venerdì 21 Novembre 2025
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In Sardegna quattro operai protestano da giorni vivendo sospesi a 40 metri d’altezza

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Da cinque giorni quattro operai dell’Eurallumina stanno trascorrendo giorno e notte a quaranta metri di altezza sul silo dello stabilimento di Portovesme, nel Sulcis, in una protesta estrema per ottenere risposte dalle istituzioni. I lavoratori, che sfidano il maestrale e le temperature rigide in un presidio permanente, chiedono lo sblocco dei fondi necessari alla ripartenza della fabbrica dopo sedici anni di fermo. Non è la prima volta che i lavoratori di Portovesme si mobilitano a causa della crisi dell’area industriale della regione: già nel 2023 altri operai erano rimasti in presidio sulla vetta di una ciminiera dell’azienda metallurgica per protestare contro il caro energia.

Le rivendicazioni economiche – i 10 milioni che i lavoratori considerano dovuti per legge e la promessa di investimenti fino a 300 milioni per riavviare la produzione – sono al centro del contendere. Il provvedimento che ha bloccato i beni in Italia della Rusal, multinazionale russa proprietaria dello stabilimento, ha di fatto paralizzato la prospettiva di riavvio dell’impianto, primo anello della filiera strategica dell’alluminio. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, tramite l’Agenzia del Demanio, è diventato il soggetto competente per la custodia e la gestione della fabbrica, spostando la soluzione del problema a livello nazionale. È in questo vuoto che si inserisce la disperata richiesta dei lavoratori. Enrico Pulisci, rappresentante dei lavoratori, ha spiegato le ragioni della mobilitazione, chiedendo al ministero e al governo di dare «subito risposte certe sullo stanziamento dei fondi». «Teniamo a precisare – ha aggiunto – che in questi 16 anni la Rusal ci ha messo 24 milioni all’anno. Esclusi gli ammortizzatori sociali, non siamo sovvenzionati da contributi pubblici».

A sostegno degli operai sono scese in campo anche le sigle sindacali Filctem Cgil, Femca Cisl, Uiltec Uil e Rsa Eurallumina, che in un comunicato congiunto pubblicato negli scorsi giorni hanno ritenuto «paradossale» la «disparità di trattamento applicata all’Eurallumina rispetto ad altre aziende europee consociate della stessa UC RUSAL (in Svezia, Germania, Irlanda)», in cui i rispettivi esecutivi, pur aderendo al regime sanzionatorio, «hanno scelto di tutelare le imprese ritenute strategiche, mantenendole operative». In sindacati hanno inoltre evidenziato come la gestione finanziaria dello stabilimento, pari a oltre 20 milioni annui, sia stata «sostenuta sino a settembre 2025 dalla stessa Proprietà (RUSAL), mentre la normativa prevederebbe la gestione, anche finanziaria, da parte del C.S.F. tramite l’Agenzia del Demanio con fondi ministeriali».

Nella giornata di ieri si è registrato un primo timido segnale di movimento. La presidente della Regione Sardegna, Alessandra Todde, ha infatti incontrato il ministro Giancarlo Giorgetti a Roma, e durante il colloquio è stato affrontato anche il caso Eurallumina. «Ci siamo confrontati con il ministro Giorgetti sulla situazione di Eurallumina – ha dichiarato Todde -, ed è emerso che la volontà del MEF è di collaborare e di rimettersi al tavolo anche con l’azienda per capire come poter definire una direttrice che possa chiudere il contenzioso». La governatrice sarda ha portato ai lavoratori un messaggio di apertura: «Quello che porto a casa è un messaggio per l’azienda di riaprire immediatamente un tavolo condiviso con il MEF: c’è disponibilità e apertura per poter affrontare insieme il problema. L’invito all’azienda è quindi quello di non irrigidirsi perché c’è una volontà espressa dal governo, insieme ovviamente alla Regione, per poter trovare dei punti di caduta in tempi rapidi».

Non è la prima volta che gli operai di Portovesme attuano questo tipo di protesta. Era già successo tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo 2023, quando quattro di loro si erano asserragliati sulla ciminiera dell’impianto Kss, a 100 metri di altezza, per denunciare il caro energia che stava portando alla fermata di quasi tutti gli impianti dello stabilimento. Dopo un’iniziale stop arrivato in seguito a rassicurazioni e promesse da parte del governo, la protesta si era riaccesa a fine marzo a seguito della fumata nera di un vertice sulla vertenza presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, con gli operai che hanno deciso di installarsi sul tetto e incatenati ai tornelli dell’impianto a Portovesme.

Sciopero generale 28 novembre: fermi treni, aerei, scuole e sanità

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È stato proclamato uno sciopero generale nazionale di 24 ore, dalle ore 21 del 27 novembre alle ore 21 del 28 novembre per i settori pubblici e privati, tra cui trasporti, sanità e scuola. La protesta nasce contro la Manovra 2026: i sindacati CUB, USB, SGB, COBAS e USI-CIT criticano l’aumento delle spese militari a scapito dei servizi pubblici, il sottofinanziamento di sanità, scuola e trasporti, e l’assenza di misure per ridurre il precariato e incrementare i salari. Nel trasporto ferroviario la fascia garantita sarà dalle ore 6 alle 9 e dalle 18 alle 21.

Test di Medicina, domande sui social prima della prova: il ministero conferma l’esame

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Telefoni che squillano durante la prova senza conseguenze, conversazioni tra candidati, copiature da dispositivi elettronici, foto e video del test diffusi online prima della fine dell’esame, chiacchiere tollerate tra candidati, gravi falle nella vigilanza, regole applicate a macchia di leopardo. È questo il quadro che emerge dalle segnalazioni di irregolarità da parte degli studenti che il 20 novembre hanno sostenuto il nuovo test del semestre filtro dell’Università di Medicina, Odontoiatria e Veterinaria, che ha sostituito il test d’ingresso. Le associazioni studentesche e di categoria, sostenute dai partiti di opposizione, chiedono l’apertura di un’indagine e le dimissioni della ministra dell’Università Anna Maria Bernini che, dal canto suo difende l’esame e tira dritto: «La macchina ha retto, i furbetti li troveremo».

Le prime prove del semestre filtro a Medicina, che hanno riguardato circa 55 mila studenti, sono state un «susseguirsi di errori e disorganizzazione», accusa l‘Unione degli Universitari, che annuncia un ricorso collettivo che chieda per tutti l’ingresso in soprannumero e nella prima sede. «Il numero chiuso va abolito, non reinventato peggio», spiega l’UdU. Per rispondere al malcontento e per chiedere le dimissioni della ministra Bernini, è già stato acquistato il dominio berninidimettiti.it. La piattaforma è già pronta per andare online e iniziare la raccolta firme. Anche il Pd attacca la ministra, chiedendole di riferire in Aula.

Il caos che si è generato rischia di diventare il punto di svolta di una riforma che ha preso il via sotto la bandiera dell’apertura, ma rischia di essere ricordata come una selezione di fatto più labirintica che liberatoria. In pratica, il modello del nuovo test del semestre filtro era stato annunciato come una rivoluzione a favore dell’accesso all’università e della valorizzazione del merito e della trasparenza, ma già prima dell’esame erano emerse perplessità: anonimato a rischio, condizioni d’esame non omogenee, obblighi di frequenza diversi da ateneo ad ateneo e il tempo di preparazione. L’idea era di rendere l’accesso più inclusivo e meno basato su una sola prova d’ingresso, ma la realizzazione ha mostrato delle crepe che ora rischiano di minare tutto l’impianto. Intanto, il ministero dell’Università ha annunciato che indagherà e annullerà le prove solo nei casi in cui sarà accertata la responsabilità individuale, per ripristinare «il pieno rispetto delle procedure previste». L’eventuale annullamento non riguarderà tutta la procedura, ma solo l’esame del singolo candidato individuato come responsabile di irregolarità. Anche la Conferenza dei rettori assicura «totale intransigenza».

Il rovescio della riforma è che, se da un lato si elimina il test d’ingresso tradizionale, dall’altro si introduce un sistema che appare tutt’altro che trasparente e omogeneo. Le disparità di accesso alle risorse, alle modalità di frequenza e ai controlli mostrano che il cambiamento annunciato rischia di generare nuova selettività mascherata. Alcune università avrebbero applicato controlli rigidi, mentre altre sedi avrebbero mostrato una vigilanza molto meno stringente, affidata alla buona volontà dei commissari, creando così disparità tra i candidati. In un contesto già complesso come quello dell’università italiana, queste tensioni rischiano di amplificarsi con conseguenze sul diritto allo studio e sull’equità tra candidati. Chi ha sostenuto il test senza intoppi adesso deve solo aspettare: entro il prossimo 3 dicembre sarà pubblicato sulla piattaforma Universitaly l’esito degli esami del primo appello. La seconda sessione, prevista per il 10 dicembre resta confermata, ma il clima è cambiato: migliaia di studenti torneranno sui banchi di prova in un’atmosfera carica di risentimento.

Terremoto nel Bangladesh: almeno 8 morti e centinaia di feriti

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Un terremoto di magnitudo fra 5,5 e 5,7 ha colpito la regione centrale del Bangladesh, con epicentro nel distretto di Narsingdi, a circa 25-40 km dalla capitale Dhaka. Secondo le autorità locali, sono almeno otto i morti e più di 300 i feriti, mentre edifici sono crollati o hanno riportato gravi danni e scene di panico si sono diffuse in città e zone periferiche. Il sisma ha scatenato anche una fuga incontrollata in un’area industriale nei dintorni della capitale, dove lavoratori hanno abbandonato le fabbriche in fretta dopo la scossa. Esperti avvertono che la vulnerabilità della zona è elevata, soprattutto nella metropoli dove milioni di edifici rischiano gravi danni in caso di eventi più forti.

Ucraina: ecco quali sarebbero i punti del piano di pace USA

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Gli Stati Uniti hanno presentato una bozza di piano di pace per l’Ucraina in 28 punti, alcuni dei quali già anticipati dai media, che la Casa Bianca ha definito «in evoluzione» e su cui adesso emergono ulteriori dettagli. Secondo la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, l’inviato speciale del Presidente Steve Witkoff e il segretario di Stato americano Marco Rubio hanno lavorato «con discrezione» al piano per circa un mese. Stando al Financial Times, Trump vorrebbe la firma di Volodymyr Zelensky sull’accordo entro giovedì. Frustrazione dall’Europa, tagliata fuori dalle trattative: Germania, Francia e Regno Unito ribadiscono il sostegno a Kiev, che giudica alcune clausole assurde e inaccettabili, come la cessione del Donbass. Il presidente ucraino, pur non sbilanciandosi sui contenuti dell’iniziativa che appare penalizzante per Kiev, si è detto «pronto a collaborare» e disposto a parlarne «nei prossimi giorni» con Trump. La Russia ha fatto sapere di non aver ancora ricevuto il piano del presidente americano.

I 28 punti

  1. Conferma della sovranità dell’Ucraina.
  2. Accordo globale di non aggressione tra Russia, Ucraina ed Europa, con risoluzione di tutte le ambiguità passate.
  3. Impegno russo a non invadere i Paesi vicini e stop all’ulteriore espansione NATO.
  4. Dialogo Russia-NATO mediato dagli USA per la sicurezza e la distensione.
  5. Garanzie di sicurezza affidabili per l’Ucraina.
  6. Limitazione delle forze armate ucraine a 600.000 unità.
  7. Neutralità costituzionale dell’Ucraina e non integrazione futura nella NATO.
  8. La NATO accetta di non schierare truppe in Ucraina.
  9. Gli aerei da combattimento europei saranno basati in Polonia.
  10. Meccanismo di garanzie e sanzioni con compenso agli USA e decadenza in caso di aggressione ucraina o attacchi ingiustificati.
  11. Idoneità dell’Ucraina all’UE e accesso preferenziale al mercato europeo.
  12. Piano globale di ricostruzione con Fondo di sviluppo e finanziamento della Banca Mondiale.
  13. Reintegrazione della Russia nell’economia globale e possibile revoca sanzioni; reintegrazione nel G8 e la conclusione di un accordo di cooperazione economica a lungo termine con gli Stati Uniti.
  14. Investimento di 100 miliardi di dollari di beni russi congelati per ricostruzione Ucraina con compartecipazione USA ed Europa, con gli Stati Uniti che riceveranno il 50% dei profitti dell’iniziativa. L’Europa aggiungerà altri 100 miliardi di dollari per aumentare l’importo degli investimenti disponibili per la ricostruzione dell’Ucraina.
  15. Gruppo di lavoro congiunto USA-Russia sulla sicurezza.
  16. La Russia sancirà per legge la sua politica di non aggressione nei confronti dell’Europa e dell’Ucraina.
  17. Proroga dei trattati su non proliferazione e controllo nucleare tra USA e Russia, compreso il trattato START I.
  18. Impegno ucraino a restare Stato non nucleare, in conformità con il Trattato di non proliferazione delle armi nucleari.
  19. La centrale nucleare di Zaporižžja sarà messa in funzione sotto la supervisione dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) e l’elettricità prodotta sarà distribuita in parti uguali tra Russia e Ucraina al 50%.
  20. Programmi educativi per promuovere comprensione reciproca.
  21. La Crimea, Lugansk e Donetsk saranno riconosciute come regioni russe de facto, anche dagli Stati Uniti. Kherson e Zaporižžja saranno congelate lungo la linea di contatto, il che significherà un riconoscimento de facto lungo tale linea.
  22. Impegno reciproco a non modificare i confini con la forza.
  23. Libero uso del Dnepr per scopi commerciali e corridoi per esportazione di cereali nel Mar Nero.
  24. Comitato umanitario per prigionieri, ostaggi e ricongiungimenti.
  25. L’Ucraina organizzerà le elezioni entro 100 giorni.
  26. Amnistia totale per le azioni di guerra e rinuncia a richieste legali future.
  27. Accordo vincolante supervisionato da Consiglio di pace con sanzioni in caso di violazione.
  28. Cessate il fuoco immediato dopo il ritiro concordato delle parti.

Le reazioni internazionali

Le risposte internazionali al piano statunitense sono state immediate e divergenti. Il cancelliere tedesco Friedrich Merz, il presidente francese Emmanuel Macron e il primo ministro britannico Keir Starmer hanno telefonato oggi pomeriggio al presidente ucraino Volodymyr Zelensky per ribadire il loro «sostegno pieno e incondizionato» all’Ucraina e sottolineare che qualsiasi accordo dovrà «preservarne la sovranità e garantirne la sicurezza futura». La Francia, tramite il ministro degli Esteri Jean‑Noël Barrot, ha chiarito che la pace non può significare «capitolazione» dell’Ucraina: «Vogliamo una pace giusta che rispetti la sovranità di ogni Paese». Nel Regno Unito, un portavoce del Foreign Office ha dichiarato che Londra condivide l’obiettivo della Casa Bianca di porre fine alla guerra, ma ha sottolineato che ciò richiede un «ritiro immediato delle truppe russe». Il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa si è rifiutato di commentare, limitandosi a specificare che «All’UE non è stato comunicato alcun piano in maniera ufficiale». Il capo della diplomazia comunitaria Kaja Kallas ha affermato che «qualsiasi piano per porre fine alla guerra deve includere Ucraina ed Europa», respingendo l’idea di un’intesa negoziata senza il coinvolgimento dell’UE e di Kiev. Dello stesso avviso il titolare della Farnesina, Antonio Tajani, che ha ribadito che «l’Europa dovrà essere parte della trattativa», anche perché bisognerà discutere di come ritirare le sanzioni comminate alla Federazione. Fuori dal coro, la voce ungherese: continuare a sovvenzionare «una mafia di guerra corrotta» in Ucraina sarebbe impensabile, ha commentato Péter Szijjártó riferendosi allo scandalo corruzione esploso a Kiev negli scorsi giorni che ha indebolito il leader ucraino.

Secondo Reuters, l’Ucraina sta subendo una pressione maggiore rispetto al passato, da parte di Washington, affinché accetti il quadro di un accordo di pace, comprese minacce di cessare la fornitura di intelligence e armi. Nonostante ciò, il principale negoziatore di Kiev, Rustem Umerov, ha chiarito che l’Ucraina non accetterà alcun accordo di pace con la Russia che oltrepassi le sue “linee rosse”. Mosca ha fatto sapere attraverso il suo portavoce Dmitry Peskov che non ha ancora ricevuto ufficialmente il piano e che «niente sta venendo discusso in modo sostanziale». «Siamo completamente aperti, manteniamo la nostra apertura ai negoziati di pace», ha precisato il portavoce del Cremlino, che ha invitato Zelensky a negoziare “ora”, in quanto «Il suo margine di manovra decisionale si sta riducendo man mano che il territorio viene perso durante le azioni offensive delle forze armate russe».

I manichini femminili da crash test sono ora uno standard

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Da oltre mezzo secolo i crash test automobilistici si basano su manichini modellati sul corpo maschile “medio” – uno standard nato negli anni ’70 che non rappresenta in modo adeguato la fisiologia femminile. Oggi, però, si intravede una svolta: il Dipartimento dei Trasporti degli Stati Uniti ha approvato l’introduzione di un nuovo manichino con caratteristiche anatomiche femminili, pensato per colmare una storica lacuna nella sicurezza stradale.

Giovedì 20 novembre il Segretario ai Trasporti degli Stati Uniti, Sean Duffy, ha presentato al pubblico il THOR-05F di Humanetics, un nuovo manichino avanzato per crash test progettato per colmare gli ampi margini di vuoto della ricerca e offrire dati più accurati sulla sicurezza delle donne. Questo segmento demografico, storicamente trascurato nei test, risulta infatti più esposto a lesioni e decessi in caso di incidente stradale. Secondo uno studio dell’Università della Virginia, a causa di sistemi di protezione non adeguatamente calibrati, le donne hanno il 73% di probabilità in più di riportare ferite gravi o fatali durante una collisione, con particolare vulnerabilità agli arti inferiori, alla colonna vertebrale e all’area addominale. 

La Traffic Safety Administration (TSA), l’agenzia responsabile della sicurezza delle reti di trasporto, aveva già in uso manichini con fattezze femminili, gli Hybrid III, tuttavia questi sono piuttosto rudimentali: la loro struttura rigida deriva da proporzioni virili idealizzate e mancavano di componenti in grado di riprodurre le fragilità e la complessità del corpo umano. Al contrario, il THOR-05F è stato progettato per riprodurre più fedelmente scheletro, organi e articolazioni femminili, inoltre integra più di 150 sensori che promettono di registrare con dettaglio i dati degli impatti simulati.

L’introduzione del nuovo standard rappresenta dunque un passo avanti significativo e largamente condiviso, uno dei pochi provvedimenti statunitensi che è stato in grado di raccogliere un sostegno bipartisan, con Repubblicani e Democratici che hanno messo da parte le loro sempre più marcate divisioni pur di approvarlo. Ciò non toglie che l’Amministrazione Trump sia comunque stata in grado di presentare questa misura come un risultato politico di rilievo e di consenso. “La sinistra non vuole sentirselo dire, ma la scienza è chiara: ci sono solamente due sessi – maschile e femminile”, ha dichiarato Duffy nel presentare il manichino. “Questo fatto biologico non è solamente propaganda – è un elemento importante da tenere in considerazione durante la progettazione delle autovetture”.

Il THOR-05F è stato presentato come un’innovazione coerente con l’Ordine Esecutivo intitolato “Ripristinare la Verità Biologica all’interno del Governo Federale”, tuttavia tale inquadramento non coglie la complessità e l’ampiezza delle ricerche attualmente in corso, le quali cercano di superare i format imposti dalle origini dei manichini da crash, i quali risalgono all’aviazione militare: i primi modelli furono concepiti per rispecchiare la fisicità dei soldati dell’epoca, uomini tonici e ben addestrati. Quella matrice fisica rifletteva tuttavia un contesto molto specifico e non è rappresentativa della popolazione al volante dei trasporti civili, la cui variabilità richiede oggi modelli molto più diversificati e accurati.

Humanetics aveva già presentato pubblicamente i suoi manichini da crash test femminili nel 2024, tuttavia, parallelamente, l’azienda sta anche sviluppando un’ampia gamma di modelli pensati per riprodurre in modo più realistico anche altre forme di automobilisti odierni. Già nel 2017, Humanetics aveva per esempio introdotto e messo in commercio manichini che replicano i corpi di adulti obesi e di donne anziane, offrendo uno spaccato molto più aderente alla realtà delle strade. Secondo i dati diffusi dalla società, il 51% degli automobilisti statunitensi è donna, il 40% è obeso e il 20% ha più di 70 anni: categorie che finora sono rimaste sottorappresentate nella progettazione dei sistemi di sicurezza. La standardizzazione del modello THOR-05F potrebbe finalmente contribuire a colmare questa storica lacuna.

Infrazione UE all’Italia per Golden power sulle banche

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La Commissione UE ha aperto una procedura di infrazione all’Italia per l’applicazione del meccanismo del “Golden Power Decreto‑legge 21/2012” nel settore bancario, ritenendo che i poteri discrezionali attribuiti al governo italiano siano “incompatibili” con i princìpi della libera circolazione dei capitali e del diritto dell’Unione. Il ministro Giancarlo Giorgetti ha dichiarato che l’Italia proporrà una riforma normativa che chiarisca e “superi le obiezioni” mosse da Bruxelles. L’Italia ora ha due mesi per rispondere alla lettera di messa in mora: in mancanza di una risposta soddisfacente, la Commissione potrà emettere un parere motivato e procedere con ulteriori passi.

“Case green”, UE apre procedura contro l’Italia per mancato adeguamento

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La Commissione Europea ha avviato una procedura di infrazione contro l’Italia per non aver attuato in modo completo la direttiva “case green”, in particolare sull’eliminazione graduale degli incentivi per le caldaie autonome a combustibili fossili entro il 1° gennaio 2025. Bruxelles segnala che il governo non ha fornito spiegazioni sufficienti né adeguato recepimento delle norme. Ora Roma ha due mesi per rispondere alle criticità: in caso di replica non soddisfacente, la Commissione potrà emettere un parere motivato e proseguire con l’iter d’infrazione. Procedimenti analoghi sono stati aperti anche nei confronti di Estonia e Ungheria.

Bologna militarizzata per la partita con Israele: 500 militari in strada e scuole chiuse

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Bologna si è svegliata sotto una cappa di tensione mai vista per un evento sportivo. La sfida di Eurolega tra Virtus Segafredo e la società israeliana Maccabi Tel Aviv non è più solo una partita di basket: è diventata il centro di uno scontro politico e istituzionale che ha spaccato la città. Un intero quadrante del capoluogo emiliano è blindato, con circa 500 membri delle forze dell’ordine schierati, una zona rossa a doppio filtro istituita attorno al PalaDozza e scuole chiuse in anticipo. Questo imponente dispiegamento di sicurezza mira a contenere migliaia di manifestanti attesi per la protesta “Show Israel the red card”, che definiscono l’incontro «la partita della vergogna». Sullo sfondo, lo scontro tra il sindaco di Bologna Matteo Lepore e il Viminale, che non ha ceduto alla richiesta del primo cittadino di spostare l’evento lontano dal centro.

Il dispositivo di sicurezza è senza precedenti per una partita di basket a Bologna. Dalle 13 sono scattate le prime limitazioni e dalle 16 l’intera area intorno al PalaDozza sarà completamente cinturata. È in vigore il divieto di sosta con rimozione forzata per autovetture, motoveicoli e persino biciclette in un’ampia zona che include piazza Azzarita, via Graziano, via Calori e piazza della Resistenza. Tre scuole dell’Istituto Comprensivo 17 – la Teresina Guidi e la media Gandino – concluderanno le lezioni entro le 15.45, con i plessi chiusi e svuotati per le 16. Tutti i cantieri nell’area sono stati messi in sicurezza e liberati dal materiale edile.

La protesta contro la partita tra Virtus Segafredo e Maccabi Tel Aviv non riguarda semplicemente la location dell’evento. Secondo i manifestanti, il vero problema consiste nel fatto stesso che l’evento venga disputato. Le sigle che animano la piazza – Potere al Popolo, Cambiare Rotta, Usb e Giovani Palestinesi – intendono dare battaglia. Federico Serra di Usb ha lanciato un messaggio chiaro: «Rispediamo al mittente la volontà di creare tensione e criminalizzare le realtà che hanno costruito mobilitazioni a sostegno della Palestina per fermare i rapporti politici, economici e sportivi con lo Stato genocida di Israele». Anche Pap alza i toni e accusa apertamente: «Il Maccabi Tel Aviv è un club impegnato nella propaganda pro-Israele. Sui social pubblicano i soldati sulle rovine con la sciarpa del team. Non siamo barbari che invadono e devastano la città: questo è un allarme falso. Qui la questione è solo politica».

L’organizzazione della partita ha provocato anche uno scontro acceso tra Comune e Governo. Il sindaco Matteo Lepore ha più volte espresso il suo disappunto. «Avevo chiesto la soluzione alla Milano: giocare lontano dal centro, come l’Olimpia fa al Forum per le partite a rischio», ha dichiarato, riferendosi alle proposte alternative dell’Unipol Arena o della Fiera. Tuttavia, ha poi aggiunto: «Il ministro Piantedosi ha decretato che la partita si giochi al PalaDozza. La città quindi si organizza», in una sorta di accettazione formale che stempera le sue precedenti critiche. Lepore, da sempre appassionato di basket e tifoso della Virtus, ha infine annunciato: «Domani non vado — ha concluso — perché lavoro».

In questo quadro, Il ministro dell’Interno Piantedosi ha replicato soltanto: «Provvederanno le autorità locali», evitando così di rispondere direttamente alle critiche mosse dal Comune. Michele de Pascale, presidente della Regione Emilia-Romagna, ha sottolineato come l’ipotesi di spostare la partita, come aveva proposto il sindaco Lepore, fosse «assolutamente sensata». Sul fronte opposto, Massimiliano Fedriga, presidente leghista del Friuli-Venezia Giulia: «Indecenti e indecorose le proteste per una partita che dovrebbe unire. Vedo un antisemitismo dilagante, mascherato da antisionismo», ha dichiarato. Anche i commercianti bolognesi si trovano nel mezzo della tempesta. Ogni esercente valuterà infatti in autonomia se restare aperto o chiudere in anticipo.

Uno scenario analogo si era creato lo scorso ottobre a Udine in vista della partita delle qualificazioni ai campionati mondiali di calcio tra la nazionale italiana e quella israeliana. Per l’occasione, era stata infatti modificata la viabilità cittadina, con segnali stradali temporanei, divieti di sosta e la chiusura di diverse strade che portano allo Stadio Friuli, teatro del match, e quelle adiacenti all’Hotel Friuli, in cui hanno soggiornato i calciatori israeliani. Comitati e quotidiani locali hanno denunciato una città militarizzata, con elicotteri che la sorvolano in continuazione, droni e cecchini sui tetti. Una foto del quotidiano locale Udine Today ha mostrato proprio quello che sembrava essere un tiratore scelto sul tetto dell’Hotel Friuli. L’anno precedente, in corrispondenza del medesimo evento, il Comune friulano aveva imposto il divieto assoluto di avvicinarsi allo stadio e istituito una zona rossa militarizzata attorno all’impianto. Poi, nel marzo del 2024, pesanti restrizioni per i tifosi e un ingente dispiegamento di forze dell’ordine avevano segnato il contesto della partita calcistica di Europa League tra la Fiorentina e gli israeliani del Maccabi Haifa a Firenze. Anche in questo caso, giocata in uno stadio e una città blindati.

Via i figli alla famiglia nel bosco, l’avvocato annuncia il ricorso

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Il Tribunale per i minori dell’Aquila ha disposto la sospensione della potestà genitoriale alla coppia di genitori, lei australiana e lui inglese, che aveva scelto una vita in natura alle porte di Vasto, in provincia di Chieti, insieme ai 3 figli. I 3 bambini, la più grande di 8 anni e i gemelli di 6, dopo che è stato disposto l’allontanamento dei bambini dalla dimora familiare, si trovano ora in una casa famiglia. Secondo il tribunale le motivazioni del provvedimento sono il fatto che “la deprivazione del confronto fra pari in età da scuola elementare” possa avere “effetti significativi sullo sviluppo del bambino”, oltre al “pericolo per l’integrità fisica derivante dalla condizione abitativa” che metterebbe a rischio “l’integrità e l’incolumità fisica dei minori”.

“Nella sentenza di ieri sono state scritte falsità”, è il commento all’Ansa dell’avvocato della famiglia, Giovanni Angelucci. Secondo il legale: “Sono andati in cortocircuito. Nell’ordinanza di insiste ancora sull’istruzione dei minori che, secondo i giudici, non avrebbero l’autorizzazione all’home-schooling. Alla più grande viene anche contestato l’attestato di idoneità per il passaggio alla classe terza perché non ratificato dal ministero. Attestato che, invece, c’è ed è anche protocollato“.

La disavventura della famiglia ha inizio nel 2024, quando furono ricoverati in ospedale per un’intossicazione da funghi, con i carabinieri che, dopo la vicenda, segnalarono la situazione ai servizi sociali parlando di “isolamento” e “condizioni abitative non idonee”. Ma la realtà era ben diversa. Come dimostrato anche da diversi servizi giornalistici, quella della famiglia è una scelta precisa, basata sulla volontà di vivere in armonia con la natura. Non c’è l’impianto elettrico ma l’energia è fornita dai pannelli solari installati, c’è il pozzo per l’acqua potabile e un bagno a secco. I genitori hanno spiegato più volte che i bambini, in ottima salute, sono seguiti da un pediatra, vengono portati regolarmente al parco per conoscere altri coetanei, e vanno a fare la spesa al supermercato una volta alla settimana. Fanno home shooling da casa, sostenendo gli esami necessari come nel caso della figlia più grande.

Ma tutto questo non è bastato. “Non siamo criminali. Perché ci trattano così? Non riesco a capirlo. È una grande ingiustizia”, sono le parole di mamma Catherine, ex insegnante di equitazione, riportate da Il Centro, che racconta che lei e i bambini si trovano nello stesso edificio, ma non possono stare insieme. “Dovevo essere più forte allora”, ricorda con amarezza analizzando l’inizio di questa vicenda: “Dovevo prendere subito un avvocato, invece di ascoltare chi diceva di assecondare i servizi sociali per far sparire il problema. Mi sono fidata, ed è stato un errore”.

Il papà, dopo l’allontanamento, ha aspettato per ore davanti alla struttura per potere rivedere i figli, senza successo. “Come si fa a strappare via i figli dai propri genitori? Rimarranno traumatizzati”, si è chiesto davanti ai cronisti aggiungendo: “Chi mai separerebbe una famiglia con dei bimbi piccoli, se non ha fatto niente di male? Credo che questo provvedimento sia frutto di un sistema orribile che fa del male alle persone che vivono onestamente”.

Intanto arrivano anche le prime reazioni politiche. “Ritengo vergognoso che lo Stato si occupi di entrare nel merito dell’educazione privata, delle scelte di vita personali di due genitori che hanno trovato nell’Italia un paese ospitale e che invece gli ruba i bambini”, è la posizione di Matteo Salvini, vicepremier e segretario della Lega.