sabato 13 Dicembre 2025
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Uscire dall’infanzia?

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L’infanzia non è irreversibile. L’aurora della vita si può ripresentare ogni giorno nel ciclo stesso di ogni giornata, come una rinascita. Questo avviene, ad esempio, se decidiamo di tornare a scuola, se cioè ci prendiamo del tempo e assumiamo l’atteggiamento dello stupore che porta a un insegnamento continuo, a un ricominciare a imparare qualcosa di nuovo, senza porci il problema che rappresenti sempre una conferma – questa sì che è vecchiaia, una vecchiaia non anagrafica ma ideologica, che riduce i margini delle nostre espressioni, che ci fa sentire inadatti, prigionieri dello stress di aderire sempre a ciò che ci viene proposto o imposto.

La curiosità che ne può scaturire sta su due fronti: una curiosità oggettiva, verso le cose, verso tutto ciò che abita il mondo e una curiosità soggettiva, quella ad esempio che il bambino, l’essere bambino, il sentirsi bambino attira verso di sé come portatore di una logica differente dall’adesione automatica ai luoghi comuni.

Il bambino allora catalizza l’interesse degli altri che gli riconoscono una identità, un modo stupefatto di vedere le cose, di insegnarci un linguaggio che ha una sua logica imprendibile ma generosa. Un bambino che prende sul serio la realtà perché gioca, la smonta e ne esce per poi ricominciare a esplorare.

Partiamo dall’idea che il bambino non deve diventare qualcun altro. Altrimenti finirebbe come Pinocchio, che dopo aver attraversato le vicende più straordinariamente simboliche, aver incontrato i personaggi più strampalati e quelli più saggi, si trasforma irreversibilmente da burattino di legno a “burattino” in carne e ossa, perché deve gettare via se stesso come nel finale della storia di Collodi, quando Geppetto mostra al Pinocchio, diventato “buono” e “ragazzino perbene”, quella sua “buffa”, legnosa identità di prima, appoggiata a una seggiola. Ha osservato acutamente Giorgio Manganelli che Pinocchio, in realtà, «non sarebbe mai più stato né burattino né ragazzo. Pinocchio ritrova la felicità dinamica della puerizia, la sua vocazione ad iniziare».

Grande tema l’infanzia, tema filosofico, esistenziale che ci interroga sull’essere, e sul restare, umani in un mondo che impone passaggi come prove di inevitabile crescita, quasi di guarigione da quella condizione immaginifica, aperta all’imprevedibile che dovrebbe essere l’infanzia, quale condizione per scoprire e insieme immaginare: tenendo sempre, costantemente collegati questi due orizzonti.

Alessandro Gaudio ha scritto un libro che rappresenta anche una guida originale e importante su questi argomenti (Elogio dell’infanzia, Algra Editore 2025), incrociando le esperienze della soggettività tra apprendimento e lettura, mediante la letteratura ma nel superamento stesso del linguaggio. Il suo libro mi ha ricollegato a Wittgenstein e Popper maestri di scuola, a quella riforma scolastica nell’Austria di cent’anni fa, ispirata alla psicologia di Karl Bühler, che voleva andare contro l’idea di una scuola primaria diretta a formare piccoli uomini “delle classi lavoratrici del popolo, pii, buoni, docili e industriosi”. Andar contro per dare invece valore, nell’apprendimento, a fattori quali il contesto, il punto di vista, la reciprocità.

«Viaggiare fino all’isola remota e marginale dell’infanzia – scrive Gaudio – significa tentare di mantenersi in quello stato di assoluta libertà, staccarsi dal tempo in cui viviamo», attivare i contro-codici della memoria e della immaginazione, superando la repressione della fantasia che vorrebbe impedire qualsiasi legame «tra infanzia ed espressione artistica, tra infanzia e poesia». Anche per interrompere la catena distruttiva dell’istruzione permanente e di una obbediente pedagogia degli adulti.

USA, revocate sanzioni al giudice che ha processato Bolsonaro

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Gli Stati Uniti hanno revocato le sanzioni imposte al giudice della Corte suprema brasiliana Alexandre de Moraes, che aveva presieduto il processo conclusosi con la condanna a oltre 27 anni di carcere dell’ex presidente Jair Bolsonaro per tentato colpo di Stato. Le sanzioni, introdotte a luglio mentre il procedimento era ancora in corso, prevedevano il congelamento di eventuali beni negli USA e il divieto di rapporti economici con cittadini statunitensi. Erano state applicate in base al Global Magnitsky Act, con l’accusa di censura, detenzioni arbitrarie e indagini politicizzate, in particolare contro Bolsonaro, alleato di Donald Trump.

Valditara manda gli ispettori nelle scuole che invitano Francesca Albanese

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Il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, ha ordinato ispezioni ministeriali su due scuole della Toscana che hanno svolto incontri formativi con Francesca Albanese, la relatrice speciale dell’Onu per i territori palestinesi occupati che ha dettagliato il genocidio israeliano a Gaza. Valditara ha dichiarato «di aver letto su organi di stampa che la relatrice avrebbe rilasciato dichiarazioni che, se comprovate, potrebbero costituire ipotesi di reato». Secondo l’accusa, Albanese avrebbe definito «fascista» il governo Meloni e lo avrebbe accusato di «complicità con il genocidio israeliano», invitando gli studenti a proseguire le occupazioni di protesta. Le ricostruzioni provengono esclusivamente da due quotidiani governativi – Il Giornale e Il Tempo – entrambi di proprietà del deputalo leghista Antonio Angelucci. Il ministro ha evidentemente giudicato sufficienti queste ricostruzioni di stampa per avviare l’inquisizione ministeriale contro i dirigenti scolastici rei di aver invitato una relatrice ONU ha parlare agli studenti.

Le iniziative sotto indagine si sono svolte presso il Liceo Montale di Pontedera (Pisa) e la scuola media dell’Istituto Comprensivo “Massa 6”. A chiedere l’intervento di Valditara era stata un’interrogazione parlamentare del deputato di Fratelli d’Italia, Alessandro Amorese, secondo cui «iniziative scolastiche di questo tipo, se svolte in assenza di un adeguato contraddittorio, rischiano di assumere il carattere di un indottrinamento ideologico, lontano dai principi di pluralismo, equilibrio formativo e imparzialità che devono guidare l’attività educativa nelle scuole italiane». Da qui la richiesta a Valditara di «accertare che, pur nel rispetto dell’autonomia scolastica, le modalità con cui è stato organizzato l’incontro siano state svolte nel rispetto della salvaguardia dell’equilibrio formativo e dell’imparzialità».

A criticare fortemente l’azione del governo è la Rete “Docenti per Gaza”, rete di insegnanti che da mesi propone nelle scuole gli incontri con Albanese come momenti di informazione agli studenti. In un comunicato hanno parlato di «ingerenze e intimidazioni». In un duro comunicato i docenti per Gaza hanno chiesto al governo se è a conoscenza dell’esistenza dell’articolo 33 della Costituzione – che garantisce la libertà d’insegnamento – e «come sia possibile invocare il contraddittorio davanti a chi rappresenta con carica ufficiale il Diritto internazionale». La rete degli insegnanti ha inoltre denunciato il clima di censura che vige nelle scuole.

Nei suoi tre anni in carica come ministro dell’Istruzione del governo Meloni, Giuseppe Valditara ha più volte attirato le critiche di studenti e docenti per aver introdotto un clima di censura, controllo e repressione nelle scuole e nelle università italiane. Il ministro nel recente passato ha emesso una circolare in cui chiede alle scuole di sanzionare e bocciare gli studenti che occupano le scuole per protesta; ha più volte ordinato ispezioni e controlli disciplinari su professori accusati di essere critici nei confronti di Israele; e appena un mese fa si è spinto fino a vietare un corso di formazione per la pace e contro il riarmo organizzato dall’Osservatorio Contro la Militarizzazione delle Scuole e delle Università.

 

Bolivia, corruzione: ex presidente Arce rinchiuso in carcere

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La giustizia boliviana ha disposto la detenzione preventiva per cinque mesi dell’ex presidente Luis Arce, al termine di un’udienza durata oltre sei ore. Arce è indagato per Inadempienza degli obblighi e Comportamento anti-economico, in relazione a presunti episodi di corruzione risalenti al periodo in cui era ministro dell’Economia. Secondo la Procura, avrebbe autorizzato trasferimenti illeciti di fondi del Fondo Indigeno verso conti privati, senza verificare l’attuazione dei progetti finanziati. Il giudice anticorruzione Elmer Laura ha ravvisato un grave danno economico e rischi di fuga e inquinamento delle prove. Arce si è dichiarato innocente, denunciando un’azione politicamente motivata.

Piazza Fontana, “la madre di tutte le stragi”: 56 anni senza colpevoli

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Alle 16.37 di un venerdì come tanti altri di quel 1969, cinquantasei anni fa, nel cuore di Milano che come sempre pulsava forte di lavoro ed energia, a due passi dalla stazione delle corriere dove i pendolari si travasavano dentro la grande città, è cominciata in un modo devastante e orrendo quella che proprio in quei giorni il settimanale inglese The Observer ha definito la “strategia della tensione”. La strage di Piazza Fontana, definita anche “la madre di tutte le stragi”, ha inaugurato col sangue e con l’orrore il copione di morte e di paura che in Italia è poi andato in scena per molti anni a venire. Una lunga stagione di terrore e incertezza che è passata tra varie tappe del dolore, come l’attentato alla Questura milanese cinque anni dopo, e poi l’Italicus, Piazza della Loggia, la stazione di Bologna e tutti gli altri eventi insanguinati della cronologia arrivata agli anni ’80, come in una macabra geografia degli eccidi di vittime innocenti che avrebbero dovuto preparare e soprattutto giustificare una svolta autoritaria nel Paese. Erano del resto un’epoca e un’Italia di forti tensioni sociali, con gli autunni caldi e i cortei in piazze che brulicavano rabbia e tensioni, un impegno diffuso e consapevole in larghe fette della società a fare fronte comune per il diritto al lavoro e allo studio, ma anche per divorzio e aborto che per tanti divennero buoni motivi per prendere le botte nelle manifestazioni e nelle scene di guerriglia urbana, dura e cupa, che hanno poi dato ispirazione ad una copiosa narrativa di libri e film.

Fermare il PCI a tutti i costi

In quegli anni, il Partito Comunista Italiano era il più grande e solido al di fuori del Patto di Varsavia e questo non poteva non preoccupare gli americani, oltre che innescare una reazione delle forze moderate che hanno costruito, nell’ombra, una strategia militare e piani di assalto alla democrazia con l’apporto di forze eversive di matrice nera, così come di apparati deviati dello Stato che le hanno utilizzate e piegate ai propri scopi. Ma in quella sciagurata compagnia di assassini e depistatori, in quell’opaco sottobosco composto da estrema destra, terrorismo e ambienti paramilitari, tra sicari e bombaroli, tra chi ha preparato congegni esplosivi, chi li ha piazzati nei luoghi della società civile e chi ha coperto o cancellato le tracce, c’erano anche uomini di potenze straniere che in Italia avevano una posizione strategica, come gli agenti della CIA che hanno costellato, nell’ombra e sotto mentite spoglie, tutte le vicende luttuose e oscure di questo paese nel Dopoguerra. Tanto da diventare i registi e i mandanti di progetti eversivi come il Piano Solo del 1964, o il Golpe Borghese del 1974. Ma anche gli organizzatori e gestori delle reti armate clandestine come Gladio, che coi suoi “gladiatori” e i suoi depositi di armi avrebbe dovuto tamponare il fronte orientale, fare da argine all’avanzata dei comunisti e frenare la loro ascesa. Impedire loro, comunque, di arrivare al governo del Paese, con le buone o con le meno buone.

L’edificio della Banca Nazionale dell’Agricoltura, all’interno del quale ebbe luogo l’attentato terroristico di Piazza Fontana

In questo clima, con queste premesse, la strategia della tensione per seminare morte e paura nel Paese e approfittare delle conseguenti devastazioni nella società civile: Piazza Fontana non è stato solo la prima tappa di un calvario, è stata l’inaugurazione in grande stile di un massiccio progetto eversivo che era stato costruito nei dettagli nei mesi precedenti. Da aprile a dicembre, in quell’anno, si erano contati 17 attentati che hanno fatto da prove generali a quello che è successo nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura in un tranquillo pomerggio d’inverno. Fino, appunto, a quel boato che ha sollevato tutto il palazzo e il marciapiede davanti, lasciando 17 cadaveri senza vita perfino tra i passanti, così come tra i clienti presenti in quel momento negli uffici e nel personale della filiale.

Una scatola di acciaio dentro una borsa di pelle

Una banca trasformata in un mattatoio da un ordigno ad altissimo potenziale, le stime parlavano di sette chili di tritolo: “portavamo fuori i feriti con gli zerbini perché non c’erano barelle a sufficienza”, ha raccontato uno dei soccorritori accorsi sul luogo. Una specie di perdita di innocenza collettiva, quella di un Paese che improvvisamente ha dovuto fare i conti con la paura di attacchi indiscriminati, costruita con una bomba messa dentro ad una scatola di metallo, e tutto insieme all’interno di una borsa di pelle, una delle tante borse portate per affari e per lavoro in quello e altri posti. Le ricostruzioni dei periti e degli artificieri, le indagini dei magistrati che sono arrivati in quella devastazione con gli occhi sgranati e increduli, hanno accertato che l’esecutore materiale dell’attentanto ha piazzato la borsa sotto ad una sedia, su cui poi ci si è seduto per fingere di compilare qualche scartoffia. La sigaretta accesa che teneva fra le dita è servita come innesco per incendiare il pezzo di miccia che fuoriusciva dalla stessa borsa, e una volta accesa il killer ha avuto tutto il tempo di alzarsi, posare i fogli e uscire dalla banca. Dietro di sé ha lasciato un urugano di potenza e di morte: il “fornello” sul pavimento che è servito per la deflagrazione, un cratere di novanta centrimetri di diametro, ha provocato un’esplosione con onda d’urto dal basso verso l’alto che ha scosso il palazzo dalle fondamenta. I clienti che erano impegnati nelle tradizionali contrattazioni del venerdì sono stati letteralmente travolti e falciati dalla forza dell’esplosione. I soccorritori giunti sul posto erano convinti di trovare una caldaia esplosa, perché nessuno immaginava o voleva credere ad una bomba, hanno trovato urla, disperazione, corpi martoriati, sangue, muri anneriti e divelti.

Cinque bombe in cinquanta minuti

Le indagini sono iniziate a 360 gradi, come si diceva all’epoca, in un clima di indignazione e di attonito stupore. “Dobbiamo capire prima di tutto se si è trattato di un fatto con una dimensione politica”, disse a caldo Ugo Paolillo uno dei magistrati impegnati nei sopralluoghi, per misurare la distanza che c’era nella loro testa e nella testa dei cittadini dal clima di tensione che sarebbe diventato d’ora in avanti la quotidianità italiana. Gli attentatori non avevano lasciato nulla al caso: la lamiera di acciaio della scatola che custodiva la bomba era di tipo “martellato”, ossia non permetteva di lasciarci sopra impronte digitali, un artigiano di Lainate che le produceva ha visto il suo prodotto in un’immagine del tg serale e l’ha riconosciuto, chiamando i carabinieri. La preparazione meticolosa di questo e di tutti gli attentati preparatori nei mesi precedenti, è stata riconosciuta nelle lunghe e tormentate vicende giudiziarie che hanno fatto seguito ai fatti. In particolare, il coinvolgimento degli estremisti neofascisti veneti Franco Freda e Giovanni Ventura all’organizzazione della strage, anche se le loro vicende processuali si sono risolte con un’assoluzione in secondo grado. E’ stato accertato il loro coinvolgimento nelle fasi preparatorie, con l’acquisto di 50 timer, la ricerca delle scatole di metallo e l’acquisto a Padova di borse in pelle simili a quelle utilizzate per contenere gli ordigni. Perché Piazza Fontana, atto primo della strategia di tensione che ha poi imprigionato il Paese, non è stata un atto isolato. Nello stesso giorno, il piano prevedeva altri quattro attentati tra Milano e Roma. Alla Banca Commerciale di Piazza della Scala fu ritrovato un ordigno inesploso, mentre contemporaneamente a Roma tre bombe sono esplose alla BNL di Via San Basilio, a Piazza Venezia e all’altare della Patria. Altri esplosivi, per fortuna ritrovati inerti, furono trovati alla Cassazione e alla Procura generale della capitale, così come al tribunale di Milano e in alcuni uffici giudiziari di Torino. Un attacco simultaneo su larga scala che in 53 minuti ha distrutto la serenità di un Paese che, pur lacerato da scontri sociali e politici, non avrebbe mai immaginato di diventare per anni un teatro di una guerra clandestina condotta da forze oscure contro i fondamenti della Repubblica e della Costituzione.

Il neofascista Giovanni Ventura, inizialmente accusato insieme a Franco Freda: entrambe furono assolti in secondo grado.

Otto processi, nessun colpevole

Infinita e avvilente l’Odissea giudiziaria che ha preso il via nel febbraio 1972 col primo processo a Roma: il primo di otto procedimenti giudiziari in 28 anni, l’ultimo avviato nel 2000 e conclusosi come tutti gli altri con assoluzioni per tutti gli imputati. Solo in tempi più recenti, però, è stata accertata la responsabilità del movimento di Ordine Nuovo che nella sua ala veneta ha incubato e coltivato questi progetti stragistici e distruttivi. Il filo nero che lega le stragi e che è stato tirato fuori dal giudice istruttore Guido Salvini, nell’ultimo capitolo di questa infinita vicenda giudiziaria. Tre giorni dopo la strage viene arrestato Franco Freda, che per i carabinieri è il “mostro” di Piazza Fontana, ed è il caso di ricordare che quel 15 dicembre è anche il giorno in cui Giuseppe Pinelli è volato giù da una finestra al quarto piano della Questura di Milano: “la diciottesima vittima innocente di Piazza Fontana”. Tra le procure di Milano e Roma c’è un braccio di ferro nelle istruttorie sulla strage: la prima è orientata a seguire la pista nera, mentre nella capitale si punta a scavare nel mondo degli anarchici. Fatto sta che a Roma la Corte si dichiara incompetente e rimanda gli atti a Milano, dove però il procuratore generale chiede il trasferimento ad altra sede per motivi di ordine pubblico, in un clima incandescente e con i cittadini ancora storditi per gli effetti della strage. La Cassazione allora decide di assegnare il processo al tribunale di Catanzaro dove vengono unificati i due tronconi di indagine.

Finalmente, il 18 gennaio 1977 prende il via il processo a Catanzaro, dove due anni più tardi Freda e Ventura vengono condannati all’ergastolo insieme a Guido Giannettini che era un agente del Sid, il servizio segreto in funzione fino al 1977, quando vennero creati SISMI e SISDE. Condanna anche per due agenti dei servizi. Due anni dopo, però, dopo che Freda e Ventura sono scappati all’estero (in Costarica e Argentina), la Corte di appello calabrese annulla le condanne per insufficienza di prove. La Suprema Corte annulla la pronuncia e rinvia il processo a Bari, dove però il tribunale nel 1985 conferma le assoluzioni e la Cassazione mette la parola fine nel 1987, quando viene a Caracas viene arrestato Stefano Delle Chiaie, neofascista, terrorista e fondatore di Avanguardia Nazionale che nell’ottobre dello stesso anno, insieme a Massiliano Fachini, va a processo a Catanzaro (il settimo): il procedimento si conclude con un’assoluzione per non aver commesso il fatto, con sentenza confermata nel 1991.

La pista nera del giudice Salvini

I funerali di Stato delle vittime nel Duomo di Milano, 15 dicembre 1969

Sette processi e 23 anni per tornare daccapo, come in un beffardo gioco dell’oca. Bisogna attendere il 1998 con l’inchiesta del giudice istruttore di Milano, Guido Salvini, che punta decisamente la barra delle indagini sugli ambienti dell’estrema destra e dell’eversione nera legata a Ordine Nuovo, associata nel corso degli anni a diverse altre stragi ed eventi terroristici. Vengono imputati di strage Carlo Maria Maggi, Giancarlo Rognoni, Delfo Zorzi e Carlo Digilio. Il procedimento si conclude con l’assoluzione degli imputati, Digilio che ha collaborato con la giustizia è l’unico teoricamente colpevole, avendo ammesso le proprie responsabilità come esperto di esplosivi e logistica. Ma è intervenuta la prescrizione a fare piazza pulita. La figura di Digilio, in particolare, è emblematica e racchiude sfumature che la dicono lunga sugli ambienti dove è stato preparato l’attentato di Piazza Fontana. Romano di adozione veneziana, soprannominato “Zio Otto” per la sua passione per una pistola denominata Otto Label e deceduto per una macabra coincidenza proprio il 12 dicembre (2005), da universitario era entrato a far parte del Centro Studi Ordine Nuovo. Più avanti, è stato uno degli informatori italiani della basi NATO in Veneto, seguendo le orme del padre Michengelo che da tenente della Guardia di Finanza, col nome in codice di “Erodoto”, era un informatore dell’Oss, rete di intelligence americana che poi sarebbe diventata la Cia.

Un filo nero da Milano alla stazione di Bologna

“Zio Otto” ha tenuto l’alias di suo padre ed era stipendiato con 300mila lire dagli americani, ma non ingannino le note di colore. Partendo da Piazza Fontana, “Zio Otto” al secolo Digilio è stato un personaggio di primissimo piano nella galassia dell’eversione nera, come ha avuto occasione di ribadire anche in un libro il giudice Salvini. Il quale è stato poi sottoposto a inchiesta da parte del collega veneziano Felice Casson per le sue indagini su Piazza Fontana e per un dossier di intercettazioni finite poi in una bolla di sapone: “Ho passato più tempo a difendermi davanti al Csm che a occuparmi delle indagini su queste vicende”, disse poi l’interessato raccontando di una guerra intestina tra magistrati impegnati nelle inchieste sulle stragi. Digilio era operativo in una triangolazione diretta con Ordine Nuovo e con Gilberto Cavallini, ex Nar, che riforniva di armi e che è stato condannato all’ergastolo per la strage alla stazione di Bologna per concorso in strage “nel contributo di agevolazione fornito sul piano logistico e organizzativo” a Fioravanti, Mambro e Ciavardini già condannati come esecutori materiali. Il filo nero che ha trovato il giudice Salvini, da Milano a Bologna. Da Piazza Fontana al 2 agosto 1980.

Il TIME incorona l’IA: la nuova persona dell’anno non è una persona

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Per l’illustre settimanale TIME la “persona” dell’anno è l’Intelligenza Artificiale, insieme ai suoi creatori. La scelta, decretata con la copertina più prestigiosa che il magazine nato nel 1923 realizza ogni anno dal 1927, è dovuta al fatto che la tecnologia «sta influenzando, nel bene o nel male, le nostre vite». Nella pratica, le copertine realizzate sono due: la prima riproduce la famosa foto del 1932, Lunch atop a skyscraper (pranzo su un grattacielo), ma al posto degli operai che pranzano a 250 metri da terra vi sono i protagonisti della rivoluzione tecnologica in atto: Mark Zuckerberg (Meta), Lisa Su (Advanced Micro Devices), Elon Musk (Tesla, Space X), Jensen Huang (NVIDIA), Sam Altman (Open AI), Demis Hassabis (Google DeepMind), Dario Amodei (Anthropic) e Fei-Fei Li (ImageNet). Nella seconda, invece, le stesse personalità sono inserite in una struttura gigante che forma le lettere “AI”, con una grande impalcatura intorno, come a suggerire i grandi lavori in corso nel mondo delle cosiddette Big Tech.

Se guardiamo ai CEO che hanno in mano una buona fetta del futuro dell’umanità, bisogna notare che è la terza volta che la rivista mette in copertina un gruppo di persone: prima di loro erano stati protagonisti “I Guardiani”, giornalisti che per il loro lavoro rischiavano la vita, e poi “Silence Breakers”, le donne che erano uscite allo scoperto dando il là al movimento Me Too. Se invece guardiamo alla scelta dell’IA, anche qui è la terza volta che la scelta cade su oggetti o concetti: dal personal computer nel 1982 al pianeta terra nel 1988, per arrivare al 1996 quando la rivista puntò sulla rivoluzione degli utenti dei social con un “Tu” (“You”) a caratteri cubitali sulla cover.

Al di là delle questioni stilistiche, è un’incoronazione che lascia molto su cui riflettere. Ci troviamo in un passaggio storico particolarmente delicato. Mentre l’intelligenza artificiale comincia a mostrare in modo concreto il proprio potenziale – dalla capacità di analizzare enormi quantità di dati all’automazione di processi complessi – emergono con sempre maggiore chiarezza anche i rischi connessi a questa tecnologia, spesso sottovalutati nel dibattito pubblico. Il problema non è l’innovazione in sé, ma la velocità con cui viene adottata senza regole certe, senza un’adeguata riflessione collettiva e senza chiarire che, quando si parla di tecnologia, il vero discrimine non è lo strumento, ma l’uso che se ne fa. L’IA non è neutra, perché riflette intenzioni, interessi e modelli culturali di chi la progetta e la utilizza. Promette efficienza, semplificazione e comodità, ma il prezzo potrebbe essere più alto di quanto sembri: una progressiva delega decisionale agli algoritmi, una riduzione dello spazio per il dubbio e il pensiero critico, un controllo sempre più pervasivo dei comportamenti individuali. Il rischio concreto è quello di guadagnare qualche vantaggio immediato, perdendo però libertà, autonomia e capacità di giudizio. In un contesto simile, interrogarsi oggi sui limiti e sulle responsabilità dell’intelligenza artificiale non è un esercizio teorico, ma una necessità. E le notizie degli ultimi due mesi impongono una riflessione.

Il 22 ottobre scorso, il Future of Life Institute ha lanciato un’iniziativa che chiede ai governi di tutto il mondo di introdurre «un divieto che blocchi lo sviluppo della super-intelligenza [artificiale]» fino a quando «non ci sarà un ampio consenso scientifico sul fatto che la tecnologia sarà sviluppata in maniera affidabile e controllabile». Sempre ad ottobre una inchiesta del Financial Times ha svelato come l’intelligenza artificiale abbia reso estremamente semplice e rapida la creazione di contenuti visivi realistici favorendo le truffe online: secondo le stime di Deloitte, l’impatto complessivo delle frodi basate su intelligenza artificiale, nel solo settore finanziario, potrebbe arrivare a toccare i 40 miliardi di dollari entro il 2027. A novembre, invece, la notizia ha riguardato i primi licenziamenti di massa negli USA: secondo l’ultimo rapporto di Challenger, Gray & Christmas, solo nel mese di ottobre 2025 sono stati annunciati 153.074 licenziamenti, un aumento del 175% rispetto all’anno precedente e il dato più alto dal 2003. Accade perché, in nome dell’efficienza e dell’automazione, interi comparti produttivi stanno sostituendo la manodopera con sistemi basati sull’AI. Sempre a novembre abbiamo assistito all’appello nazionale “IA BASTA!”, con gli insegnanti che denunciano quello che definiscono «l’attacco finale alla scuola della Repubblica» da parte del ministero dell’Istruzione, accusato di voler imporre strumenti di IA centralizzati nelle attività didattiche.

L’ultima notizia riguarda Spotify, al centro del boicottaggio di band e utenti perché Daniel Ek, cofondatore e CEO, attraverso il suo fondo di investimento ha finanziato un’azienda europea di tecnologia militare basata su intelligenza artificiale per sistemi di difesa, inclusi droni e applicazioni militari avanzate. Sta accadendo che diverse band, dopo aver abbandonato la piattaforma, vengono sostituite dall’IA, che ricostruisce le canzoni imitando il suono, la struttura e persino nei testi. Forse è questo il vero spartiacque del nostro tempo: sistemi capaci di neutralizzare il conflitto culturale trasformandolo in simulazione. Alla fine, il rischio non è solo ascoltare musica senza artisti, ma abituarsi a un mondo in cui anche il dissenso può essere “automatizzato” e digerito senza creare nessun problema.

Dal 1° luglio dazi di 3 euro su pacchi extra-UE sotto i 150 euro

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Il Consiglio Ecofin ha deciso oggi un dazio doganale fisso di 3 euro sui piccoli pacchi che entrano nell’Unione Europea, principalmente attraverso il commercio elettronico. La misura, che partirà dal 1° luglio 2026, riguarda soprattutto le merci di basso valore provenienti da Paesi extra-UE, che fino a ora beneficiano di esenzioni doganali. Il regime temporaneo resterà in vigore fino all’entrata in vigore di un accordo permanente per eliminare la soglia di franchigia doganale sotto i 150 euro e modernizzare il sistema doganale europeo. La decisione nasce nell’ambito della riforma delle norme su e-commerce e dazi, con l’obiettivo di contrastare la concorrenza sleale e l’elevato volume di importazioni a basso costo.

Riarmo in Italia, più armi e più soldati: programmi per 4 miliardi e 160mila uomini

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La corsa al riarmo in Italia procede a passo spedito. Il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto legislativo che prevede un ampliamento del personale militare con lo scopo di raggiungere i 160.000 soldati entro il 2033. Parallelamente, come riporta l’osservatorio Mil€x contro la militarizzazione, il ministero della Difesa ha mandato alle commissioni Difesa e Bilancio del Parlamento altri 7 programmi di riarmo dal valore complessivo di 4,3 miliardi di euro, di cui 1,2 nel prossimo triennio. Cinque progetti riguardano la marina militare, e sono relativi a programmi di ammodernamento di mezzi e fregate; gli altri due sono destinati all’Aeronautica militare e all’esercito terrestre. L’aumento del personale militare e il rilancio delle spese nel settore bellico in Italia sono in linea con l’agenda che il governo Meloni – e quello dei suoi predecessori – porta avanti sin dal suo insediamento, e con le richieste di UE e NATO, che hanno spinto diversi Paesi europei a prendere decisioni analoghe.

Il progetto di decreto legislativo è stato approvato dal CdM ieri, 11 dicembre. Esso, spiega il comunicato del governo, prevede di raggiungere progressivamente le 160.000 unità militari distribuite tra Aeronautica, Marina ed Esercito entro il 2033. Il provvedimento, inoltre, modifica il Codice dell’ordinamento militare sul sistema di reclutamento e sulle progressioni di carriera, anticipando l’avanzamento delle carriere e il riconoscimento degli stipendi in Accademia: se nel sistema attuale, l’allievo delle Accademie diventa “Aspirante Ufficiale” al terzo anno, il dl prevede che lo diventi al secondo, e che gli venga garantita una retribuzione – che attualmente non ha; analogamente, si diventerebbe “Sottoufficiale”, primo grado attualmente pagato, al terzo anno invece che, come funziona ora, al quarto. Il dl, inoltre, introduce la ferma (il periodo minimo di servizio obbligatorio) anche per i Marescialli reclutati tramite concorso pubblico, e permette ai Volontari in ferma prefissata (militari che prestano servizio con contratti temporanei) di partecipare ai concorsi per diventare Sergente.

Lo schema, infine, alza l’età per accedere ai concorsi per Ufficiali, e apre alla possibilità di indire concorsi aperti ai civili per il ruolo di Sergenti fino al 2030, «in presenza di specifiche esigenze funzionali». Il progetto del governo, insomma, è quello di arruolare più persone, garantire che svolgano un servizio più lungo, e incentivare l’entrata nelle varie divisioni militari con stipendi e possibilità rapide di carriera. Il tema è stato più volte discusso pubblicamente da Crosetto, che ha spesso rimarcato la presunta necessità di aumentare il personale militare che avrebbe l’Italia; l’annuncio del CdM e arriva mentre nell’UE diversi Paesi – prime fra tutti Germania e Francia – stanno reintroducendo la leva militare, iniziativa, che nonostante le vecchie dichiarazioni sul tema, inizia a interessare anche il governo italiano.

Ad aumentare, tuttavia, non è solo il numero di militari (e il denaro loro destinato), ma anche armi e veicoli. Il governo ha infatti trasmesso nuovi programmi di riarmo al Parlamento. Il più oneroso riguarda le otto fregate Fremm, navi relativamente nuove, osserva Mil€x, entrate in servizio tra il 2013 e il 2019; lo schema ne prevede l’ammodernamento e il potenziamento tecnologico, per interventi dal valore complessivo di 2,44 miliardi di euro fino al 2039. Vi sono poi due programmi relativi alle unità subacquee: il primo, da 658 milioni fino al 2039, coinvolge Power4Future, joint venture tra Fincantieri e la britannica  Faist Electronics, ed è una modifica alla costruzione di quattro nuovi sottomarini U212NFS, su cui verranno installate batterie al litio; il secondo, da 361 milioni fino al 2034, coinvolge Fincantieri e Leonardo, e riguarda l’ammodernamento di due sottomarini U212A e di due sottomarini classe Sauro.

Gli ultimi due programmi per la marina riguardano la flotta navale e sono prosecuzioni di programmi già avviati da questa stessa legislatura: il primo, da 122 milioni, è portato avanti da Fincantieri e Leonardo, e prevede un adeguamento della portaerei Trieste per consentirle di imbarcare caccia F-35 a decollo verticale; il secondo, da 100 milioni, prevede «l’istallazione sulle navi della Marina dei radar e cannoni elettronici anti-droni prodotti dal consorzio britannico Blighter/Chess Dynamics/Enterprise Control Systems». Vi sono infine, un programma di acquisizione di droni destinato all’Aeronautica militare (578 milioni), e uno di acquisizione di veicoli e robot terrestri per l’esercito (158 milioni). Dall’inizio della legislatura, rimarca Mil€x, sono 67 i programmi presentati dal governo al Parlamento, per un impegno finanziario pluriennale di quasi 24 miliardi di euro.

Iran, arrestata Nobel per la Pace Narges Mohammadi

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L’attivista iraniana Narges Mohammadi, vincitrice del Premio Nobel per la Pace 2023, è stata arrestata oggi dalle forze di sicurezza iraniane durante una cerimonia commemorativa nella città di Mashhad, secondo quanto riferito dai gruppi per i diritti umani e dalla sua fondazione. Con lei sono stati arrestati altri attivisti. Mohammadi, 53 anni, già condannata a 13 anni e nove mesi di carcere con accuse legate alla sicurezza nazionale, si trovava in congedo per motivi di salute dal carcere di Evin a Teheran. L’arresto sarebbe avvenuto mentre partecipava al rito funebre per un noto avvocato per i diritti umani, Khosrow Alikordi.

Gli USA aumentano la pressione sul Venezuela: sequestri e sanzioni per le navi petroliere

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All’indomani del sequestro della petroliera “Skipper” al largo delle coste venezuelane, Washington ha annunciato nuove sanzioni che colpiscono direttamente il cuore del sistema di esportazione del greggio di Caracas. Nel mirino sono finite sei petroliere e tre nipoti della First Lady Cilia Flores, accusati di essere parte di una rete che avrebbe permesso al governo di Nicolás Maduro di aggirare le restrizioni internazionali. Un’azione che segna un’ulteriore escalation nella strategia americana di isolamento economico e politico del Venezuela, mentre il petrolio torna a essere lo strumento centrale di uno scontro che va ben oltre la dimensione bilaterale.

Secondo alcune fonti riportate dai media, gli Stati Uniti si starebbero inoltre preparando a intercettare altre navi che trasportano il greggio venezuelano, dopo il sequestro della petroliera annunciato pubblicamente dall’amministrazione statunitense. In un post su X, la Procuratrice Generale degli Stati Uniti Pam Bondi ha pubblicato un video dell’operazione congiunta portata avanti da FBI, dipartimento per la Sicurezza nazionale e Guardia Costiera, supportati dal Pentagono, spiegando che la nave cisterna faceva parte di un sistema clandestino utilizzato per esportare petrolio in Iran, in violazione delle sanzioni comminate nel 2022. Il sequestro si inserisce in una più ampia attività di monitoraggio navale e finanziario, volta a individuare e bloccare le cosiddette “flotte ombra”: reti di navi che cambiano bandiera, tracciano rotte opache e utilizzano intermediari per eludere i controlli. Caracas ha reagito duramente, denunciando un atto di aggressione e di espropriazione illegale delle proprie risorse sovrane. Maduro, ha attaccato gli Stati Uniti definendoli i “Pirati dei Caraibi” e ha confermato il sostegno ricevuto da Mosca in una telefonata con Vladimir Putin avvenuta giovedì, in cui il leader russo ha espresso la sua solidarietà al popolo venezuelano e ha ribadito il sostegno alle politiche del governo di Caracas. Martedì, anche l’Iran aveva espresso il proprio sostegno “incondizionato” al Venezuela. Da Oslo, intanto, María Corina Machado, in Norvegia per la cerimonia del premio Nobel per la Pace, ha preso una posizione chiara a favore di Trump e della sua politica aggressiva degli ultimi mesi nei confronti del Venezuela.

Parallelamente al sequestro, il Dipartimento del Tesoro statunitense ha annunciato nuove sanzioni contro altre sei petroliere venezuelane accusate di trasportare petrolio fuori dai canali ufficiali, che opererebbero come parte integrante di una flotta ombra. Le misure colpiscono anche tre nipoti della First Lady Cilia Flores, indicati come beneficiari o facilitatori di queste operazioni. Due di questi, Franqui Flores ed Efrain Antonio Campo Flores, sono stati rilasciati in uno scambio di prigionieri nel 2022 tra Washington e Caracas. Il terzo nipote sanzionato è Carlos Erik Malpica Flores che, secondo gli Stati Uniti, sarebbe coinvolto in un complotto di corruzione presso la compagnia petrolifera statale. Le sanzioni prevedono il congelamento di eventuali beni sotto giurisdizione statunitense e il divieto di intrattenere rapporti economici con soggetti americani, rafforzando il quadro di isolamento finanziario del Venezuela. Il governo venezuelano ha respinto le accuse, definendo le sanzioni un’ulteriore prova di quella che considera una guerra economica contro il Paese. Secondo Caracas, gli Stati Uniti utilizzano il pretesto del contrasto ai traffici illeciti per colpire un settore vitale dell’economia nazionale e indebolire il governo.

Intanto, giovedì, il parlamento venezuelano ha approvato il ritiro del Paese dallo Statuto di Roma, il trattato che ha creato la Corte penale internazionale (CPI), sostenendo che l’istituzione agisce con pregiudizi e “vassallaggio” a interessi politici esterni. La decisione arriva poco dopo che Caracas ha accusato la Corte penale internazionale di non essersi pronunciata su quelli che ha definito “massacri”, in riferimento ai bombardamenti statunitensi di imbarcazioni nel Mar dei Caraibi per sospetto traffico di droga. Ad alimentare un clima già incandescente ha contribuito il presidente degli Stati Uniti Donald Trump,che in un’intervista a Politico ha dichiarato che Maduro sta vivendo “i suoi ultimi giorni” al potere. Nell’intervista, il tycoon ha anche affermato che prenderà in considerazione l’uso della forza contro obiettivi in ​​altri Paesi in cui il traffico di droga è molto attivo, tra cui Messico e Colombia.