Un auto è piombata sulla folla a Nunspeet, località a est di Amsterdam, causando almeno nove feriti di cui tre gravi. L’automobile ha investito i pedoni in fila durante una parata locale, e sul luogo sono arrivati i soccorsi con elicotteri per trasportare i feriti più gravi. Non sono chiare le dinamiche dell’incidente; secondo le prime dichiarazioni uscite sui media, la polizia starebbe escludendo l’ipotesi di un gesto intenzionale.
Cina: dazi sui prodotti caseari UE
A partire da domani la Cina imporrà dazi dal 21,9% al 42,7% sui prodotti lattiero caseari dell’Unione Europea. Lo ha annunciato il ministro del Commercio cinese, che ha spiegato che la misura sarà temporanea e avrà lo scopo di compensare le perdite del settore in Cina. «I prodotti lattiero-caseari importati provenienti dall’UE ricevono sussidi», ha detto il ministro. «L’industria lattiero-casearia nazionale cinese ha subito danni sostanziali ed esiste un nesso causale tra i sussidi e il danno», ha aggiunto.
Natale, pacchi e fregature: come tutelarsi negli acquisti online
Natale. Tempo di regali. Tempo di pacchi. Ordini online una biciletta e ti arriva a casa una pentola a pressione. O ti arriva la bici, ma senza una ruota. Oppure non ti arriva proprio niente: l’ordine cade nel vuoto ma l’addebito sul conto corrente è puntuale come la festa più attesa dell’anno. In tutti questi casi, chi acquista nel mercato digitale è tutelato dal decreto legislativo n. 206 del 2005, più noto come codice del consumo. Perché le tutele siano garantite è però necessario che il privato acquisti come semplice cittadino, ossia appunto come consumatore, e non nell’esercizio di una professione o di un’attività d’impresa. Viceversa, il venditore deve essere un professionista o un imprenditore.
Quando arriva il pacco sbagliato o il bene è danneggiato
Quando il bene consegnato è difforme da quello ordinato, il consumatore ha diritto a ottenere:
- la riparazione o la sostituzione del bene a spese del venditore;
- la riduzione proporzionale del prezzo, calcolata come minor valore rispetto a quello che il bene avrebbe avuto se fosse stato conforme;
- la risoluzione del contratto, che comporta la restituzione della merce e il rimborso del prezzo pagato.
Il difetto di conformità deve essere presente al momento della consegna del bene e manifestarsi entro i successivi due anni. Se il difetto si manifesta entro un anno, il consumatore è esonerato dal fornire la relativa prova.
Quando il pacco non arriva
Se il contratto non prevede termini diversi, a norma dell’art. 61 cod. cons. il venditore è obbligato a consegnare il bene entro 30 giorni dall’ordine. Qualora il bene non sia consegnato nei termini (legali o pattuiti dalle parti), il consumatore può intimare al venditore la consegna entro un congruo termine supplementare di tempo. Se anche questo secondo termine passa senza che avvenga la consegna, il consumatore può comunicare al venditore la risoluzione del contratto, che comporta la restituzione del prezzo pagato, e può agire per il risarcimento di eventuali danni subiti a causa dell’inadempimento della controparte.
Quello che forse non sai
Il codice del consumo offre una tutela rafforzata al consumatore che stipuli con un professionista o con un imprenditore un contratto a distanza o comunque al di fuori dei locali commerciali, come avviene tipicamente nelle compravendite online, tanto sul sito del venditore, quanto sulle piattaforme di appoggio come Amazon o Ebay.
In tutti questi casi il consumatore ha un diritto di recesso per ripensamento entro 14 giorni dalla consegna della merce. Non serve alcuna motivazione, basta la semplice richiesta del consumatore e può dunque essere esercitato anche nei casi già esaminati di difformità o vizi del bene consegnato.
I consigli dell’avvocato
Il consiglio principale è quello di leggere attentamente i termini e le condizioni generali di contratto prima di procedere ad acquisti online. È poi opportuno tenere traccia di tutte le comunicazioni ricevute e inviate, nonché utilizzare i canali legali di comunicazione, come la pec o la raccomandata, specie se si tratta di comunicazioni con cui si manifesta la volontà di recedere, di risolvere il contratto o di diffidare la controparte all’adempimento. E, ovviamente, si ricorda che acquistare presso esercizi commerciali di prossimità solleva l’acquirente da tutti i rischi visti finora.
India-Nuova Zelanda, accordo commerciale
India e Nuova Zelanda hanno annunciato di aver raggiunto un accordo di libero scambio; l’accordo arriva dopo negoziati durati nove mesi e mira ad abbassare i dazi e ad allentare i vincoli normativi sul commercio tra i due Paesi. Verrà ratificato nel primo trimestre del 2026. Esso di preciso, prevede un azzeramento dei dazi da parte della Nuova Zelanda su tutti i prodotti indiani in entrata; Wellington, invece, otterrebbe concessioni doganali per circa il 70% dei prodotti, che gradualmente verrebbero applicate al 95% delle esportazioni neozelandesi. L’accordo segue un analogo patto siglato tra India e Oman, e arriva in un contesto in cui Nuova Dehli sta provando a diversificare il proprio commercio.
La Russia starebbe sviluppando un’arma per distruggere Starlink
La rete Starlink sta svolgendo un ruolo cruciale nelle comunicazioni e nella trasmissione dei dati militari utilizzati dall’esercito ucraino nella sua resistenza all’invasione russa. Non sorprende quindi che i servizi di intelligence di due Paesi della NATO sospettino che Mosca stia lavorando a un’arma capace di mettere fuori uso l’intera costellazione satellitare dell’azienda statunitense rilasciando in orbita centinaia di migliaia di detriti ad alta densità.
L’indiscrezione è stata diffusa oggi, lunedì 22 dicembre, dall’agenzia di stampa The Associated Press, la quale sostiene di aver esaminato due rapporti di sicurezza secondo cui la Russia starebbe sviluppando un’arma a “zona d’effetto”, ovvero un sistema che, una volta dispiegato, rilascerebbe una fitta nube di micro‑proiettili difficili da individuare. Si tratterebbe di minuscoli pallini dal diametro di pochi millimetri, praticamente invisibili ai sistemi di rilevamento, ma comunque in grado di danneggiare le componenti più vulnerabili dei satelliti, in particolare i pannelli solari.
L’idea alla base del progetto sembrerebbe essere quella di sabotare le strumentazioni in orbita senza provocare danni catastrofici, nel tentativo di evitare la concretizzazione della cosiddetta Sindrome di Kessler, la teoria secondo cui la collisione tra grandi oggetti in orbita potrebbe generare uno sciame di detriti tale da innescare un effetto domino che finirebbe con il rendere inutilizzabile un’intera fascia orbitale. Nonostante queste presunte cautele, diversi accademici dubitano che la soluzione ipotizzata dalle intelligence sia realmente controllabile e, di conseguenza, che Mosca possa effettivamente adottare una strategia del genere. Una volta dispersi nello spazio, infatti, i detriti diventerebbero impossibili da gestire e metterebbero a rischio anche le operazioni spaziali della stessa Russia, nonché quelle del suo potente alleato, la Cina.
Per meglio comprendere le potenziali conseguenze di una simile strategia bellica, basti ricordare che appena lo scorso novembre tre taikonauti cinesi sono rimasti isolati nella stazione spaziale Tiangong dopo che la loro capsula di trasporto era stata danneggiata da quelli che l’Agenzia spaziale cinese (CMSA) ha definito minuscoli detriti orbitali. Le insidie poste da queste schegge vaganti – rifiuti spaziali generati in larga parte dall’attività umana – sono dunque già oggi concrete e richiedono sempre la massima attenzione. Nelle interpretazioni più estreme, un’arma di questo tipo potrebbe quindi assumere la funzione di un sistema di deterrenza capace, almeno in teoria, di attuare piani d’azione assimilabili alla distruzione di massa, rendendo inaccessibile per decenni una porzione significativa dell’ecosistema satellitare, impedendo gran parte delle attività spaziali.
Le fonti che hanno fornito l’informazione hanno chiesto di rimanere anonime e non hanno chiarito a che punto sia lo sviluppo di questa ipotetica arma, un dettaglio ritenuto troppo sensibile per essere divulgato. Da parte sua, Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino, non ha commentato quanto riportato da AP. Vale però la pena ricordare che la Russia dispone già di sistemi missilistici anti‑satellitari capaci di distruggere obiettivi in orbita e, di conseguenza, di generare pericolose nubi di detriti. Se accettiamo l’assunto che i pallini non siano pensati per distruggersi all’impatto, l’unico vantaggio tattico evidente offerto da questa nuova tecnologia sarebbe la possibilità di agire in maniera più discreta e difficilmente rilevabile.
Non è però detto che la segretezza sia un requisito indispensabile. Il quadro normativo internazionale sullo spazio è rimasto fermo agli anni Settanta, riflette le paure nucleari della Guerra Fredda, ma non contempla le complessità emerse nei decenni successivi. Non è affatto certo, pertanto, che la Russia possa essere ritenuta perseguibile qualora, nello smantellare i propri satelliti, finisse fatalmente e incidentalmente per compromettere in modo irreparabile l’accesso ai servizi satellitari globali. Quel che è evidente, tuttavia, è che un’azione del genere — indipendentemente dalla sua eventuale legittimità — attirerebbe su Mosca la ire delle principali potenze mondiali, tutte ormai legate alla nuova corsa allo spazio. Il rilascio incontrollato di detriti non rappresenta insomma un’opzione troppo verosimile, soprattutto perché, come evidenzia la Secure World Foundation nel suo ultimo report, si stima che il Cremlino disponga di strumenti cibernetici molto meno compromettenti con cui interferire strategicamente con le attività di Starlink.
Antitrust multa Apple per 98 milioni
L’Antitrust ha erogato una multa da 98,6 milioni di euro contro Apple per abuso di posizione dominante. L’azienda è accusata di avere violato l’articolo 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea relativamente alla concorrenza nel mercato degli sviluppatori di app; in tale mercato, spiega la sentenza, Apple ricopre una posizione di assoluta dominanza tramite l’Apple Store. Apple, inoltre, impone ai propri utenti condizioni di privacy restrittive nell’ambito della concorrenza e del diritto alla riservatezza. Tali condizioni «sono unilaterali, ledono gli interessi dei partner commerciali di Apple e sono sproporzionate rispetto all’obiettivo di tutela della privacy».
Mose, il pozzo senza fondo di soldi pubblici: servono altri 40 milioni o si fermerà
Il sistema di difesa di Venezia dall’acqua alta è di nuovo a rischio blocco per mancanza di fondi. Oltre 41 milioni di euro, necessari per la gestione ordinaria, le manutenzioni e le operazioni di salvaguardia, non sono stati infatti ancora trasferiti dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti al Consorzio Venezia Nuova, attualmente in liquidazione. Senza queste risorse, che devono essere obbligatoriamente contabilizzate entro la fine del 2025, si rischia di paralizzare il Mose, impedendo persino il sollevamento delle barriere in caso di alte maree e mettendo in pericolo la sicurezza di Venezia e Chioggia. L’allarme è stato formalizzato in una lettera al ministro, mentre le imprese avvertono: senza pagamenti, i lavori si fermano.
A lanciare il grido d’allarme è stato il commissario liquidatore del Consorzio, Massimo Miani, con una missiva formale datata 18 dicembre. Nella lettera si spiega che il Ministero non ha operato i trasferimenti di cassa necessari per rispettare il cronoprogramma, e che quindi il Consorzio non può corrispondere quanto dovuto alle imprese per i lavori già eseguiti, né programmarne di nuovi. Pur avendo ricevuto diversi solleciti formali, il Mit non ha provveduto, costringendo finora il Consorzio a fare credito, un’opzione che ora non è più praticabile. Le conseguenze di un ulteriore ritardo sono descritte in modo chiaro e preoccupante nella comunicazione. Miani sintetizza che senza i pagamenti e la necessaria contabilizzazione «saranno impedite le attività di gestione del Sistema Mose, di fatto impedendo i sollevamenti delle barriere di difesa (qualora fossero necessari) e le attività a questi ancillari, indispensabili per garantire la salvaguardia di Venezia e Chioggia in presenza di picchi di marea e, dunque, evitare l’allagamento delle città. Ciò senza contare che verrebbe posta a rischio la continuità delle manutenzioni programmate e delle altre attività di avviamento del sistema, con tutte le criticità correlate al corretto utilizzo del Sistema di regolazione delle maree, nonché di altri rilevantissimi interventi di salvaguardia».
La notizia ha immediatamente sollevato forti reazioni. Cgil, Cisl e Uil di Venezia hanno espresso «forte preoccupazione», dichiarando che «il governo non può bloccare risorse essenziali e già stanziate, perché così facendo mette a rischio la salvaguardia di Venezia e scarica le ricadute su lavoratrici, lavoratori e imprese coinvolte». Sul fronte politico, il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro è intervenuto con una nota ufficiale, dichiarando che sta seguendo la vicenda «con particolare attenzione e con interlocuzioni al massimo livello». Brugnaro ha rimarcato che il Mose è «un’infrastruttura unica al mondo» e «un presidio di sicurezza che non può permettersi incertezze». Rivendicandoo il ruolo della sua amministrazione nel supportare il completamento dell’opera, ricordando il primo sollevamento in esercizio il 3 ottobre 2020, Brugnaro ha auspicato un confronto costruttivo tra governo, ministero, Ragioneria generale dello Stato, Autorità per la Laguna e imprese al fine di trovare soluzioni rapide. Ha ribadito che il Mose «non è una bandiera politica, ma un’opera di salvaguardia nazionale e un patrimonio dell’ingegneria italiana». Mentre il tempo stringe, la palla passa all’esecutivo, chiamato a evitare che il sistema di difesa più costoso e discusso d’Italia si trasformi in un colossale, e pericoloso, fermo immagine.
Il MOSE consiste in un progetto ideato e sviluppato con l’intento di proteggere Venezia dall’acqua alta. È composto da 4 barriere, costituite a loro volta da 78 “rettangoli” metallici con una larghezza che va dai 18 ai 29 metri, che si abbassano e si alzano dal fondo del mare per via di un meccanismo di immissione di aria compressa ogni qualvolta ce ne sia il bisogno. Il compito di progettare l’opera fu affidato ufficialmente nel 1980 a un gruppo di esperti, ma il primo prototipo ufficiale subì infatti un grosso rallentamento principalmente per due motivi: valutazioni negative sull’impatto ambientale – poi superate negli anni 2000 con una sentenza del Tribunale regionale amministrativo (Tar) del Veneto – e irregolarità nelle concessioni, con la Commissione Europea che aveva segnalato come l’appalto dei lavori fosse stato affidato al Consorzio Venezia nuova senza che ci fosse un regolare bando di gara pubblica. Scandali di questo tipo si sono verificati anche negli anni successivi – e hanno portato tra l’altro a 35 arresti tra politici locali e dirigenti del Consorzio per corruzione e frode fiscale -, tant’è che anche se i lavori sono cominciati nel 2003, ad oggi non si sono ancora totalmente conclusi. Il dato più aggiornato è il dossier della Camera del 18 febbraio 2025 dal titolo “Misure organizzative urgenti per fronteggiare situazioni di particolare emergenza, nonché per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, in cui si indica che, al 31 dicembre 2024, il MOSE risultava completato per il 89,5%. Ciò implica che, secondo tale rilevazione, mancherebbe circa il 10,5% delle opere per la sua definitiva realizzazione.








