lunedì 24 Novembre 2025
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Tennis, l’Italia vince la terza Coppa Davis

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Per la terza volta di fila è l’Italia ad aggiudicarsi la Coppa Davis nel tennis: è la prima nazione a conquistare questo record dal 1972. Il risultato è arrivato dopo la vittoria di 2-0 degli azzurri contro la Spagna, aggiudicata nonostante l’assenza di Sinner e Musetti e grazie alla prestazione di Musetti e Cobolli. “Abbiamo provato a fare come i campioni del mondo del 2006” ha dichiarato Cobolli in un’intervista subito dopo la vittoria contro Munar.

Libano, nuovo raid IDF: ucciso un leader di Hezbollah

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L’esercito israeliano (IDF) ha riferito di aver condotto un nuovo attacco nella città di Beirut, in Libano, per colpire il capo di stato maggiore di Hezbollah, Haytham Ali Tabatabai. Questi, secondo quanto riportato dall’IDF, avrebbe «svolto un ruolo fondamentale nelle capacità operative e militari di Hezbollah, nello sviluppo dell’Unità Radwan e nel ruolo di importante fonte di conoscenza e influenza all’interno dell’organizzazione». Washington sarebbe stata informata dell’attacco solamente dopo che questo è stato portato a termine.

La ricchezza dei primi 10 miliardari USA è aumentata di 698 miliardi in un anno

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I ricchi sono sempre più ricchi, mentre la classe media si riduce e i poveri sono sempre più poveri: è questo il resoconto dell’ultimo rapporto di Oxfam America, un’organizzazione globale il cui scopo è combattere le disuguaglianze economiche e sociali. In particolare, la relazione mette in luce come solo negli ultimi dodici mesi la ricchezza totale dei primi dieci miliardari d’America sia cresciuta di 698 miliardi di dollari. Il rapporto evidenzia come questa sia una tendenza strutturale che non si è sviluppata solo nell’ultimo periodo, ma in un arco di tempo ben più lungo con la complicità sia dei repubblicani che dei democratici. In altre parole, si può dire che l’arricchimento smisurato di una ristretta élite sia una caratteristica intrinseca del sistema economico liberal-capitalista occidentale: il rapporto, infatti, intitolato «Disuguaglianza: l’ascesa di una nuova oligarchia americana e l’agenda di cui abbiamo bisogno», basandosi sui dati della Federal Reserve, riporta come dal 1989 al 2022 l’uno per cento delle famiglie più ricche abbia accumulato una ricchezza 101 volte superiore a quella delle famiglie del ceto medio e 987 volte superiore a quella di una famiglia di reddito più basso.

Ciò significa che in questo periodo di tempo le famiglie appartenenti al ceto più ricco degli Stati Uniti hanno guadagnato 8,35 milioni di dollari, a fronte di meno di 83.000 dollari di una famiglia media e di 8.500 dollari di una famiglia più povera. Attualmente, secondo la rivista Forbes la lista dei dieci miliardari più ricchi comprende in ordine decrescente di ricchezza Elon Musk, Mark Zuckerberg, Jeff Bezos, Larry Ellison, Warren Buffett, Larry Page, Sergey Brin, Steve Ballmer, Rob Walton e Jim Walton. Secondo i ricercatori, si tratta di una tendenza alla concentrazione di ricchezza che sarà ulteriormente inasprita dalla legge di bilancio voluta da Trump e approvata la scorsa estate: il «One Big Beautiful Bill Act». Secondo gli autori del report, quello di Trump sarebbe un provvedimento economico che «include il più grande trasferimento di ricchezza verso l’alto degli ultimi decenni».

Si tratta comunque di un processo in corso da decenni che ha portato a uno squilibrio sempre più grave nella redistribuzione della ricchezza: la relazione, infatti, sottolinea come «Lo 0,1% più ricco degli Stati Uniti possiede il 12,6% del patrimonio netto e il 24% del mercato azionario», mentre «La metà più povera della popolazione statunitense possiede solo l’1,1% del mercato azionario». Una situazione che ha portato al dilagare della povertà negli Stati Uniti, sfatando così il mito del “sogno americano”: secondo il rapporto, infatti, oltre il 40% della popolazione statunitense, incluso il 48,9% dei bambini, è considerata povera o a basso reddito. Facendo un confronto con le dieci maggiori economie dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), l’economia statunitense risulta quella con il più alto tasso di povertà relativa e con il secondo più alto tasso di povertà e mortalità infantile. Inoltre, gli Stati Uniti sono la nazione con la seconda più bassa aspettativa di vita. Sempre all’interno degli Stati OSCE, gli Stati Uniti sono penultimi nell’utilizzo del loro sistema fiscale e di trasferimento per ridurre la disuguaglianza, penultimi nella spesa pubblica per le famiglie con figli, settimi su dieci nella spesa pubblica sociale complessiva e primi per ore di lavoro necessarie per uscire dalla povertà.

Il One Big Beautiful Bill Act si appresta ad acuire ulteriormente la disparità economica, in quanto ridurrà l’imposta dello 0,1% della popolazione con i redditi più alti di circa 311.000 dollari nel 2027, mentre le famiglie con i redditi più bassi, ovvero quelle che guadagnano meno di 15.000 dollari all’anno, potrebbero dover affrontare aumenti fiscali. Secondo gli autori del rapporto, invece, una modesta imposta patrimoniale sui multimilionari e sui miliardari potrebbe raccogliere circa 414 miliardi di dollari da investire in programmi sociali e nella lotta alla povertà. Ma il rapporto non si limita a fornire la fotografia della disuguaglianza economica negli Stati Uniti, bensì propone anche quattro potenziali soluzioni: riequilibrio del potere attraverso la riforma del finanziamento delle campagne elettorali e la politica antitrust; una riforma del sistema fiscale che includa una tassazione sui redditi alti e sulle grandi aziende; una riforma e un rafforzamento della rete di sicurezza sociale e un programma per la classe operaia che parta dal presupposto che «quando i lavoratori e le loro famiglie prosperano, prospera anche l’economia».

In definitiva, il rapporto Oxfam mette a nudo la reale situazione socioeconomica degli Stati Uniti, infrangendo il mito degli USA come nazione prospera in grado di offrire a chiunque possibilità di sviluppo e di ricchezza. Al contrario, la potenza a stelle e strisce è l’epicentro di un modello economico distorto in cui predomina la concentrazione e la verticalizzazione della ricchezza e che è stato esteso a tutto il mondo cosiddetto occidentale, il quale inizia solo ora a scontarne le conseguenze più importanti.

Ornella Vanoni, migliaia alla camera ardente a Milano

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E’ stata allestita per oggi, domenica 23 novembre, e domani, lunedì 24, la camera ardente per l’ultimo saluto a Ornella Vanoni, la cantante italiana morta lo scorso venerdì sera all’età di 91 anni. Presenti per l’ultimo saluto un gran numero di artisti e personalità dello spettacolo, insieme a migliaia di cittadini. I funerali si svolgeranno domani nel pomeriggio nella città di Milano, che ha proclamato il lutto cittadino.

COP30: nessun accordo sulle fossili, le richieste del Sud Globale rimangono inascoltate

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La trentesima Conferenza delle Parti si è conclusa e il risultato sembra il peggiore tra quelli ottenuti fin’ora nelle edizioni precedenti. Il documento, infatti, contiene un gran numero di dichiarazioni d’intenti, ma poche indicazioni pratiche e, di fatto, non nomina in alcun modo i combustibili fossili. Un risultato non auspicato ma atteso, dal momento che, anche quest’anno, la COP è stata dominata dalla presenza di lobbisti delle multinazionali, mentre le popolazioni del Sud globale – il più colpito dai cambiamenti climatici – non hanno avuto pari voce in capitolo. Un’implicita ammissione in questo senso è stata fatta dal presidente della COP, che ha ammesso che le speranze della società civile in merito al risultato dell’evento non sono state soddisfatte. Il segretario generale dell’ONU Guterres, dal canto suo, ha invitato popoli e organizzazioni che lottano per il clima a continuare la mobilitazione.

Alla cerimonia inaugurale il presidente brasiliano Lula, il cui Paese ha ospitato l’evento, aveva detto chiaramente che la COP30 sarebbe dovuta servire per tracciare l’abbandono progressivo delle fonti fossili, una scelta alla quale alcuni Paesi, tra i quali l’Italia, si sono mostrati ostili. Tanto che, nel documento finale (la Mutirao Decision) questi non vengono nemmeno nominati. Tra i risultati raggiunti vi sono il finanziamento di 1.300 miliardi di dollari entro il 2035 per l’azione per il clima, mentre ci si impegna a triplicare i finanziamenti per l’adattamento ai cambiamenti climatici entro il 2035. Obiettivi finanziari decisamente ambiziosi, cui non corrisponde un adeguato piano di attuazione e di iniziative concrete. E’ stato istituito un ciclo di ricostituzione per la mobilitazione delle risorse del Fondo per la risposta alle perdite e ai danni dovuti ai cambiamenti climatici e sono state lanciate le iniziative Global Implementation Accelerator Belém Mission to 1.5°, entrambe destinate ad aiutare i Paesi a realizzare i loro piani nazionali per il clima e l’adattamento. Una novità è rappresentata dall’impegno a lottare contro la «disinformazione sul clima» attraverso il contrasto alle «false narrazioni».

L’assenza di un discorso circa i gas serra, principali responsabili del riscaldamento globale, ha allarmato molti Paesi del Sud Globale e organizzazioni della società civile. Eppure, oltre 80 Paesi avevano sostenuto la proposta del Brasile di stabilire una tabella di marcia per agire in tal senso. Secondo lo scienziato brasiliano Carlos Nobre, che ha tenuto un discorso prima della plenaria finale, è necessario azzerare l’utilizzo di fonti fossili entro il 2040-2045 per evitare che la temperatura aumenti fino a 2.5° entro metà del secolo. Se questo si realizzasse, infatti, si verificherebbero conseguenze catastrofiche sui nostri ecosistemi, con la quasi totale perdita delle barriere coralline, il collasso della foresta pluviale amazzonica e un accelerato scioglimento della calotta glaciale della Groenlandia.

Nel discorso di chiusura dell’evento, il presidente André Corrêa do Lago ha riconosciuto che «alcuni di voi nutrivano ambizioni più grandi per alcune delle questioni in discussione» e che «la società civile ci chiederà di fare di più per combattere il cambiamento climatico», promettendo di cercare di non deludere le aspettative durante la sua presidenza. Per tale ragione, Corrêa do Lago ha annunciato l’intenzione di creare due roadmap in merito: una per arrestare la deforestazione e invertirne la tendenza e una per abbandonare le fonti fossili in modo giusto, ordinato ed equo, mobilitando le risorse necessario in maniera «giusta e pianificata». Un messaggio analogo è arrivato dal segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, che ha ammesso come in un periodo di «divisioni geopolitiche» sia complesso giungere a un accordo comune: «non posso fingere che la COP30 abbia fornito tutto ciò che è necessario [per affrontare la crisi climatica, ndr]». Anche se la COP è conclusa, «il lavoro non è finito». Guterres ha anche esortato coloro che lottano per il clima a continuare a farlo: «non arrendetevi. La storia e le Nazioni Unite sono dalla vostra parte».

L’accordo segna una nuova, profonda sconfitta per i popoli del Sud Globale, che durante il vertice aveano protestato contro la presenza delle lobby delle multinazionali fossili, accusando i governi di essere interessati a tutelare unicamente gli interessi di queste ultime, le quali hanno avuto un peso indubbiamente superiore a quello dei popoli originari durante l’evento. A questi rimangono una nuova serie di promesse e dichiarazioni d’intenti, che verosimilmente cadranno ancora una volta nel vuoto.

Regionali, aperte le urne in Veneto, Campania e Puglia

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Da questa mattina alle 7 sono aperte le urne nelle Regioni Veneto, Campania e Puglia, dove si stanno svolgendo le elezioni regionali per un totale di 13 milioni di elettori. I seggi rimarranno aperti nella giornata di oggi fino alle 23 e domani, lunedì 24 novembre, dalle 7 alle 15, ma le stime indicano che l’astensionismo potrebbe arrivare a superare il 50%.

La Cassazione condanna un ex deputato siciliano del PD a 12 anni per concorso in mafia

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Era il punto di riferimento regionale di importanti uomini di Cosa Nostra e si prodigava, dall’alto della sua carica di deputato all’ARS, per i loro interessi, in cambio di un’ingente quantità di voti. Per questo motivo, Paolo Ruggirello – prima esponente del Movimento per le Autonomie di Raffaele Lombardo, poi di “Articolo 4” e infine, dal 2015, del Partito Democratico in Sicilia – è stato definitivamente condannato a 12 anni di carcere per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Ruggirello, su cui pesano in particolare i rapporti con il potente boss Pietro Virga, con cui si incontrò più volte, e con il mafioso Carmelo Salerno, dovrà ora tornare dietro le sbarre per scontare la sua pena.

La Corte di Cassazione ha dunque impresso il timbro definitivo sulla condanna a 12 anni di galera rimediata in appello da Ruggirello lo scorso 25 gennaio, che a sua volta aveva confermato la condanna inflitta al politico in primo grado dal Tribunale di Trapani nel 2023. «È emerso con tutta evidenza che Paolo Ruggirello, nel corso della propria carriera politica, ha sistematicamente potuto contare sul consenso elettorale fornito da autorevoli esponenti dell’associazione mafiosa trapanese, fra cui il pacecoto Filippo Coppola, il mazarese Michele Accomando, i campobellesi Giovanni Buraci, Vincenzo La Cascia e Filippo Sammartano, nonché i trapanese Pietro e Francesco Virga», avevano allora evidenziato i giudici. «La consorteria mafiosa per il tramite di propri associati o di soggetti ad esso contigui – hanno sottolineato – ha fornito il proprio appoggio all’elezione dell’imputato e quest’ultimo, deputato regionale, ha tenuto una condotta idonea a consentire a Cosa nostra di perseguire i propri fini criminali, offrendo un rilevante contributo al suo rafforzamento e consentendo l’ingerenza dell’associazione mafiosa nelle dinamiche amministrativo-politico sociali».

Ruggirello entrò all’ARS per la prima volta nelle file del Movimento per le Autonomie nella primavera del 2006. Poi, nel 2012, riottenne il seggio nella lista “Nello Musumeci presidente”, per approdare l’anno successivo in “Articolo 4” e, in ultimo, nel Partito Democratico nel 2015. «La capacità delle cosche mafiose di stringere rapporti con la politica nei diversi ambiti territoriali, locali, regionali e nazionali, e in momenti di uguale rilievo politico, cioè quello elettorale prima e quello istituzionale poi, ha permesso ai mandamenti mafiosi del territorio della provincia di Trapani, di mantenere ancora forte la propria forza criminale, esercitata al fine di conseguire un controllo occulto sulle istituzioni e sulle attività economiche», aveva messo nero su bianco il tribunale di Trapani, affermando senza esitazione che, come confermato dai contenuti delle intercettazioni esaminate, «l’esponente politico è stato un autentico referente politico» per gli uomini di Cosa Nostra.

La vicenda processuale è nata dall’inchiesta “Scrigno” del nucleo investigativo del comando provinciale dei Carabinieri di Trapani, coordinata dalla DDA di Palermo, in cui, oltre alla riorganizzazione delle cosche, sono emersi gli intrecci tra mafia, politica e imprenditoria nella provincia di Trapani. «Ruggirello – aveva spiegato nella sua requisitoria il pm Gianluca De Leo – si è mostrato perfettamente a conoscenza delle regole, delle dinamiche e delle competenze territoriali di Cosa Nostra, pronto a fare mercimonio della propria attività politica, utilizzando somme pubbliche per distribuire incarichi e consulenze». Il pm aveva sottolineato per esempio che nel 2014, in occasione dell’elezione di Giuseppe Castiglione (PD) a sindaco di Campobello di Mazara, appoggiato da Ruggirello, quest’ultimo in una telefonata con il boss Salerno – che a lui si rivolse per delineare alleanze e candidature – diceva «È salito il nostro sindaco»; ma anche che Ruggirello si sarebbe mosso in prima persona con l’obiettivo di affidare al figlio di Salerno il posto di addetto alla sicurezza all’Assemblea regionale siciliana.

Oltre ai contatti intrattenuti con Pietro Virga e un altro esponente della sua cosca mafiosa, Pietro Cusenza, avvenuti prima delle elezioni regionali del 2017, Ruggirello avrebbe poi avuto solidi legami anche con Lillo Giambalvo di Castelvetrano, condannato per estorsione e nipote del boss Vincenzo La Cascia, e con il mafioso Filippo Sammartano di Campobello di Mazara: due soggetti che, ha ricordato il pm, numerose inchieste hanno ricollegato al superboss stragista trapanese Matteo Messina Denaro.

Brasile, arrestato Bolsonaro: “vìola i domiciliari”

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L’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro è stato arrestato. Nonostante a settembre fosse stato condannato a una pena di 27 anni e 3 mesi di carcere per il tentato golpe militare del 2022, Bolsonaro si trovava ai domiciliari. Secondo la legge brasiliana, infatti, per scontare la pena in prigione è necessario concludere tutto l’iter processuale, e all’ex presidente manca ancora l’appello alla Corte Suprema. Proprio quest’ultima ha rilevato una violazione dei domiciliari da parte di Bolsonaro, riscontrando un pericolo per l’ordine pubblico, il che ha portato alla decisione dell’arresto.

Cibi ultraprocessati e cancro al colon: uno studio dimostra il legame

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Una dieta ricca di alimenti ultraprocessati – dalle bevande zuccherate agli snack confezionati, passando per i pasti pronti – potrebbe aumentare in modo significativo il rischio di sviluppare polipi intestinali precursori del tumore al colon-retto a esordio precoce, noto come EOCRC (Early Onset Colorectal Cancer). A lanciare l’allarme è uno studio pubblicato su JAMA Oncology e condotto dai ricercatori del Massachusetts General Brigham su circa 30mila persone, che mostra come il consumo abituale di questi prodotti sia associato a un incremento concreto del 45% del rischio già prima dei 50 anni, in una fascia d’età dove i casi sono in preoccupante crescita. I risultati indicano che contenere il consumo di alimenti ultra-processati potrebbe rappresentare una strategia chiave per contrastare la crescita dei casi di cancro del colon-retto a esordio precoce, mettendo in luce come la qualità della dieta contemporanea giochi un ruolo probabilmente più rilevante e finora sottovalutato nella prevenzione di questa patologia.

Lo studio in questione, pubblicato su JAMA Oncology e intitolato Ultraprocessed Food Consumption and Risk of Early-Onset Colorectal Cancer Precursors Among Women, ha seguito per 24 anni 29.105 infermiere statunitensi della Nurses’ Health Study II, nate tra il 1947 e il 1964, tutte sottoposte ad almeno un’endoscopia inferiore prima dei 50 anni. Le partecipanti hanno compilato questionari alimentari ogni quattro anni, consentendo di stimare il consumo medio di alimenti definiti “ultraprocessati”, come snack confezionati, bevande zuccherate, piatti pronti industriali, prodotti da fast food. In media, il 34,8% delle calorie giornaliere proveniva da questi prodotti, corrispondenti a circa 5,7 porzioni al giorno. Il dato più significativo è il seguente: le donne che consumavano più alimenti ultraprocessati presentavano un rischio di sviluppare adenomi convenzionali superiore del 45% rispetto a quelle che ne consumavano meno, anche tenendo conto di altri fattori che possono influenzare la salute. Per quanto riguarda, invece, le lesioni seghettate, non è stata rilevata un’associazione significativa. Un aspetto interessante dello studio è che l’associazione risulta “lineare”: «Più ultraprocessati si consumano, maggiore è la probabilità che si formino polipi», osserva il professor Andrew Chan.

Il messaggio è chiaro: ridurre il consumo di alimenti ultra-processati può aiutare a prevenire il tumore colorettale nei più giovani, puntando su scelte alimentari più consapevoli e su una dieta che protegga l’equilibrio dell’intestino. Non si tratta, però, di una dimostrazione di causa-effetto, ma di una forte correlazione in uno scenario osservazionale. I ricercatori spiegano che, sebbene la dieta rappresenti un fattore importante, non è l’unica spiegazione del fenomeno del tumore del colon-retto a esordio precoce. Il contesto è allarmante: in molti Paesi ad alto reddito si registra un aumento delle diagnosi di tumore colorettale tra gli adulti sotto i 50 anni, un fenomeno che non trova spiegazione esclusivamente nel miglioramento della diagnostica o nella maggiore sorveglianza. Le possibili ragioni meccaniche includono l’effetto combinato degli additivi, l’infiammazione intestinale, alterazioni del microbiota e un più basso consumo di fibre nei regimi alimentari dominati da prodotti ultraprocessati. Questo suggerisce la possibilità che la riduzione, e non necessariamente l’eliminazione totale, di questi alimenti possa avere un effetto protettivo.

Alla luce dei dati emerge che, oltre all’importanza di mantenere uno stile di vita sano (esercizio fisico regolare, peso corporeo adeguato, consumo di frutta, verdura e fibre), bisogna guardare con attenzione anche al “tipo” di alimenti che compongono la dieta quotidiana. Gli alimenti ultra-processati dovrebbero essere limitati, in particolare da chi ha altri fattori di rischio per il tumore colorettale, come familiarità, sovrappeso o diabete. È anche un invito alla politica sanitaria e alle campagne educative affinché promuovano la prevenzione, l’accesso e l’adozione di alimenti minimamente processati, specialmente nelle fasce di età più giovani. Infine, la sorveglianza clinica non va trascurata: ovunque vi siano sintomi come cambiamenti nelle abitudini intestinali, sangue occulto o perdita di peso inspiegabile, è opportuno rivolgersi al medico senza attendere che l’età “arrivi” alla soglia tradizionale dei 50 anni.

Pace in Ucraina: Trump dà 6 giorni a Zelensky per accettare, l’UE rema contro

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«L’Ucraina si trova di fronte a una scelta molto difficile: o la perdita di dignità o il rischio di perdere un partner chiave». A dirlo è il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che nelle scorse ore ha commentato il piano elaborato dall’amministrazione Trump per porre fine alla guerra con Mosca. Allineata a quella della Casa Bianca è parsa proprio la posizione del presidente russo Vladimir Putin, secondo cui «il piano può servire come base per terminare il conflitto». D’altronde le trattative sono state condotte dalle delegazioni statunitensi e russe, tagliando fuori Ucraina e Unione europea, a cui l’esecutivo guidato da Zelensky si è rivolto per elaborare una controrisposta alla pace di Donald Trump. Nel frattempo il Tycoon ha lanciato un ultimatum a Kiev: accettare il piano entro giovedì 27 novembre o prepararsi a perdere il sostegno americano, quindi armi e intelligence. Dal Cremlino rincalza Putin: «conquisteremo altri territori se l’Ucraina rifiuta».

La divergenza di vedute tra Trump e Zelensky era cosa nota, apparsa evidente durante l’incontro di inizio anno alla Casa Bianca, conclusosi con un’umiliazione del presidente ucraino da parte dell’omologo statunitense. In quell’occasione Trump gli disse: «Non hai le carte per vincere», frase che ha ricordato ieri durante il punto stampa allo Studio Ovale. «Ad un certo punto [Zelensky] dovrà accettare qualcosa», ha aggiunto, facendo riferimento  al piano elaborato dalla sua amministrazione, in particolare dall’inviato speciale Steve Witkoff e dal segretario di Stato Marco Rubio, confrontatisi con la controparte russa guidata da Kirill Dmitriev. «Qualsiasi piano di pace deve fermare le uccisioni preservando la sovranità ucraina, essere accettabile sia per la Russia che per l’Ucraina, massimizzare le probabilità che la guerra non riprenda», ha scritto il vicepresidente americano JD Vance, definendo fantasiosa l’idea che l’Ucraina possa vincere la guerra se gli Stati Uniti dessero a Kiev più soldi e armi o imponessero maggiori sanzioni a Mosca.

La bozza che circola al momento (pubblicata ieri su L’Indipendente) vede un piano articolato in 28 punti, che includerebbe tra le varie cose un accordo di non aggressione tra Russia, Ucraina ed Europa; stop all’ulteriore espansione della NATO; neutralità costituzionale dell’Ucraina e riduzione delle forze armate a 600mila unità; piano globale di ricostruzione del Paese; riconoscimento della Crimea, Lugansk e Donetsk come regioni russe. Il blitz dell’amministrazione Trump ha colto di sorpresa Zelensky, che per il momento prende tempo non chiudendo la porta al piano, e gli alleati europei. Dopo aver scaricato su questi ultimi il peso economico del sostegno all’Ucraina — traendo profitto dalle armi pagate da loro e inviate a Kiev — Trump taglia fuori l’UE dalle trattative. La ricerca dell’utile continua, tra l’altro, anche nel piano di pace: secondo il punto numero 14, gli USA otterrebbero metà dei profitti legati alla ricostruzione dell’Ucraina.

L’Europa, guidata dalla cosiddetta coalizione dei volenterosi, sta preparando una controrisposta. Se ieri Zelensky ha parlato con Vance, il ministro degli Esteri ucraino Andrii Sybiha ha avuto una telefonata congiunta coi ministri degli Esteri di Francia, Regno Unito, Polonia, Finlandia e con la rappresentante degli affari esteri dell’UE Kaja Kallas, che nelle scorse ore ha dichiarato: «qualsiasi piano per porre fine alla guerra deve includere Ucraina ed Europa». A margine del confronto, a cui hanno partecipato anche dei rappresentanti di Italia e Germania, Sybiha ha dichiarato: «abbiamo discusso in dettaglio gli elementi delle proposte di pace presentate dagli Stati Uniti e il nostro lavoro congiunto per aprire una strada percorribile verso una pace giusta». Questa mattina, durante il G20 di Johannesburg, il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa ha invitato i leader “affini” presenti a partecipare a una riunione sull’Ucraina. Nei prossimi giorni dovrebbe poi far seguito, a margine del vertice UE-UA (Unione Africana), un incontro tra i 27 leader dell’Unione europea.