazione profondamente spaccata tra le necessità economiche imposte da Tokyo e una memoria collettiva ancora segnata dal trauma di Fukushima. Le proteste che hanno accompagnato il “sì” della prefettura non sono nate dal nulla. Rappresentano il culmine di mesi di mobilitazione silenziosa, assemblee cittadine e battaglie legali. Il cuore del dissenso risiede in una domanda fondamentale che ha risuonato più volte nei megafoni dei manifestanti: TEPCO è davvero qualificata per gestire l’impianto più potente del mondo?.
Il Governatore di Niigata, Hideyo Hanazumi, ha giustificato il proprio appoggio alla riapertura citando la necessità di stabilizzare i prezzi dell’energia, schizzati alle stelle a causa della dipendenza dalle importazioni di gas naturale e carbone, e la promessa del governo centrale di finanziare nuove vie di fuga d’emergenza. Tuttavia, ha ammesso apertamente che «esiste ancora un’ansia profonda tra i cittadini che non può essere ignorata».
Inoltre, la scelta di puntare su impianti che hanno ormai superato i 40 anni di vita (con estensioni fino a 60 anni approvate recentemente per altri reattori) solleva dubbi sull’invecchiamento dei materiali in un contesto di rischio geologico permanente. Il Giappone si trova in un vicolo cieco: per raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050 e mantenere la competitività industriale, il nucleare appare come l’unica soluzione immediata, ma il prezzo sociale di questa scelta potrebbe essere un’ulteriore erosione della fiducia verso le istituzioni.
Camorra: arrestato Ciro Andolfi, tra i 100 uomini più pericolosi
I carabinieri del Nucleo Investigativo di Napoli hanno arrestato Ciro Andolfi, 49 anni, ricercato dal 2022 e inserito nell’elenco dei 100 latitanti più pericolosi del Ministero dell’Interno. Andolfi, ritenuto esponente del clan di camorra “Andolfi-Cuccaro” e destinatario di un ordine di carcerazione per oltre 8 anni per i reati di associazione a delinquere di tipo mafioso, estorsione in concorso aggravata dal metodo mafioso e corruzione, è stato trovato in un nascondiglio in muratura ricavato in un appartamento nel quartiere Barra di Napoli durante una perquisizione. Il provvedimento è stato eseguito su mandato della Procura Generale presso la Corte d’Appello di Napoli e segna il 22º arresto di un latitante nell’anno.







