Stamattina in via Yeletskaya, nell’area meridionale di Mosca, si è verificato un attentato che ha ucciso 2 membri delle forze dell’ordine. L’attentato è stato effettuato vicino al luogo dove lo scorso 22 dicembre è stato ucciso il capo di stato maggiore russo Sarvarov. Da quanto comunica l’agenzia di stampa ufficiale russa Tass, gli agenti avrebbero visto una «persona sospetta» vicino alla loro auto di pattuglia, e si sarebbero avvicinati per trattenerlo; proprio in quel momento, è esplosa l’autobomba, uccidendo tanto i poliziotti quanto l’attentatore. Sono ancora in corso le indagini sull’accaduto.
Caccia, in Manovra la misura di FdI e Lega che introduce il “ritorno alle riserve”
Tra emendamenti sulle armi e aumenti di pensione, nella legge di bilancio non poteva mancare anche un riferimento alle attività venatorie. Sono infatti due gli emendamenti – a firma De Carlo e Garavaglia, rispettivamente Fratelli d’Italia e Lega – presenti nella manovra che riguardano la caccia: con essi, la maggioranza intende permettere alle «aziende faunistico-venatorie» presenti nel nostro Paese di organizzarsi «in forma di impresa individuale o collettiva soggette a tassa di concessione regionale», riaprendo al lucro nelle attività di caccia dopo quasi 50 anni. A lanciare l’allarme è Lega per l’Abolizione della Caccia (LAC), che parla di «ritorno delle riserve di caccia a pagamento». Le misure, così come la legge di bilancio, sono state approvata ieri – 23 dicembre – dal Senato, e ora passeranno alla Camera.
Gli emendamenti alla legge di bilancio a firma De Carlo e Garavaglia sono rispettivamente il numero 6.0.8 e il numero 6.0.7; essi, dal contenuto pressoché identico, vogliono «autorizzare, regolamentandola, l’istituzione di aziende faunistico-venatorie, organizzate in forma di impresa individuale o collettiva soggette a tassa di concessione regionale»; permettono, insomma, alle attuali aziende faunistico-venatorie, istituti privati senza scopo di lucro con finalità naturalistiche, di organizzarsi e operare sotto forma di impresa, e, dunque, di guadagnare per la loro attività. «Le concessioni», continuano gli emendamenti «sono corredate di programmi di conservazione e di ripristino ambientale al fine di garantire l’obiettivo naturalistico e faunistico, conservando, ripristinando e migliorando l’ambiente naturale e la sua biodiversità. In tali aziende la caccia è consentita nelle forme e nei tempi indicati dal calendario venatorio secondo i piani di abbattimento». La caccia, dunque, resta una attività gestita dagli enti pubblici.
Abolendo il divieto di lucro, denuncia la LAP, gli emendamenti di FdI e Lega compiono un importante passo avanti per il sostanziale ripristino delle riserve di caccia, scomparse con la legge n. 968 del 1977. Essa stabiliva che «la fauna selvatica italiana costituisce patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale», introducendo la regolamentazione delle attività venatorie da parte dello Stato e il passaggio dal diritto soggettivo di cacciare alla caccia controllata; la legge sarà poi sostituita dalla legge n. 156 del 1992, che passa dalla caccia controllata a quella programmata.
Perso il contatto con il jet del capo dell’esercito libico
Turchia e Libia hanno perso i contatti con un jet in cui si trovava Mohamed Ali Ahmed Al-Haddad, capo dell’esercito libico. L’aereo era partito dall’aeroporto Esenboga di Ankara, Turchia, ed è scomparso dai radar poco dopo la partenza. Il ministro degli Interni turco ha dichiarato che prima di sparire dai sistemi di tracciamento l’aereo ha inviato un segnale di atterraggio di emergenza nei pressi di Haymana. A bordo, oltre al capo dell’esercito libico, sono presenti altre 5 persone. Le autorità si sono mobilitate per cercare l’aereo. Alcuni media riportano che il jet si sarebbe schiantato portando a supporto il video di una telecamera urbana; non è attualmente possibile confermare tale versione.
Israele ha approvato 19 nuove colonie illegali in Cisgiordania
JENIN, CISGIORDANIA OCCUPATA – Il governo israeliano ha dato il via libera ufficiale alla creazione di 11 nuove colonie e ha legalizzato 8 avamposti illegali in Cisgiordania occupata. Salgono così a 69 gli insediamenti – illegali secondo il diritto internazionale – che il governo di Netanyahu ha approvato negli ultimi tre anni. Prima di allora, dalla fine degli anni ‘90, non erano quasi state approvate nuove colonie né legalizzati avamposti. Secondo l’organizzazione israeliana Peace Now, la recente approvazione aumenta il numero di colonie in Cisgiordania di quasi il 50% dall’insediamento dell’attuale governo, ossia da 141 insediamenti nel 2022 ai 210 odierni. Senza contare gli outpost, le occupazioni di terre illegali anche secondo la legge israeliana, che segnano l’inizio di una nuova, futura colonia, i cui numeri sono esplosi dal 7 di ottobre ad oggi. “Stiamo impedendo la creazione di uno Stato terrorista palestinese sul territorio. Continueremo a sviluppare, costruire e insediarci nella terra dei nostri antenati”, ha affermato il ministro di estrema destra Smotrich, uno dei leader del movimento per la colonizzazione della Cisgiordania.
Circa la metà degli avamposti si trova nell’entroterra della Cisgiordania, mentre gli altri sono distribuiti in modo più o meno uniforme lungo la Linea Verde che separa il territorio da Israele. Due degli insediamenti – Ganim e Kadim – erano stati evacuati in base ai termini dell’accordo di disimpegno del 2005, con cui Israele si era ritirato unilateralmente da Gaza e da quattro avamposti illegali in Cisgiordania. Gli altri due, Homesh e Sa Nur, sono stati formalmente ricostituiti nel maggio di quest’anno. Per Smotrich, “dopo vent’anni, stiamo riparando a una dolorosa ingiustizia e riportando Ganim e Kadim sulla mappa degli insediamenti”. Un altro gesto che mostra i passi indietro di Israele rispetto a quello che le dichiarazioni delle Nazioni Unite continuano a chiedere allo Stato sionista, ossia di smantellare le colonie e ritirarsi dalla Cisgiordania.
Continua a una velocità sorprendente il piano di colonizzazione e frammentazione della Palestina occupata dal 1967; i coloni e l’esercito continuano a sgomberare comunità palestinesi, demolendo abitazioni e distruggendo i mezzi di sussistenza di migliaia di famiglie, mentre avanzano le costruzioni di nuovi insediamenti illegali e la loro legalizzazione da parte di Tel Aviv. Il tutto promosso e finanziato esplicitamente del governo di Netanyahu, che la settimana scorsa ha approvato il bilancio dello Stato includendo un piano di spesa di circa 720 milioni di euro per l’espansione degli insediamenti e la legalizzazione degli avamposti costruiti senza autorizzazione governativa.
Secondo un recente rapporto del segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, l’espansione degli insediamenti in Cisgiordania è al suo tasso più alto almeno dal 2017, quando le Nazioni Unite hanno iniziato a monitorare tali dati. Nel rapporto si legge anche come continuano ad aumentare esponenzialmente le unità abitative avanzate, approvate o messe in gara d’appalto; solo nel 2025, sono 47.390, rispetto alle circa 26.170 del 2024. “Queste cifre rappresentano un forte aumento rispetto agli anni precedenti”, ha aggiunto, sottolineando che tra il 2017 e il 2022 sono state aggiunte in media 12.815 unità abitative all’anno. Guterres ha condannato l’espansione “incessante”, affermando che “continua ad alimentare le tensioni, impedisce ai palestinesi di accedere alla loro terra e minaccia la fattibilità di uno Stato palestinese pienamente indipendente, democratico, contiguo e sovrano”.
Intanto, a Gaza, le nuove regole israeliane sulle ONG rischiano di privare ulteriormente centinaia di migliaia di persone di cure mediche. È la denuncia di Medici Senza Frontiere, una delle più grandi organizzazioni mediche che opera nella Striscia, che rischia di essere buttata fuori dal territorio a partire dal 1 gennaio 2026 a causa delle nuove misure introdotte dal governo di Tel Aviv per la registrazione delle organizzazioni non governative internazionali. “Il sistema sanitario di Gaza è ormai distrutto, e se le organizzazioni umanitarie indipendenti ed esperte perdessero la possibilità di operare, ne conseguirebbe un disastro per i palestinesi. Chiediamo alle autorità israeliane di garantire che le ONG internazionali possano continuare a operare in modo imparziale e indipendente a Gaza. La risposta umanitaria, già limitata, non può essere ulteriormente ridotta,” denuncia l’organizzazione, che opera dal 1989 sul territorio.
Secondo la nuova misura introdotta a partire dal 2026 le richieste di registrazione verrebbero respinte da Israele per quelle “organizzazioni coinvolte nel terrorismo, nell’antisemitismo, nella delegittimazione di Israele, nella negazione dell’Olocausto, nella negazione dei crimini del 7 ottobre”. Ma come ha spiegato all’AFP Yotam Ben-Hillel, un avvocato israeliano che sta sostenendo diverse ONG, nelle sfumature della “delegittimazione di Israele” potrebbe rientrare “ogni piccola critica” fatta all’operato dello Stato sionista. “Non sappiamo nemmeno cosa significhi realmente delegittimazione. Ogni organizzazione che opera a Gaza e in Cisgiordania e vede cosa succede e ne riferisce potrebbe essere dichiarata illegale, perché si limita a riferire ciò che vede”.
Il Ministero israeliano per gli Affari della Diaspora e la Lotta all’Antisemitismo ha dichiarato che finora sono state respinte quattordici delle circa 100 domande presentate, 21 sono state approvate e le restanti sono ancora in fase di esame. Tra le ONG escluse dalle nuove regole figurano Save the Children, una delle più note e longeve a Gaza, dove aiuta 120.000 bambini, e l’American Friends Service Committee (AFSC). A queste organizzazioni sono stati concessi 60 giorni per ritirare tutto il loro personale internazionale dalla Striscia di Gaza, dalla Cisgiordania occupata e da Israele, e non potranno più inviare aiuti umanitari attraverso il confine con Gaza.
Il forum che riunisce le agenzie delle Nazioni Unite e le ONG che operano nella zona ha rilasciato giovedì una dichiarazione in cui esorta Israele a “rimuovere tutti gli ostacoli”, compresa la nuova procedura di registrazione, che “rischiano di compromettere la risposta umanitaria”.
MSF supporta attualmente sei ospedali pubblici e ne gestisce due da campo, oltre a sostenere quattro centri sanitari e a gestire un centro di alimentazione per persone affette da malnutrizione. Le attività dell’ONG aiutano quasi mezzo milione di persone a Gaza. Il bando dell’ONG, così come di altre organizzazioni internazionali che lavorano nella Striscia, rischia di togliere l’accesso alle cure mediche essenziali gran parte della popolazione di Gaza, dando il colpo finale alla già catastrofica condizione umanitaria nell’area.
Yemen, scambio di 2900 prigionieri tra Houthi e governo
L’inviato speciale delle Nazioni Unite nello Yemen, Hans Grundberg, ha annunciato che il gruppo yemenita Ansar Allah, meglio noto con il nome di Houthi, e il governo riconosciuto internazionalmente hanno concordato uno scambio di 2.900 prigionieri. Di preciso, Ansar Allah consegnerà circa 1.700 prigionieri, mentre il governo ne consegnerà 1.200. L’accordo è stato mediato dall’Oman e sarà facilitato dalla Croce Rossa Internazionale. Esso arriva in un contesto di tensioni tra il governo riconosciuto e il gruppo separatista del Consiglio di Transizione Meridionale, supportato dagli Emirati Arabi, che dopo avere lanciato una offensiva contro il governo centrale è arrivato a conquistare circa il 50% del Paese.
Leonardo Maria Del Vecchio: l’ereditiere che sta cercando di costruire un impero mediatico
Dopo il tentativo di ingresso nel gruppo Gedi, editore tra gli altri di la Repubblica e La Stampa, Leonardo Maria Del Vecchio mette ora un piede nel cuore dell’editoria italiana acquisendo il 30 per cento de Il Giornale, attraverso la sua holding di investimento LMDV. L’entrata del quartogenito del fondatore di Luxottica nel giornale fondato da Indro Montanelli nel 1974 inaugura la creazione di un impero mediatico e riattiva un copione ricorrente della storia economica italiana: il passaggio dei grandi patrimoni familiari dall’industria e dalla finanza al controllo dei luoghi in cui si forma e si orienta il discorso pubblico.
In un Paese attraversato da una crisi strutturale dell’editoria, l’arrivo di un azionista “forte” non porta solo capitali, ma ridefinisce equilibri, pone interrogativi sull’indipendenza delle redazioni e riapre il tema, mai risolto, del pluralismo reale dell’informazione. Prima di virare “a destra” con l’accordo sul Giornale, Del Vecchio aveva presentato un’offerta da circa 140 milioni di euro per le testate del gruppo Gedi, rifiutata da John Elkann. Archiviata quella trattativa, l’ereditiere ha chiuso l’ingresso nel quotidiano milanese per una cifra stimata intorno ai 30 milioni, affiancando Antonio Angelucci, già proprietario di altre testate e parlamentare della Lega. Parallelamente, sono proseguono le interlocuzioni per l’acquisto della maggioranza di QN – Il Giorno, Il Resto del Carlino, La Nazione – controllata dalla famiglia Monti Riffeser. Letta nel suo insieme, la strategia appare coerente, volta a costruire una presenza trasversale nell’editoria nazionale, nonostante un comparto che non promette rendimenti elevati, ma offre prestigio, relazioni e una capacità indiretta di incidere sull’agenda pubblica e politica. Le reazioni dei media all’operazione non si sono fatte attendere: è il caso di Repubblica, che ha proposto un ritratto insolitamente severo di Del Vecchio una volta passato alla “concorrenza”, quando in passato aveva adottato per lui toni lusinghieri dalle sue stesse colonne.
Leonardo Maria Del Vecchio, già in grado di esercitare un peso significativo sulle pagine economiche dei principali quotidiani del Paese, era finito lo scorso anno al centro della cronaca giudiziaria, con l’accusa di aver fatto sorvegliare alcuni familiari, contestata dall’interessato e tuttora al vaglio della magistratura. Se la sua immagine pubblica è spesso associata a quella di un giovane ereditiere, deciso e ambizioso, un ritratto più critico emerge facendo i conti in tasca al quarto dei sei figli del fondatore di Luxottica. Negli ultimi anni, il rampollo ha adottato una strategia di espansione basata su un significativo ricorso all’indebitamento, con passivi che superano diverse centinaia di milioni di euro. Del Vecchio è capo delle strategie di EssilorLuxottica e presidente di Ray-Ban, ma gli investimenti personali passano attraverso LMDV Capital Srl, che controlla altre 17 società. Ed è proprio sulla sua holding che grava una parte consistente di questi debiti. Il bilancio 2024, approvato a fine ottobre, chiude con ricavi di 66,9 milioni di euro e il primo utile netto di appena 31.917 euro dopo le perdite di -1,855 milioni del 2023 e -1.129 euro del 2022, l’anno di avvio. Il patrimonio netto ammonta a 156,443 milioni di euro, di cui però 146,728 milioni di euro è indisponibile, accantonata a riserva di rivalutazione. I debiti della holding – saliti da 92 a 358 milioni – sono finanziati in parte con prestiti bancari e in parte tramite obbligazioni interne garantite dallo stesso Del Vecchio tramite fideiussioni personali. Il ricorso alla leva finanziaria non si limita ai soli prestiti, ma coinvolge anche garanzie personali rilasciate a favore di importanti istituti di credito, a testimonianza di una elevata esposizione individuale nel sostegno della holding. Questi debiti, sebbene coperti da asset e partecipazioni di valore, delineano un quadro in cui la liquidità “reale” e la solidità finanziaria appaiono meno scontate di quanto il patrimonio familiare possa far credere.
In questo contesto, l’ingresso in un settore poco redditizio come quello dell’editoria assume una valenza ulteriore: non solo una mossa di prestigio, ma anche un tentativo di rafforzare notorietà e relazioni in una fase in cui la struttura finanziaria personale e societaria è sotto pressione. Leonardo Maria Del Vecchio potrà anche rivendicare autonomia e buone intenzioni, ma finché l’editoria resterà terreno di conquista delle grandi famiglie, ogni promessa di rinnovamento continuerà ad assomigliare a una variazione su una storia già vista.
Pakistan, attacchi nel nordovest: 5 morti
Oggi in Pakistan si è verificato un attacco ai danni di una squadra di polizia, in seguito a cui sono morti 5 agenti. Gli attentatori hanno teso una imboscata a un furgone della polizia, prendendolo di mira con esplosivi per poi spararvi contro. Gli attacchi sono stati effettuati nel distretto di Karak, nella provincia di Khyber Pakhtunkhwa, vicino al confine nordoccidentale con l’Afghanistan; nessuna sigla ha rivendicato gli attacchi, ma la regione è teatro di scontri tra milizie separatiste e governo centrale.









