mercoledì 10 Dicembre 2025
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In Yemen è riesplosa la guerra civile

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Nel silenzio generale, la guerra civile yemenita ha preso un nuovo slancio. Da giorni, infatti, le forze del Consiglio di Transizione Meridionale (STC), gruppo separatista sostenuto dagli Emirati Arabi, hanno lanciato un’offensiva senza precedenti ai danni del Consiglio Direttivo Presidenziale (PLC), quello che viene generalmente indicato come il governo centrale – sostenuto dall’Arabia Saudita. A rompere i fragili equilibri sembra essere stato un contenzioso riguardo a un’area petrolifera; l’operazione dell’STC, denominata “Promising Future”, ha interessato le aree dei governatorati di Hadhramaut e di Al-Mahrah, che secondo alcune fonti sarebbero stati interamente conquistati. L’STC avrebbe anche costretto le forze del PLC ad abbandonare la loro attuale capitale provvisoria, Aden. Per ora, l’avanzata dell’STC non ha interessato i territori controllati da Ansar Allah, il gruppo considerato vicino all’Iran meglio noto con il nome di Houthi; la cartina del Paese, tuttavia, è – almeno momentaneamente – mutata drasticamente.

Non è chiaro cosa esattamente abbia spinto l’STC ad attaccare i territori del PLC. Secondo la versione più ripresa da analisti e media internazionali a fare scattare la miccia sarebbe stato il dispiegamento di soldati da parte dell’Alleanza Tribale di Hadhramaut – milizia vicina al PLC – attorno ai pozzi petroliferi di PetroMasila (la maggiore compagnia petrolifera del Paese) situati nella valle dell’Hadramaut; le aree interessate dagli attacchi sono infatti ricche di petrolio e idrocarburi. Lo scopo ufficiale del dispiegamento di soldati da parte delle forze tribali era quello di «difendere le risorse nazionali da potenziali aggressioni o interferenze esterne» nella valle, ma l’STC ha accusato l’Alleanza di essere vicina a «gruppi terroristici» e di collaborare con Ansar Allah, favorendo il contrabbando. Altri analisti hanno osservato che l’attacco da parte dell’STC non arriva casualmente, bensì in un periodo di apertura diplomatica tra gli stessi Ansar Allah e Arabia Saudita; in tale ottica, l’avanzata dell’STC servirebbe a capitalizzare sulle aree a controllo saudita prima del raggiungimento di eventuali accordi. In ogni caso, martedì 2 dicembre l’STC ha iniziato a mobilitare le proprie forze verso l’area settentrionale del Governatorato di Hadramaut, e il giorno dopo ha inaugurato la vera e propria offensiva.

Per attaccare i territori del PLC, le STC hanno mobilitato le Forze d’élite Hadrami e le Brigate di Supporto alla Sicurezza. L’avanzata ha proceduto a passi spediti: durante la prima mattina di combattimenti, le Forze di élite Hadrami sono entrate nella città di Seiyun, conquistandone anche la periferia e l’aeroporto; nella medesima giornata, si sono spinte fino alla periferia di Al-Hawi, e nella notte sono entrate ad Al-Mukalla, città portuale nel medesimo Governatorato; è questo il momento in cui hanno annunciato il nome della propria operazione, Futuro Promettente. Giovedì 4 dicembre le forze affiliate alle STC hanno continuato l’avanzata nel Governatorato di Hadramaut, arrivando nei pressi di Al-Abr, una delle più importanti roccaforti militari dei filo-sauditi; hanno poi spinto le proprie milizie verso est, entrando nel Governatorato di Al-Mahrah; qui hanno conquistato la città costiera di Sayhut, quella di Nishtun, e quella di al-Ghaydah, arrivando temporaneamente fino al confine con l’Oman; intanto, hanno iniziato l’avanzata verso il Governatorato di Marib.

Venerdì, le forze saudite sono riuscite a riprendere il controllo del confine con l’Oman e hanno respinto l’avanzata ad Al-Mahrah; hanno poi rafforzato la roccaforte di Al-Abr, ma, finora, con scarso successo. Alla fine della scorsa settimana, l’STC era riuscito ad avanzare anche nelle regioni di Shabwa e di Marib e si era assicurato l’isola di Perim, situata presso il Golfo di Aden; nel frattempo, avrebbe anche cacciato i funzionari e i militari affiliati al PLC dalla stessa Aden e si sarebbe spinta fino a toccare Taizz, una delle maggiori città del Paese. L’STC controlla inoltre almeno la metà del Governatorato di Hadramaut e della quasi totalità della costa di Al-Mahrah; Al Jazeera e il Guardian (citando un centro di analisi) riportano invece che tali province sarebbero state conquistate interamente, e che il PLC ora manterrebbe solo parte del Governatorato di Marib e di quello di Taizz. Tra ieri e oggi, l’Arabia Saudita avrebbe bloccato i voli verso Aden e l’STC avrebbe consolidato le posizioni conquistate.

La guerra civile in Yemen va avanti ormai da oltre dieci anni. All’inizio degli anni ’10 del Ventunesimo secolo, il Paese fu uno dei tanti teatri delle cosiddette “Primavere Arabe”. Le rivolte portarono alla rimozione del presidente Saleh e alla scalata al potere del suo vice, Hadi. Nel 2014, Ansar Allah lanciò una vasta offensiva, conquistando la capitale e costringendo Hadi alle dimissioni; nel 2015, il Paese era diviso in due: Ansar Allah aveva il controllo del nord, Hadi del sud. Fu qui che l’Arabia Saudita entrò in scena: Riyad creò quella che prese il nome di “coalizione anti-Houthi” a sostegno del presidente Hadi, a cui aderirono diversi Paesi del Golfo e del Mar Rosso, tra cui proprio gli Emirati Arabi Uniti. Nonostante i tentativi di rovesciamento, Ansar Allah tenne; nel malcontento generale, i Movimenti del Sud, che miravano alla creazione di uno Stato indipendente nello Yemen meridionale, si unirono, e nel 2017 nacque il Consiglio di Transizione del Sud, sostenuto dagli Emirati. L’STC riconobbe il PLC ed entrò a farvi parte, ma con il sostegno di un potentato regionale avanzò in diverse delle aree meridionali del Paese, finendo per esercitare un controllo di fatto su di esse. A oggi, dopo l’avanzata dell’ultima settimana, controllerebbe il 60% del Paese.

Incendio in Indonesia, 22 morti

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In Indonesia è esploso un incendio in un palazzo di sette piani, uccidendo 22 persone. L’incendio è scoppiato al primo piano di un edificio di Giacarta, per poi propagarsi ai piani superiori. Il palazzo ospita gli uffici di Terra Drone Indonesia, una divisione dell’azienda giapponese Terra Drone Corporation che fornisce droni per il rilevamento aereo nei settori agricolo e minerario; secondo le ricostruzioni, a causare lo scoppio delle fiamme sarebbe stata proprio la batteria di un drone, che avrebbe preso fuoco in circostanze ancora ignote.

Israele stanzia 720 milioni di euro per espandere le colonie illegali in Cisgiordania

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Il ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich ha annunciato un piano governativo che prevede lo stanziamento di 2,7 miliardi di shekel – circa 720 milioni di euro – per la creazione di 17 nuove colonie in Cisgiordania nei prossimi cinque anni e lo sviluppo di infrastrutture coloniali in diverse aree dei territori occupati, continuando a violare il diritto internazionale. Pochi giorni fa, l’Assemblea Generale dell’ONU ha approvato (l’ennesima) risoluzione in cui chiede a Israele di smantellare le proprie colonie in Cisgiordania e di ritirarsi da tutti i territori palestinesi, compresa Gerusalemme Est. Ieri, l’annuncio del nuovo piano economico che mira a espandere e solidificare le colonie illegali israeliane, rafforzare il controllo di Tel Aviv oltre i confini del 1948 e proseguire nell’annessione de facto della Cisgiordania.

Secondo il piano di Smotrich, 1,1 miliardi di shekel saranno destinati al rafforzamento delle colonie esistenti e alla creazione di nuove colonie. Di questi, 660 milioni di shekel andranno alle 17 colonie recentemente approvate dal governo e 338 milioni di shekel saranno utilizzati per sviluppare 36 colonie e avamposti attualmente in fase di progettazione. Questi lavori comprendono la costruzione di reti idriche, fognarie ed elettriche, oltre a edifici pubblici quali centri religiosi, scuole e strutture comunitarie.
Il governo stanzierà inoltre 300 milioni di shekel per le nuove colonie, di cui 160 milioni come sovvenzione per la creazione e 140 milioni per la pianificazione. Il piano prevede inoltre la costruzione di “magazzini di assorbimento” contenenti circa 20 roulotte per le famiglie, una misura intesa ad accelerare il radicamento demografico dei coloni e ad aprire la strada a future espansioni.

Oltre alle nuove costruzioni, il governo intende stanziare 434 milioni di shekel per il ripristino delle infrastrutture nelle colonie esistenti, 300 milioni di shekel per sostenere i consigli coloniali in Cisgiordania, 140 milioni di shekel per l’installazione di posti di blocco e 150 milioni di shekel per finanziare misure di protezione degli autobus nei prossimi tre anni. Il ministro della Difesa israeliano Yisrael Katz dovrebbe stanziare ulteriori fondi per rafforzare la sicurezza nelle nuove colonie, tra cui recinzioni intelligenti, telecamere di sorveglianza e depositi di attrezzature militari.

Il piano delinea una strategia volte a rafforzare il controllo israeliano oltre i confini del 1948 attraverso lo sviluppo di colonie, la costruzione di strade, il trasferimento di basi militari e l’istituzione di un controllo amministrativo e militare sulle aree interessate, il che equivale a una annessione de facto della Cisgiordania. Nell’ambito della riforma amministrativa, saranno stanziati 225 milioni di shekel per istituire un’unità speciale di “catasto” per la Cisgiordania, trasferendo la registrazione dei terreni dall’“Amministrazione civile” a tale unità. Ciò interesserà circa mezzo milione di coloni, e intede regolamentare circa 60.000 dunam (6mila ettari) di terreno entro il 2030. Il quotidiano Yediot Aharonot ha riferito inoltre che il piano prevede il trasferimento di tre basi militari nel nord della Cisgiordania, in particolare il trasferimento del quartier generale della brigata “Menashe” nell’area dell’ex colonia “Shanur”, una mossa descritta come drammatica e volta a rafforzare il controllo militare e coloniale sulla regione.

Parallelamente, sempre nella giornata di ieri, la polizia israeliana ha fatto irruzione nel complesso dell’UNRWA a Gerusalemme e ha sostituito la bandiera dell’ONU con quella d’Israele, oltre ad aver sequestrato arredi, apparecchiature informatiche e altri beni, calpestando ulteriormente le istituzioni e il diritto internazionale. Intanto, soprattutto nei territori intorno a Gerusalemme, nella Valle del Giordano e nella provincia di Masafer Yatta, le autorità israeliane hanno intensificato una campagna sistematica su più fronti che comprende demolizioni, restrizioni alla libertà di movimento e appropriazione di terreni. Sono almeno 60 gli avvisi e gli ordini di demolizione emessi dalle autorità israeliane verso strutture residenziali e agricole su tutto il territorio da inizio novembre a oggi, e almeno 27 le operazioni di demolizione e abbattimento solo nel mese di novembre. Contemporaneamente, le violenze dei coloni – spesso in complicità con le IDF – continuano a martoriare comunità e villaggi palestinesi, con lo stesso obbiettivo di forzare la popolazione locale a lasciare le proprie terre.

Italia: nel 2025 ci sono state quasi 100 inchieste e mille indagati per corruzione

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Nel corso del 2025 la mappa giudiziaria italiana è stata attraversata da un’intensa sequenza di inchieste per corruzione, che tocca numeri da record. Tra il 1° gennaio e il 1° dicembre sono state registrate 96 nuove indagini per corruzione e concussione – in media otto al mese – con un totale di 1.028 persone indagate. Un dato che quasi raddoppia quello dell’anno precedente, quando le indagini erano 48 e gli indagati 588. A fotografare questa crescita è Italia sotto mazzetta, il dossier diffuso da Libera in occasione della Giornata internazionale per la lotta alla corruzione del 9 dicembre. L’analisi delinea una corruzione ormai sistemica e strutturata, inserita in meccanismi stabili, che finisce per minare la fiducia nelle istituzioni, degradare la qualità della democrazia e dei servizi pubblici e favorire una pericolosa assuefazione sociale al fenomeno.

L’associazione fondata da don Luigi Ciotti ha censito le inchieste sulla corruzione dal primo gennaio al primo dicembre 2025, basandosi sulle notizie di stampa. Il quadro restituisce l’estensione e la pervasività della corruzione in Italia, un fenomeno che nel 2025 emerge con continuità su tutto il territorio nazionale. Da Torino a Milano, da Bari a Palermo, da Genova a Roma, passando per numerosi centri di provincia come Latina, Prato e Avellino, fino ad aree del Salernitano, l’anno è stato segnato da un susseguirsi di inchieste per mazzette che hanno coinvolto circa mille tra amministratori, politici, funzionari pubblici, manager, imprenditori, professionisti e soggetti legati alla criminalità organizzata. Sono ben 53 i politici indagati (sindaci, consiglieri regionali, comunale, assessori) pari al 5,5% del totale delle persone indagate. Di questi 24 sono sindaci, quasi la metà. Il maggior numero di politici indagati riguarda la Campania e Puglia con 13 politici, seguita da Sicilia con 8 e Lombardia con 6. Il report evidenzia una distribuzione geografica non omogenea: il Sud e le isole risultano le aree più coinvolte. Di tutte le inchieste del 2025, 48 riguardano regioni meridionali o insulari, contro 25 del Centro e 23 del Nord. La “maglia nera” spetta alla Campania, con ben 219 indagati, seguita da Calabria (141) e Puglia (110). Tra le regioni del Nord, la prima per numero di indagati è la Liguria con 82, seguita dal Piemonte con 80. Si tratta di una istantanea che smentisce la narrazione di una corruzione confinata a poche “zone calde”: la mappa coinvolge l’intero Paese, dalle periferie del Sud ai borghi del Nord, con una forte presenza di territori del Mezzogiorno in cima alla classifica.

Nel commentare i dati, Libera sottolinea come le inchieste di quest’anno fotografino una corruzione che non è più soltanto episodica o marginale, ma sembra animata da logiche consolidate. Ne emerge una “corruzione regolata”, spesso sistemica, organizzata in rete, con ruoli riconoscibili: dirigenti pubblici, imprenditori, faccendieri, talvolta con collegamenti alla criminalità organizzata. Le aree di intervento suggeriscono quanto il fenomeno tocchi la qualità della vita quotidiana: le mazzette servono a ottenere appalti sanitari, licenze, concessioni edilizie, servizi pubblici o vantaggi per la cittadinanza. Da segnalare anche la presenza del reato di voto di scambio politico-mafioso, concorsi pubblici e universitari truccati, tangenti per certificati di morte o residenze false: segni di un sistema che normalizza l’illegalità come strada per accedere a risorse, diritti o servizi.

Ed è proprio su quest’ultimo aspetto che si sofferma Libera: «Oggi il ricorso alla corruzione sembra diventare sempre più una componente “normale” e accettabile della carriera politica e imprenditoriale». Il processo di progressiva normalizzazione finisce per rendere la corruzione socialmente tollerata, percepita come un elemento ordinario e quasi inevitabile, alimentando rassegnazione e indifferenza. Questo terreno culturale, avverte l’associazione, rischia di consolidarsi in un sistema di potere sempre più irresponsabile, fondato su relazioni opache, conflitti di interesse tollerati e regole piegate agli interessi di pochi. La risposta non può limitarsi all’azione giudiziaria o all’inasprimento delle pene, ma deve puntare su un rafforzamento reale dei presidi anticorruzione, oggi indeboliti, e su un rinnovato patto tra istituzioni e cittadinanza. Il percorso è «lungo» osserva Francesca Rispoli, copresidente nazionale di Libera, «ma necessario» per riaffermare integrità, trasparenza e giustizia sociale come basi dell’interesse pubblico.

Lituania: stato di emergenza per presunto contrabbando bielorusso

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La Lituania ha dichiarato lo stato di emergenza per fare fronte ai presunti sconfinamenti di palloni aerostatici dalla Bielorussia. Il Paese dispiegherà i militari al confine con Minsk, e aumenterà i controlli in entrata. La Lituania accusa la Bielorussia di permettere lo sconfinamento di palloni aerostatici simili a quelli utilizzati per le rilevazioni meteorologiche, sostenendo che trasportino sigarette da contrabbando. La dichiarazione dello stato di emergenza è solo l’ultima misura presa dalla Lituania nell’ambito di tale faccenda; Vilnius aveva già chiuso i confini accusando il presidente bielorusso Lukashenko di portare avanti una forma di guerra ibrida contro il Paese. Minsk ha sempre rigettato le accuse.

L’Europa prova a blindare Zelensky: patto con Regno Unito, Germania e Francia

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In seguito alla formazione di un vero e proprio asse USA-Russia per porre fine alla guerra in Ucraina, l’Europa – esclusa dalla stesura del piano di pace – prova a blindare Zelensky nel tentativo di strappare condizioni più favorevoli per l’ex Stato sovietico, in particolare per quanto attiene la questione della cessione dei territori. A tal fine, si è svolto ieri a Londra un incontro tra il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e il primo ministro britannico Keir Starmer, insieme al presidente francese Emmanuel Macron e al cancelliere tedesco Friedrich Merz. Dal vertice, in cui è stato rivisto il piano di pace USA, è emerso un rinnovato patto finalizzato a sostenere l’Ucraina in sede di trattative: in particolare, i capi europei hanno sottolineato la necessità di nette garanzie di sicurezza per Kiev e la contrarietà alla cessione di territori.

Il primo ministro inglese ha affermato che la spinta per la pace è in una «fase critica» e ha posto l’accento sulla necessità di «un cessate il fuoco giusto e duraturo». Il cancelliere tedesco, invece, si è detto «scettico» su alcuni dettagli contenuti nei documenti pubblicati dagli Stati Uniti. «Dobbiamo parlarne. Ecco perché siamo qui» ha affermato, aggiungendo che «I prossimi giorni potrebbero essere decisivi per tutti noi». Da parte sua, il capo dell’Eliseo, Macron, ha asserito che la riunione di ieri «ha permesso di proseguire il lavoro comune sul piano americano al fine di completarlo con i contributi europei, in stretta collaborazione con l’Ucraina».

In questo contesto, a emergere sono soprattutto le divergenze di posizione tra USA e UE, specialmente per quanto riguarda la cessione dei territori ucraini, che costituisce l’argomento più spinoso, ma anche quello decisivo, per le trattative e la fine del conflitto. Attualmente, Mosca controlla l’80% del territorio del Donbass, dopo che la controffensiva ucraina non è riuscita a riconquistare i territori occupati. Mentre i Paesi europei difendono il diritto di Kiev alla sua integrità territoriale, il presidente statunitense Donald Trump critica l’approccio del Vecchio continente che, secondo lui, «va nella direzione sbagliata». A conferma della distanza tra USA e UE, il capo della Casa Bianca ha pubblicato sul suo social Truth un articolo del New York Post dal titolo “Gli europei impotenti non possono che infuriarsi perché Trump li esclude giustamente dall’accordo con l’Ucraina”.

Trump si è detto anche scontento dell’atteggiamento di Zelensky in quanto il capo ucraino «non ha ancora letto la proposta», dopo che sabato i negoziatori statunitensi e ucraini hanno concluso tre giorni di colloqui volti a cercare di ridurre le divergenze. Da parte sua, il presidente ucraino ha ribadito l’impossibilità di cedere territori: «Secondo la legge, non ne abbiamo il diritto. Secondo la legge ucraina, la nostra costituzione, il diritto internazionale e, a dire il vero, non abbiamo nemmeno un diritto morale». Tuttavia, la difficile situazione sul campo e il ridotto numero di soldati ucraini a disposizione non garantiscono a Kiev forza sufficiente né sul piano militare né su quello diplomatico che, in questo caso, è strettamente legato al primo.

Il contrasto tra le due sponde dell’oceano riflette la nuova Strategia di Sicurezza nazionale USA, in cui Washington di fatto decreta una svolta epocale negli equilibri dell’ordine internazionale, prendendo le distanze dal Vecchio continente sul quale incomberebbe il rischio della «scomparsa della civiltà» e dichiarando che gli USA non intendono più limitare l’influenza di tutte le grandi e medie potenze del mondo. Per quanto riguarda il conflitto in Ucraina e l’approccio europeo, il documento sottolinea che la Casa Bianca “si trova in contrasto con i funzionari europei che nutrono aspettative irrealistiche sulla guerra, appoggiati da governi di minoranza instabili, molti dei quali calpestano i principi fondamentali della democrazia per reprimere l’opposizione”.

Oggi l’Ucraina dovrebbe condividere con gli Stati Uniti il piano di pace in 20 punti rivisto in seguito all’incontro di ieri a Londra con i capi europei. Lo stesso Zelensky ha fatto sapere che non c’è ancora un accordo sulla questione della cessione dei territori. Sempre oggi Zelensky ha incontrato Papa Leone XIV, mentre è previsto alle 15 un incontro tra il capo ucraino e Giorgia Meloni a Palazzo Chigi. La premier italiana ha ribadito che il governo italiano è «fermamente» al fianco dell’Ucraina, ma tale posizione mal si concilia con la sua vicinanza all’amministrazione Trump. Le pressioni per fare accettare la pace a Kiev da parte dell’amministrazione statunitense arrivano in un momento estremamente critico per la nazione in guerra con la Russia: le truppe russe, infatti, stanno avanzando a est e le città ucraine subiscono ore di interruzioni di corrente a causa dei crescenti attacchi russi alla rete energetica e ad altre infrastrutture cruciali. Il tutto avviene mentre l’Ue non è più in grado di garantire un reale supporto finanziario e militare.

 

 

“Cortina di cemento”: il nuovo numero del Mensile de L’Indipendente

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È da oggi disponibile sul nostro sito il nuovo numero del mensile de L’Indipendente, la rivista rilegata e da conservare al cui interno troverete 80 pagine di contenuti esclusivi, tra inchieste e approfondimenti riguardanti ambiente, diritti, consumo critico e molto altro. Notizie che non troverete altrove, perchè noi non ospitiamo pubblicità e non siamo dunque influenzabili da poteri politici e interessi economici, come accade per la maggior parte degli altri mezzi di informazione. Questo mese, la nostra inchiesta di copertina riguarda le Olimpiadi invernali di Cortina 2026: lungi dal mantenere la promessa di essere un evento «a costo zero», si stanno rivelando dispendiose al punto da necessitare di finanziamenti da parte del governo. Come se non bastasse, molte delle opere – il cui impatto ambientale è altissimo tra consumo di acqua, disboscamento e la presenza dei milioni di visitatori previsti – sono molto probabilmente destinate all’abbandono subito dopo la fine dei Giochi.

Il mensile de L’Indipendente ha come sottotitolo i tre pilastri che ne definiscono la cifra giornalistica: inchieste, consumo critico, beni comuni. Ogni parola è stata scelta con cura, racchiudendo ciò che vogliamo fare e che, a differenza di altri media, possiamo fare, perché non abbiamo padroni, padrini o sponsor da compiacere. Esse rappresentano i tre punti cardinali rappresentano il nostro impegno per il giornalismo che crediamo necessario: inchieste (per svelare i lati nascosti della politica e dell’economia), consumo critico (per vivere meglio, certo, ma anche per promuovere scelte consapevoli capaci di colpire gli interessi privilegiati) e beni comuni (perché la nostra missione è quella di leggere la realtà nell’interesse dei cittadini e non delle élite oligarchiche che controllano i media dominanti). Al suo interno ci saranno poi, naturalmente, approfondimenti sull’attualità e sui temi che caratterizzano da sempre la nostra agenda: esteri, geopolitica, ambiente, diritti sociali.

Questi sono solamente alcuni dei contenuti che potrete ritrovare nel nuovo numero:

  • l’esercito di disertori in Russia e Ucraina – a quasi quattro anni dall’inizio della guerra, sono centinaia di migliaia i russi e gli ucraini di qualunque età che si stanno rifiutando di morire sul campo di battaglia, sfidando i propri governi, i quali sono invece decisi a punire chi si rifiuta di combattere;
  • biotecnologie, il nuovo fronte di battaglia USA-Cina – secondo un nuovo rapporto del Senato USA, gli Stati Uniti considerano la biologia come il prossimo campo di battaglia con la Cina, tra super-soldati, armamenti all’avanguardia e un complesso militare-industriale che vuole dominare la convergenza tra IA e biotecnologia;
  • la cannabis e il percorso dell’Europa verso la legalizzazione – mentre l’Italia resta impantanata nella guerra normativa, l’Europa sta sperimentando nuove strade per la legalizzazione della cannabis, riportando il dibattito al centro della scena;
  • Messico, dove la Coca-Cola si è fatta Stato – la Coca-Cola è diventata in Messico bevanda simbolo di rituali, dipendenze e contraddizioni sociali, mentre continua a prosperare sulla pelle delle comunità indigene e sulle acque del Chiapas, ad un costo altissimo per le popolazioni in termini di diritti e salute.

Il nuovo numero del mensile de L’Indipendente è acquistabile (in formato cartaceo o digitale) sul nostro shop online, ed è disponibile anche tramite il nuovo abbonamento esclusivo alla rivista, con il quale potreste ricevere la versione cartacea a casa ogni mese per un anno al prezzo di 90 euro, spese di spedizione incluse. Per consultare le modalità dell’abbonamento ed, eventualmente, sottoscriverlo potete cliccare qui: lindipendente.online/abbonamenti.

In Portogallo è stato annunciato il primo sciopero generale dopo 12 anni

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I lavoratori portoghesi hanno annunciato il primo sciopero generale degli ultimi 12 anni. A proclamare la mobilitazione, che si svolgerà il prossimo 11 dicembre, sono stati i principali sindacati del Paese, per contestare le nuove norme in tema di politiche di lavoro proposte dal governo di Luís Montenegro. Tra le proposte, quella di limitare le agevolazioni orarie che le donne possono richiedere durante il periodo di allattamento, la riduzione del congedo per lutto in caso di interruzione di gravidanza, e norme che – secondo i sindacati – faciliterebbero i licenziamenti e renderebbero più precari i contratti di lavoro. Lo sciopero interesserà tutti i settori pubblici, dal trasporto locale a quello nazionale, per arrivare agli ospedali.

Da settimane i lavoratori portoghesi protestano contro la nuova riforma del governo Montenegro, che prevede l’aumento del numero di ore lavorative senza un conseguente aumento di stipendio, facilita i licenziamenti e limita congedi parentali e permessi per allattamento e lutto gestazionale. Ad essere colpiti sarebbero cinque milioni di lavoratori in tutto il Portogallo, dei quali 1,4 milioni (il 54% dei giovani) hanno già contratti precari. Secondo i sindacati, inoltre, il pacchetto di misure incide anche «sulle forme e sui meccanismi di organizzazione e protezione collettiva dei lavoratori, sia indebolendo ulteriormente il diritto alla contrattazione collettiva, sia snaturando il diritto di sciopero, sia introducendo maggiori vincoli all’esercizio della libertà sindacale». Per questo motivo, la Confederazione Generale e l’Unione Generale dei lavoratori portoghesi (CGPT e UGT) hanno convocato un grande sciopero generale di 24 ore per questo giovedì, il primo dal 2013.

A fronte del malcontento, il governo sembra comunque intenzionato a tirare dritto per la sua strada. «Non è quando siamo in difficoltà che dobbiamo improvvisare riforme che trasformano le nostre strutture» ha dichiarato il primo ministro Luís Montenegro, secondo il quale la riforma permetterà di portare il salario minimo da 920 a 1500 euro egli stipendi medi da 1500 a «2000-2500 euro». Secondo i sindacati, si tratta di dichiarazioni «disperate», che non riflettono la realtà del cambiamento, «disperazione che prosegue» quando il ministro, in successive dichiarazioni, «rivede i numeri e parla di 1600 euro per il salario minimo e di 3000 euro per quello medio». Dichiarazioni che, per i sindacati, «rivelano un enorme distacco e mancanza di rispetto nei confronti della vita di milioni di lavoratori che già oggi, con le regole che il governo vuole inasprire, si trovano in difficoltà per accedere o pagare un alloggio, comprare cibo, pagare le bollette».

Per il Portogallo si tratta del primo sciopero generale dal 2013, quando la Troika (Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale) impose misure di austerità eccezionali che prevedevano, tra le altre cose, tagli agli stipendi, alle pensioni e ai servizi pubblici, accompagnate da disoccupazione ed estrema precarietà e che furono accolte con manifestazioni e scioperi di ampia portata.

Corruzione negli appalti NATO: mandato d’arresto per un italiano legato a Israele

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La Procura federale belga ha emesso un mandato di arresto internazionale per corruzione e associazione a delinquere su un consulente e imprenditore italiano sessantenne, Eliau Eluasvili, sospettato di aver agito per conto della più grande azienda israeliana di tecnologia militare e difesa, Elbit Systems, in alcuni importanti contratti finiti sotto inchiesta stipulati con la NATO Support and Procurement Agency (NSPA). L’Agenzia di supporto e approvvigionamento della NATO è da tempo al centro di un vasto scandalo di corruzione, con personale attuale ed ex funzionari sotto inchiesta in Belgio e Lussemburgo.

L’indagine, coordinata dalla procura federale belga con la collaborazione di altre giurisdizioni europee, ha preso di mira una serie di appalti assegnati da NSPA a Elbit Systems che, oltre a essere un fornitore chiave in numerosi programmi NATO, è il più grande produttore di armi di Israele, con un fatturato di quasi 7 miliardi di dollari nel 2024. Con sede a Haifa, realizza droni, munizioni, sistemi per carri armati e altre tecnologie militari, collocandosi al 25° posto tra le cento maggiori aziende della difesa globale secondo il recente rapporto dello Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI). Negli ultimi dieci anni, ha fornito alla NATO equipaggiamenti per decine di milioni di euro – dalle munizioni ai visori notturni, fino ai sistemi antimissile per l’aviazione – ma il valore reale dei contratti potrebbe essere più elevato, poiché molti accordi e importi restano coperti da riservatezza. Contattata sulle accuse, l’azienda nega qualsiasi responsabilità, tuttavia, l’intreccio tra relazioni personali di lunga data, consulenze esterne e contratti multimilionari restituisce l’immagine di un sistema in cui il confine tra lobbying lecito e scambio di influenze diventa labile, affidato a reti opache costruite nel tempo. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, Eliau Eluasvili avrebbe operato come intermediario, corrompendo dirigenti e funzionari dell’agenzia attraverso società di consulenza di sua proprietà o controllo, con l’obiettivo di assicurare a Elbit incarichi per forniture militari. Il 31 luglio 2025 la NSPA – su basi investigative trasversali – ha sospeso Elbit da tutte le gare d’appalto in corso e ne ha congelato i contratti attivi.

Secondo i documenti acquisiti da testate investigative come Follow The Money (Ftm) e da media partner in Belgio e Paesi Bassi, le tangenti pagate, riferite a più contratti, potrebbero valere somme nell’ordine di milioni di euro. Diversi sospettati sono stati arrestati a maggio durante raid della polizia in sette Paesi, tra cui Belgio e Stati Uniti, segno che il sospetto sistema corruttivo era ramificato a livello internazionale. L’indagine ruota anche attorno a una rete di ex funzionari NSPA diventati consulenti, accusati di aver sfruttato la loro posizione per facilitare appalti a favore di specifiche aziende. Fra loro figura il belga Guy Moeraert, ex dirigente NSPA assegnato al programma munizioni, agli arresti domiciliari con braccialetto elettronico dopo sei mesi di carcere, con accuse che vanno dalla corruzione al riciclaggio. Sotto indagine anche l’imprenditore turco Ismail Terlemez, ex agente NSPA e attuale amministratore delegato di Arca Defense: coinvolto in passato in un’inchiesta dell’FBI su una fornitura di TNT per l’esercito statunitense, è stato arrestato a Bruxelles il 13 maggio e poi rilasciato a luglio, dopo il ritiro delle accuse da parte del Dipartimento di Giustizia USA. Eluasvili, invece, è ancora latitante e si suppone che abbia cambiato identità.

La vicenda crea forte imbarazzo nelle capitali europee e svela la doppia morale della corsa al riarmo: mentre si invocano trasparenza, sicurezza e valori comuni, emerge un sistema segnato da scandali legati al “malaffare della guerra“, capace di innescare frizioni politiche e diplomatiche e di incrinare la fiducia nelle procedure di appalto dell’Alleanza. L’indagine potrebbe avere un effetto domino su altri grandi appalti militari in Europa, spingendo i governi e l’Alleanza a una revisione complessiva dei meccanismi di controllo, con ricadute anche sul piano diplomatico, in un contesto di fragilità globale, dove il tema del riarmo è già al centro di tensioni internazionali.

BCE, nuovo stop a emendamento sull’oro di Bankitalia

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La Banca centrale europea ha respinto anche la versione aggiornata della proposta contenuta nella manovra di bilancio che mirava a dichiarare le riserve auree della Banca d’Italia “del popolo italiano”. Le modifiche presentate non bastano: secondo Francoforte manca ancora una spiegazione chiara della finalità della norma. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha annunciato che presto fornirà “tutti i chiarimenti necessari” alla BCE, confidando che la questione si possa risolvere. Nel frattempo, l’emendamento resta sospeso e l’incertezza sulla sua approvazione pesa sul prosieguo dei lavori alla legge di bilancio.