La Commissione Europea ha dato il via libera all’erogazione dell’ottava rata del PNRR all’Italia, dal valore di 12,8 miliardi di euro. La Commissione ha certificato che l’Italia ha raggiunto i 32 obiettivi previsti per l’ottenimento della rata, che includevano tra le varie cose, i settori della pubblica amministrazione, degli appalti pubblici, dell’occupazione, dell’istruzione, del turismo, delle energie rinnovabili e dell’economia circolare. In totale, dall’avvio del Piano, sono stati trasferiti all’Italia oltre 153 miliardi di euro complessivi, oltre i due terzi della cifra totale.
Esclusiva: il racconto dei tre italiani feriti dai coloni israeliani in Palestina
DA TUBLAS – PALESTINA OCCUPATA. «Quando abbiamo aperto la porta ci siamo trovati di fronte una decina di coloni israeliani a volto coperto. Due avevano dei fucili, gli altri dei bastoni, hanno iniziato a picchiarci con bastoni, calci e pugni». R. è una delle quattro persone di origine straniera – 3 italiane e una canadese – feriti all’alba di ieri, 30 novembre, in un agguato dei coloni nel villaggio palestinese a Ein al-Duyuk, nella Valle del Giordano. È stanca e ancora scossa, mentre racconta quanto accaduto in un’intervista telefonica a L’Indipendente. Chiede di non rivelare il suo nome per paura di nuove rappresaglie e ricomincia il racconto di una storia che appare incredibile, ma all’ordine del giorno nella Cisgiordania occupata. «A un certo punto hanno anche preso il caffè dalla cucina e hanno detto “vi piace il caffè arabo? Vi piace il caffè arabo?” E ce l’hanno buttato addosso», testimonia un’altra delle ragazze italiane aggredite. «Ci hanno preso a calci in faccia, ci hanno picchiato con i calci dei fucili nelle costole, sulle gambe, sulle braccia… il ragazzo che era con noi è quello che sta peggio, l’hanno anche ripetutamente colpito ai genitali».
I coloni sono violenti e fuori controllo. Nelle case i palestinesi e gli stranieri che vivono in Cisgiordania si danno i turni di guardia. R. spiega come è iniziato tutto: «Di solito gli attacchi non vengono mai fatti dopo le 3 di notte, più o meno è quella l’ora in cui il nostro turno di sorveglianza finisce». Erano circa le quattro quando abbiamo sentito delle voci e abbiamo visto la luce di una torcia; delle persone fuori dalla porta dicevano “Italians italians wake up, Jews, jews” (italiani sveglia, ci sono gli ebrei). Questo era evidentemente fatto apposta per farci pensare che erano dei palestinesi che stavano cercando di avvertirci perché erano arrivati i coloni. Quindi un po’ nella confusione, svegliandoci di soprassalto, siamo andati alla porta e l’abbiamo aperta. Sono entrati i coloni e hanno iniziato a colpirci come furie. Ci hanno anche spruzzato del liquido addosso che pensiamo fosse alcol, e continuavano a chiederci da dove venivamo, che cosa facevamo lì, a dirci che dovevamo andarcene e non tornare mai più».
I quattro internazionali sono attivisti di Faz3a, la campagna palestinese attiva in Cisgiordania occupata che porta solidarietà nelle comunità sotto attacco da militari e coloni israeliani. Il racconto avviene da Ramallah, dove sono tornati per riposare a seguito delle cure nell’ospedale di Gerico. «È difficile dire quanto sia durato, però pensiamo più o meno una ventina di minuti – continua R. – I coloni sono andati via portandosi tutti i nostri averi, quindi telefoni, passaporti, gli zaini con tutto quello che avevamo, vestiti e quant’altro. Sono andati via dicendoci di nuovo che non dovevamo tornare. Appena sono spariti le persone del villaggio sono arrivate a soccorrerci, in realtà ci hanno detto che già stavano arrivando appena hanno sentito le urla, ma mentre salivano dalla collina hanno sentito che i due coloni armati stavano caricando i fucili, e quindi si sono fermati perché gli avrebbero sparato. I coloni gli hanno anche tirato delle pietre».
La violenza dei coloni contro i palestinesi è infatti ancora più grande. Se è vero che con gli internazionali si “limitano” solitamente ad attacchi squadristi di stampo intimidatorio, quando affrontano i palestinesi non si fanno problemi a causare ferite gravissime e, non di rado, a uccidere.
Secondo un rapporto dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA), sono almeno 700 i palestinesi a essere stati feriti nei 1600 attacchi fatti dai coloni dall’inizio del 2025. Il numero – che calcola solo gli attacchi con danni alle proprietà o vittime – è quasi raddoppiato rispetto all’anno passato. Enormi i danni alle proprietà palestinesi, dove spesso vengono prese di mira le infrastrutture idriche ed elettriche. Anche il numero di palestinesi uccisi dalla violenza colona è esploso: dal 7 ottobre 2023 sono stati almeno 34, inclusi tre bambini. 20 di essi sono stati uccisi dai coloni, mentre gli altri 14 sono stati colpiti dai proiettili di coloni e militari dell’esercito che sparavano fianco a fianco, testimoniando una totale collaborazione nello stesso intento di pulizia etnica. Sono almeno 3200 i palestinesi costretti a lasciare la propria casa e la propria terra proprio a causa del terrorismo dei coloni e delle restrizioni amministrative e demolizioni imposte da Tel Aviv. La maggior parte delle persone sfollate appartiene alle comunità beduine che risiedono nelle aree C, ossia le zone sotto il totale controllo amministrativo israeliano ma che – in base al diritto internazionale – dovrebbero essere parte dello Stato di Palestina.
La completa impunità assicurata ai coloni, specialmente dal 7 di ottobre, la legittimazione da parte di Tel Aviv della politica di occupazione e annessione illegale delle terre palestinesi e l’inazione internazionale nonostante il genocidio in corso, hanno dato carta bianca ai circa 700mila coloni presenti in Cisgiordania. Il ministro della sicurezza Ben Gvir si era impegnato per regalare loro circa 100 mila fucili, donati alle “squadre di sicurezza” delle colonie, le famose “settlers security”, che assomigliano molto alle milizie che nella storia italiana abbiamo conosciuto al tempo del fascismo. Secondo l’organizzazione israeliana per i diritti umani Yesh Din, almeno il 93% delle inchieste aperte dai giudici israeliani sulle aggressioni dei coloni si è chiuso senza condanne.
«Sì, a noi hanno fatto male, contusioni, ematomi vari, però è un minimo rispetto a quello che fanno continuamente ai palestinesi», conferma l’attivista. «La famiglia da cui eravamo ospiti ci ha quindi soccorso subito e ci ha portati in ospedale». «Noi eravamo lì a fare quella che preferiamo chiamare presenza solidale, perché non è più protettiva; ormai i coloni agiscono apertamente dato il silenzio della comunità internazionale anche dopo i due anni di quello che succede a Gaza. La nostra presenza permetteva almeno alle persone del villaggio di riposare un po’, e di poter dormire senza dover stare svegli tutta la notte temendo attacchi», continua. «Questo attacco è anche un attacco alla solidarietà internazionale. L’hanno fatto per spaventarci, per mandarci via. Ma non ce ne andremo da Ein al-Duyuk. Né dalla Cisgiordania sotto occupazione».
Le bande armate avanzano ad Haiti
Le bande armate haitiane hanno lanciato diversi attacchi nel Paese, avanzando nelle regioni centrali. Da quanto comunicano le autorità, il 50% della regione di Artibonite è caduto sotto il controllo delle gang, che starebbero avanzando anche nel Dipartimento dell’Ovest. Gli attacchi si sono concentrati nelle città di Bercy e Pont-Sondé, tutt’ora sotto il controllo dei gruppi paramilitari. Le autorità comunicano che le bande avrebbero ucciso diversi residenti e bruciato alcune abitazioni, costringendo i cittadini alla fuga. Ignoti i numeri di morti e feriti.
L’UE vuole che i social media siano responsabili per le frodi che promuovono
Il Parlamento e il Consiglio europei hanno raggiunto un accordo per far avanzare un pacchetto di norme volto a proteggere i cittadini dalle frodi finanziarie online. O, quantomeno, a garantire loro un risarcimento in caso di danno. Le nuove regole impongono infatti ai prestatori di servizi di pagamento dei controlli più rigorosi e, qualora i sistemi di prevenzione risultino inefficaci, li obbligano a coprire le perdite subite dai consumatori. Non solo: gli istituti finanziari avranno la possibilità di rivalersi sui social media che hanno ospitato o favorito le operazioni dei truffatori.
Sebbene l’intesa debba essere ancora adottata formalmente dalle istituzioni UE, questa è stata comunque annunciata con orgoglio lo scorso giovedì, 27 novembre. “I consumatori trarranno beneficio da nuove regole armonizzate sulla regolamentazione dei servizi di pagamento”, spiega René Repasi, Membro del Parlamento legato al Partito Socialdemocratico tedesco. “Verranno applicate misure obbligatorie di prevenzione contro le frodi che si tradurranno in un numero minore di truffe nei pagamenti. Le banche devono condividere più peso, se non fanno la loro parte“. Se gli strumenti adottati dovessero dimostrarsi comunque insufficienti a frenare le frodi, gli istituti finanziari dovranno risarcire pienamente i loro clienti, a patto però che le vittime denuncino il crimine alle autorità di polizia.
Le nuove norme – il Payment Services Regulation (PSR) e la Third Payment Services Directive (PSD3) – puntano a rafforzare la responsabilità delle banche, ma si estendono a tutte le tipologie di servizi di pagamento: dalle istituzioni specializzate ai conti correnti postali, fino ai fornitori tecnici. Pur senza menzionare esplicitamente realtà quali PayPal, l’obiettivo dichiarato è quello di innalzare gli standard di sicurezza per chiunque gestisca transazioni online, indipendentemente dalla veste commerciale in cui si identificano. Il pacchetto introduce inoltre garanzie sull’accesso al contante, maggiore trasparenza sulle commissioni, sistemi di open banking più flessibili e procedure di autorizzazione semplificate per i nuovi operatori.
Ancor più, il pacchetto di leggi introduce una svolta epocale che con ogni probabilità non mancherà di generare dissapori politici a livello internazionale: le realtà finanziarie che hanno coperto le perdite causate dalle frodi potranno, in alcuni casi, essere rimborsate dalle piattaforme online che hanno ospitato inserzioni legate alle truffe. Questa disposizione si affianca alle norme già consolidate – in particolare il Digital Services Act (DSA) – e colpisce social media, motori di ricerca e altri intermediari digitali che diffondono contenuti fraudolenti nonostante eventuali segnalazioni da parte del pubblico. Le aziende coinvolte, perlopiù Big Tech d’oltreoceano, dovranno inoltre assumersi l’onere di verificare che gli inserzionisti siano effettivamente autorizzati a offrire servizi finanziari nei Paesi in cui intendono pubblicare i loro annunci.
Le motivazioni di misure tanto incisive non sono difficili da intuire, chiunque abbia esplorato nei scorsi mesi sui social sarà incappato in pubblicità deepfake in cui vengono promosse strategie per ottenere in qualche modo soldi – l’ultima in cui siamo incappati in ordine di tempo aveva per protagonista un sedicente Marco Travaglio. Per avere un metro del fenomeno, basti sapere che a inizio novembre sono emersi documenti interni a Meta che hanno rivelato come il 10% del fatturato 2024 dell’azienda – circa 16 miliardi di dollari – sia stato ricavato da inserzionisti fraudolenti. Con simili cifre in ballo, viene difficile credere che basti affidarsi semplicemente alla buona volontà delle piattaforme per contrastare il fenomeno.
Poco sorprendentemente, la Computer & Communications Industry Association (CCIA) – la lobby europea che rappresenta Amazon, Google, Meta e Apple – ha bollato come “difettoso” il pacchetto normativo in discussione, sostenendo che le misure proposte sarebbero non solo inutili, ma persino controproducenti. A complicare ulteriormente la strada verso l’approvazione definitiva potrebbe essere la crescente disponibilità della Commissione europea ad alleggerire le proprie regole digitali, nel tentativo di assecondare le richieste dei fornitori di servizi e di smorzare le tensioni con l’Amministrazione Trump, che in più occasioni ha minacciato di reagire contro l’applicazione delle leggi europee ritenute penalizzanti per le grandi imprese tecnologiche statunitensi.
Tajikistan: cinque morti in attacchi dall’Afghanistan
Il presidente del Tajikistan Emomali Rahmon ha annunciato che cinque persone sono state uccise in seguito ad attacchi con droni scagliati dall’Afghanistan nella scorsa settimana. L’annuncio arriva a margine di un incontro con le autorità di sicurezza del Paese, organizzato dopo che il ministro degli Esteri del Paese ha riferito di un attacco avvenuto lo scorso mercoledì, in cui sono stati uccisi tre cittadini cinesi; successivamente, spiega il presidente, si è verificato un altro attacco in cui sono stati uccise altre due persone e altre cinque sono rimaste ferite. L’Afghanistan ha commentato la vicenda affermando che gli attacchi sarebbero stati lanciati da gruppi che avrebbero l’obiettivo di destabilizzare il Paese.
Alto ufficiale della NATO: “Valutiamo un cyberattacco preventivo alla Russia”
L’Alleanza Atlantica sta valutando l’ipotesi di lanciare «attacchi preventivi» contro Mosca per far fronte alla cosiddetta “minaccia ibrida”. A dirlo è la più alta carica militare prevista dal Patto Atlantico, il Presidente del comitato militare NATO Giuseppe Cavo Dragone. Un ipotetico attacco preventivo potrebbe essere considerato una «azione difensiva», ha detto Dragone, pur precisando che una simile iniziativa sarebbe «lontana dal nostro normale modo di pensare e di comportarsi». In ogni caso, secondo il Presidente, la NATO sarebbe troppo passiva nella presunta ricezione di attacchi informatici e di sabotaggio, e per tale motivo dovrebbe assumere un atteggiamento «proattivo» e «aggressivo». Le parole di Dragone sono presto arrivate in Russia, dove sono state definite dalla portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova come «estremamente irresponsabili». Intanto, le trattative di pace rimangono ferme, mentre l’UE continua a cercare modi per armare l’Ucraina, sostenendo che la Russia «non vuole la pace».
Dragone ha rilasciato le proprie dichiarazioni in una intervista al Financial Times in cui affronta il tema della “guerra ibrida”. Secondo il Presidente, la NATO sarebbe troppo «reattiva» nell’affrontare i presunti attacchi informatici, atti di sabotaggio, e violazioni dello spazio aereo attribuiti alla Russia, e i vertici militari starebbero considerando l’idea di promuovere risposte «più aggressive». Secondo Dragone, se con i presunti atti di sabotaggio e violazioni dello spazio aereo la situazione risulta più delicata, con l’universo «cyber» lo è meno: «Essere più aggressivi rispetto all’aggressività della nostra controparte potrebbe essere un’opzione», ha detto Dragone. I problemi, secondo il militare, sarebbero più legati al «quadro giuridico», e al «quadro giurisdizionale», che pratici. Dragone sostiene che i Paesi della NATO abbiano «molti più limiti rispetto alla loro controparte a causa dell’etica, della legge, della giurisdizione. È un problema. Non voglio dire che sia una posizione perdente, ma è una posizione più difficile di quella della controparte»; questo sarebbe vero specialmente per le “minacce” informatiche e “ibride”. «La guerra ibrida è asimmetrica», sostiene Dragone: «costa poco a loro e a noi molto». Ecco perché ritiene che l’ipotesi di scagliare attacchi preventivi dovrebbe venire presa in considerazione.
Le dichiarazioni di Dragone sono arrivate in Russia, e sono state descritte come paradigmatiche dalla portavoce Zakharova: esse, ritiene la diplomatica, dimostrerebbero la volontà «dell’Alleanza a continuare ad andare verso l’escalation. A Bruxelles piace ripetere il mantra sulla natura “puramente difensiva” dell’Alleanza. Le dichiarazioni auto-rivelanti di Giuseppe Cavo Dragone sugli “attacchi preventivi” mostrano che tale narrazione non è vera», ha affermato Zakharova, per poi rigettare le accuse con cui i Paesi europei attribuiscono i presunti attacchi a Mosca. «La leadership del blocco ha l’audacia di accusare la Russia di “retorica nucleare bellicosa”, intimidazioni e famigerati attacchi ibridi senza alcuna prova del nostro coinvolgimento», ha detto.
Nel frattempo le trattative per una pace procedono a rilento. Ieri, domenica 30 novembre, una delegazione ucraina guidata dall’ex ministro della Difesa e delegato ucraino in UE Rustem Umerov si è recata in Florida per parlare con il Segretario di Stato statunitense Marco Rubio dell’ormai prossimo tavolo tra USA e Russia. Non è noto cosa i rappresentanti di USA e Ucraina si siano detti, ma entrambi hanno descritto l’incontro come «difficile, ma produttivo». Il prossimo vertice tra delegati statunitensi e russi dovrebbe svolgersi questa settimana a partire da oggi stesso, e da parte statunitense dovrebbe venire presieduto da Steve Witkoff, braccio destro diplomatico di Trump; l’unica cosa finora nota è che il piano a 28 punti elaborato da Washington e Mosca è stato scartato, e che al suo posto ne potrebbe venire discusso uno a 19 punti studiato da USA e Ucraina. L’UE nel frattempo continua a premere per armare l’Ucraina e trovare modi per finanziare l’invio di armi; oggi i ministri della Difesa dei 27 si riuniranno con l’Alta Rappresentante per gli Affari Esteri Kaja Kallas per discutere proprio di come sostenere militarmente l’Ucraina e per parlare dei prossimi passi da compiere nell’ambito del piano di riarmo europeo.
Vasto: cittadini contro il resort nella Riserva di Punta Aderci
Il progetto di un “eco-resort” di 39mila mq a Torre Sinello, dentro e ai margini della Riserva Naturale Punta Aderci, divide Vasto. La società C-Naturae, che ne ha in capo la realizzazione, prevede unità abitative, piscine ed edificio benessere nell’area già vincolata e parzialmente ricadente in Zona Speciale di Conservazione. Italia Nostra, Forum H2O e Gruppo Fratino denunciano però un intervento «scriteriato», ritenendo insufficienti le procedure avviate dal Comune, e chiedono una Valutazione di Impatto ambientale. Il sindaco Francesco Menna ha replicato annunciando un esposto per «procurato allarme» e definito il progetto «eco-compatibile» e come un’opportunità per il territorio.
Come si legge nel Rapporto Preliminare per la Verifica di Assoggettabilità a Valutazione Ambientale Strategica, la società C-Naturae «intende procedere alla realizzazione della struttura turistico ricettiva denominata Eco Resort Punta Aderci, operando una profonda riqualificazione dell’area ex “Camping Oasi Punta Aderci”», al fine di creare un servizio di qualità, che risulti adeguato all’ineccepibile valore paesaggistico del luogo, immerso nella natura mediterranea e nei vigneti locali, che fanno di Punta Aderci un territorio di elevata integrazione uomo-ambiente». L’intento progettuale, si scrive, è stato quello di «mettere a sistema il patrimonio paesaggistico e le valenze naturalistiche esistenti con le esigenze di ampliamento del Proponente, attraverso la realizzazione di unità abitative mobili, che non contemplino quindi il consumo permanente di suolo e non creino impatto significativo sui luoghi, così come i connessi servizi.
Tale esposizione non ha però convinto le associazioni ambientaliste. In prima fila contro la realizzazione del resort si è schierata Italia Nostra, che ha espresso «profonda preoccupazione» per un’operazione che, avverte, «prevede 52 unità abitative prefabbricate, piscine, aree wellness e parcheggi su circa quattro ettari di terreno oggi agricolo e in parte naturale», rappresentando «un intervento ad elevato impatto paesaggistico e ambientale, incompatibile con gli obiettivi di tutela della Riserva e con le politiche europee e regionali di conservazione della biodiversità». L’area coinvolta è infatti sottoposta a vincolo paesaggistico e archeologico, in parte inclusa all’internpo della Riserva Naturale Regionale di Punta Aderci, e Sito di Interesse Comunitario (SIC/ZSC) della Rete Natura 2000. L’organizzazione contesta la decisione del Comune di Vasto di «avviare una semplice Verifica di Assoggettabilità alla VAS, senza coinvolgimento del pubblico ma soltanto dei Soggetti Competenti in materia Ambientale (SCA)», definendola «in contrasto con i principi di trasparenza e partecipazione stabiliti dalla direttiva 2001/42/CE e dal D.Lgs. 152/2006».
Critiche all’indirizzo dell’operato comunale sono arrivate anche dal Forum H2O, che ha reso noto di avere «inviato una segnalazione circa il fatto che, per un intervento del genere, è obbligatoria la procedura di Valutazione di Impatto Ambientale, con la fase pubblica per le osservazioni, che appare essere stata completamente dimenticata». In considerazione delle dimensioni del progetto e lo stato attuale dell’area, inoltre, «appare evidente come non ci si possa limitare a un mero screening di V.Inc.A. ma debba essere espletata la procedura completa, più approfondita e aperta alle osservazioni del pubblico», evidenzia l’organizzazione. «A parte il rigoroso rispetto delle procedure, bisognerà fare delle considerazioni di carattere generale sull’impatto naturalistico e ambientale che questi tipi di intervento hanno su un’area protetta», ha aggiunto Stefano Taglioli del Gruppo Fratino di Vasto.
Difendendo a spada tratta il progetto, il sindaco di Vasto, Francesco Menna, ha bollato come «polemiche futili, inutili e strumentali» le critiche avanzate dalle associazioni ambientaliste, annunciando che presenterà un esposto per procurato allarme. «Ritengo che in Italia ci siano dei burocrati del “No” a prescindere che fanno il male del Paese e sedicenti ambientalisti, che a me piace chiamare “eco-talebani”, che sono quelli della denuncia facile su tutto, che però non vedo presenti quando questa amministrazione ha intrapreso iniziative importanti sul fronte ambientale», ha dichiarato il primo cittadino. «Questo resort va fatto, perché è compatibile con l’ambiente ed è un faro per la transizione ecologica e ambientale», ha poi concluso. Le organizzazioni che contestano il progetto, invece, chiedono «con forza un cambio di passo nelle politiche territoriali e turistiche, affinché la sostenibilità non resti uno slogan di facciata ma diventi sostanza concreta delle scelte pubbliche e private».
È morto Nicola Petrangeli, leggenda del tennis italiano
È morto a 92 anni Nicola Pietrangeli, leggenda del tennis italiano e primo azzurro a vincere un torneo del Grande Slam, il Roland Garros, conquistato nel 1959 e 1960. Considerato tra i migliori giocatori della sua epoca, vinse 67 tornei complessivi e detiene ancora oggi il record assoluto di vittorie in Coppa Davis: 120 match, di cui 78 in singolare. Tra i suoi successi spiccano anche due Internazionali d’Italia e una semifinale a Wimbledon. Capitano nel 1976, guidò l’Italia al suo unico trionfo in Coppa Davis. Elegante e versatile, fu un maestro della terra rossa e del rovescio a una mano.
Il governo del “compra italiano” affida le forniture di Palazzo Chigi ad Amazon
Correva l’anno 2018 e Giorgia Meloni, all’epoca fiera sovranista, affermava: «Agli italiani dico: non comprate su Amazon perché la nostra pigrizia può costarci caro, comprate al dettaglio, sosteniamo i commercianti e gli artigiani italiani». Ora, invece, la presidenza del Consiglio ha siglato un patto da 135 mila euro con la multinazionale americana, dalla quale acquisterà le forniture per i prossimi tre anni.
Le tipologie di prodotti per i quali il governo potrà rifornirsi da Amazon sono molteplici e vanno dalla fotografia ai libri, dalla ferramenta agli arredi per l’ufficio, passando anche per i grandi elettrodomestici. Il contratto, della durata di 24 mesi, potrà essere rinnovabile per altri 12. Palazzo Chigi smetterà così di fare approvvigionamento dai piccoli produttori e dalle catene locali italiane, con le ripercussioni socio-economiche che questo comporta. Eppure, l’attuale presidente del Consiglio Giorgia Meloni si è in passato più volte espressa esplicitamente contro l’acquisto da Amazon, motivando la sua posizione con la necessità di tutelare il commercio al dettaglio e le piccole realtà imprenditoriali italiane. A poche settimane dalla sua vittoria alle elezioni del 2022, poi, il suo governo aveva valutato l’introduzione in legge di Bilancio di una “Amazon Tax”, una tassa sulle consegne a domicilio effettuate dopo acquisti online, con l’obiettivo di aumentare le entrate nelle casse dello Stato e difendere contemporaneamente i piccoli negozi. Nel 2023 poi, in un discorso che già preannunciava un ammorbidirsi delle proprie posizioni rispetto al passato, Meloni aveva ribadito la necessità di governare adeguatamente il commercio elettronico perchè «il suo impatto sul nostro sistema economico e produttivo sia sostenibile».
Eppure, in questo momento più che mai l’industria italiana avrebbe bisogno di sostegno, soprattutto per quanto riguarda le piccole e medie imprese, che stanno risentendo maggiormente l’impatto di dazi statunitensi, caro energia e della generale crisi del settore manifatturiero. In un contesto simile, per i prossimi tre anni Palazzo Chigi si è invece assicurato l’acquisto di una ampia gamma di beni, ignorando anche le reiterate proteste dei fattorini della multinazionale di Bezos, che hanno scioperato a più riprese in Italia (e in tutto il mondo) per chiedere orari di lavoro più umani e condizioni di sicurezza più dignitose. Per non citare le accuse di complicità nell’“economia di genocidio” dello Stato di Israele” rivolte all’azienda da rapporti ONU, in quanto risulta aver investito direttamente negli insediamenti illegali dei coloni israeliani in Cisgiordania.
Alluvioni in Asia, il bilancio sale a oltre mille morti
Continua a peggiorare il bilancio delle vittime delle alluvioni che negli ultimi giorni hanno colpito Indonesia, Sri Lanka, Thailandia e Malaysia. Oggi le autorità parlano infatti di oltre mille morti e centinaia di dispersi. Secondo l’agenzia per la gestione delle catastrofi, Sumatra risulta l’area più colpita, con 502 vittime e oltre 500 dispersi, mentre in Sri Lanka si contano 334 morti dopo il passaggio del tifone Ditwah. I governi hanno mobilitato elicotteri, navi e mezzi militari per i soccorsi, con lo Sri Lanka che ha dichiarato lo stato d’emergenza. In Thailandia si registrano 176 vittime e due in Malaysia.








