TORINO – Almeno quattrocento poliziotti mobilitati solamente per la giornata di oggi, un intero quartiere militarizzato, il traffico di una grossa parte della città interdetto. Così si presenta Torino a 48 ore dallo sgombero del centro sociale Askatasuna, avvenuto nella mattina del 18 dicembre scorso. Le scuole in zona sono chiuse da tre giorni e anche i negozi oggi hanno le saracinesche abbassate. Per impedire l’avvicinarsi al centro sociale, le forze dell’ordine hanno installato barriere in cemento armato e ferro. Le stesse utilizzate in Val di Susa, per proteggere i cantieri della TAV, per lo più pieni solamente di agenti. Un intero quartiere stretto nella morsa di un’operazione di polizia, culminata nelle cariche alla manifestazione di oggi. Alle 15 circa, infatti, migliaia di cittadini si sono messi in marcia a partire dall’università di Palazzo Nuovo per protestare contro la decisione del governo. Mentre l’amministrazione comunale sembra ancora indecisa sulla direzione da prendere, col sindaco Lorusso che prima ha dichiarato nullo il patto tra il centro e il Comune ma che in un video messaggio diffuso stamattina ha detto di “guardare al futuro di corso Regina 47”, la cittadinanza è scesa in piazza per far sentire il proprio dissenso. Incontrando, durante il percorso, i lacrimogeni e i manganelli della polizia.
“Stanno facendo controlli a manetta” mi racconta un militante, mentre seguiamo il percorso del corteo tra giovani, anziani e famiglie. “All’altezza di Porta Palazzo [il mercato centrale di Torino, a pochi km dal centro sociale, ndr] gli agenti in borghese sono saliti sui tram, hanno fatto chiudere le porte e hanno chiesto i documenti a tutti, indiscriminatamente. Stessa cosa con le persone in arrivo alla stazione di Porta Nuova”. Ogni accesso alle vie del quartiere Vanchiglia è bloccato da due camionette e da qualche decina di agenti in tenuta antisommossa. Le principali arterie di questa zona della città – corso Regina, corso San Maurizio, via Vanchiglia e tutte le strade circostanti – sono bloccate da agenti, camionette e, in qualche punto, anche camion-idranti. Molta è la rabbia tra gli esercenti: “Questore, viene lei a distribuire tutti i pacchi che ho da consegnare in negozio?” chiede qualcuno sui social.

“Quello che non dicono è che Meloni ha avuto paura delle milioni di persone in piazza per la Palestina” urla l’altoparlante che anticipa il corteo. E del movimento per la Palestina, Askatasuna è stato un punto di riferimento, a Torino e non solo. Tanto che dopo lo sgombero del 18 dicembre, rivendicato con orgoglio dal ministro dell’Interno Piantedosi sui social, nei confronti del centro sociale si è sollevata un’ondata di solidarietà da tutta Italia. L’amministrazione comunale, invece, sembra non saper bene che direzione prendere. Solamente due giorni fa, il sindaco di Torino, Stefano Lo Russo, aveva annullato il patto di collaborazione tra Askatasuna e Comune, che trasformava il centro sociale in bene comune in cambio di un profondo lavoro di riqualificazione e ristrutturazione, tutto a carico dei militanti. Questa mattina, in un video messaggio, il sindaco ha rivendicato il percorso costruito con Askatasuna: “La nostra amministrazione, sul patto di collaborazione di corso Regina, si è fatta interprete di una linea di dialogo con la società e con i movimenti sociali che da sempre è nelle corde di una città come la nostra, profondamente democratica e antifascista” ha dichiarato. Definendo il centro uno spazio “importante, non solo per il quartiere di Vanchiglia”, il sindaco ha dichiarato che “i procedimenti giudiziari faranno sempre comunque il loro corso”, mentre “la tutela di un bene comune risponde ad altre logiche: politiche e amministrative”. Le responsabilità penali, sottolinea il sindaco, “sono e restano sempre personali: questo è un principio cardine dello Stato di diritto”. Come a dire: i problemi con la giustizia di alcuni non possono determinare la cancellazione di un’intera realtà. “Non intendiamo cambiare approccio”, conclude il sindaco, “neanche nei confronti di corso Regina 47”. Un messaggio che ha lasciato l’amaro in bocca a molti tra i membri di Askatasuna, che ritengono che l’ambiguità politica del sindaco altro non sia se non una strategia in vista delle elezioni del 2026.
Il percorso del corteo è breve. Non appena svolta in corso Regina, percorse le poche centinaia di metri che separano via Vanchiglia dal civico 47 (dove ha sede l’Askatasuna), la polizia carica: manganelli, idranti e una pioggia di lacrimogeni sparati ad altezza uomo, che colpiscono la parte anteriore e posteriore del corteo, oltre alle vie laterali. L’aria si fa irrespirabile, ma il corteo non si disperde e in pochi minuti erge barricate che rallentano l’avanzata della polizia. Per fermare l’avanzata delle camionette, i manifestanti danno fuoco ad alcuni bidoni della spazzatura. Poi il percorso del corteo devia, allontanandosi dalla sede dell’Askatasuna e la polizia non si avvicina più.
Il fatto ha immediatamente scatenato la reazione delle destre, da Salvini che invoca le “ruspe sui centri sociali” a Tajani che definisce i manifestanti “figli di papà che se la prendono con i figli del popolo”. Come se quelle migliaia di persone in corteo oggi a Torino non costituissero una fetta sostanziosa del popolo stesso. D’altronde, la politica del governo segue una linea ben precisa: dall’attacco al Forte Prenestino allo sgombero di Leoncavallo, passando per le richieste di sgomberi dell’ex OPG occupato di Napoli e di altre realtà, i partiti di governo hanno fatto della crociata contro i centri sociali un perno della propria politica.
“Saremo dove siamo sempre stati: nelle università, nelle scuole, in Val di Susa, coi popoli che lottano” urla il megafono ai presenti che sfilano per le vie del centro. E convoca, per il 31 gennaio prossimo, una grande manifestazione nazionale.









