giovedì 11 Dicembre 2025
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Ritardi in autostrada: dal 2026 scatta il diritto al rimborso del pedaggio

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traffico autostrada rimborso pedaggi

Chi resterà bloccato in autostrada a causa di cantieri o lunghe code potrà chiedere il rimborso del pedaggio, a partire dal 2026. È quanto prevede una nuova delibera approvata dall’Autorità di Regolazione dei Trasporti (ART), l’ente pubblico indipendente che si occupa di garantire diritti e qualità nei servizi di trasporto. La misura riguarda milioni di automobilisti e introduce un principio finora mai applicato in Italia: riconoscere un indennizzo economico per i disagi dovuti non a incidenti imprevedibili, ma a situazioni strutturali o evitabili.
Il rimborso sarà accessibile a chi ha subito ...

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Caso David Rossi, svolta in Commissione d’inchiesta: «La pista è l’omicidio»

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David Rossi non si sarebbe suicidato, ma sarebbe stato buttato giù dal terzo piano di Rocca Salimbeni, sede di MPS, a due passi da Piazza del Campo. A sgombrare definitivamente il campo su quello che è successo la sera del 6 marzo 2013 a Siena, nel sancta sanctorum della più importante banca italiana, è un colonnello dei carabinieri del RIS che ha collaborato con la Commissione parlamentare d’inchiesta bis insieme al medico legale Robbi Manghi. Nell’audizione plenaria, i due consulenti hanno anticipato e illustrato gli esiti della perizia da loro curata nei mesi scorsi – la Commissione di inchiesta è stata istituita nel marzo 2023 – e che, secondo loro, porta in modo inequivocabile a parlare di “pista dell’omicidio”.

Il capo della comunicazione di Monte Paschi, 52 anni, non è quindi precipitato dal suo ufficio al quartier generale della banca, non si è buttato nel vuoto per farla finita: qualcuno lo ha prima tenuto sospeso sul vicolo e poi mollato giù. Questa è la convinzione non solo degli esperti che hanno svolto accertamenti e rilievi, elaborando la nuova perizia, ma anche della Commissione stessa che, nella persona del suo presidente, l’avvocato (penalista) Gianluca Vinci, si è espresso in modo altrettanto perentorio: «La pista adesso è quella dell’omicidio o dell’omicidio come conseguenza di altro reato, sicuramente l’hanno tenuto appeso fuori dalla finestra e le lesioni che ha sul polso sono state create o perché in maniera estorsiva volevano esporlo fuori dalla finestra per spaventarlo e poi ritirarlo all’interno, oppure è stato lasciato andare, in ogni caso si può comunque parlare di omicidio».

Lesioni non compatibili

Nel dettaglio, come ha spiegato il tenente colonnello Gregori, l’attenzione dei consulenti si è focalizzata sull’orologio di David Rossi che è piombato al suolo spezzato, in due momenti diversi. Prima la cassa, poi il cinturino. L’ipotesi fatta è che l’uomo sia stata letteralmente sospeso nel vuoto, dalla finestra, e che nel farlo gli siano state procurate tre lesioni, o meglio ferite, sul polso sinistro dove portava l’orologio. I sopralluoghi effettati nel vicolo Monte Pio, dove è precipitato David Rossi, sono stati svolti sulla dinamica del volo fatale, sulla tenuta del cinturino che si è spezzato, staccandosi dalla casa, e sulla natura delle lesioni riportate dal Rossi. E’ un dato di fatto che il responsabile comunicazione MPS non avesse quelle lesioni quando è entrato in ufficio quel giorno e le lesioni stesse non sono state causate dalla caduta. E le ferite al braccio repertate sul cadavere di Rossi sono in effetti difficilmente compatibili con quelle di una persona che decide di commettere un suicidio lanciandosi dal terzo piano.

“Lo tenevano per il polso e poi lo hanno fatto cadere”

«La perizia è molto chiara: le ferite sul polso e l’esame del video mostrano come l’orologio non fosse più al polso al momento della caduta e che, di fatto, non si possa più parlare di suicidio» ha aggiunto il presidente Vinci specificando che «grazie all’impegno e all’attività investigativa dei RIS è stato riesaminato il filmato e si vede che la cassa dell’orologio casca prima e il cinturino dopo, quindi lui cade al suolo con il polso completamente lacerato ma questo non può essere dovuto dall’impatto a terra». Che David Rossi non fosse solo al momento di cadere da Rocca Salimbeni, così come fino adesso era stato detto e scritto, tanto da portare all’archiviazione delle indagini sulla sua morte, lo ha ribadito anche il tenente colonnello Gregori: «Il dato certo è che quando David Rossi è precipitato qualcuno lo teneva per il polso sinistro appeso al balcone, era appeso al balcone con qualcuno che lo sorreggeva, almeno nell’ultimo istante, e lo teneva per il polso sinistro provocando le lesioni e il distacco dell’orologio».

Serata di morte e di misteri

Il punto fermo di queste risultanze investigative e peritali, quindi, è che in buona sostanza Rossi sia stato tenuto per il braccio e sospeso nel vuoto, prima di essere letteralmente mollato per poi cadere rovinosamente al suolo. E quindi che non fosse solo al momento dei fatti, come era stato sostenuto fino adesso. Va anche ricordato che la parte finale del suo volo, la caduta sul selciato e la sua agonia di oltre venti minuti, e quanto accaduto quella sera è stato ripreso dalle videocamere collocate dietro al palazzo MPS. La numero sei, in particolare, fa vedere tra l’altro due uomini avvicinarsi al corpo riverso per terra, guardarlo, guardarsi in giro e poi scomparire. E’ solo una delle tante anomalie di quello che è stato definito suicidio anomalo e poi giallo, prima di diventare – grazie al lavoro della Commissione del presidente Vinci – un caso da valutare sotto alla luce dell’omicidio. Organo bis perché creata dopo che una prima Commissione era già stata istituita, e forse una delle prime nella storia repubblicana, se non la prima in assoluto, che porta elementi concreti per fare luce su un caso e su un mistero italiano, a differenza di (quasi) tutti gli organismi parlamentari che in precedenza hanno cercato inutilmente di fare luce sui tanti misteri e dolori di questo Paese nel dopoguerra. Non a caso, ha detto qualcuno, «se in questo Paese vuoi insabbiare qualcosa, crea una commissione».

Guardia di Finanza a Rocca Salimbeni

La morte di David Rossi è una vicenda costellata di elementi mai chiariti e di indizi che non hanno trovato un approfondimento giudiziario e rientra in una vicenda molto più grande, che all’epoca dei fatti riguardava MPS, il colosso bancario senese che aveva il fiato sul collo della Guardia di Finanza per le indagini sull’acquisizione di Banca Antonveneta e della quale si parlava di scandali con sospetti di bancarotta. I finanzieri avevano perquisito casa e ufficio di David Rossi, che non era indagato, oltre a quelle del presidente, Giuseppe Mussari e del direttore generale Antonio Vigni. La sera dei fatti, peraltro, sono successe cose molto strane proprio nell’ufficio di Rossi, che aveva mandato una mail nel corso di quella stessa giornata annunciando il suo suicidio, se non fosse stato aiutato. Un particolare sull’autenticità del quale sono stati sollevati molti dubbi, così come ci si è chiesti a lungo come mai non siano mai stati fatti accertamenti ematici e biologici sui fazzoletti intrisi di sangue e trovati nella stanza della vittima. In quel contesto, tra l’altro, le dichiarazioni del comandante provinciale dei carabinieri, Pasquale Aglieco, rilasciate alla precedente Commissione parlamentare, hanno scatenato a suo tempo polemiche e veleni, oltre a porre le premesse per un’inchiesta giudiziaria che ha riguardato nientemeno che tre pubblici ministeri. Aglieco infatti ha ricordato che quella sera, per caso, si è trovato a passare nelle vicinanze del vicolo – dove erano in funzione dodici telecamere, anche se una sola ha ripreso i fatti –, ha riconosciuto il corpo di Rossi a terra e ha gestito nei primi momenti la situazione. Ha raccontato, anche, che tre pm – che indagavano sui fatti della banca – sono stati nell’ufficio di Rossi prima dell’arrivo degli inquirenti, e la mancata verbalizzazione di questo particolare, oltre ad altri fatti, ha portato la procura di Genova ad aprire un fascicolo – poi archiviato – proprio sui tre pm per falso ideologico aggravato e omissione del sopralluogo.

Nuova inchiesta

Una serie di circostanze mai chiarite e che hanno reso impossibile squarciare il velo plumbeo intorno alla fine del responsabile comunicazione MPS, ma che ora potrebbero essere rivalutate e di nuovo verificate se sarà accolta la richiesta dei familiari di riaprire la vicenda e procedere ad una nuova inchiesta. Tutto da rifare e tutto da capire, quindi, dopo 12 anni e tra l’altro un coprifuoco mediatico che aveva sbrigativamente tacitato i tanti dubbi su un suicidio che è apparso da sempre molto strano. Perché se sembra ormai assodato che David Rossi non si sia suicidato, restano da chiarire i motivi per i quali potrebbe essere stato ucciso: se c’è un delitto, ci deve essere per forza anche un movente.

Libano: attacco israeliano sull’UNIFIL

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Israele ha attaccato un’altra volta i soldati dell’UNIFIL, la missione dell’ONU in Libano. L’attacco ha preso di mira i veicoli di un gruppo di caschi blu che pattugliava il confine che separa Israele dal Libano meridionale. I membri dell’UNIFIL sono stati attaccati dai soldati dell’IDF a bordo di un carro armato, i quali hanno sparato una raffica di mitragliatrice da dieci colpi contro i loro veicoli; i soldati israeliani hanno sparato altre quattro raffiche da altrettanti colpi nelle vicinanze del convoglio. Sia i peacekeeper che il carro armato dell’IDF si trovavano in territorio libanese, dove da oltre un anno vige un cessate il fuoco. Non sono stati registrati feriti.

“Scintille” nelle periferie: Trieste premiata per la rigenerazione urbana e sociale

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L’iniziativa di rigenerazione urbana delle periferie del Comune di Trieste, condivisa e partecipata, è stata premiata perché il progetto “Scintille” è tra le migliori buone pratiche italiane di sviluppo sostenibile. L’obiettivo non è solo la riqualificazione fisica (spazi pubblici, aree verdi, connessioni, infrastrutture), ma anche – e soprattutto – una rigenerazione sociale e comunitaria: qualità della vita, partecipazione attiva dei cittadini e valorizzazione dell’identità di quartiere.

E così a fine ottobre il comune di Trieste è stato insignito dall’ASviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile) di un “Attestato di buona pratica territoriale per un’Italia più sostenibile” dopo aver vagliato ben 224 azioni di buone pratiche messe in moto in tutta Italia. La motivazione del premio riguarda “l’approccio metodologico” del progetto, in particolare la capacità di valorizzare le peculiarità dei territori e delle comunità coinvolte, in coerenza con gli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.

A novembre si è tenuta una conferenza stampa in cui il comune ha illustrato lo stato dell’avanzamento, spiegando che è terminata la fase di ascolto con cittadini e associazioni locali. Ora si passa alla definizione delle priorità e a un “piano integrato degli interventi” da portare in Giunta, presumibilmente entro febbraio 2026. Grazie a un bando regionale nell’ambito della legge del Friuli Venezia Giulia per rigenerazione urbana, la città ha ottenuto oltre 2 milioni di euro come primo passo verso la realizzazione, mentre la progettazione preliminare è già stata affidata a due studi di architettura.

La visione è quella di non limitarsi ad un intervento edilizio isolato, per provare invece a ricostruire l’identità e la dimensione sociale dei quartieri, incentivando partecipazione, appartenenza, coesione, servizi, spazi condivisi, in un approccio integrato che è spesso indicato dagli esperti come modello avanzato di rigenerazione urbana. Il percorso di ascolto realizzato negli ultimi mesi, che ha coinvolto residenti, associazioni e istituzioni locali, ha permesso di individuare con precisione le criticità del territorio e di raccogliere bisogni e richieste da includere nel quadro degli interventi. A partire da questo lavoro sono stati definiti gli obiettivi strategici e identificate le “Aree Bersaglio”, ovvero le zone che saranno oggetto delle future proposte e iniziative di rigenerazione urbana, a partire dalle zone periferiche di San Giacomo, Valmaura e Giarizzole.

Sono in programma la riqualificazione di piazze, aree verdi e percorsi pedonali, la creazione di nuovi spazi pubblici per giovani, famiglie e attività culturali, oltre al potenziamento dell’illuminazione, dell’arredo urbano e della mobilità dolce. Il progetto include anche interventi per la sicurezza, l’accessibilità e la resilienza climatica, insieme all’attivazione di programmi socio-educativi e culturali che rafforzino la coesione comunitaria. L’obiettivo finale è quello di dar vita a quartieri più vivibili e connessi, valorizzando il ruolo dei cittadini in tutto il processo.

La Sardegna verso il via libera alla fabbrica di bombe: i pacifisti si mobilitano

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La giunta regionale sarda guidata da Alessandra Todde è indirizzata a dare al più presto il via libera al raddoppio degli impianti della Rwm Italia, la controllata del colosso tedesco Rheinmetall che a Domusnovas, nel Sulcis, produce bombe, mine, droni e sistemi d’arma. Una decisione molto contestata, che sta per essere formalizzata e che rappresenta una sonora delusione per il fronte ambientalista e pacifista che aveva sostenuto l’elezione della governatrice, il quale promette già battaglia in tribunale e nelle piazze. L’approvazione, giustificata da Todde con i pareri tecnici favorevoli ricevuti e il rischio di commissariamento in caso di diniego, autorizzerebbe l’ampliamento di uno stabilimento che esporta ordigni verso teatri di guerra, sancendo la vittoria della logica industriale e occupazionale in un’area con un tasso di disoccupazione giovanile prossimo al 40%.

La decisione deve arrivare nel rispetto dei termini fissati da una pronuncia del TAR del mese scorso, che ingiunge alla Regione di deliberare entro il 16 dicembre. La governatrice, esponente del Movimento 5 Stelle, ha motivato la sua intenzione affermando di avere «un ruolo istituzionale da svolgere sino in fondo, piaccia o non piaccia». «Potrei strappare qualche applauso se dicessi no alla Valutazione di Impatto Ambientale per Rwm, negando una nuova autorizzazione per i manufatti già realizzati, e il giorno dopo mi ritroverei i tribunali e gli uffici dello Stato che commissariano la Regione – ha aggiunto la governatrice –. Il parere degli uffici della Regione va rispettato e applicato».

Tuttavia, questa giustificazione tecnica non ha placato le proteste. Il fronte del no, che riunisce associazioni come Italia Nostra, Usb Sardegna, il Comitato per la riconversione della Rwm e War Free, contesta radicalmente la validità della valutazione ambientale positiva. In una lettera inviata a Todde, che si è anche trasformata in una petizione su Change.org, gli ambientalisti evidenziano come lo stabilimento sia classificato «“ad alto rischio di incidente rilevante” realizzato all’interno dell’area di rispetto di un corso d’acqua ad alto rischio di esondazione». La domanda che pongono è tagliente: «come si può parlare di bassi rischi ambientali?».

La protesta, però, non si limita al profilo della sicurezza. Gli oppositori sollevano una pesante questione politica ed etica, ricordando che un’eventuale decisione positiva «consentirebbe di ampliare il business di una fabbrica che produce ordigni di tutti i tipi, persino Droni Killer israeliani, che esporta poi verso paesi impegnati nelle guerre in corso, come l’Arabia Saudita, l’Ucraina, la Turchia». I firmatari lanciano un appello alla governatrice: «Presidente Todde, la pace è la più grande opera di prevenzione delle catastrofi climatiche e della perdita del senso di umanità, Le chiediamo di spendersi in questa direzione. Ci troverà al suo fianco. C’è ancora un po’ di tempo, ci ripensi, non tradisca i suoi principi e quelli di chi ci ha creduto dandole il voto, ma anche di chi, pur non avendola votata, è pronto a sostenere con lei questa causa». Ove invece la Regione dovesse dare parere favorevole, avvertono gli scriventi, da parte loro «sarebbe scontato un ricorso al TAR».

L’intenzione della governatrice crea frizioni anche all’interno della sua maggioranza. Mentre da partiti come Pd, Verdi e Orizzonte Comune è calato un imbarazzato silenzio, Sinistra Futura ha annunciato il suo voto contrario in giunta. Il segretario regionale di Rifondazione Comunista, Enrico Lai, ha parlato senza mezzi termini di «scelta scellerata». La decisione risulta ancora più stridente considerando il contesto in cui Todde l’ha preannunciata: un convegno nazionale dell’Arci a Cagliari dedicato a promuovere collaborazione e pace nel Mediterraneo.

Il nodo centrale rimane quello occupazionale. La Rwm, che nel 2023 ha registrato un utile di 19 milioni di euro, rappresenta un datore di lavoro cruciale in un’ex area mineraria in cerca di riscatto. L’ampliamento promette nuovi posti in un territorio stremato. Tuttavia, i critici accusano l’azienda di aver già ampliato alcuni reparti frazionando i lavori, eludendo così le norme della Via.

Con l’imminente via libera politico, nel Sulcis aumenterebbe la produzione di bombe, droni, testate per missili e sistemi subacquei. Per la Rheinmetall si tratterebbe di un affare importante, per i movimenti pacifisti di una ferita e per Alessandra Todde di una pesante grana politica. La battaglia, in attesa del voto formale della giunta, è già iniziata e si prepara a spostarsi sui tavoli del TAR, oltre che nelle piazze sarde. Una mobilitazione trasversale – che unisce ambientalisti, antimilitaristi, sindacati di base e una parte del mondo cattolico, anche sulla scia di recenti prese di posizione della Conferenza Episcopale – si prepara a far sentire la sua voce contro quella che considera una scelta immorale e pericolosa.

Iran, attacchi nel Belucistan: 3 guardie rivoluzionarie morte

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Oggi nella provincia iraniana sudorientale del Sistan e Belucistan, situata vicino al confine con il Pakistan, si è verificato un attacco ai danni di membri della Guardia Rivoluzionaria, in seguito a cui sono morti tre pasdaran. Da quanto comunicano i media iraniani, i membri dei pasdaran sono caduti in una imboscata mentre pattugliavano un’area montuosa nei pressi della città di Lar. Nessun gruppo ha ancora reclamato l’attacco. L’area del Belucistan è spesso teatro di scontri e attacchi da parte di gruppi separatisti attivi tanto in Iran quanto in Pakistan.

La pace di Trump tra Thailandia e Cambogia è già finita: mezzo milione in fuga

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In meno di due mesi dalla tregua mediata da Donald Trump a Kuala Lumpur, la pace fra Thailandia e Cambogia è già crollata: oltre 500 mila persone sono state costrette ad abbandonare le proprie abitazioni dopo i nuovi scontri al confine. Lunedì la Thailandia ha lanciato attacchi aerei sulla vicina Cambogia, con entrambe le parti che si incolpano per i rinnovati combattimenti sul confine conteso. L’escalation militare tra i due Paesi rientra in una storia di rivalità pluridecennale sulla demarcazione coloniale dei loro 800 chilometri di confine e sulla sovranità rivendicata su alcuni templi.

Gli scontri di questa settimana sono i più sanguinosi dai cinque giorni di combattimenti di luglio, che hanno causato 43 morti e circa 300 mila sfollati su entrambi i lati del confine, prima che fosse concordata una tregua precaria mediata dagli Stati Uniti. Il 26 ottobre le due parti avevano firmato un accordo di cessate il fuoco, sotto l’egida di Trump. Una tregua fragile che si è sgretolata in poche settimane, con gli scontri che si sono estesi a nuove aree del confine, costringendo a un esodo di massa di civili. Bangkok e Phnom Penh si incolpano a vicenda per la ripresa dei combattimenti, che il 9 dicembre si sono estesi a cinque province dei due Paesi. Lunedì l’esercito thailandese ha colpito con raid aerei le postazioni cambogiane lungo il confine. Phnom Penh denuncia almeno quattro civili uccisi, Bangkok parla di un soldato morto e rivendica azioni difensive. I governatori delle province di frontiera hanno annunciato l’evacuazione di decine di migliaia di persone. In molte zone si segnalano code chilometriche e fughe disperate, con famiglie che abbandonano ogni bene. «I civili hanno dovuto evacuare in gran numero a causa di quella che abbiamo valutato come una minaccia imminente alla loro sicurezza. Oltre 400 mila persone sono state trasferite in rifugi sicuri» in 7 province, ha spiegato ai giornalisti il portavoce del ministero della Difesa thailandese, Surasant Kongsiri. In Cambogia, «101.229 persone sono state evacuate in rifugi sicuri e presso le case dei parenti in 5 province», ha dichiarato invece la portavoce del ministero della Difesa Maly Socheata.

Il conflitto fra Thailandia e Cambogia non è una novità: la disputa su quella frontiera si trascina da un secolo e riguarda soprattutto aree contese in base a vecchie mappe coloniali, con al centro siti di grande valore storico e simbolico. Le violenze di confine più gravi risalgono proprio agli scontri intorno al tempio di Preah Vihear tra il 2008 e il 2011, che causarono almeno 28 morti e costrinsero all’evacuazione di decine di migliaia di residenti locali. Nel corso degli anni, la contesa ha ripetutamente alimentato sentimenti nazionalistici in entrambi i Paesi e ciclici scontri armati. La tregua di ottobre, raggiunta grazie all’intervento del presidente degli Stati Uniti e agli sforzi diplomatici di Cina e Malesia, sembravano aver rappresentato un raro successo, tantoché la Cambogia aveva persino candidato Trump al Premio Nobel per la Pace. L’accordo prevedeva la riduzione delle truppe lungo il confine, il dispiegamento di osservatori e l’accelerazione delle operazioni di sminamento. Tuttavia, il patto era apparso in bilico già il mese scorso, quando la Thailandia ne aveva sospeso l’attuazione accusando la Cambogia di aver piazzato nuove mine nelle aree contese.

Ora, il ritorno dei bombardamenti chiude brutalmente quella che Trump aveva presentato come una pace storica. Di fronte all’escalation, la comunità internazionale ha lanciato appelli al contenimento. Giorni fa il segretario di Stato americano Marco Rubio aveva invitato entrambe le parti a rispettare gli impegni presi a Kuala Lumpur, chiedendo la rimozione delle armi pesanti dal confine, il coordinamento della rimozione delle mine terrestri e altre misure. Sul campo, tuttavia, le posizioni rimangono rigide. Durante un evento politico in Pennsylvania, il presidente statunitense ha commentato la ripresa degli scontri, annunciando di dover fare una telefonata «per far finire la guerra». «Ho risolto otto guerre, inclusa quella fra Thailandia e Cambogia, che oggi hanno ripreso. Domani le chiamerò. Chi può fare una telefonata e risolvere una guerra?», ha ribadito Trump.

Australia: vietati i social ai minori di 16 anni, è il primo Paese al mondo

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L’Australia diventa il primo Paese al mondo a vietare per legge l’accesso ai social network ai minori di 16 anni. Il divieto riguarda Facebook, Instagram, TikTok, X, Snapchat, Threads e Reddit, ma anche YouTube e Twitch, inizialmente escluse, oltre a Kick. Per il momento sono esentate le piattaforme usate per messaggiare o giocare, tra cui Discord, Messenger, Pinterest, Roblox, WhatsApp e YouTube Kids. La normativa, era stata approvata dal Parlamento australiano su impulso del Primo Ministro Anthony Albanese il 28 novembre del 2024, per tutelare la salute mentale dei minorenni. Negli ultimi anni, la letteratura scientifica ha accumulato dati sulla correlazione tra uso precoce dei social e aumento di ansia, depressione, disturbi del sonno e difficoltà di attenzione, dipendenza da stimoli rapidi e gratificazione immediata.

Il Social Media Minimum Age Bill prevede il divieto di accesso ai principali social network per i minori di 16 anni, spostando l’onere della verifica dell’età sulle piattaforme. La legge segna un passaggio che potrebbe aprire una nuova stagione di regolamentazione globale delle piattaforme digitali. Non saranno i genitori a dover dimostrare l’età dei figli, ma le aziende tecnologiche, chiamate a impedire l’iscrizione e l’uso dei social agli adolescenti. In caso di violazioni sono previste sanzioni fino a 50 milioni di dollari australiani, circa 28,5 milioni di euro. Il provvedimento nasce in un clima di crescente allarme pubblico per il benessere mentale dei giovani e intercetta un consenso diffuso. Le Big Tech e parte di accademia e società civile, da Amnesty alla Commissione diritti umani australiana, hanno però criticato la legge temendo effetti sui diritti e sui legami sociali dei minori. Allo stesso tempo, una parte consistente dell’opinione pubblica dubita dell’efficacia reale del divieto, temendo che venga aggirato con facilità o che produca effetti collaterali indesiderati. I nodi restano aperti: la verifica dell’età rischia di aprire la strada a sistemi di identificazione digitale invasivi, il confine tra tutela e controllo appare sottile e resta il dubbio sulla capacità di una legge nazionale di arginare colossi globali abituati a eludere le regole.

Il punto centrale rimane l’impatto dei social sullo sviluppo cognitivo ed emotivo di bambini e adolescenti. Negli ultimi anni, la letteratura scientifica internazionale ha consolidato un quadro sempre più critico sugli effetti dei social media sulla salute mentale degli adolescenti, in una fase della vita in cui il cervello è ancora in formazione. Studi pubblicati su JAMA Network hanno evidenziato come periodi anche brevi di sospensione dall’uso dei social portino a una riduzione significativa di ansia e sintomi depressivi, suggerendo una relazione diretta tra piattaforme digitali e disagio psicologico. Ricerche apparse su Nature e The Lancet, basate su dati longitudinali raccolti nel Regno Unito e negli Stati Uniti, mostrano che un uso intenso e precoce dei social è associato a un calo della soddisfazione di vita, a disturbi del sonno, difficoltà di attenzione e peggioramento dell’autostima negli anni successivi. Particolarmente preoccupanti sono i dati relativi alle ragazze adolescenti, più vulnerabili agli effetti del confronto sociale e dell’esposizione a modelli corporei idealizzati. Metanalisi recenti sottolineano inoltre un’associazione tra uso problematico dei social e aumento di ansia, depressione e comportamenti autolesionisti, pur evidenziando che i rischi crescono soprattutto con un utilizzo passivo, compulsivo e non mediato dagli adulti. Non è un caso che le associazioni pediatriche internazionali stiano rivedendo le proprie linee guida, suggerendo di rimandare l’uso dello smartphone e l’accesso ai social il più possibile. L’idea che un tredicenne possa gestire senza danni un flusso costante di contenuti algoritmici, notifiche e confronti sociali è sempre più contestata. I social media non sono spazi neutrali: sono ambienti progettati per catturare attenzione, generare dipendenza e raccogliere dati.

In questo contesto, la scelta australiana appare meno radicale di quanto venga raccontata e potrebbe inaugurare una nuova linea di intervento anche altrove. Vietare i social ai minori non significa negare il digitale, ma rompere il tabù occidentale secondo cui la tecnologia sarebbe neutra, inevitabile, progresso puro, un destino ineluttabile da assecondare. Resta da capire se il coraggio politico saprà resistere alle pressioni delle Big Tech e se il modello australiano diventerà un precedente capace di ispirare anche altri Paesi.

Repubblica Democratica del Congo: i ribelli conquistano Uvira

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Nonostante la recente ratifica dell’accordo di cessate il fuoco tra Ruanda e Repubblica Democratica del Congo, i ribelli congolesi dell’M23 – sostenuti da Kigali – continuano ad avanzare. Il portavoce del gruppo ha annunciato la conquista della città lacustre di Uvira, situata al confine con il Burundi, nella provincia orientale del Sud Kivu. Le ONG congolesi segnalano da tempo che l’M23 non avrebbe arrestato la propria avanzata verso Uvira; solo nella scorsa settimana gli scontri nella provincia del Sud Kivu avrebbero portato all’uccisione di oltre 70 persone e costretto alla fuga circa 200mila residenti.

La nuova Nakba palestinese: tra gli sfollati dei campi profughi di Tulkarem

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CAMPO PROFUGHI DI TULKAREM, PALESTINA OCCUPATA – Con l’aiuto del buio la nuova Nakba assume un contorno più definito. Nel cuore di Tulkarem, un pezzo di città è nero, silente, fantasma. Poche luci fanno da testimoni a una presenza umana, i fantasmi non voluti che occupano il campo profughi di Tulkarem ormai da più di dieci mesi. Nur scruta il campo vuoto, scuote la testa, è preoccupata. «Laggiù c'è casa mia», dice, indicando un punto ben preciso, come chi conosce perfettamente il territorio. «Quella luce ieri non c’era». Difficile dire se provenga dalla sua abitazione o da una intorno, anche l...

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