domenica 9 Novembre 2025
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Repubblica Democratica del Congo: nuovi combattimenti nel sud Kivu

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Nella Repubblica Democratica del Congo sono scoppiati nuovi scontri. I combattimenti stanno interessando gli altopiani di Fizi e Mwenga, nella provincia orientale del Sud Kivu. A scontrarsi sono il gruppo ribelle Twirwaneho, vicino all’M23, e l’esercito regolare, supportato dal Burundi. Secondo le fonti locali, almeno dieci persone sarebbero state uccise nei combattimenti, e i ribelli avrebbero conquistato diversi villaggi. Gli scontri arrivano dopo un mese di relativa calma nel Paese, raggiunta dopo i negoziati di pace tra i ribelli dell’M23 e le autorità centrali.

Migranti, affonda una nave in Malesia: 300 dispersi

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Le autorità marittime della Malesia hanno dichiarato di stare effettuando una operazione di soccorso per cercare circa 300 persone migranti disperse nei pressi dell’arcipelago di Langkawi, vicino al confine con la Thailandia. Il gruppo di migranti era partito da Buthidaung, in Birmania: le persone erano dirette in Malesia, e sono inizialmente salite a bordo di una grande imbarcazione; mentre si avvicinavano al confine, è stato loro ordinato di trasferirsi su tre imbarcazioni più piccole per eludere le autorità. C’è tuttavia stato un incidente, e ora risultano disperse. Finora, le autorità della Malesia hanno trovato dieci sopravvissuti e un corpo.

COP30: tra lobbisti e proteste indigene in Brasile si apre il vertice sul clima

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È tutto pronto per l’inizio della COP30, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2025. Gli incontri inizieranno domani, lunedì 10 novembre, a Belém, città portuale brasiliana situata sul limitare dell’Amazzonia, e termineranno il 21 novembre. Il vertice di quest’anno sarà particolarmente delicato: tra le varie cose, in ballo ci sono i tagli delle emissioni previsti per l’accordo di Parigi, i finanziamenti ai cosiddetti “Paesi meno sviluppati”, gli aiuti alle popolazioni indigene e il tentativo di istituire un fondo per la preservazione delle foreste. Agli incontri, tuttavia, mancheranno i leader di diversi Paesi importanti – primi fra tutti gli Stati Uniti – mentre i capi indigeni e i rappresentanti Paesi meno sviluppati faticano addirittura a trovare alloggio in città. Di contro, è prevista la presenza di lobbisti per le grandi multinazionali del fossile, storicamente più rappresentate delle popolazioni indigene.

Gli incontri di domani proveranno a fare passi avanti per il raggiungimento degli obiettivi delineati dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) e dall’accordo di Parigi. La UNFCCC prevede di raggiungere «la stabilizzazione delle concentrazioni di gas serra nell’atmosfera a un livello tale da impedire pericolose interferenze antropiche con il sistema climatico», e di farlo «entro un lasso di tempo sufficiente a consentire agli ecosistemi di adattarsi»; l’accordo di Parigi, invece, punta a limitare il riscaldamento globale al di sotto di 1,5 °C. Durante gli incontri si discuterà dei nuovi obiettivi di riduzione delle emissioni da raggiungere entro il 2035; un altro dei progetti chiave promossi dalla guida brasiliana è il Tropical Forest Forever Facility, un fondo da 125 miliardi di dollari destinato alla preservazione delle foreste.

Agli incontri parteciperanno circa 50.000 persone. Ci saranno delegati da almeno 162 Paesi, rappresentanti indigeni, membri della società civile e lobbisti dei gruppi di idrocarburi; gli eventuali accordi raggiunti dai Paesi avrebbero valore vincolante. I problemi di rappresentatività si sono fatti sentire sin dall’organizzazione del vertice: Belém non ha infatti la capacità ricettiva per ospitare tutte le persone che avrebbero dovuto partecipare agli incontri. Prima della COP, la città contava circa 18.000 posti letto, e sin da gennaio, il governo brasiliano ha stanziato decine di milioni di euro per cercare di aumentare l’offerta entro l’inizio del vertice. A oggi, Belém offre circa 53.000 alloggi di cui 14.547 in alberghi, 6.000 nelle crociere, 10.004 affitti tramite agenzie immobiliari e 22.452 Airbnb. Secondo quanto comunica il quotidiano francese Le Monde, all’inizio della scorsa settimana 49 Paesi che intendevano partecipare all’evento non erano ancora riusciti a trovare un alloggio; il ministro per l’Ambiente della Lettonia ha detto all’agenzia di stampa Reuters di avere chiesto di potere partecipare ai tavoli tramite collegamento a distanza, perché i costi per gli alloggi erano troppo alti.

A risentire del problema dei costi e del numero degli alloggi sono stati propri i Paesi meno sviluppati, quelli dell’Alleanza dei piccoli Stati insulari, e i gruppi indigeni. Alcuni rappresentanti di questi ultimi hanno lanciato la Flotilla4Change, una iniziativa per arrivare a Belém tramite barca a vela. Decine di imbarcazioni si sono mosse da diverse località dell’Amazzonia, delle Ande, e di altri Paesi sudamericani come l’Ecuador trasportando circa 3.000 persone tra attivisti, scienziati dell’ambiente e, appunto, membri delle comunità indigene. Lo scopo è quello di mettere in risalto gli effetti della deforestazione e della carbonizzazione sulle comunità.

Chi invece non sembra avere avuto alcun problema con gli alloggi sono i lobbisti che lavorano per i gruppi di idrocarburi. Non è ancora noto quanti rappresentanti parteciperanno agli incontri di quest’anno, ma una recente analisi di Kick Big Polluters Out (KBPO), una coalizione di 450 organizzazioni per l’ambiente, ha svelato i numeri degli anni precedenti. Negli ultimi quattro anni, tra il 2021 e il 2024, oltre 5.300 lobbisti hanno avuto accesso ai vertici ONU: alla COP26 erano presenti 503 lobbisti; alla COP27 ce n’erano 636; alla COP28 2.546; e alla COP29 1.773. L’anno scorso i lobbisti erano il 70% in più rispetto al numero totale dei rappresentanti delle Nazioni più vulnerabili al clima, e circa 10 volte il numero di delegati delle comunità indigene. I 5.300 lobbisti che hanno preso parte agli ultimi quattro incontri per l’ambiente hanno lavorato per 859 organizzazioni, tra cui 180 compagnie petrolifere di gas e carbone; la metà esatta di queste ultime rappresentano il 57% di tutto il petrolio e il gas prodotti lo scorso anno.

L’attività lobbistica ha avuto un ruolo negli accordi al ribasso siglati l’anno scorso, in cui risultava centrale il programma di finanziamento dei Paesi meno sviluppati. Quest’anno, il contesto in cui inizia la COP30 non sembra promettere risultati tanto diversi: gli Stati Uniti non saranno presenti, e c’è chi ipotizza che Trump – da fuori – possa fare come già fatto per l’accordo sulle emissioni marittime, ossia esercitare pressione politica sui Paesi per spingerli a bocciare gli accordi troppo svantaggiosi per l’industria fossile. I ministri dell’Ambiente dell’UE hanno recentemente raggiunto un accordo sul taglio delle emissioni, che tuttavia risulta più elastico di quanto originariamente previsto, e lo stesso Brasile ha recentemente autorizzato nuove perforazioni petrolifere in due bacini dell’Amazzonia.

Filippine, tifone Fung-wong: un milione di evacuazioni e due morti

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Sono almeno due i morti per il tifone Fung-wong che sta colpendo le Filippine. Il tifone ha colpito le aree centrali e orientali del Paese, portando con sé forti piogge e venti. Per limitare i danni, le autorità hanno ordinato a oltre un milione di persone di evacuare dalle aree colpite. Fung-wong è il terzo tifone che colpisce le Filippine nell’ultimo mese e mezzo: a settembre, il Paese è stato colpito dal tifone Ragasa, che ha causato 25 morti tra Manila e Taiwan; a ottobre e novembre, invece, è stata la volta del tifone Kalmanegi, che ha ucciso 193 persone, di cui 188 nelle Filippine e 5 in Vietnam.

Cosa sono (e come sono stati creati) gli extraprofitti delle banche

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Nel pieno delle trattative sulla legge di bilancio 2026, la tassa sugli extraprofitti bancari riaccende le tensioni nella maggioranza. Il governo è a caccia di risorse per finanziare le misure sociali senza sforare i conti, ce la proposta di tassare gli istituti bancari si è trasformata in uno scontro politico. Ma mentre il teatro della politica invade tv e giornali, molti italiani si chiedono – giustamente – cosa si intende con il termine extraprofitti, in che senso sono diversi dai consueti utili aziendali e perché il tema è diventato “di moda” negli ultimi tempi. È un tema importante, perché capire cosa si intende quando si parla di extraprofitti bancari ci porta al centro di una delle storture del sistema capitalistico europeo che, per preservare le banche da possibili fallimenti come quelli andati in scena nel decennio scorso, ha creato un sistema che – unito all’inflazione – ha permesso agli istituti di credito di generare profitti senza precedenti accumulando soldi che, come vedremo, non è scorretto dire che siano stati sottratti ai correntisti e alle aziende. 

Che cosa sono gli extraprofitti bancari

A differenza degli utili aziendali, che rappresentano il profitto ordinario generato da un’impresa attraverso la sua normale attività economica, in condizioni di mercato stabili, per extraprofitti si intendono guadagni temporanei, eccezionalmente elevati rispetto alla media storica o alle attese in condizioni normali di mercato. In sostanza, mentre l’utile misura la redditività strutturale, l’extraprofitto indica una rendita congiunturale dovuta a fattori esterni più che alla produttività o all’efficienza dell’impresa. L’extraprofitto non è un concetto giuridico tipizzato, ma una categoria economica: profitti generati da fattori congiunturali e, quindi, non “fisiologici”. Nello specifico, gli extraprofitti bancari sono i guadagni eccezionali che le banche realizzano in un periodo limitato di tempo, quando le condizioni economiche o monetarie diventano particolarmente favorevoli. In pratica, si verificano quando i tassi d’interesse sui prestiti e mutui aumentano rapidamente, mentre quelli riconosciuti sui depositi dei risparmiatori restano bassi, ampliando così il cosiddetto “margine di interesse”.

Come spiega l’economista e saggista Maurizio Milano, per extraprofitto bancario s’intende l’«incremento straordinario dei guadagni netti delle banche, principalmente a partire dal 2022-2023», maturato quando «i tassi richiesti su prestiti e mutui sono saliti rapidamente», mentre «i rendimenti sui conti correnti e depositi hanno seguito il rialzo in ritardo e solo parzialmente». È da questa asimmetria che nasce la stagione dei profitti record. Nel caso italiano, la discontinuità è stata determinata dalla rapida inversione della politica monetaria: dopo anni di tassi a zero o negativi, la BCE ha innalzato i tassi ufficiali per domare l’inflazione, portando il tasso di riferimento dal 4,50% del settembre 2023 al 4,25% di giugno 2024 e poi su un sentiero di progressiva riduzione fino al 2,15% del giugno 2025. Il picco e la successiva discesa hanno scandito il ciclo dei margini bancari, con l’allargamento nel 2023 e l’inizio di normalizzazione nel 2024-2025. Milano invita a leggere il fenomeno come «una fase “eccezionale” di allargamento del margine di interesse, a favore delle banche, dopo anni di tassi bassi in modo anomalo», sottolineando che «ora la situazione è tornata alla normalità: con i tassi in discesa il margine di interesse è tornato a contrarsi, ritornando su livelli fisiologici».

La linea gialla rappresenta i tassi medi sui prestiti richiesti delle banche, quella azzurra invece i tassi d’interesse che le banche garantiscono ai correntisti. La differenza tra i due tassi rappresenta l’extra-profitto

Margine di interesse e tempi di trasmissione

L’aumento dei tassi ufficiali tra il 2022 e il 2023 ha accelerato l’adeguamento dei tassi su mutui e prestiti, innalzando i ricavi da interessi. Al contrario, la remunerazione della raccolta (depositi a vista e conti) è rimasta più rigida, sia perché i prodotti non indicizzati reagiscono lentamente, sia perché la concorrenza sulla raccolta retail è meno aggressiva nei primi mesi di svolta monetaria. Il risultato è un margine di interesse in forte espansione. È lo stesso Milano a ricordare che «Le banche sono state sicuramente più veloci ad alzare i tassi a proprio favore sugli impieghi – prestiti e mutui a imprese e famiglie – che a rialzare i tassi riconosciuti ai clienti sui depositi, beneficiando così di un veloce e marcato allargamento del margine di interesse». Nella fase precedente, con i tassi negativi, era accaduto l’opposto, con le banche che «dovevano addirittura pagare degli interessi passivi per depositare le riserve alla BCE, mantenendo la remunerazione dei conti dei clienti poco al di sopra dello zero». «In tal caso», spiega Milano, «il margine di interesse per le banche era addirittura negativo», perché la liquidità in eccesso parcheggiata in BCE generava oneri mentre i depositi dei clienti restavano quasi a zero. L’asimmetria non è l’unico driver: efficientamento operativo, digitalizzazione e minori accantonamenti su crediti deteriorati hanno amplificato l’effetto sui conti economici, sostenendo il ROE (Return on Equity, che misura quanto utile netto un’azienda genera per ogni euro di patrimonio netto investito dagli azionisti) nel 2023 e nella prima parte del 2024. Analisi indipendenti segnalano, per esempio, un utile aggregato in crescita e indicatori di redditività in miglioramento nella semestrale 2024 dei principali gruppi italiani, coerenti con la coda del ciclo dei tassi elevati.

Negli ultimi quattro anni il differenziale tra i tassi sui prestiti e quelli garantiti ai correntisti è più che raddoppiato, garantendo alle banche extra-profitti di oltre 40 miliardi l’anno

Quanto valgono gli extraprofitti

Il 2023 è stato un anno straordinario per il settore: le stime consolidate indicano utili di sistema superiori a 40 miliardi, con proiezioni attorno ai 43 miliardi. Si tratta di un ordine di grandezza che non ha precedenti recenti e che ha radicato nell’opinione pubblica l’idea di un “tesoretto” bancario. Nel 2024 la redditività è rimasta elevata: diverse ricognizioni indicano un nuovo massimo storico, con un utile totale nell’area dei 46-47 miliardi, e le prime cinque banche che da sole hanno sommato circa 23,6 miliardi. Anche qui la dinamica è coerente con quanto osservato da Milano: «L’aumento dei tassi ha inciso in misura decisamente positiva sul margine di interesse delle banche, particolarmente in Italia dove i mutui a tasso variabile sono molto diffusi, consentendo così agli istituti bancari di adeguare in tempi rapidi i rialzi dei tassi BCE. Tale aumento è, però, andato man mano contraendosi, visti i numerosi tagli operati dalla BCE a partire dall’estate 2024 e la situazione è ora ritornata alla “normalità”», configurando dunque un guadagno soprattutto “una tantum”.

I timidi interventi del governo italiano

Il governo intervenne per la prima volta nell’estate 2023, con un prelievo straordinario agganciato all’incremento del margine di interesse, inizialmente al 40% e comunque “cappato” allo 0,1% delle attività ponderate per il rischio. In seguito, la possibilità di optare per un accantonamento a riserva non distribuibile ridusse drasticamente il gettito in cassa rispetto alle stime iniziali da 2,5-3 miliardi. L’impianto rimase, dunque, più simbolico che sostanziale, pur segnando un precedente politico. Alcuni economisti, come lo stesso, Milano sono critici verso la logica del prelievo ex post: «Fare cassa cambiando le regole ex post rischia di allontanare la vera priorità di intervenire su spese e sprechi», con la pressione fiscale già elevata che si aggira sul 43% e la spesa pubblica vicino alla metà del PIL.  

La legge di bilancio 2026 non reintroduce una “tassa sugli extraprofitti” in senso stretto, ma ne conserva lo spirito con un mix di leve: aumento temporaneo IRAP per banche e assicurazioni, limitazioni a taluni crediti d’imposta e meccanismi per sbloccare le riserve create come alternativa al prelievo del 2023, con oneri in uscita nell’area del 27-27,5% per chi esce dai vincoli. Le stime convergono su un contributo per il comparto dell’ordine di 4,4-4,5 miliardi, pur con elementi di “volontarietà” che lasciano margini di incertezza sul gettito effettivo. Alla domanda se sia opportuno intervenire di nuovo, Milano riconosce la tentazione redistributiva in una fase di finanza pubblica tesa, ma avverte che «cercare di coprire fabbisogni strutturali con manovre una tantum cavalcando il risentimento anti-banche non serve a migliorare i conti pubblici». A suo giudizio, l’attenzione dovrebbe semmai spostarsi su spending review e qualità della spesa.

Effetti attesi su credito e concorrenza

In un mercato relativamente concentrato come quello italiano, un onere straordinario può essere trasferito – almeno in parte – su famiglie e imprese sotto forma di tassi più alti, minori rendimenti della raccolta o maggiori commissioni, comprimendo l’offerta di credito. Le esperienze europee mostrano che prelievi temporanei spesso producono gettiti inferiori alle attese e incentivi a riorganizzare i bilanci per attenuarne l’impatto, con ricadute limitate sulla distribuzione del reddito, ma non trascurabili sull’attività creditizia. Milano avverte che «le “buone intenzioni” potrebbero ottenere risultati controproducenti, ad esempio frenando la concessione di credito, in una fase già delicata del ciclo». C’è poi un rischio di contenziosi e incertezza regolatoria: «Per applicare una tassa sugli extra-profitti bisognerebbe definire con precisione che cosa si intende per “extra”», in questo senso, «il rischio è aprire contenziosi col settore», dice l’economista, che colloca la discussione italiana nel solco di altri Paesi europei, dal Centro-Est alla Germania e alla Francia, dove l’argomento è passato e passerà al vaglio dei Parlamenti e delle autorità fiscali.

La finanziarizzazione dell’economia

Il picco dei profitti ha alimentato la percezione di un divario crescente tra banche e cittadini, specie tra i mutuatari a tasso variabile e i risparmiatori con depositi poco remunerati. «Al di là degli extra-profitti bancari, che hanno riguardato un periodo determinato e conclusosi», osserva Milano, «il focus dovrebbe spostarsi sulla “finanziarizzazione dell’economia”», cioè sullo scollamento fra dinamiche finanziarie ed economia reale. Le politiche monetarie hanno favorito gli asset finanziari, mentre l’inflazione ha eroso il potere d’acquisto, con effetti regressivi sui redditi fissi. In questo quadro, chiedere al settore un contributo straordinario può apparire come un gesto di equità; resta, però, il tema di fondo: senza più concorrenza, educazione finanziaria e strumenti che riallineino i tempi di trasmissione dei tassi tra impieghi e raccolta, la ciclicità dei margini si ripresenterà, con la stessa controversia politica.

L’economista e saggista Maurizio Milano

La tassazione degli extraprofitti bancari, nella forma prevista dalla manovra 2026, appare più come una mossa di facciata che come una politica economica coerente. Il governo punta a un gettito di circa 4,5 miliardi di euro, cifra modesta se rapportata agli oltre 46 miliardi di utili netti realizzati complessivamente dal sistema bancario nel 2024. In termini relativi, il contributo richiesto allo Stato rappresenta meno del 10% dei profitti del settore e non incide in modo significativo sulla struttura dei bilanci. La misura, pur presentata come un atto di equità, è intrinsecamente debole: il carattere “volontario” dell’adesione e la possibilità di compensare l’imposta con riserve o altri strumenti contabili riducono drasticamente l’impatto reale. Anche in passato, con la tassa del 2023, le banche hanno dimostrato di poter aggirare il prelievo effettivo, trasformandolo in un accantonamento che non ha prodotto gettito per l’erario. I dati ufficiali confermano che il gettito effettivo si è fermato sotto i 700 milioni di euro, a fronte di stime iniziali superiori ai 2,5 miliardi.

Interventi di facciata

Nel frattempo, gli istituti di credito hanno continuato a distribuire dividendi e riacquistare azioni proprie per decine di miliardi. Secondo la Banca d’Italia, nel biennio 2023-2024 le principali banche italiane hanno destinato oltre 18 miliardi di euro tra cedole e buyback (un’operazione con cui una società ricompra sul mercato le proprie azioni utilizzando la liquidità disponibile), una somma superiore all’intero ammontare del contributo straordinario previsto dalla legge di bilancio. Questo squilibrio alimenta la percezione che il governo preferisca interventi di facciata, mentre lascia intatta la rendita generata dall’asimmetria tra tassi sui prestiti e remunerazione dei depositi. Il settore bancario, dal canto suo, difende i risultati come un “ritorno alla normalità” dopo un decennio di margini compressi. Ma i numeri raccontano una realtà più complessa: nel 2023, il margine d’interesse delle principali banche italiane è cresciuto in media del 40%, mentre i tassi medi riconosciuti sui depositi a vista sono rimasti sotto l’1%, contro tassi sui prestiti che hanno superato il 5%. L’effetto redistributivo di questa forbice è evidente: una trasferenza silenziosa di reddito da famiglie e imprese verso gli istituti di credito, mascherata da normalità di mercato.

Conclusioni

In questo quadro, la manovra 2026 rischia di essere una risposta debole a un problema strutturale. Colpire gli extraprofitti con un prelievo temporaneo può generare consenso, ma non modifica le cause profonde del disequilibrio: un mercato bancario poco competitivo, tassi di remunerazione della raccolta rigidi e un sistema fiscale che continua a gravare su chi produce e investe. Il rischio, come avverte anche Maurizio Milano, è che «le buone intenzioni ottengano risultati controproducenti, frenando la concessione di credito proprio nella fase in cui servirebbe più sostegno all’economia reale». In definitiva, la tassa sugli extraprofitti rappresenta un compromesso imperfetto: troppo blanda per riequilibrare il sistema, troppo simbolica per produrre effetti redistributivi, troppo incerta per migliorare i conti pubblici. Le banche, che nel frattempo restano tra i principali beneficiari del ciclo monetario, escono di fatto indenni; il governo, che si limita a misure una tantum, rinuncia ancora una volta a una riforma strutturale della finanza e della concorrenza. Se non accompagnata da un piano serio per ridurre la concentrazione del mercato, migliorare la trasparenza dei tassi e incentivare la concorrenza sui depositi, questa misura finirà per confermare l’impressione che, in Italia, la politica economica continui a punire simbolicamente i forti per non affrontare la debolezza del sistema. La vera sfida, per banche e governo, non è tanto tassare i profitti eccezionali, quanto impedire che diventino permanenti a spese dell’economia reale.

 

 

La Cina allenta i divieti di export di terre rare verso gli USA

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La Cina ha sospeso il divieto di esportazione di gallio, antimonio e germanio, metalli rari utilizzati nella produzione di semiconduttori, verso gli Stati Uniti. I semiconduttori vengono utilizzati per produrre microchip, componenti fondamentali della maggior parte dei prodotti tecnologici. Il divieto di esportazione era stato disposto dalla Cina nel dicembre del 2024. La sua sospensione rimarrà in vigore fino al 27 novembre 2026. Essa arriva qualche giorno dopo il raggiungimento di una tregua commerciale tra i due Paesi: il 5 novembre, Washington e Pechino hanno stipulato un’intesa per fermare i dazi aggiuntivi sui prodotti in entrata.

Gaza, superate le 69mila persone uccise

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Sale a 69mila persone uccise il bilancio del genocidio del popolo palestinese commesso da Israele nella Striscia di Gaza. A riferirlo è l’agenzia di stampa WAFA, citando i dati forniti dalle autorità locali dopo il recupero di molti corpi sotto le macerie. Le vittime continuano a crescere anche a causa delle quotidiane violazioni del cessate il fuoco da parte di Israele, che dall’inizio della tregua raggiunta il 10 ottobre scorso ha ucciso 241 palestinesi, ferendone 614. Le persone ferite nella Striscia negli ultimi due anni salgono così a 170mila.

Cisgiordania, la violenza israeliana non ferma la lotta per il diritto alla terra

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BEIT LID, CISGIORDANIA OCCUPATA – Circa duecento palestinesi e solidali internazionali si sono radunati ieri tra le colline palestinesi dei villaggi di Beit Lid e Kufr Qaddum, in protesta contro la recente costruzione di un nuovo avamposto israeliano sulle loro terre. Il 27 ottobre scorso, infatti, alcuni coloni sono arrivati sul posto e hanno iniziato a distruggere ulivi di oltre 70 anni, aggredendo con armi e bastoni chiunque cercasse di fermarli e cercando di bruciare vivo un uomo. E anche la protesta di ieri è stata soffocata con la violenza, tra lacrimogeni, bombe stordenti e manganelli, che hanno provocato diversi feriti tra i quali un giovane con le costole rotte.

«Siamo rimasti scioccati nel vedere come, il 27 dello scorso mese, alcuni coloni siano arrivati e abbiano iniziato ad abbattere ulivi di oltre 70 anni, per poi piantare una tenda al loro posto,» dice Ahmad (nome di fantasia), agricoltore della zona, a L’Indipendente. «Quando siamo andati a chiedere ai coloni cosa stessero facendo, ci hanno aggredito con bastoni, catene e coltelli. Hanno brutalmente aggredito un cittadino palestinese fino a ridurlo in fin di vita e hanno cercato di bruciarlo mentre era nella sua auto. Da allora è ricoverato in coma all’ospedale Najah di Nablus. Hanno anche distrutto molte auto e, allo stesso tempo, hanno attaccato il villaggio di Beit Lid, bruciando vari trattori e veicoli».

Il nuovo insediamento è figlio della colonia israeliana di Kedumim; dal 2023 gli avamposti stanno crescendo a dismisura in tutta la Cisgiordania occupata, e i villaggi di Kufr Qaddum e Beit Lid ne sono testimoni. Secondo l’ultimo rapporto della Commissione per la Colonizzazione e la Resistenza (CWRC), dal 7 ottobre 2023, Israele ha legalizzato 11 colonie già esistenti e 13 quartieri coloniali, ha autorizzato la costruzione di altre 22 colonie e ha istituito 114 nuovi avamposti. Cifre che non si vedevano dagli anni ‘80, e che testimoniano la velocizzazione del processo di occupazione territoriale e la pulizia etnica sempre più violenta in corso in Cisgiordania.

«Ci sono circa 400 agricoltori provenienti da Kafr Qaddum, 400 da Deir Sharaf e 400 da Beit Lid, oltre ad altri provenienti dal villaggio di Qusin. La zona è classificata come Area B e collega tre bacini regionali,» continua Ahmad. «Il loro obiettivo [degli israeliani, ndr] è quello di prenderne il controllo e dominare l’area in cui ci troviamo attualmente, allontanando i contadini dalle loro terre».

La pratica è spesso la stessa: i coloni occupano un nuovo pezzo di terra e installano una tenda, un caravan, iniziano a costruire una tettoia. Vengono a pascolarci con le pecore. Poi mettono delle barriere, sorge la prima baracca. E l’avamposto diventa velocemente un nuovo insediamento israeliano, nato rubando terre, e vita, alle comunità palestinesi della zona. «Siamo rimasti qui con determinazione dal 27 dello scorso mese fino ad oggi. Abbiamo organizzato un’attività che continuerà a svolgersi settimanalmente nella zona fino a quando questo avamposto dell’insediamento non sarà rimosso. A qualsiasi costo», conclude Ahmad.

È appena finita la preghiera del venerdì, che i residenti hanno voluto simbolicamente svolgere qui, sulla collina che domina la vallata dietro la quale è installato il nuovo avamposto. Le comunità non sono nuove nella resistenza: da anni, infatti, subiscono la sottrazione di ettari di terra, limitazioni al movimento, distruzione dei propri uliveti e violenze di ogni genere da parte di coloni e militari. Gli abitanti di Kufr Qaddum scendono in protesta proteste ogni fine settimana dal 2010, contro l’esproprio di quasi 1.000 acri (405 ettari) di terra, rubati per far posto ad un insediamento israeliano. Una colonia che si è anche privatizzata la strada principale che dal paese portava a Nablus, bloccando il transito ai palestinesi. Dal 7 ottobre 2023 le settimanali proteste del venerdì erano molto limitate data l’enorme repressione dell’esercito. Ma ora – probabilmente – torneranno a farsi sentire con forza per bloccare sul nascere l’ennesimo tentativo coloniale.

In lontananza, due jeep israeliane stanno risalendo la strada agricola che si avvicina alla collina. Scendono vari militari. Non passa molto tempo che iniziano a sparare lacrimogeni e bombe stordenti nel tentativo di disperdere la folla, che si allontana, ma poi torna. I lacrimogeni vengono rispediti indietro, i militari ne lanciano altri. Si continua così finché, a causa del fumo tossico, si è obbligati ad arretrare e i soldati, fucili in mano, avanzano. Sparano anche proiettili di gomma, un uomo viene ferito ed è portato via in barella verso l’ospedale. Si scoprirà dopo che ha una frattura in una gamba. Si arriva di fatto al contatto fisico; i militari prendono a calci e spintoni alcuni attivisti rimasti davanti, poi provano ad arrestare un palestinese “colpevole” di avergli rimandato addosso un lacrimogeno, o una pietra. Gli altri manifestanti fanno scudo, non lo lasciano prendere. I militari scaricano raffiche di mitra in aria, ma sono costretti ad arretrare. A mani vuote.

Vari i feriti, un giovane finisce all’ospedale con tre costole rotte a causa dei colpi ricevuti dal calcio del fucile usato come manganello. La protesta continua, arrivano altri soldati ma si tengono lontani. Ricominciano a sparare qualche lacrimogeno, anche tramite l’uso di un drone. Sulla collina, qualche solidale italiano presente intona Bella ciao. La resistenza, sulle colline tra Beit Lid e Kufr Qaddum, continua.

L’USB lancia lo sciopero generale per il 28 novembre, CGIL e CISL boicottano

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È svanita l’idea di uno nuovo sciopero generale e generalizzato, capace di seguire le orme della mobilitazione del 3 ottobre scorso, quando oltre due milioni di persone hanno manifestato in tutta Italia contro il genocidio in Palestina, l’assalto israeliano alla Flotilla e le politiche del governo Meloni. A nulla sono infatti serviti gli appelli provenienti dal mondo sociale: allo sciopero generale convocato da USB e gli altri sindacati di base per il 28 novembre contro la manovra dell’esecutivo non parteciperà la CGIL, che ha preferito indire una mobilitazione analoga per il 12 dicembre. Il giorno dopo scenderà invece in strada la CISL, contro una legge di bilancio «sbagliata, ingiusta, che non aumenta i salari». Non è ancora chiara la posizione della UIL, anch’essa critica verso la manovra. Se dalla spaccatura del fronte sindacale ne escono indeboliti i lavoratori, perdendo l’occasione di una rappresentanza unitaria, l’esecutivo gongola e Giorgia Meloni ironizza: «Nuovo sciopero generale della CGIL contro il Governo annunciato dal segretario generale Landini. In quale giorno della settimana cadrà il 12 dicembre?», rispolverando la retorica che declassa lo sciopero da strumento di pressione a gita fuori porta.

«Aumento vertiginoso delle spese militari, il solito pacchetto di aiuti alle imprese, oboli in più in busta paga attraverso il versante fiscale per un ceto medio i cui salari sono stati letteralmente mangiati dall’inflazione e il nulla cosmico per i pensionati» e coloro che vivono in condizioni di povertà assoluta. Con queste parole i sindacati di base (CUB, USB, COBAS, ADL, CLAP, SIAL, SGB) hanno riassunto la nuova legge di Bilancio, convocando in risposta uno sciopero generale per il 28 novembre, accompagnato il giorno seguente da una giornata di mobilitazione a Roma, in solidarietà al popolo palestinese. La mediazione con la CGIL per uno sciopero generale e generalizzato come quello del 3 ottobre scorso è fallita tra accuse reciproche, nonostante gli appelli provenienti da più direzioni. Relativamente all’idea di indire un ulteriore sciopero per il 12 dicembre i lavoratori Ex-GKN hanno ad esempio avanzato una doppia critica, «perché non puoi seriamente pensare di cambiare la manovra del Governo il 12 dicembre» — dal momento che deve ricevere l’approvazione dal Parlamento entro la fine dell’anno — e «perché dimostri di non aver tratto alcun insegnamento dal passato», in riferimento all’elevata partecipazione agli appuntamenti congiunti, a partire dal 3 ottobre scorso.

Poche ore dopo l’annuncio della CGIL, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha ironizzato sulla scelta della data (un venerdì), rispolverando una retorica che declassa lo sciopero da strumento di pressione a scusa per allungare il fine settimana, dimenticando che l’astensione dal lavoro comporta una riduzione dello stipendio, non proprio l’ideale in un Paese coi salari bloccati da 30 anni.

È morto Peppe Vessicchio

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Peppe Vessicchio è morto all’età di 69 anni. Il celebre direttore d’orchestra era stato ricoverato a Roma, all’ospedale San Camillo, a causa di una polmonite. Nato a Napoli il 17 marzo 1956, Vessicchio ha esordito nel mondo della musica collaborando con diversi artisti, tra cui Gino Paoli ed Edoardo Bennato. Negli ultimi anni era diventato noto ai più per le trenta partecipazioni al Festival di Sanremo, dove ha vinto quattro volte come direttore d’orchestra.