sabato 23 Novembre 2024
Home Blog

Smart city o città della sorveglianza? L’esemplare caso di Trento

2

L’etichetta di “smart city” – città intelligente – appare sempre più spesso nei discorsi dei sindaci delle città all’avanguardia, che vedono nella tecnologia uno strumento chiave per delineare l’urbanistica del futuro. Sebbene il concetto di smart city sia emerso all’inizio del 2010, la sua definizione resta ancora oggi sfuggente e generica, priva di riferimenti univoci che ne fissino chiaramente il significato. In linea generale, la città intelligente punta a ottimizzare l’efficienza e la sostenibilità delle infrastrutture e dei servizi urbani, creando un ambiente in cui l’innovazione tecnolo...

Questo è un articolo di approfondimento riservato ai nostri abbonati.
Scegli l'abbonamento che preferisci 
(al costo di un caffè la settimana) e prosegui con la lettura dell'articolo.

Se sei già abbonato effettua l'accesso qui sotto o utilizza il pulsante "accedi" in alto a destra.

ABBONATI / SOSTIENI

L'Indipendente non ha alcuna pubblicità né riceve alcun contributo pubblico. E nemmeno alcun contatto con partiti politici. Esiste solo grazie ai suoi abbonati. Solo così possiamo garantire ai nostri lettori un'informazione veramente libera, imparziale ma soprattutto senza padroni.
Grazie se vorrai aiutarci in questo progetto ambizioso.

Spagna: tutte le difficoltà del governo Sanchez a un anno dal suo insediamento

1

A poco più di un anno dal secondo insediamento al governo spagnolo del primo ministro Pedro Sánchez, i delicati equilibri che hanno caratterizzato la sessione d’investitura non sono riusciti, nel corso di quest’anno, a garantire una maggiore stabilità all’alleanza di governo. Il governo di campo largo, che vede al suo interno il Partito Socialista Obrero Español, la sinistra radicale di Sumar, i partiti indipendentisti catalani e baschi di sinistra, Euskal Herria Bildu ed Esquerra Republicana, e i partiti indipendentisti conservatori, Junts per Catalunya e il Partido Nacionalista Vasco, nel corso di questi dodici mesi in più occasioni non è riuscito a trovare un accordo, finendo per favorire il Partido Popular e Vox, principali partiti d’opposizione. Ci si chiede ancora oggi, quindi, se la coalizione di governo riuscirà a portare a termine la sua legislatura, ma la risposta non tarderà ad arrivare: per non perdere la fiducia e restare in carica, Sánchez dovrà obbligatoriamente ottenere l’approvazione dei bilanci dello stato, con una votazione attualmente prevista per le ultime settimane di gennaio.

La coperta corta degli equilibri parlamentari

Riuscire a trovare un accordo tra forze parlamentari, in alcuni casi opposte e rivali nei contesti autonomici, sembra una missione impossibile. La Ley de Amnistía è stata tra le leggi più controverse approvate durante i primi mesi di quest’anno di governo e molte analisi politiche assicurano sul fatto che questo accordo, finalizzato tra le altre cose a porre fine al pròces, il decennale conflitto tra forze indipedentiste catalane e istituzioni spagnole, abbia avuto come ulteriore fine «accontentare» Junts e così dare luogo ad un’alleanza strategica utile all’agenda politica del governo. Questa mossa, però, non si è dimostrata così lungimirante. Innanzitutto, il cambio di idea da parte di Sánchez, che negli scorsi anni negava la possibilità di vedere realizzati il referendum e l’amnistia, ha indubbiamente disturbato una parte dell’elettorato del PSOE, oltre che alcuni rappresentanti del partito, tra i quali il presidente socialista della comunità autonoma di Castiglia e la Mancia, Emiliano García Page, e l’ex presidente del governo Felipe González. A questo si è aggiunto anche la contrarietà dello stesso partito catalano Junts, che, dopo aver visto negata dal Tribunal Supremo l’applicazione dell’amnistia nei confronti del leader Carles Puigdemont, e dopo la vittoria del socialista Salvador Illa alle elezioni autonomiche catalane di maggio, ha iniziato ad attuare una politica di forte contrasto verso i piani di governo.

Discorso di Carles Puigdemont al suo ritorno a Barcellona dopo sette anni di esilio

Ancora una volta, il presidente del governo spagnolo ha dovuto ricorrere a nuovi patti, nella speranza di ottenere un accordo con il partito catalano. A pochi giorni dal disastro della DANA, infatti, quando l’interesse mediatico era completamente focalizzato sulla grave situazione umanitaria nella Comunità Valenziana, il governo del PSOE ha siglato un accordo con Junts e il PNV, per approvare una tassa speciale per gli istituti bancari e simultaneamente escludere dall’innalzamento delle tasse al 15% (voluto dalla Comunità Europea) le compagnie energetiche private del paese.

Quest’accordo, presuntamente raggiunto senza l’approvazione del principale socio di governo Sumar, non solo sposta drasticamente a destra l’equilibrio dell’alleanza del parlamento, ma imbriglia il PSOE in nuovi accordi, questa volta con i partiti di sinistra, ERC, Bildu e Podemos. Proprio quest’ultimo, attraverso le parole del portavoce, Javier Sánchez Serna, ha già dichiarato che, se non si otterrà una diminuzione del 40% sui canoni d’affitto e se lo stato spagnolo «non interromperà immediatamente ogni relazione commerciale e diplomatica con Israele», si schiererà contro l’approvazione dei bilanci generali dello stato. Podemos, che dopo la rottura con Sumar e l’esclusione dal governo, è passato al gruppo misto, risulta essere una chiave di volta negli equilibri del parlamento. In caso di voto contrario, il PSOE avrà bisogno di tutti i voti favorevoli dei soci di governo, senza la possibilità di astensione.

Quando un socio di governo può venire meno: la precaria situazione di Sumar

Il partito plurinazionale Sumar, nato ufficialmente a un mese dalle elezioni del 2023, dopo l’iniziale accorpamento di Podemos, sembra già essere ad un inesorabile bivio. La formazione «alla sinistra del PSOE», dopo il tiepido successo alla tornata elettorale dello scorso anno, nel corso dei mesi è precipitata in un baratro dal quale fa fatica a riemergere. Dopo la débacle delle elezioni europee (4,66% di voti e tre eurodeputati), la stessa Yolanda Díaz, vicepresidente del governo, ministra del lavoro e fondatrice della coalizione, ha scelto di lasciare la direzione del partito, decapitando una formazione fortemente legata alla sua figura. Se inizialmente Sumar aveva come fine ultimo veicolare i voti delle persone lontane alla politica del Partito Socialista, offrendo un’alternativa al bipartitismo storico e soprattutto una linea vicina alle battaglie progressiste, quali i diritti della classe lavoratrice, i diritti della comunità LGBT, il rispetto delle diversità culturali nel paese e il femminismo, proprio su quest’ultimo tema il partito ha subito l’ultimo grave fiasco mediatico e ideologico.

A seguito dei deludenti risultati ottenuti alle elezioni europee del 9 giugno 2024, Yolanda Díaz si è dimessa dalla guida di Sumar. Nonostante le dimissioni, Díaz ha mantenuto i suoi incarichi come Vicepresidente del Governo e Ministra del Lavoro

Il 24 ottobre del 2024, Íñigo Errejón, cofondatore dei partiti Podemos (dal quale uscirà nel 2019), Más Madrid, Más País e Sumar, ha annunciato, attraverso un comunicato pubblicato sul suo profilo X, il suo abbandono alla vita politica. «Sono giunto al limite tra il personaggio e la persona» scriveva l’ex portavoce di Sumar, «tra una forma di vita neoliberale e l’essere portavoce di una formazione che difende un mondo nuovo, più giusto e umano». Aggiungeva, inoltre, di aver iniziato un percorso di terapia, dovuto a una pressione psicologica che avrebbe generato una «soggettività tossica, moltiplicata, nel caso degli uomini, dal patriarcato». Errejón, che si è sempre dimostrato non solo vicino, ma particolarmente attivo nella causa femminista, attraverso questo comunicato ha lasciato la politica soffermandosi sulle difficoltà nella gestione della pressione mediatica, cercando per un’ultima volta di menzionare ambiguamente le tematiche che hanno contraddistinto la sua carriera politica. In realtà, pochi giorni prima la giornalista Cristina Fallarás, ha pubblicato alcune denunce anonime di atteggiamenti vessatori e di molestie sessuali da parte di un «politico molto noto di Madrid». A poche ore dal comunicato pubblicato su X, il nome del politico è venuto fuori: Íñigo Errejón.

Il tam tam mediatico investe così Sumar, che rapidamente espelle Errejón dal partito e, dopo pochi giorni, presenzia davanti alla stampa con una conferenza poco incisiva, durante la quale viene più volte dichiarato che «i sistemi di prevenzione non hanno funzionato». Il contraccolpo è stato distruttivo. Nel corso dei giorni vengono formalizzate due denunce per violenza sessuale nei confronti dell’ex portavoce e la deputata del parlamento madrileno Loreto Arenillas viene espulsa dal partito Más Madrid, accusata di aver coperto le molestie di Errejón durante una manifestazione femminista e aver spinto la vittima a cancellare la denuncia fatta all’epoca dei fatti sul social Twitter. In attesa della chiamata a giudizio di Errejón, il partito sta attraversando una fase di profonda riorganizzazione, tanto politica, quanto ideologica.

I problemi all’interno del PSOE, tra le denunce di corruzione e la gestione della DANA

In questo delicato equilibrio di governo, i problemi non vengono esclusivamente dai partiti vicini. Durante questo primo anno di legislatura, il Partito Socialista, e in alcuni casi lo stesso presidente Pedro Sánchez, si è dovuto difendere da varie accuse di corruzione, che, anche in questo caso, hanno portato all’espulsione di figure principali dal partito. 

Nel 2022 il portavoce all’Assemblea di Madrid del Partido Popular Alfonso Serrano presentò una denuncia alla Fiscalía General del Estado su alcune presunte irregolarità nei contratti di emergenza siglati durante la pandemia da Covid-19 dall’Amministrazione generale dello Stato e un’azienda di proprietà di Koldo García, assessore dell’ex Ministro dei Trasporti José Luís Ábalos.

Koldo García viene così arrestato il 20 febbraio del 2024, con l’accusa di riscossione di commissioni illecite nell’acquisto di mascherine. Ábalos, nonostante non fosse ancora imputato, viene così espulso dal partito socialista, per entrare a far parte del gruppo misto del Congresso dei deputati. Il 7 novembre, il Tribunal Supremo del paese ha aperto una causa contro l’ex ministro per presunta subornazione, malversazione, traffico di influenze e organizzazione criminale.

Simultaneamente, il presidente Sánchez si trova obbligato a gestire le accuse di traffico di influenze e corruzione privata mosse a sua moglie Begoña Gómez. Il 24 aprile, dopo una denuncia depositata dal sindacato di estrema destra Manos Limpias sulla base di accuse non certificate riscontrate su alcuni giornali, il giudice Juan Carlos Peinado ha aperto una commissione di investigazione nei confronti di Begoña Gómez, per aver influito sul finanziamento con fondi pubblici pari a 15,6 milioni di euro verso l’azienda Innova NEXT e la scuola finanziaria The Valley, entrambe di proprietà di Juán Carlos Barrabés. Tra le accuse, l’Università Complutense di Madrid denuncia la possibilità di appropriazione indebita da parte della Gómez, ex cattedratica dell’ateneo, di un software finanziato dall’università e della conseguente rivendita dello stesso a terzi. Il giudice Peinado ha così citato a giudizio anche il presidente Sánchez con il fine di ottenere le sue dichiarazioni come testimone; sia il presidente, che Begoña Gómez, si sono avvalsi della possibilità di non rispondere.

Manifestazione per chiedere le dimissioni di Carlos Mazón e Pedro Sánchez dovute alla disastrosa gestione delle alluvioni che hanno colpito la Comunità Valenziana. 9 Novembre 2024

Le gravi alluvioni che hanno colpito la Comunità Valenziana il 29 ottobre e che hanno causato più di duecento vittime, hanno messo evidentemente a dura prova il governo. Nonostante le responsabilità non cadano direttamente su Pedro Sánchez, ma sul presidente valenziano Carlos Mazón, la scarsa tempestività e la scelta di non attuare il piano d’emergenza nazionale hanno messo in evidenza quanto il piano d’azione del governo si sia mosso più su un livello politico che su un livello etico. Immediate sono state le proteste dei partiti d’opposizione, che, sfruttando il momento, hanno iniziato ad accusare il governo di inadempienza, spesso alimentando le fake news diffuse da media conservatori. 

Nonostante tutto, un ultimo sondaggio del Centro de Investigación Sociologica (CIS) ha mostrato come il PSOE attualmente abbia guadagnato due punti percentuali (34%), a discapito del Partido Popular (29%) sull’elettorato del paese. Pedro Sánchez, a pochi mesi dalla votazione parlamentare sui bilanci dello stato e con una situazione di forte precarietà negli equilibri delle forze politiche, sembra ancora una volta capace di gestire le oscillazioni della politica spagnola. Osservando le coalizioni di governo nel resto d’Europa, la Spagna appare ancora, perlomeno sulla carta, un’oasi dove la sinistra sembra ancora capace di dire la propria. Resta da capire, però, quanto potrà durare.

[di Armando Negro]

L’avvertimento di Putin: “Ora il conflitto è globale, siamo pronti a colpire”

0

Si sta aggravando pericolosamente la profonda tensione che contrappone Russia e Occidente nel conflitto in Ucraina, al punto tale che il presidente russo Vladimir Putin ha detto di essere pronto a colpire i Paesi che hanno fornito e permesso all’Ucraina l’utilizzo di missili a lungo raggio in territorio russo, a partire da Gran Bretagna e Stati Uniti. Secondo il capo del Cremlino, tale autorizzazione ha fatto assumere al conflitto un carattere globale, in quanto i Paesi occidentali sono considerati direttamente coinvolti nelle operazioni sul campo. Da quando il presidente americano Joe Biden ha approvato l’utilizzo di missili a lunga gittata da parte di Kiev per colpire Mosca domenica scorsa – seguito a ruota da Gran Bretagna e Francia – le forze ucraine hanno attaccato la Russia con sei ATACMS di fabbricazione statunitense il 19 novembre e con missili Storm Shadow britannici e HIMARS di fabbricazione statunitense il 21 novembre: «Da quel momento, come abbiamo sottolineato più volte, il conflitto in Ucraina, provocato dall’Occidente, ha acquisito elementi di natura globale», ha affermato il presidente russo in un discorso televisivo alla nazione trasmesso ieri sera. Lo stesso ha anche avvertito che la Russia si riserva il diritto di colpire le nazioni coinvolte: «Ci consideriamo autorizzati a usare le nostre armi contro le strutture militari di quei Paesi che permettono che le loro armi vengano usate contro le nostre strutture», ha affermato, aggiungendo che «Se qualcuno ne dubita, allora si sbaglia: ci sarà sempre una risposta».

Il monito verbale è stato preceduto da quello sul campo: le forze armate moscovite, infatti, hanno testato ieri un nuovo missile ipersonico non nucleare a medio raggio (IRBM) noto come “Oreshnik” (il nocciolo). Il missile è stato lanciato contro un’azienda missilistica e di difesa nella città ucraina di Dnipro, dove ha sede la società di missili e razzi spaziali Pivdenmash, nota in russo come Yuzhmash. Inizialmente, l’aeronautica militare ucraina aveva riferito che l’attacco era stato effettuato con un missile balistico intercontinentale (ICBM), ma funzionari occidentali hanno smentito tale informazione, confermando che si tratta di un IRBM, come riferisce anche il Kyiv Independent. Putin ha affermato che il lancio ha avuto successo e che potrebbero seguirne altri, previo avvertimento della popolazione civile e senza timore che i nemici vengano a conoscenza in anticipo dell’attacco, in quanto non ci sono contromisure contro quel tipo d’arma: «Lo faremo per motivi umanitari, apertamente, pubblicamente, senza alcuna preoccupazione circa eventuali contromisure da parte del nemico, che riceverà anche queste informazioni. Perché senza alcuna preoccupazione? Perché al momento non ci sono contromisure per quest’arma», ha affermato. Il capo del Cremlino ha spiegato che Mosca sta sviluppando missili a corto e medio raggio in risposta alla prevista produzione e al successivo dispiegamento da parte degli Stati Uniti di analoghe armi a medio e corto raggio in Europa e nell’Estremo Oriente, come conseguenza del ritiro formale e unilaterale da parte di Washington nel 2019 dal Trattato sulle forze nucleari a medio raggio (INF). «Credo che gli Stati Uniti abbiano commesso un errore distruggendo unilateralmente il trattato sull’eliminazione dei missili a medio e corto raggio nel 2019 con un pretesto inverosimile».

Per quanto riguarda la situazione sul campo, il presidente della nazione eurasiatica ha spiegato che le forze russe avanzano con successo lungo l’intera linea del fronte e che «tutti gli obiettivi che ci siamo prefissati vengono raggiunti». Ha altresì detto che l’uso dei missili occidentali a lungo raggio «non è in grado di cambiare il corso delle azioni militari nella zona dell’operazione militare speciale», così come anticipato anche da alcune testate occidentali, tra cui il New York Times. Secondo quanto riferito dal capo russo, l’attacco missilistico ucraino con ATACMS non è riuscito a infliggere danni gravi, mentre l’attacco con gli Storm Shadow nella regione di Kursk del 21 novembre, diretto a un punto di comando, ha causato morti e feriti.

Gli ultimi mesi della presidenza Biden hanno spinto il conflitto a un livello di scontro mai raggiunto prima: dopo i missili a lungo raggio, infatti, proprio ieri Biden ha deciso di concedere all’Ucraina anche l’impiego di mine antiuomo, nonostante il loro uso, sviluppo e trasferimento sia vietato dalla convenzione di Ottawa del 1997 per i danni devastanti che possono infliggere sui civili e il territorio. L’intenzione sembra, dunque, essere quella di creare il maggior danno possibile prima dell’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca che – stando alle dichiarazioni del presidente eletto – dovrebbe portare a un rapido cessate il fuoco, segnando quindi il tramonto delle ambizioni dello “stato profondo” americano di continuare a esercitare un’influenza determinante in quello che è un perno geopolitico per il controllo dell’Eurasia. Si apre ora, dunque, la fase più delicata e pericolosa della guerra in Ucraina.

[di Giorgia Audiello]

Quattro soldati italiani sono stati feriti in Libano

0

Due razzi hanno colpito una delle basi della missione Unifil in Libano, si tratta di quella di Shama, nel Sud del Paese. Nell’attacco sono rimasti feriti in modo lieve (escoriazioni e piccole ferite) quattro soldati italiani. Non è chiara la paternità dell’attacco, ma il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, punta il dito contro i miliziani di Hezbollah: «diciamo con fermezza a Hezbollah che i militari italiani non si possono toccare». Si tratta del terzo attacco subito in una settimana dal contingente italiano della missione ONU in Libano.

Brasile, Jair Bolsonaro formalmente accusato di tentato golpe

0
La polizia federale ha depositato ieri presso la Corte Suprema del Paese una denuncia formale nei confronti dell’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro, accusato di avere pianificato un colpo di Stato con l’obiettivo di annullare le elezioni del 2022 insieme a decine di ex ministri e alti funzionari. Il rapporto finale della polizia conclude un’inchiesta durata quasi due anni sul ruolo di Bolsonaro, culminato nelle rivolte dei suoi sostenitori che hanno travolto la capitale Brasilia nel gennaio 2023, una settimana dopo l’insediamento del suo rivale, l’attuale presidente del Paese Luiz Inacio Lula da Silva.

«Hanno salvato vite, non sono punibili»: assolti attivisti No Borders per l’occupazione in Valsusa

0

Sono stati assolti anche in secondo grado i 18 attivisti che sei anni fa occuparono una ex casa cantoniera a Oulx, in Valle di Susa, per offrire sostegno ai migranti in difficoltà. La Corte di Appello di Torino ha infatti sancito che le azioni degli attivisti, accusati di invasione di edificio pubblico, non erano punibili, riconoscendo come prioritario il valore umanitario delle loro iniziative. Nel 2018, quando il leader leghista Matteo Salvini sedeva sulla poltrona più alta del Viminale, l’edificio era stato trasformato in un rifugio per migranti, offrendo fino all’anno successivo riparo e assistenza a chi cercava di attraversare il confine italo-francese in condizioni estreme, tentando di attraversare i valichi alpini anche in pieno inverno. In primo grado, i giudici del tribunale di Torino avevano assolto gli imputati sostenendo che il reato di «invasione di edificio» era stato effettivamente commesso, ma che non fosse punibile per «tenuità del fatto». Diversa la lettura della Corte d’appello, che ha scelto di applicare l’articolo 54 del codice penale, in base a cui non è punibile chi commette un fatto in quanto «costretto dalla necessità di salvare sé o altri da un pericolo di un danno grave alla persona».

È stata così accolta la richiesta della difesa, che aveva sottolineato come l’occupazione fosse dettata da uno stato di necessità, motivato dalla volontà di salvare vite umane. Testimonianze e documentazione hanno dimostrato che, grazie all’intervento degli attivisti, molti migranti sono stati sottratti a situazioni potenzialmente letali. L’ex casa cantoniera di Oulx, chiusa da tempo, era stata individuata come luogo di transito per i migranti diretti in Francia, spesso respinti al confine dalle autorità francesi. Il rifugio autogestito offriva un luogo sicuro dove riposare, ricevere cure mediche e prepararsi al viaggio. Nel 2021, l’edificio è poi stato sgomberato dalle forze dell’ordine. «Migranti con abiti estivi in pieno inverno, senza alcun luogo dove ripararsi, rischiavano conseguenze gravissime. Gli imputati, offrendo supporto, hanno concretamente evitato tragedie», ha dichiarato Danilo Ghia, uno degli avvocati difensori, in seguito alla lettura della sentenza. Alla sbarra erano finiti anche i militanti che avevano occupato una struttura sita nei pressi della chiesa di Clavière, ma per loro è stato disposto il non doversi procedere per difetto di querela.

A testimoniare in favore degli anarchici al processo era stato, nel 2022, anche il parroco di Bussoleno Luigi Chiampo, che sempre a Oulx gestisce il Rifugio Massi. «Per quei migranti la montagna era come le acque del Mediterraneo per i barconi che affondano, una causa di morte – aveva dichiarato il sacerdote -. Una quindicina di persone persero la vita per il freddo, la neve, la caduta in un dirupo. Un giovane afgano fu travolto a cinque km dal nostro rifugio mentre camminava lungo i binari della ferrovia: non poteva permettersi il viaggio in treno». «In quei due anni – aveva aggiunto don Chiampo – il flusso in Alta Valle aumentò, verosimilmente per il blocco del valico di Ventimiglia. La media fu di ottomila o diecimila passaggi. Anche nel 2021 è stata molto alta». La maggior parte delle volte, ha riferito il prete, si trattava di persone di origine di origine africana che «non conoscevano l’ambiente di montagna e non avevano mai visto la neve: c’era chi arrivava in maglietta o con le infradito ai piedi».

[di Stefano Baudino]

Arresto di Netanyahu, il governo italiano si rassegna: “Sentenza sbagliata ma l’applicheremo”

4

Dopo le prime dichiarazioni sulla pronuncia con cui la Corte Penale Internazionale ha emesso un mandato di arresto per il premier israeliano Netanyahu e l’ex ministro della Difesa israeliano Gallant arrivate dal ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani, che aveva espresso commenti indecorosi per un esponente di uno Stato di diritto e membro della Corte Penale Internazionale, ipotizzando che la scelta di rispettare il diritto internazionale sarebbe stata subordinata al volere degli alleati, a ristabilire l’ovvio sono state le parole di Guido Crosetto, ministro della Difesa molto vicino alla premier Meloni. Il capo del dicastero di via XX settembre, intervistato a Porta a Porta su Rai 1, ha fortemente criticato una sentenza definita «sbagliata», affermando però che, se Netanyahu e Gallant giungessero in Italia, «dovremmo arrestarli, perché rispettiamo il diritto internazionale». Tale posizione riecheggia quella della gran parte dei Paesi europei, esplicata dall’Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri Joseph Borrell, il quale ha sottolineato che la pronuncia è da considerare valida in tutto il territorio dell’UE. Non mancano, però, le voci discordanti, dentro e fuori dall’Europa.

Il primo commento sulla sentenza della CPI – che, oltre che nei confronti di Netanyahu e Gallant, ha emesso un mandato d’arresto anche per il comandante delle Brigate Al-Qassam, Mohammed Al-Masri, era arrivato dal ministro degli Esteri Tajani, il quale, a margine del Business forum trilaterale svoltosi a Parigi, aveva detto: «Vedremo quali sono i contenuti della decisione e le motivazioni che hanno spinto a questa decisione la Corte. Noi sosteniamo la CPI ricordando sempre che la Corte deve svolgere un ruolo giuridico e non un ruolo politico: valuteremo insieme ai nostri alleati cosa fare e come interpretare questa decisione e come comportarci insieme su questa vicenda». Al contrario, a sottolineare senza indugi che il governo italiano sarà vincolato ad applicare la pronuncia è stato, alcune ore dopo, il ministro della Difesa Guido Crosetto. Il quale ha però sferrato un duro attacco contro i contenuti del verdetto. «Penso che hanno fatto una sentenza che ha messo sullo stesso piano il presidente israeliano e il ministro della Difesa con chi ha organizzato e guidato l’attentato che ha massacrato e rapito persone in Israele, cioè quello per cui è partita la guerra – ha infatti affermato il ministro di FDI –. Sono due cose completamente diverse». Si smarca, invece, il ministro dei Trasporti e leader leghista Matteo Salvini, che oggi ha detto: «Se Netanyahu venisse in Italia sarebbe il benvenuto. I criminali di guerra sono altri». Almeno per ora, la premier italiana Giorgia Meloni non ha rilasciato dichiarazioni.

A smentire la velata illazione che la CPI abbia prodotto una pronuncia “politica” è stato l’Alto rappresentante UE per gli Affari esteri, Josep Borrell. Il quale, in occasione di una conferenza stampa ad Amman con il ministro degli Esteri della Giordania, ha detto. «Non è una decisione politica, ma la decisione di un tribunale, la Corte penale internazionale, e le decisioni dei tribunali devono essere rispettate e applicate». Nello specifico, ha confermato il capo della diplomazia UE, la decisione della CPI «è vincolante per tutti gli Stati che fanno parte della Corte, che comprende tutti i membri dell’Unione europea, che sono vincolati ad attuarla». Eppure, anche in Europa qualcuno si sfila. È il caso del premier dell’Ungheria Viktor Orban, che stamane, intervenendo alla radio di Stato ungherese, ha dichiarato: «Oggi inviterò il primo ministro israeliano Netanyahu a visitare l’Ungheria, dove gli garantirò, se verrà, che la sentenza della Corte penale internazionale non avrà alcun effetto in Ungheria e che non ne rispetteremo i termini». Orban si pone dunque sulla stessa scia degli Stati Uniti, il cui presidente uscente, Joe Biden, ha definito «scandalosa» la sentenza, affermando che gli USA saranno «sempre al fianco di Israele contro le minacce alla sua sicurezza». «Nessuna scandalosa decisione anti-israeliana ci impedirà, e mi impedirà, di continuare a difendere il nostro Paese», aveva invece dichiarato il premier israeliano Netanyahu.

La pronuncia della Corte Penale Internazionale è arrivata nella giornata di ieri. Netanyahu e Gallant sono accusati di «crimini contro l’umanità e crimini di guerra» commessi nella Striscia di Gaza tra l’8 ottobre 2023 e «almeno il 20 maggio 2024». Il dibattito che si è scatenato sull’applicazione della pronuncia nel nostro Paese è a dir poco surreale. L’Italia ha infatti ratificato lo Statuto di Roma, attraverso cui si è sancito che le decisioni della Corte Penale sono vincolanti e i Paesi firmatari hanno l’obbligo di rispettarli. I mandati di cattura, nello specifico, stabiliscono che i Paesi arrestino le persone coinvolte nel caso in cui esse mettano piede nel loro territorio, per poi consegnarle al Tribunale. Uno dei principi fondativi dell’Italia e di quasi tutti i Paesi europei è poi quello della separazione dei poteri: Nel caso in cui Netanyahu dovesse atterrare in Italia, a prendersi carico dell’onere sarebbe l’autorità giudiziaria. Rispetto alla cui azione il governo, almeno fino a quando la parte della Costituzione che lo prevede non verrà cambiata, non ha poteri di intervento.

[di Stefano Baudino]

Libano, proseguono i raid israeliani: almeno 47 morti

0

Una raffica di attacchi aerei dell’esercito israeliano ha causato la morte di almeno 47 persone nella regione orientale di Baalbek, in Libano. Lo ha riportato l’emittente Al Jazeera, che ha riferito che diverse città e villaggi sono stati presi di mira nei raid. Il ministero della Salute libanese ha reso noto che sono rimaste ferite anche 22 persone. Le operazioni di soccorso sono in pieno svolgimento. Nel frattempo, nuovi attacchi aerei dell’IDF hanno colpito stamane la periferia sud di Beirut, dopo la richiesta da parte di Israele di evacuare la zona.

Atlantismo e liberalizzazioni: Meloni in Argentina va a braccetto con l’ultraliberista Milei

6

Sui media italiani è passata senza godere di grande attenzione il viaggio di Giorgia Meloni in Argentina, dove ha fatto visita al suo omologo, l’autoproclamato “anarcoliberista” Javier Milei. Tuttavia si è trattato di un appuntamento importante, suggellato dalle dichiarazioni di entrambi i leader, che ipotizzano un’alleanza e si esprimono reciproca ammirazione. Esplicita e palpabile l’intesa tra i due, che si è tradotta in abbracci e sorrisi, ma soprattutto nell’elogio, da parte del capo del governo italiano, delle politiche dell’ultraliberista Milei e dei millantati valori occidentali che vanno di pari passo con un atlantismo sfrenato: «Nel nostro bilaterale abbiamo riscontrato la volontà di lavorare insieme perché è molto forte la nostra unità di vedute su molti dossier, penso alla guerra in Ucraina, penso al conflitto in Medio Oriente, penso anche alla crisi che sta attraversando il Venezuela». Una comunanza di vedute che include tanto il piano economico quanto quello geopolitico. Meloni, infatti, ha incensato le liberalizzazioni intraprese dal governo Milei e la posizione del governo argentino verso Nicolas Maduro, che Milei ha definito un «criminale», responsabile di una «dittatura omicida». «Non riconosciamo, come abbiamo già detto, la proclamata vittoria di Maduro a seguito di elezioni ben poco trasparenti, continuiamo a condannare la brutale repressione del regime che ha portato alla morte di decine di manifestanti», ha affermato la premier.

Cane da guardia degli interessi USA in America Latina, artefice di una distruzione dello Stato sociale senza precedenti, sostenitore radicale di Israele e del sionismo ebraico e della riduzione dello Stato nell’economia, Milei è autore di tagli selvaggi della spesa pubblica che nei primi mesi del 2024 hanno portato ad un tasso di povertà del 52,9%, secondo i dati del rapporto semestrale dell’Indec, l’agenzia statistica argentina. Il che ha indotto peraltro i cittadini a inscenare impetuose manifestazioni di protesta contro le politiche economiche del presidente autodefinitosi “anarcoliberista”, scatenando un malcontento generale tra la popolazione argentina. Nonostante ciò, nel suo discorso di ieri, Meloni ha encomiato le liberalizzazioni intraprese da Milei: «le politiche molto coraggiose di liberalizzazione del mercato e per sostenere gli investimenti che il Presidente Milei sta portando avanti possono aprire, dal nostro punto di vista, nuove opportunità, essere un ulteriore incentivo per accrescere la presenza italiana, come intendiamo fare», ha detto. Lo stesso governo italiano, del resto, ha intrapreso la strada del liberismo, approvando una legge di bilancio all’insegna dell’austerità e cedendo a fondi stranieri alcune infrastrutture strategiche nazionali, come la rete Tim.

Forse ancora più intensa è la comunanza di vedute sul piano geopolitico dove il governo italiano e quello argentino sono saldamente schierati a fianco dell’Ucraina e di Israele, palesando così la loro sudditanza a Washington, nonostante pretendano di rappresentare il concetto di sovranità delle nazioni. Anche la scelta di disconoscere l’elezione di Maduro è indice di quell’allineamento alla politica americana nel continente che mira a estromettere tutti i capi di governo scomodi alla potenza a stelle e strisce. Stessa cosa può dirsi per il sostegno all’Ucraina e a Israele: nonostante la morte di più di 43.000 civili palestinesi a Gaza, proprio ieri gli Stati Uniti hanno posto il veto su una bozza di risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu che chiedeva un «cessate il fuoco immediato, incondizionato e permanente» ed il rilascio di tutti gli ostaggi. Similmente, il presidente Joe Biden ha appena alzato l’asticella dello scontro con Mosca, consentendo l’utilizzo di missili a lungo raggio in territorio russo. Per Meloni pare che tutto ciò rientri nella difesa dell’«identità dell’Occidente»: «quella tra me e il Presidente Milei è anche una condivisione politica, e la condivisione politica tra due leader che si battono per difendere l’identità dell’Occidente, i punti cardine della sua civiltà, la libertà e l’uguaglianza delle persone, la democraticità dei sistemi, la sovranità delle Nazioni», ha affermato verso la chiusura del suo discorso.

[di Giorgia Audiello]

Scoperta l’area che collega respiro ed emozioni: apre la strada a nuove terapie

5

Respira lentamente e calma la mente: non è più solo un consiglio, ma scienza. È quanto emerge da un nuovo studio condotto da neuroscienziati del Salk Institute, il quale è stato sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Nature Neuroscience. I ricercatori hanno identificato il circuito cerebrale che collega il respiro volontario allo stato d’animo individuando un gruppo di cellule situate nella corteccia frontale e ciò, secondo gli autori, offre nuovi strumenti per controllare attacchi di panico, ansia e disturbo da stress post traumatico: «La nostra sc...

Questo è un articolo di approfondimento riservato ai nostri abbonati.
Scegli l'abbonamento che preferisci 
(al costo di un caffè la settimana) e prosegui con la lettura dell'articolo.

Se sei già abbonato effettua l'accesso qui sotto o utilizza il pulsante "accedi" in alto a destra.

ABBONATI / SOSTIENI

L'Indipendente non ha alcuna pubblicità né riceve alcun contributo pubblico. E nemmeno alcun contatto con partiti politici. Esiste solo grazie ai suoi abbonati. Solo così possiamo garantire ai nostri lettori un'informazione veramente libera, imparziale ma soprattutto senza padroni.
Grazie se vorrai aiutarci in questo progetto ambizioso.