Il numero di donne che partecipano attivamente alla vita politica dei propri Paesi è in aumento costante dal 1944, quando quasi ovunque era pari allo 0%. In alcuni Paesi, come l'Italia, la crescita è lenta e discontinua, arrivando a toccare circa un terzo della presenza in Parlamento. In altri, come il Rwanda, bisogna aspettare tempi più recenti (il 1960) per vedere un cambiamento di rotta, ma in appena 64 anni il Paese è passato dal vedere nessuna donna in Parlamento a una percentuale femminile che sfiora il 64%. A livello globale, il dato è più che raddoppiato dall'inizio del nuovo millennio...
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Il governo del Regno Unito ha convocato l’ambasciatore russo e sanzionato il GRU, i servizi segreti moscoviti. L’annuncio arriva dopo la conclusione di una indagine pubblica su un caso risalente al 2018, quando l’ex agente del GRU Sergei Skripal, che collaborava con i servizi britannici, era stato oggetto di un attacco con gas nervino Novichok, che a causa di un incidente portò alla morte di una donna, Dawn Sturgess. Secondo le indagini, due uomini del GRU portarono il gas in Regno Unito all’interno di una boccetta di profumo, che venne raccolta e utilizzata da Sturgess. La Russia ha sempre rigettato l’accusa di essere coinvolta nell’incidente.
In Valsusa, una delle case sottoposte a decreto di esproprio per permettere l’ampliamento dei cantieri dell’Alta Velocità diventerà un presidio permanente del Movimento No TAV. Si tratta della casa di Ines Zuccotti, 88 anni, sfrattata lo scorso 19 novembre dalla propria abitazione, che TELT (l’azienda incaricata di portare a termine i lavori dell’Alta Velocità Torino-Lione) ora vorrebbe radere al suolo. Per impedire che questo accada, l’immobile è stato occupato dagli attivisti, in segno di resistenza contro «l’ennesima violenza su un territorio che da decenni porta sulle spalle il peso di decisioni imposte». «Il presidio non è solo una risposta all’emergenza: è un modo per riprenderci spazio e dignità», scrive il Movimento in un comunicato. L’annuncio arriva a pochi giorni dalla marcia annuale che si svolgerà l’8 dicembre, che quest’anno vedrà celebrare i vent’anni dalla riconquista del presidio di Venaus e che partirà proprio da lì, per poi terminare a San Giuliano.
Il decreto di esproprio era stato emesso nel 2023, mentre nel 2024 erano iniziate le convocazioni dei residenti e proprietari dei terreni di San Giuliano. Lo scorso 19 novembre, infine, sonostati eseguiti gli sfratti e dodici persone hanno dovuto abbandonare per sempre le loro case. Sono tre, in particolare, le abitazioni che rientrano nell’area di espansione dei cantieri della TAV, che TELT destinerà a lavori di «valorizzazione dei materiali del tunnel di base» e, successivamente, alla costruzione della stazione internazionale di interscambio tra l’alta velcità verso Parigi, le linee ferroviarie regionali e la mobilità verso l’alta Val di Susa e le stazioni sciistiche. Una di queste abitazioni appartiene a Ines Zuccotti: le immagini della donna appoggiata in lacrime al muro della propria casa, costretta ad abbandonare dopo 50 anni, sono state riprese da tutte le principali testate giornalistiche.
La risposta del Movimento No TAV non si è fatta attendere e, due settimane dopo che sono terminate le operazioni di sfratto, la casa di Ines è diventata la sede del nuovo presidio permanente di San Giuliano: alle finestre dell’abitazione è stata appesa una bandiera No TAV, mentre l’interno gli attivisti stanno lavorando per porre rimedio alla «distruzione» lasciata dai dipendenti di TELT. «Negli ultimi giorni abbiamo visto la rabbia e la disperazione di chi ha perso la propria abitazione, ma abbiamo visto anche la forza collettiva di chi non è disposto a farsi spazzare via. Da qui nasce la scelta di costruire insieme un presidio permanente alle case di San Giuliano: un luogo vivo, aperto, attraversabile, in cui difendere le case e vegliare sulla nostra terra, ma anche rafforzare legami, informare e organizzare resistenza», scrive il Movimento.
La Camera dei Deputati ha approvato la proposta di legge avanzata dal ministro dell’Istruzione Valditara sul Consenso Informato nelle scuole. In base alla proposta, che ora passerà al vaglio del Senato, gli studenti minorenni potranno partecipare alle attività extracurricolari solo previa firma del Consenso Informato da parte dei genitori. La legge punta, in particolare, a regolamentare l’accesso degli studenti ai corsi di educazione sessuo-affettiva, che dunque potranno essere impartiti solamente previa autorizzazione dei genitori. Il deputato Rossano Sasso (Lega), prima della votazione in aula, ha definito il progetto di legge un cavallo di battaglia contro la diffusione dell’«ideologia gender», che vorrebbe nelle scuole «pornoattori e drag queen» per parlare ai bambini di «utero in affitto e fluidità sessuale». L’avanzare di questo provvedimento, sostiene, rappresenta la vittoria dei valori fondanti dei partiti di governo: «Dio, Patria e Famiglia».
Il provvedimento, dunque, ha il secondo fine dichiarato di colpire un tema centrale per Lega e Fratelli d’Italia. «Quello che noi vietiamo sono le distorsioni ideologiche di una sinistra che vorrebbe continuare a portare nelle scuole i propri attivisti politici, ma anche drag queen, pornoattori, gente priva di competenze psicopedagogiche dell’età evolutiva che dovrebbero continuare a parlare ai bambini di fluidità sessuale, utero in affitto, confusione sessuale, che è stato tutto documentato per centinaia di casi» ha dichiarato Sasso nel proprio intervento. Il deputato ha proseguito chiedendosi se fosse il caso di giustificare «l’abominio della compravendita di bambini sfruttando povere donne proletarie che utilizzano la propria maternità per vendere figli a chi confonde i diritti con i propri capricci»: l’allusione è alla pratica della gestazione per altri (GPA), nota anche come “utero in affitto”, in molti Paesi praticata in forma altruistica – ovvero senza pagamento di compenso – e che in Italia è già considerata una pratica vietata. Nel suo lungo intervento, Sasso si è anche chiesto se nell’autonomia scolastica debba rientrare l’accompagnare gli alunni di prima elementare «al pride o a una sfilata pro-Pal» o «negare le differenze tra uomo e donna usando idiozie come la schwa o gli asterischi» (simboli in realtà impiegati non per negare le differenze, ma per includere chi ha difficoltà a riconoscersi in uno dei due generi). La scuola, dichiara il politico, dovrebbe essere «un luogo libero» dove potersi formare «senza condizionamenti ideologici». Il provvedimento, dichiara, assesta un duro colpo alla «propaganda progressista»: con questa legge «diciamo basta all’ideologia gender» e alla «bolla woke». «Ci hanno definito bigotti solo perchè abbiamo citato Papa Francesco, che ha definito l’ideologia gender come l’ideologia che cancella le differenze tra uomo e donna, e quindi l’umanità» ha proseguito, rivendicando il rifiuto, da parte della Lega, non segue le direttive dell’Organizzazione Mondiale della Sanità in tema di educazione sessuale. «Dio, Patria e Famiglia non è soltanto uno slogan: è un credo che guida la nostra azione politica, per l’amore e la difesa dei valori di Dio, della Patria e della Famiglia».
Il calderone di idee di Sasso racchiude tutti i cavalli di battaglia impiegati dalla Lega per rifiutare l’educazione sessuale nelle scuole, ma non tocca nessuno dei punti che la materia prevede, anche in base a quanto definito dalle linee guida OMS. Uno degli obiettivi primari, infatti, è fornire ai bambini gli strumenti per costruire relazioni basate sul rispetto reciproco, anche attraverso l’insegnamento di nozioni sessualmente corrette che varia a seconda della fascia d’età dei giovani. L’obiettivo è trasmettere modelli relazionali basati sulla parità di genere, rifiutando quelli stereotipati e profondamente connessi con la violenza di genere. Nei bambini più piccoli, per esempio, questa viene impartita insegnando a gestire le delusioni e comunicare i propri desideri, mettendo anche confini a situazioni spiacevoli. I bambini vengono inoltre educati a riconoscere stereotipi di genere, pubblicità sessiste, comportamenti non rispettosi e altri elementi diffusi nella comunicazione mediatica che, se non decodificati, possono portare a comportamenti irrispettosi e violenti. Insegnare il tema del consenso tra i bambini più piccoli vuol dire anche insegnare loro che il corpo, tanto il proprio quanto quello altrui, è inviolabile e che quindi possono rifiutare situazioni che li mettono a disagio – come abbracciare o baciare qualcuno. Un programma strutturato all’interno delle scuole permetterebbe inoltre di assumere professionisti nel campo della psicopedagogia.
L’Italia resta uno dei pochi Paesi in Europa a non avere programmi di educazione sessuo-affettiva nelle scuole, nonostante i benefici che ne derivano siano ampiamente documentati. Collettivi come Una, Nessuna, Centomila hanno commentato con delusione il voto del governo: «si chiude così l’ennesima parabola intorno a un sapere che per noi rappresenta uno strumento fondamentale di prevenzione primaria della violenza di genere, e che per chi ci governa continua invece a essere un terreno di propaganda ideologica». Il collettivo sottolinea che «un padre convinto che la moglie sia inferiore, una proprietà da possedere e controllare, non darà mai l’autorizzazione alla propria figlia» a seguire i corsi: per questo, se la legge dovesse venire approvata, priverebbe «quella ragazza di un’opportunità, di una possibile emancipazione da una condizione stereotipata e violenta».
«C’è una rivoluzione silenziosa che sta ridisegnando il nostro modo di vivere e lavorare. Le intelligenze artificiali, entrate dapprima di soppiatto nelle nostre abitudini quotidiane, oggi afferrano interi settori produttivi e li rimodellano seconda una logica nuova: rapidità, automazione, efficienza. Dietro l’euforia dell’innovazione si nasconde una domanda che fino a pochi anni fa sarebbe sembrata fantascienza: che fine farà il lavoro umano?».
Ecco, e se vi dicessi che il paragrafo che avete appena letto è stato scritto da ChatGPT? Sentendo sempre più spesso parlare di quest’applicazione che sta letteralmente spopolando tra giovani e non, ho voluto testarla e metterla a prova. I primi risultati che ho ottenuti sono stati penosi. Per arrivare al paragrafo che avete letto ho dovuto far leggere all’IA i miei articoli precedenti per farle memorizzare il mio stile, poi ho dovuto darle indicazioni precise su come doveva essere impostato l’attacco e quale tono usare, quali espressioni evitare.
Alla fine, facendo un calcolo del tempo che ho impiegato per scrivere un paragrafo della stessa lunghezza con il tempo che ha richiesto addestrare ChatGPT, la bilancia, nel mio caso, pende a favore della scrittura manuale.
L’utilizzo dell’IA si è tradotta in una perdita di tempo e non in un guadagno. Inoltre, a dispetto di tutti i miei sforzi, non sono riuscita del tutto a umanizzare la scrittura della macchina. Per riconoscere la scrittura umana da quella artificiale occorre prestare attenzione al tono delle frasi, al loro ritmo, al suono che hanno. La scrittura generata da IA tende ad avere un tono eccessivamente impostato e formale; è drammaticamente perfetta e dunque tragicamente falsa. Ma se fortunatamente per ora le IA fanno fatica a imitare lo stile di un pezzo culturale o di un articolo di approfondimento, di tutti quei contenuti cioè dove si sente con forza lo stile e la voce di un giornalista, ChatGPT può imitare più facilmente lo stile di un pezzo di cronaca. E questo non lascia ben sperare.
Uno studio dell’Università di Trento del 2021 lo dice chiaramente: il 33,2% dei lavoratori svolge una mansione ad altissimo rischio di automazione. E non si parla soltanto di giornalisti, grafici, redattori, traduttori; sono centinaia le professioni a rischio: contabili, consulenti, interpreti, analisti, impiegati, sportellisti, camerieri. In Italia ci sono già i primi ristoranti che hanno assunto camerieri-robot. Per non parlare ovviamente di tutti coloro che in passato lavoravano nei cosiddetti servizi clienti e che oggi sono già stati in larga parte sostituiti da IA, per la grande gioia di noi consumatori costretti a dialogare e a cercare invano di spiegare a una voce artificiale il disservizio di cui siamo vittima.
Mentre si applaude l’innovazione, migliaia di lavori, e di lavoratori, scompaiono. Al loro posto sono subentrate entità digitali che non chiedono ferie, non si ammalano, non scioperano. L’equazione è molto semplice: più la tecnologia avanza, più i posti di lavoro diminuiscono.
Non posso fare a meno di domandarmi come si potrà gestire l’esubero di lavoratori improvvisamente a piede libero perché sostituti da più economiche ed efficienti intelligenze artificiali.
Ho notato che ultimamente si parla sempre più spesso di reddito universale, una misura ideata, almeno ai suoi albori, con lo scopo di garantire ai cittadini una somma mensile che garantisca a ogni individuo di poter vivere dignitosamente. Una misura nata per combattere la povertà, per arginare le diseguaglianze sociali e dare a tutti la possibilità di elevarsi socialmente e di non dover accettare lavori sottopagati perché spinti dalla mera necessità di sopravvivere.
Una misura che ovviamente ha suscitato dibattiti e polemiche infinite e che non è mai stata applicata in Italia; ciò che però mi ha inquietata è che ultimamente si parli di reddito universale come possibile risposta alla disoccupazione futura creata dalle intelligenze artificiali. Resta però in sospeso la domanda: dove trovare i soldi per finanziare questa costosissima manovra? Anche a ciò è stata trovata una soluzione: tassare le intelligenze artificiali, in modo ridotto ovviamente per garantire alle aziende quel margine di guadagno competitivo rispetto all’assunzione di un lavoratore umano. Basta poco per intuire che le entrate derivate dalla tassazione agevolata di un numero esiguo di intelligenze artificiali, a scapito dei milioni di lavoratori che andranno a sostituire, non potrà che produrre entrate marginali nelle casse dello Stato che a loro volta si tradurranno in un reddito minimo da devolvere ai lavoratori improvvisamente superflui e non necessari. Il reddito universale sembra a tutti gli effetti una misura studiata non per agevolare i poveri, ma per tenere buone le persone mentre il lavoro scompare.
Per anni ci è stato raccontato che la tecnologia ci avrebbe liberati dalla fatica e ci avrebbe regalato più tempo per vivere. Ma vivere come? Senza autonomia economica? Senza uno scopo, un fine, una professione? Che razza di libertà è quella che dipende da una carta prepagata dello Stato? In una società in cui il lavoro anziché essere un diritto diventerà un privilegio, e in parte lo è già soprattutto per i giovani, visti i livelli di disoccupazione giovanile, quale fisionomia acquisirà la nostra cultura? Come si evolverà il pensiero umano e quali progressi etici accadranno in un mondo popolato da una massa di disoccupati da una parte e dall’altra da una piccola casta di privilegiati che ancora lavora?
Si stanno gettando le basi per la nascita di una nuova aristocrazia che avrà accesso a tutto ciò che rende la vita interessante e che potrà costruire il mito della propria superiorità sull’utilità che riveste nella società a scapito di un proletariato di disoccupati costretti a un ozio imposto e forzato.
Ma senza spingerci tanto in avanti, c’è un altro aspetto che merita di essere discusso, qualcosa che non è probabile che accada nell’immediato futuro, ma che è già accaduto e che sta accadendo adesso.
Non si tratta più di una questione economica e della perdita di posti di lavoro, ma di qualcosa di più pervasivo: le intelligenze artificiali stanno trasformando e modificando il modo in cui pensiamo. Per millenni l’uomo ha affinato le proprie capacità mentali attraverso lo studio, la ricerca, la scrittura, e le mille attività che sono proprie di noi esseri umani.
Oggi invece stiamo delegando tutte quelle attività che richiedono uno sforzo mentale a un dispositivo esterno. Le IA vengono usate per scrivere email, elaborare progetti, svolgere compiti e mansioni che l’uomo non ha più il tempo o la voglia di svolgere. È comodo, certo. Ma è proprio questo il punto: questa rapidità, questa apparente generosità della macchina ci rende progressivamente più passivi. Le neuroscienze hanno dimostrato che la mente per svilupparsi e non appassire ha bisogno di lentezza e di fatica. Le sinapsi si rafforzano nell’esercizio, un po’ come i muscoli si rafforzano grazie a un allenamento costante e continuativo nel tempo. La domanda che dovremmo porci non è se l’IA sia utile, ma quale prezzo stiamo pagando per questa comodità mentale.
Il filosofo greco Eratostene calcolò la circonferenza della terra grazie a semplici bastoni che proiettavano delle ombre. Copernico elaborò la sua teoria che rivoluzionò l’astrofisica attraverso calcoli e studi manuali. Oggi invece senza una calcolatrice perfino una semplice moltiplicazione mette in crisi ragazzi e adulti.
Oppure pensiamo a come fino a pochi anni fa si facevano le ricerche: si prendevano in mano le enciclopedie, una presenza immancabile nella casa di ogni italiano, e si dava inizio a un vero e proprio viaggio nella conoscenza: i libri venivano sfogliati, le informazioni setacciate.
Era un lavoro lungo, faticoso, estenuante perfino. Oggi invece basta un click. Vuoi sapere in che anno è stata combattuta una certa battaglia? Chi ha inventato il grammofono? Come si chiama l‘uomo che ha dipinto La ronda dei carcerati?
IA, come ChatGPT ad esempio, sono in grado di fornire una risposta immediata. Ma questa non è ricerca e neanche conoscenza: è consumo di informazioni. Non servirà a niente sapere che un uomo di nome Van Gogh ha dipinto La ronda dei carcerati e non servirà a niente sapere che la rivoluzione francese è avvenuta nel 1789, se ci si limita ad assimilare in modo passivo queste informazioni. Il dato non diventa concetto, non si innerva nel pensiero, non trasforma la mente.
Qualcuno obietterà: ma grazie alle IA è tutto più semplice e immediato. Ciò è innegabile, ma era durante questo processo fatto di leggere, scegliere, valutare, soppesare e mettere a raffronto le diverse informazioni che nasceva qualcosa che oggi manca: il senso critico. La innovazioni tecnologiche semplificano la vita, ma questo si traduce in una perdita di funzioni cognitive essenziali: ragionamento, creatività, immaginazione.
Inoltre, quando ci abituiamo a usare un dispositivo che fornisce soluzioni immediate e apparentemente neutre, iniziamo a immaginare il mondo secondo la sua forma, non più secondo la nostra. La creatività, che per definizione devia, inciampa e sbaglia, rischia di irrigidirsi fino a diventare una copia edulcorata delle proposte della macchina. Ci stiamo allontanando sempre più da quel margine di imperfezione che ha generato le più grandi opere dell’umanità, perché ogni vera scoperta nasce dal contrasto, dalla resistenza e non dall’automatismo. Quando leggiamo e ripetiamo a pappagallo le risposte che ci fornisce una macchina, non stiamo pensando, non stiamo ragionando, ci limitiamo a fare da cassa di risonanza per i pensieri e le parole pensate da un cervello artificiale. Prendiamo in prestito il cervello di una macchina, e diventiamo noi stessi cervelli presi in prestito. Superflui, non necessari. E così, mentre la tecnica avanza, il cervello retrocede. Non perché sia diventato improvvisamente incapace, ma semplicemente perché abbiamo smesso di usarlo.
L’ex ministra degli Esteri italiana, Federica Mogherini, si è dimessa dal proprio incarico di rettrice del Collegio d’Europa. La notizia arriva dopo uno scandalo riguardante l’appalto di un corso di formazioni per giovani diplomatici, in cui Mogherini risulta indagata per frode nell’aggiudicazione di appalti pubblici, corruzione e conflitto di interessi. Le sue dimissioni seguono quelle dell’ex segretario generale del Servizio diplomatico dell’UE (SEAE), Stefano Sannino, che da inizio anno era dirigente delle politiche della Commissione su Medio Oriente, Nord Africa e Golfo. Secondo le indagini, il collegio avrebbe avuto tutte le informazioni necessarie per partecipare e ottenere il bando, indetto dal SEAE, ancora prima della sua pubblicazione.
L’Assemblea Generale dell’ONU ha approvato una risoluzione in cui chiede a Israele di smantellare le proprie colonie in Cisgiordania e di ritirarsi da tutti i territori palestinesi, compresa Gerusalemme Est. La risoluzione è stata votata il 2 novembre, e ha ottenuto 151 voti favorevoli, 11 astenuti, e 11 contrari tra cui USA, Argentina e Israele; contrariamente a quanto fatto in occasione delle ultime risoluzioni sul tema, anche l’Italia ha votato a favore. La mozione chiede esplicitamente a Israele, in quanto potenza occupante, di porre fine alla propria presenza in Palestina, cessare la costruzione di nuovi insediamenti, ed evacuare i coloni dai territori palestinesi; con essa, inoltre, l’Assemblea chiede a Israele di abrogare le leggi «discriminatorie» nei confronti dei palestinesi. È stata approvata assieme a un’altra risoluzione che chiede a Israele di ritirarsi anche dalle alture del Golan, in Siria.
Con la risoluzione A/RES/80/72, l’Assemblea Generale dell’ONU chiede a Israele di rispettare i propri obblighi ai sensi del diritto internazionale, ponendo «fine alla sua presenza illegale nel Territorio Palestinese Occupato il più rapidamente possibile», cessando «immediatamente tutte le nuove attività di insediamento», ed evacuando «tutti i coloni dal Territorio Palestinese Occupato»; sempre a tal proposito, essa chiede a Israele di cessare tutte le attività relative agli insediamenti, quali la confisca dei terreni e la demolizione delle abitazioni, e di rilasciare le persone arrestate nell’ambito del proprio piano coloniale. La risoluzione, inoltre, «chiede di abrogare tutte le leggi e le misure che creano o mantengono una situazione illegale, tra cui quelle che discriminano il popolo palestinese, così come tutte le misure volte a modificare la composizione demografica di qualsiasi parte del Territorio Palestinese Occupato, compresa Gerusalemme Est».
La risoluzione parla anche della situazione a Gaza, respingendo «qualsiasi tentativo di cambiamento demografico o territoriale nella Striscia di Gaza, comprese qualsiasi azioni che riducano il territorio di Gaza». Essa si rivolge anche agli Stati membri dell’ONU, a cui chiede di non riconoscere modifiche ai confini precedenti al 1967 anche per quanto riguarda Gerusalemme, e di distinguere nei propri rapporti «tra il territorio dello Stato di Israele e i territori occupati dal 1967», evitando di fornire assistenza alle attività di insediamento coloniali, che vengono giudicate «illegali». Parallelamente, è stata approvata anche la risoluzione A/RES/80/74, relativa alle alture siriane del Golan. Questa è stata adottata con 123 voti favorevoli, 7 contrari (Stati Federati di Micronesia, Israele, Palau, Papua Nuova Guinea, Paraguay, Tonga, Stati Uniti), e 41 astenuti; anche in questo caso, l’Italia ha votato a favore. La risoluzione dichiara nulla la legge israeliana del 1981 con cui Israele riconobbe il proprio diritto di imporre le proprie leggi, giurisdizione e amministrazione sul Golan siriano occupato, chiedendone la rescissione; l’Assemblea ha inoltre chiesto a Israele di ritirarsi dall’area.
Entrambe le questioni state oggetto di numerose altre risoluzioni. L’ultima sulla questione palestinese risale allo scorso anno, ma la richiesta di ritirarsi dai territori palestinesi occupati e di ristabilire i confini pre-1967 va avanti sin da quello stesso anno, a partire dalla risoluzione 242. Essa, emanata dal Consiglio di Sicurezza dopo la Guerra dei sei giorni, chiedeva il ritiro delle truppe israeliane dai territori occupati durante il conflitto, e il riconoscimento della sovranità di entrambi gli Stati.
A Genova i lavoratori dell’ex Ilva hanno lanciato una ingente protesta contro il piano del governo per l’azienda, che prevede una riduzione del personale dello stabilimento ligure. La protesta, organizzata dai sindacati FIOM, FIM, e USB, ha visto la partecipazione di almeno 5.000 persone, che si sono mosse in corteo guidate dai mezzi pesanti per lo spostamento dell’acciaio in direzione Cornigliano, località dello stabilimento. Giunti vicino alla prefettura, sono iniziati degli scontri con la polizia, che ha lanciato lacrimogeni sui presenti; i manifestanti hanno risposto con uova e petardi, e hanno divelto alcune delle inferriate utilizzate per blindare la prefettura. Sono inoltre arrivati presso la stazione di Brignole, bloccandola.
Un brindisi con l’amaro in bocca. L’ultimo test del mensile Il Salvagente su una delle bollicine più amate dagli italiani, il Prosecco, ha recentemente svelato la presenza di contaminanti indesiderati in tutti i campioni sottoposti ad analisi. Il laboratorio ha cercato residui di pesticidi e, soprattutto, le insidiose sostanze perfluoroalchiliche (Pfas) nei prodotti di 15 diversi marchi, rivelando un quadro di contaminazione diffusa, seppur entro i limiti di legge per i fitofarmaci. A destare maggiore preoccupazione è il ritrovamento, in ogni bottiglia, di acido trifluoroacetico (Tfa), un derivato dei Pfas, in quantità che superano abbondantemente l’obiettivo di qualità avanzato dall’Istituto superiore di sanità per l’acqua potabile e recepito con un decreto dal nostro Paese, che diventerà vincolante per l’acqua potabile dall’inizio del 2027.
L’indagine ha passato al setaccio 15 etichette tra le più comuni sugli scaffali: Mionetto, Bolla, Cinzano, Martini, Bortolomiol, Casa Sant’Orsola, Villa Sandi, Allini di Lidl, Maschio, Valdo, Bernabei, La Gioiosa, Meolo di Eurospin, Astoria e Carpenè Malvolti. Nessuna è risultata totalmente esente. Riguardo ai pesticidi, «tutti i residui riscontrati sono ampiamente al di sotto dei limiti di legge», ma è stata riscontrata la presenza fino a 10 principi attivi diversi in una singola bottiglia, quella del Prosecco Superiore Valdobbiadene Docg della Cantina Viticoltori Meolo per Eurospin. Tra le sostanze individuate, il metalaxyl (un fungicida sistemico) e il boscalid, i cui potenziali effetti sulla salute sono oggetto di studi.
La vera novità riguarda i Pfas. I valori riscontrati di acido trifluoroacetico – sottoprodotto di processi industriali e della degradazione di una serie di sostanze fluorurate usate nei gas refrigeranti, nei pesticidi e nei prodotti farmaceutici – vanno infatti da un minimo di 30mila ng/l nel Bortolomiol a un massimo di 59mila ng/l nel Bolla, etichetta molto popolare. Numeri che, se paragonati alle possibili future regole sull’acqua, appaiono assai elevati. L’inchiesta sottolinea come «più aumenta l’utilizzo dei pesticidi fluorurati, più aumenta la presenza di residui». Non a caso, dal 2010 la frequenza delle rilevazioni di questi metaboliti si è impennata, con i vini delle vendemmie dal 2021 al 2024 che presentano livelli medi di 122mila nanogrammi/litro, ma anche picchi di oltre 300mila. Rispetto a questi numeri, i valori nel prosecco sono inferiori, ma non trascurabili.
Le aziende coinvolte replicano puntando sul rispetto delle normative attuali. Alcune, come Carpenè Malvolti, mettono in discussione i dati analitici. Altre, come il Gruppo Italiano Vini (proprietario di Bolla) e Lidl, osservano che i livelli riscontrati nel Prosecco sono comunque «nella fascia bassa di contaminazione» se confrontati con picchi riscontrati in altri vini. Il nodo cruciale è l’assenza di una legge specifica che regolamenti i Pfas nel vino. Il test, infatti, prende come metro di paragone proprio i limiti futuri per l’acqua potabile Le Cantine Maschio fanno notare che l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) stabilisce una dose giornaliera accettabile per il Tfa di gran lunga superiore rispetto ai numeri rilevati dall’inchiesta, affermando non sia corretto assumere come riferimento il limite previsto per l’acqua, dal momento che il vino viene normalmente consumato quantità differenti.
Carlo Foresta, tra i massimi esperti di Pfas, invita però alla cautela: «I livelli di Tfa riscontrati nei campioni di prosecco, compresi tra 38mila e 60mila nanogrammi per litro risultano elevati e superiori ai valori di riferimento indicativi. Si tratta di concentrazioni che eccedono l’obiettivo di qualità proposto dall’Istituto superiore di sanità nel 2024 (10mila ng/l) e recepito dal D.Lgs. 102/2025». Tale soglia diventerà vincolante per l’acqua potabile in Italia a partire dal 12 gennaio 2027. «I valori citati sono 3,8–6 volte (o più) sopra quel valore nazionale di riferimento – ha concluso –. Assunzioni occasionali di una bottiglia non costituiscono automaticamente una prova di danno acuto, ma l’esposizione ripetuta aumenta la preoccupazione per effetti cronici».
La Procura di Milano ha chiuso le indagini e si appresta a chiedere il rinvio a giudizio per sette carabinieri in relazione al caso della morte del diciannovenne Ramy Elgaml, avvenuta la notte del 24 novembre 2024 al termine di un rocambolesco inseguimento. Oltre ai militari, risulta indagato anche Fares Bouzidi, l’amico della vittima che guidava lo scooter su cui viaggiava il ragazzo. Le accuse spaziano dall’omicidio stradale, contestato sia al conducente civile che a un carabiniere, a una serie gravissima di reati contro la pubblica amministrazione, come depistaggio, falsità ideologica e frode processuale, per aver nascosto prove e alterato documenti. Un caso che ha scosso la città e che ora potrebbe sfociare in un vero e proprio dibattimento.
Ramy Elgaml perse la vita dopo che lo scooter Yamaha TMax, guidato da Fares Bouzidi, si schiantò contro un palo del semaforo all’incrocio tra via Ripamonti e via Quaranta, a Milano. L’incidente fu l’epilogo di una fuga lunga otto chilometri, nella quale i due furono tallonati da un’autovettura della compagnia Radiomobile dell’Arma. Secondo la ricostruzione dei magistrati, lo scooter avanzava «con picchi di velocità superiori ai 120 km/h», spesso in «contromano». All’altezza dell’incrocio fatale, il motorino tentò una svolta a sinistra, compiendo poi una «repentina ed improvvisa manovra a destra». In quel momento avvenne l’urto tra il lato posteriore destro del TMax e la «fascia anteriore del paraurti» dell’Alfa Romeo Giulietta dei militari. L’impatto fece slittare lo scooter, sbalzando Ramy contro il palo del semaforo; il ragazzo fu inoltre investito dalla stessa vettura dei carabinieri, che nella collisione deviò in quella direzione.
Fares Bouzidi, già condannato in primo grado a 2 anni e 8 mesi per resistenza a pubblico ufficiale, è accusato di omicidio stradale, aggravato dalla guida senza patente e in contromano. L’omicidio stradale viene contestato dai pm anche al carabiniere Antonio Lenoci, che era alla guida dell’automobile che inseguiva lo scooter. I magistrati affermano infatti che il militare si tenesse «ad una distanza estremamente ravvicinata», quasi «affiancando» il TMax, arrivando a una distanza «laterale» di appena 80 centimetri, senza riuscire così a evitare «l’urto» quando il mezzo su cui viaggiavano i due ragazzi sterzò. Allo stesso militare viene inoltre contestato il reato di lesioni personali per i danni riportati da Bouzidi (40 giorni di prognosi).
Il quadro accusatorio, delineato in un nuovo avviso di chiusura indagini notificato agli otto indagati, si è progressivamente aggravato ed esteso nel corso dei mesi, portando a un atto complessivo che unifica tre precedenti chiusure parziali. Oltre a Lenoci, altri sei militari devono rispondere di reati collegati alla gestione del post-incidente e delle prove. Si tratta dei carabinieri Mario Di Micco, Luigi Paternuosto, Federico Botteghin e Bruno Zanotto, a cui si contestano i reati di frode e depistaggio per aver fatto cancellare i video ripresi con un cellulare da due testimoni oculari. Secondo gli atti, due di loro avrebbero detto a un testimone: «cancella immediatamente il video (…) adesso ti becchi una denuncia». Il testimone fu individuato dagli investigatori solo grazie ad una «trasmissione televisiva».
Un secondo e più articolato filone di accuse concerne la compilazione del verbale d’arresto per resistenza a carico di Fares Bouzidi e la reticenza sull’esistenza di riprese video. Quattro militari – Antonio Lenoci, Luigi Paternuosto, Ilario Castello e Nicola Ignazio Zuddas – sono accusati di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici. Nel verbale, infatti, avrebbero omesso di «menzionare l’urto tra i mezzi coinvolti», mettendo semplicemente nero su bianco che lo scooter era «scivolato». Nello stesso atto non avrebbero indicato «la presenza del testimone oculare», né segnalato la presenza «di una dashcam personale» e di una «bodycam», «dispositivi che riprendevano l’intera fase dell’inseguimento». Castello e Zuddas sono inoltre accusati di falso per le dichiarazioni rese ai pubblici ministeri.
La Procura, in corso d’indagine, aveva tentato di ottenere una perizia tecnica “terza” in incidente probatorio per chiarire la dinamica, data la divergenza tra le consulenze, ma il giudice per le indagini preliminari ha respinto per due volte la richiesta. Ora la palla passa all’ufficio del procuratore capo Marcello Viola, che sarà chiamato a formalizzare la richiesta di rinvio a giudizio per tutti gli otto indagati.
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