Nel 2024 l’aspettativa di vita in Italia ha raggiunto il record di 84,1 anni, il valore più alto nell’UE insieme alla Svezia e superiore di sei mesi ai livelli pre-pandemici, secondo il rapporto “EU Country Health Profiles 2025”. Le malattie cardiovascolari e i tumori costituiscono oltre metà dei decessi, mentre le morti prevenibili riguardano soprattutto cancro ai polmoni, Covid-19 e cardiopatia ischemica. Nonostante il rapido invecchiamento demografico, gli anziani italiani mostrano condizioni sanitarie migliori della media europea, pur persistendo criticità come ipertensione non diagnosticata o non trattata e un crescente tasso di fumatori.
Siria: il Paese che lotta per ricomporsi
Un anno fa mettevo piede in Siria per la prima volta. Il regime di Assad era crollato da pochi giorni e il Paese era ancora ubriaco di incredulità. Gli agenti di frontiera ci accolsero con un «Siria libera!», gridato più con il petto che con la voce, e in un piccolo negozio di gelato vidi persone cantare e ballare come se, per la prima volta, ci si potesse davvero credere. Era un’euforia fragile, quasi surreale: la sensazione di un popolo che si sveglia e controlla se la gabbia è davvero aperta. Poi, lentamente, l’entusiasmo si è ritirato come fa la marea, lasciando scoperta la domanda che mi avrebbe accompagnata per mesi: come può sollevarsi un Paese così frammentato, sanzionato, in pieno collasso economico, che festeggia la fine della guerra ma rinasce con a capo un ex jihadista?
Ahmed al-Sharaa, oggi alla guida del Governo di Transizione Nazionale, ha una missione dichiarata: ricucire ciò che la guerra ha lacerato. Promette elezioni pienamente democratiche entro quattro o cinque anni, il tempo necessario per ricostruire anagrafe, tribunali, sicurezza e servizi essenziali: le fondamenta minime senza le quali una democrazia resterebbe solo un manifesto.
Le prime elezioni parlamentari della transizione, tenute questo ottobre, sono state un assaggio di cosa potrebbe essere il futuro. Con qualche problema, certo: non tutte le regioni erano coinvolte e un terzo dei seggi è stato nominato direttamente dalla presidenza. Eppure quel giorno molte persone hanno fatto ore di fila davanti a seggi improvvisati, in scuole senza porte e in uffici rattoppati, solo per mettere una croce su una scheda. Non era la perfezione, ma è stato un inizio. Il problema è che le elezioni, da sole, non uniscono un Paese. La Siria oggi è un mosaico separato in diversi pezzi: a nord e nord-ovest resistono gruppi armati e amministrazioni locali; a nord-est i curdi gestiscono un proprio sistema politico-amministrativo; a est le milizie filo-iraniane rimangono radicate. Intorno, gli attori esterni si muovono come se la guerra non fosse mai finita: la Turchia controlla porzioni del nord considerate vitali per la propria sicurezza; l’Iran consolida posizioni; Israele continua i raid contro obiettivi dei Pasdaran; gli Stati Uniti presidiano il nord-est; la Russia mantiene le sue basi. È un intreccio di interessi che paralizza qualsiasi tentativo di ricomporre il Paese. E oltre a tutto questo c’è una minaccia ancora più concreta, silenziosa e devastante: la povertà.
Dopo tredici anni di bombardamenti, con il 90% della popolazione che vive con meno di 2 dollari al giorno e città da rimettere in piedi mattone per mattone, l’economia non è davvero ripartita. Le sanzioni – pensate per colpire Assad e i suoi alleati – restano in gran parte in vigore. Bruxelles continua a rinnovarle quasi integralmente, aggiungendo esenzioni umanitarie che sulla carta dovrebbero semplificare, ma che, nella pratica, creano procedure ambigue e rallentamenti continui. Negli Stati Uniti la sospensione varata da Trump è solo temporanea, e l’incertezza pesa come un macigno. Il risultato è che molti investitori evitano qualsiasi transazione collegata alla Siria. Non rischiano perché potrebbero vedersi i fondi bloccati, i progetti interrotti, o indagini sul rispetto del regime sanzionatorio. È così che un Paese che prova a ripartire si trova le mani legate dietro la schiena. L’importazione di macchinari essenziali per spostare macerie, ricostruire case, centrali elettriche e strade è spesso impossibile: bulldozer e pompe industriali restano fermi ai confini perché le banche straniere non vogliono gestire pagamenti verso la Siria. Nelle campagne, gli agricoltori non riescono a sostituire trattori e impianti d’irrigazione. Perfino la vita digitale quotidiana è limitata: vari servizi online e prodotti Google restano inaccessibili, lasciando cittadini e piccole imprese tagliati fuori da strumenti di lavoro ormai essenziali.
Nonostante tutto, la Siria sorprende ancora. Tra gennaio e giugno 2025 più di due milioni di persone sono tornate nelle proprie città. Tra loro, 600mila rifugiati rientrati dall’estero. Tornano in case a metà, quartieri senza acqua, luci, ospedali; tornano sapendo che troveranno più macerie che certezze. Eppure tornano. È un gesto di resistenza, un atto politico ancora prima che personale: ricostruire la propria Patria. Alla fine, la domanda che mi portavo dentro ha trovato una forma, se non una risposta. La Siria non tornerà ciò che era. Diventerà qualcosa di nuovo. Qualcosa che sta cercando di nascere nel modo più difficile: tra frammentazione, pressioni esterne, sanzioni che soffocano e una popolazione che continua a ricostruire pezzo dopo pezzo. Il minimo che possiamo fare è non intralciarli, e rimuovere le sanzioni.
Ponte sullo Stretto, la storia infinita: il governo riscriverà il progetto
Dopo critiche, annunci e polemiche, il governo ha ceduto il passo alla bocciatura delle carte relative al Ponte sullo Stretto da parte della Corte dei Conti, decidendo di riscriverle. La retromarcia dell’esecutivo era nell’aria da tempo, ma è stata ufficializzata martedì da Pietro Ciucci, Amministratore Delegato della società Stretto di Messina, la società a capo del progetto. Il ministero delle infrastrutture e quello dell’economia, ha spiegato Ciucci, apriranno un dialogo con le istituzioni europee per evitare di incappare nei medesimi errori in cui sono caduti con le prime carte; la delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile, inoltre, verrà riscritta. La Corte dei Conti aveva bocciato il progetto del Ponte rilevando violazioni sostanziali delle normative nazionali e comunitarie in tema di appalti, tutela dell’ambiente e degli habitat naturali, e sollevando criticità sui costi complessivi dell’opera.
Dopo il no della Corte dei conti alla registrazione della delibera Cipess, la partita del Ponte sullo Stretto si è spostata sul terreno europeo. Ieri, mercoledì 10 dicembre, una delegazione tecnica del Mit, del Mef e della società Stretto di Messina si è recata a un primo incontro operativo con i funzionari della Commissione, con partenza dalla direttiva Habitat; la questione appalti sarà affrontata in un secondo momento. L’obiettivo dichiarato resta riportare la delibera in regola e riaprire la strada ai cantieri. La scelta del governo è stata netta: non forzare procedure e non procedere con una registrazione «con riserva», ma tornare indietro per riscrivere la delibera e affrontare le osservazioni emerse. Secondo la ricostruzione ufficiale, il vicepremier leghista Matteo Salvini «ha appreso con grande soddisfazione che l’orientamento di Bruxelles non è cambiato e c’è totale interesse e determinazione affinché l’opera possa partire quanto prima». Salvini ha quindi ribadito «l’impegno del governo ad andare avanti fornendo tutte le risposte richieste dalla Corte dei Conti».
Nel dialogo con l’Unione Europea l’Italia proverà a dimostrare che le criticità sollevate sono superabili. I rilievi principali toccano tre nodi: la compatibilità ambientale rispetto alla direttiva Habitat, la normativa sugli appalti — in particolare la regola che obbliga a una nuova gara se i costi aumentano oltre il 50% — e il cambio di modello finanziario, dal project financing a un finanziamento interamente pubblico. Altri rilievi più tecnici riguardano la consultazione sulle tariffe, con l’esclusione contestata dell’Autorità di regolazione dei trasporti (Art).
«L’obiettivo è ottenere dalla Corte una registrazione piena della delibera Cipess – ha spiegato Pietro Ciucci, amministratore delegato della Stretto di Messina -. Il percorso individuato non prevede una nuova gara ma la riattivazione dei procedimenti riguardanti la delibera Cipess e il decreto interministeriale relativo al III Atto aggiuntivo alla Convenzione al fine di conformarsi alle motivazioni della Corte dei conti». A più riprese Ciucci ha escluso la scorciatoia della registrazione condizionata: «La registrazione con riserva è teoricamente possibile, ma del tutto inappropriata». Ciucci ha inoltre sottolineato le ragioni tecniche che, a suo avviso, giustificherebbero l’interpretazione italiana sui costi storici e sulle deroghe ambientali, auspicando «una valutazione favorevole della commissione Ue che consideri corretta la nostra interpretazione nell’applicazione delle direttive Habitat e Appalti». Per poi aggiungere: «Una volta acquisita questa valutazione, potrà essere assunta dal governo una seconda delibera al Cipess».
A fine ottobre era arrivata la prima pronuncia della Corte dei Conti, che aveva respinto la delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (Cipess) che impegna 13,5 miliardi di euro per la costruzione del Ponte. Tra le altre cose, i magistrati avevano evidenziato la mancata coerenza dei calcoli relativi alle spese per il Ponte, rilevando un «disallineamento tra l’importo asseverato dalla società Kpmg in data 25 luglio 2025 – quantificato in euro 10.481.500.000 – e quello di euro 10.508.820.773 attestato nel quadro economico approvato il 6 agosto 2025», evidenziando come diverse voci, dagli oneri per le condizioni contrattuali (cct) a quelli per la sicurezza, fossero lievitate rispetto al progetto preliminare. Poi, a metà novembre, la Sezione centrale di controllo di legittimità della Corte dei Conti non ha concesso il visto di legittimità al terzo atto aggiuntivo della convenzione tra il Ministero delle Infrastrutture e la società concessionaria Stretto di Messina Spa, ampliando la crisi amministrativa aperta dal precedente rifiuto sul provvedimento Cipess.
Brandeburgo, guasto all’oleodotto: sversati 200mila litri di petrolio
Un guasto all’oleodotto della raffineria PCK in Brandeburgo ha provocato nella giornata di ieri la fuoriuscita di almeno 200.000 litri di petrolio, disperso per oltre due ore e mezzo con un getto alto 25 metri. L’incidente, inizialmente oggetto di indiscrezioni su un sabotaggio poi smentito, sarebbe legato ai lavori preparatori per un test di sicurezza. Oltre 100 Vigili del fuoco e 25 dipendenti PCK hanno operato a Zehnebeck, dove i residenti sono stati invitati a restare in casa. La perdita è stata quasi sigillata, ma le autorità temono gravi danni ambientali, con possibile contaminazione dei corsi d’acqua fino alla Welse, affluente dell’Oder.
Spotify sostituisce le band che la boicottano con l’intelligenza artificiale
«Sto cercando di cogliere l’ironia in questa situazione, ma seriamente: siamo spacciati». Così ha reagito Stu Mackenzie quando ha scoperto che su Spotify era comparso un profilo falso della sua band e che alcune loro canzoni erano state ricreate utilizzando l’intelligenza artificiale. Il gruppo aveva abbandonato la piattaforma alcuni mesi fa, dopo che era emerso che il CEO dell’azienda investiva milioni nell’industria bellica. Spotify si è affrettata a cancellare il profilo falso con tante scuse, eppure la musica prodotta con l’IA sta conquistanto uno spazio sempre più ampio sulla piattaforma.
La band in questione sono i King Gizzard & The Lizard Wizard, gruppo rock australiano che nel corso degli anni ha raccolto milioni di fan in tutto il mondo grazie a uno stile eclettico e a una produzione tanto ricca quanto ossessiva: 27 album in studio pubblicati tra il 2012 e il 2025. Nel mezzo c’è anche l’anno di grazia 2017, quando la band di Melbourne ha fatto uscire cinque album in dodici mesi, ognuno profondamente diverso dagli altri. L’unico filo conduttore? Titoli assurdi e musica ancora più fuori dagli schemi. Tra questi dischi c’era anche Flying Microtonal Banana, album in cui Mackenzie e compagni sperimentavano la musica microtonale, cioè basata su intervalli di note più piccoli rispetto al sistema musicale tradizionale.
Il singolo di lancio del disco era Rattlesnake. Ed è stata proprio Rattlesnake la scintilla del caso Spotify. A luglio la band aveva annunciato il ritiro di tutto il proprio catalogo dalla piattaforma dopo che il CEO dell’azienda aveva deciso di reinvestire circa 600 milioni di profitti derivati dagli ascolti musicali nella produzione di droni militari. Da quel momento il profilo ufficiale dei King Gizzard era rimasto vuoto.
Qualche giorno fa, però, un utente di Reddit ha notato qualcosa di strano: un nuovo profilo chiamato King Lizard Wizard, che conteneva diverse canzoni della band, ricostruite interamente con l’intelligenza artificiale. Tra queste la più ascoltata era proprio Rattlesnake, imitata nel suono, nella struttura e persino nei testi.

I brani risultavano credibilmente simili agli originali, tanto da far pensare che chi li avesse generati avesse semplicemente fornito a un modello IA i testi e qualche riferimento musicale, chiedendo poi di imitare lo stile della band. «Una brutta imitazione dell’Intelligenza Artificiale – commentava l’autore del post su Reddit – dall’estetica al nome della band, fino alla copia delle loro canzoni. Trovo tutto questo assolutamente deplorevole e chiuderò il mio account su Spotify».
Mentre la notizia iniziava a circolare online, il profilo, che nel frattempo aveva raggiunto oltre 34.000 ascoltatori mensili, è stato rimosso. Spotify si è affrettata a prendere le distanze dall’accaduto, definendolo una «violazione delle policy sulla proprietà intellettuale».
Non si tratta di un caso isolato. La musica prodotta con l’intelligenza artificiale sta diventando una presenza fissa nel mercato discografico. A ottobre, nel Regno Unito, il brano I Run del duo dance HAVEN era entrato nella Top 40 dei singoli più ascoltati, ma la verione originale è stata poi rimossa da tutte le piattaforme in quanto la voce generata con l’IA risultava troppo simile a quella della cantante britannica Jorja Smith.

Non solo: a giugno i Velvet Sundown, gruppo interamente virtuale, hanno raggiunto un milione di ascoltatori mensili su Spotify. Nessuna voce, nessuno strumento, nessun musicista in carne e ossa: solo codice generato da un programma di intelligenza artificiale.
Non è necessariamente un male. L’IA può essere uno strumento creativo potente: permette a chiunque di comporre musica seguendo la propria ispirazione, sperimentando liberamente anche stili complessi come la musica microtonale, senza dover conoscere un linguaggio musicale avanzato o affrontare i costi di produzione e registrazione.
Dall’altra parte, però, il rischio di sconfinare nel plagio o appropriarsi del lavoro altrui è elevato, e il caso King Gizzard lo dimostra chiaramente.
A questo punto la domanda non è più se l’intelligenza artificiale avrà un ruolo nella musica dei prossimi anni, ma quanto spazio le verrà concesso: se saremo noi oppure l’algoritmo a cercare di capire, in futuro, come fare a suonare un quarto di tono senza andare in crisi esistenziale.
Birmania, raid areo giunta militare su ospedale, almeno 33 morti
In Birmania, un raid aereo attribuito alla giunta militare ha colpito l’ospedale generale di Mrauk-U, nello Stato occidentale di Rakhine, uccidendo almeno 33 persone e ferendone 58, secondo operatori umanitari sul posto. L’attacco è avvenuto mentre la giunta intensifica la sua offensiva militare in vista delle elezioni fissate per il 28 dicembre, cercando di riconquistare territori controllati dai ribelli, incluso l’Arakan Army. La comunità internazionale ha espresso profonda preoccupazione per le crescenti violenze contro i civili nel contesto della guerra civile in corso dal colpo di Stato del 2021.
Diffuso il nuovo piano per la pace in Ucraina: i dettagli
Sovranità nazionale, confini protetti da garanzie di sicurezza internazionali, ingresso nell’Unione Europea e un sostanzioso piano di investimenti americani ed europei per permettere la ricostruzione. Sarebbero questi, a grandi linee, alcuni dei 20 punti che costituirebbero il nuovo piano per la pace tra Ucraina e Russia, che sarebbe al momento in discussione. A fornire i dettagli è il Washington Post, che cita funzionari europei, ucraini e americani. L’accordo si comporrebbe di tre documenti: il piano di pace vero e proprio, le garanzie di sicurezza e un piano di ripresa economica. Nella serata di ieri, il presidente ucraino Zelensky ha confermato di aver incontrato l’amministratore delegato di BlackRock, Larry Fink, insieme ad altri funzionari americani, per discutere alcuni dettagli del piano di ricostruzione dell’Ucraina.
Secondo quanto anticipato da funzionari americani e ucraini al giornalista David Ignatius, il piano prevedrebbe l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea entro il 2027. La rapidità del processo preoccuperebbe alcune cariche UE, ma Trump riterrebbe che in questo modo si potrebbe aggirare una eventuale opposizione dell’Ungheria. In particolare, secondo i funzionari, l’ingresso nell’Unione permetterebbe di controllare e contrastare la «cultura della corruzione» nelle istituzioni ucraine. Stati Uniti ed Europa dovrebbero poi siglare piani separati per quanto riguarda le garanzie di sicurezza a Kiev in caso la Russia violasse il patto di pace. I dettagli sarebbero ancora in via di definizione (anche quelli riguardanti le tempistiche di un eventuale intervento UE), ma Zelensky starebbe insistendo affinchè gli USA firmino il piano e lo facciano ratificare dal Congresso. Un altro punto in discussione riguarderebbe i limiti posti all’esercito ucraino: vi sarebbe infatti la volontà di aumentare il numero massimo da 600 mila unità, inizialmente proposto dagli Stati Uniti, a 800 mila (che, commenta il WP, «sarà a malapena quello che rimarrà all’Ucraina dopo la guerra»). In ogni caso, a supportare l’esercito dovrebbero esservi anche altri organismi, come la Guardia Nazionale.
Lungo la linea di cessate il fuoco, dal Donetsk a Zaporizhzhia fino a Kherson, dovrebbe essere poi stabilita una zona demilitarizzata. Oltre questa linea (DMZ), vi dovrebbe essere un’ulteriore zona dove verrebbe proibita la presenza di armi pesanti e posta sotto stretto controllo, sul modello della linea divisoria tra Corea del Nord e del Sud. Per quanto riguarda uno dei punti dolenti e «irrinunciabili» delle trattative, ovvero lo «scambio di terre», USA e Ucraina starebbero ancora discutendo le modalità: la Russia vorrebbe infatti che Kiev rinunciasse a circa il 25% del Donetsk e gli USA starebbero insistendo nel dire che l’Ucraina li perderà in ogni caso sul campo nel giro dei prossimi sei mesi, motivo per il quale dovrebbe accettare ora di cedere le terre, limitando ulteriori perdite. Per quanto riguarda l’impianto nucleare di Zaporizhzhia, il più grande d’Europa, questo dovrebbe passare sotto controllo statunitense – condizione accolta favorevolmente da alcuni funzionari ucraini, che riterrebbero la presenza americana un deterrente per la Russia in caso di eventuale attacco.
Infine, gli investimenti statunitensi ed europei costituirebbero la base per la ricostruzione del Paese una volta finito il conflitto. Nelle conversazioni, oltre alla Banca Mondiale, è stato coinvolto anche Larry Fink e il suo piano di sviluppare un fondo per lo sviluppo dell’Ucraina. Proprio ieri, l’AD di BlackRock ha incontrato Zelensky, insieme al segretario del Tesoro USA Scott Bessent e il genero di Trump, l’uomo d’affari Jared Kushner, in quello che «potrebbe essere considerato il primo incontro del gruppo che lavorerà a un documento riguardante la ricostruzione e la ripresa economica dell’Ucraina». In questa sede, avrebbero anche discusso dei «20 punti del documento quadro per porre fine alla guerra». Questi punti, dichiara Zelensky, rappresentano «un documento fondamentale» per porre fine alla guerra. Da questo documento «se ne stanno sviluppando almeno altri due», uno riguardante la sicurezza («in particolare le garanzie di sicurezza con gli Statit Uniti»), l’altro riguardante i piani di ricostruzione, nella quale «sarà coinvolta anche l’Europa».
Caso David Rossi, svolta in Commissione d’inchiesta: «La pista è l’omicidio»
David Rossi non si sarebbe suicidato, ma sarebbe stato buttato giù dal terzo piano di Rocca Salimbeni, sede di MPS, a due passi da Piazza del Campo. A sgombrare definitivamente il campo su quello che è successo la sera del 6 marzo 2013 a Siena, nel sancta sanctorum della più importante banca italiana, è un colonnello dei carabinieri del RIS che ha collaborato con la Commissione parlamentare d’inchiesta bis insieme al medico legale Robbi Manghi. Nell’audizione plenaria, i due consulenti hanno anticipato e illustrato gli esiti della perizia da loro curata nei mesi scorsi – la Commissione di inchiesta è stata istituita nel marzo 2023 – e che, secondo loro, porta in modo inequivocabile a parlare di “pista dell’omicidio”.
Il capo della comunicazione di Monte Paschi, 52 anni, non è quindi precipitato dal suo ufficio al quartier generale della banca, non si è buttato nel vuoto per farla finita: qualcuno lo ha prima tenuto sospeso sul vicolo e poi mollato giù. Questa è la convinzione non solo degli esperti che hanno svolto accertamenti e rilievi, elaborando la nuova perizia, ma anche della Commissione stessa che, nella persona del suo presidente, l’avvocato (penalista) Gianluca Vinci, si è espresso in modo altrettanto perentorio: «La pista adesso è quella dell’omicidio o dell’omicidio come conseguenza di altro reato, sicuramente l’hanno tenuto appeso fuori dalla finestra e le lesioni che ha sul polso sono state create o perché in maniera estorsiva volevano esporlo fuori dalla finestra per spaventarlo e poi ritirarlo all’interno, oppure è stato lasciato andare, in ogni caso si può comunque parlare di omicidio».
Lesioni non compatibili
Nel dettaglio, come ha spiegato il tenente colonnello Gregori, l’attenzione dei consulenti si è focalizzata sull’orologio di David Rossi che è piombato al suolo spezzato, in due momenti diversi. Prima la cassa, poi il cinturino. L’ipotesi fatta è che l’uomo sia stata letteralmente sospeso nel vuoto, dalla finestra, e che nel farlo gli siano state procurate tre lesioni, o meglio ferite, sul polso sinistro dove portava l’orologio. I sopralluoghi effettati nel vicolo Monte Pio, dove è precipitato David Rossi, sono stati svolti sulla dinamica del volo fatale, sulla tenuta del cinturino che si è spezzato, staccandosi dalla casa, e sulla natura delle lesioni riportate dal Rossi. E’ un dato di fatto che il responsabile comunicazione MPS non avesse quelle lesioni quando è entrato in ufficio quel giorno e le lesioni stesse non sono state causate dalla caduta. E le ferite al braccio repertate sul cadavere di Rossi sono in effetti difficilmente compatibili con quelle di una persona che decide di commettere un suicidio lanciandosi dal terzo piano.
“Lo tenevano per il polso e poi lo hanno fatto cadere”
«La perizia è molto chiara: le ferite sul polso e l’esame del video mostrano come l’orologio non fosse più al polso al momento della caduta e che, di fatto, non si possa più parlare di suicidio» ha aggiunto il presidente Vinci specificando che «grazie all’impegno e all’attività investigativa dei RIS è stato riesaminato il filmato e si vede che la cassa dell’orologio casca prima e il cinturino dopo, quindi lui cade al suolo con il polso completamente lacerato ma questo non può essere dovuto dall’impatto a terra». Che David Rossi non fosse solo al momento di cadere da Rocca Salimbeni, così come fino adesso era stato detto e scritto, tanto da portare all’archiviazione delle indagini sulla sua morte, lo ha ribadito anche il tenente colonnello Gregori: «Il dato certo è che quando David Rossi è precipitato qualcuno lo teneva per il polso sinistro appeso al balcone, era appeso al balcone con qualcuno che lo sorreggeva, almeno nell’ultimo istante, e lo teneva per il polso sinistro provocando le lesioni e il distacco dell’orologio».
Serata di morte e di misteri
Il punto fermo di queste risultanze investigative e peritali, quindi, è che in buona sostanza Rossi sia stato tenuto per il braccio e sospeso nel vuoto, prima di essere letteralmente mollato per poi cadere rovinosamente al suolo. E quindi che non fosse solo al momento dei fatti, come era stato sostenuto fino adesso. Va anche ricordato che la parte finale del suo volo, la caduta sul selciato e la sua agonia di oltre venti minuti, e quanto accaduto quella sera è stato ripreso dalle videocamere collocate dietro al palazzo MPS. La numero sei, in particolare, fa vedere tra l’altro due uomini avvicinarsi al corpo riverso per terra, guardarlo, guardarsi in giro e poi scomparire. E’ solo una delle tante anomalie di quello che è stato definito suicidio anomalo e poi giallo, prima di diventare – grazie al lavoro della Commissione del presidente Vinci – un caso da valutare sotto alla luce dell’omicidio. Organo bis perché creata dopo che una prima Commissione era già stata istituita, e forse una delle prime nella storia repubblicana, se non la prima in assoluto, che porta elementi concreti per fare luce su un caso e su un mistero italiano, a differenza di (quasi) tutti gli organismi parlamentari che in precedenza hanno cercato inutilmente di fare luce sui tanti misteri e dolori di questo Paese nel dopoguerra. Non a caso, ha detto qualcuno, «se in questo Paese vuoi insabbiare qualcosa, crea una commissione».
Guardia di Finanza a Rocca Salimbeni
La morte di David Rossi è una vicenda costellata di elementi mai chiariti e di indizi che non hanno trovato un approfondimento giudiziario e rientra in una vicenda molto più grande, che all’epoca dei fatti riguardava MPS, il colosso bancario senese che aveva il fiato sul collo della Guardia di Finanza per le indagini sull’acquisizione di Banca Antonveneta e della quale si parlava di scandali con sospetti di bancarotta. I finanzieri avevano perquisito casa e ufficio di David Rossi, che non era indagato, oltre a quelle del presidente, Giuseppe Mussari e del direttore generale Antonio Vigni. La sera dei fatti, peraltro, sono successe cose molto strane proprio nell’ufficio di Rossi, che aveva mandato una mail nel corso di quella stessa giornata annunciando il suo suicidio, se non fosse stato aiutato. Un particolare sull’autenticità del quale sono stati sollevati molti dubbi, così come ci si è chiesti a lungo come mai non siano mai stati fatti accertamenti ematici e biologici sui fazzoletti intrisi di sangue e trovati nella stanza della vittima. In quel contesto, tra l’altro, le dichiarazioni del comandante provinciale dei carabinieri, Pasquale Aglieco, rilasciate alla precedente Commissione parlamentare, hanno scatenato a suo tempo polemiche e veleni, oltre a porre le premesse per un’inchiesta giudiziaria che ha riguardato nientemeno che tre pubblici ministeri. Aglieco infatti ha ricordato che quella sera, per caso, si è trovato a passare nelle vicinanze del vicolo – dove erano in funzione dodici telecamere, anche se una sola ha ripreso i fatti –, ha riconosciuto il corpo di Rossi a terra e ha gestito nei primi momenti la situazione. Ha raccontato, anche, che tre pm – che indagavano sui fatti della banca – sono stati nell’ufficio di Rossi prima dell’arrivo degli inquirenti, e la mancata verbalizzazione di questo particolare, oltre ad altri fatti, ha portato la procura di Genova ad aprire un fascicolo – poi archiviato – proprio sui tre pm per falso ideologico aggravato e omissione del sopralluogo.
Nuova inchiesta
Una serie di circostanze mai chiarite e che hanno reso impossibile squarciare il velo plumbeo intorno alla fine del responsabile comunicazione MPS, ma che ora potrebbero essere rivalutate e di nuovo verificate se sarà accolta la richiesta dei familiari di riaprire la vicenda e procedere ad una nuova inchiesta. Tutto da rifare e tutto da capire, quindi, dopo 12 anni e tra l’altro un coprifuoco mediatico che aveva sbrigativamente tacitato i tanti dubbi su un suicidio che è apparso da sempre molto strano. Perché se sembra ormai assodato che David Rossi non si sia suicidato, restano da chiarire i motivi per i quali potrebbe essere stato ucciso: se c’è un delitto, ci deve essere per forza anche un movente.
Libano: attacco israeliano sull’UNIFIL
Israele ha attaccato un’altra volta i soldati dell’UNIFIL, la missione dell’ONU in Libano. L’attacco ha preso di mira i veicoli di un gruppo di caschi blu che pattugliava il confine che separa Israele dal Libano meridionale. I membri dell’UNIFIL sono stati attaccati dai soldati dell’IDF a bordo di un carro armato, i quali hanno sparato una raffica di mitragliatrice da dieci colpi contro i loro veicoli; i soldati israeliani hanno sparato altre quattro raffiche da altrettanti colpi nelle vicinanze del convoglio. Sia i peacekeeper che il carro armato dell’IDF si trovavano in territorio libanese, dove da oltre un anno vige un cessate il fuoco. Non sono stati registrati feriti.









