La data del 16 dicembre 2025 ha segnato un momento storico per la Volkswagen e per la Germania. Nel pomeriggio di ieri, infatti, i cancelli della Gläserne Manufaktur di Dresda si sono chiusi definitivamente, sancendo la fine della produzione automobilistica all’interno dello stabilimento. Si tratta della prima chiusura di una fabbrica del gruppo Volkswagen in territorio tedesco negli ultimi 88 anni, un evento emblematico che riflette le profonde trasformazioni e le difficoltà del settore. L’impianto, inaugurato nel 2001 come fiore all’occhiello tecnologico e architettonico voluto da Ferdinand Piëch, cessa così la sua attività dopo aver assemblato l’ultima ID.3, lasciando un’eredità complessa fatta di ambizioni, innovazione e, infine, contrazione della domanda.
La decisione, maturata nel quadro di un accordo siglato con i sindacati un anno fa, giunge in un momento di forti pressioni per il colosso di Wolfsburg. Pur restando il più grande costruttore europeo, l’azienda deve infatti affrontare la debolezza delle vendite nel Vecchio Continente, l’aggressiva concorrenza dei veicoli elettrici cinesi e l’incertezza legata ai dazi commerciali negli Stati Uniti. La chiusura dello stabilimento di Dresda, che aveva una capacità produttiva limitata, è stata una scelta considerata obbligata dal punto di vista economico. Il responsabile del marchio VW, Thomas Schafer, ha spiegato infatti che la decisione non è stata presa «alla leggera», ma che «da una prospettiva economica era essenziale».
Concepita e nata per diventare la vetrina della supremazia ingegneristica del gruppo, la “fabbrica di vetro” fu inizialmente dedicata alla produzione della lussuosa berlina Phaeton, sogno personale di Piëch che però non incontrò il successo commerciale sperato. Dopo la fine di quel modello nel 2016, lo stabilimento si riconvertì a simbolo della svolta elettrica, diventando nel 2017 il primo sito in Germania dedicato esclusivamente alla mobilità a batteria, con l’assemblaggio prima della e-Golf e poi della ID.3. In totale, dalla sua apertura nel 2002, l’impianto ha prodotto circa 200mila veicoli, cifra assai modesta se paragonata ai volumi degli altri siti del gruppo.
Per i circa 230 dipendenti coinvolti, Volkswagen ha predisposto un piano di ricollocamento in altri stabilimenti del gruppo, accompagnato da un incentivo economico di 30mila euro per chi accetterà il trasferimento. La chiusura della linea di produzione a Dresda rientra in un più ampio piano di riassetto che porterà, nei prossimi anni, a una riduzione di circa 35mila posti di lavoro in Germania attraverso il pensionamento naturale e un blocco delle assunzioni. La Volkswagen non abbandonerà completamente l’iconico sito, la cui area – in collaborazione con il Land della Sassonia e l’Università Tecnica di Dresda – sarà trasformata in un polo di innovazione tecnologica. Presto saranno infatti avviati lavori di ristrutturazione al fine di realizzare un centro di ricerca focalizzato su intelligenza artificiale, robotica e microelettronica. Il progetto, della durata di sette anni, vedrà un investimento complessivo di 50 milioni di euro. L’ultima ID.3 prodotta, una vettura di colore rosso, rimarrà esposta all’interno della struttura come testimonianza del passato industriale del luogo.
Già alla fine del 2024, il comitato aziendale del colosso automobilistico aveva confermato l’intenzione di chiudere tre stabilimenti Volkswagen in Germania, annunciando la previsione di forti ridimensionamenti su larga scala. La decisione era stata motivata dagli elevati costi dell’energia e della manodopera, dalla forte concorrenza asiatica, dall’indebolimento della domanda in Europa e Cina e da una transizione elettrica che si è rivelata più lenta del previsto. In seguito al fallimento delle trattative sui salari e all’intenzione di licenziare migliaia di lavoratori, in Germania era subito stato avviato lo sciopero dei dipendenti della Volkswagen, indetto dal sindacato dei metalmeccanici tedeschi IG Metall. La crisi di VW e, più in generale, dell’industria dell’auto in Europa, va inserita nel contesto più ampio del declino dell’industria europea, dovuta a politiche poco lungimiranti dell’UE, in particolare per quanto attiene la cosiddetta transizione energetica, e all’interruzione dei rapporti commerciali e energetici con la Russia, in seguito allo scoppio del conflitto in Ucraina. In particolare, la Germania, che importava la metà del suo fabbisogno energetico da Mosca, è stata la Nazione che più ha risentito della perdita del gas russo a basso costo, sostituito dal ben più caro GNL americano.











