Due incendi boschivi hanno distrutto circa 2.100 ettari nella Patagonia argentina, nelle province di Chubut e Río Negro, colpendo aree di pregio ambientale e produttivo. Uno dei roghi ha interessato il parco nazionale Los Alerces ed è stato contenuto dopo giorni di intervento delle squadre di emergenza. Le autorità parlano di negligenza umana: produttori hanno denunciato che il fuoco sarebbe partito da un’azienda rurale lungo il fiume Negro dopo la combustione non autorizzata di sterpaglie. Sono stati distrutti boschi nativi, coltivazioni, strutture agricole e linee elettriche; la fauna è stata gravemente danneggiata. Proseguono bonifica e verifica dei danni.
Tempesta di neve a New York: dichiarato stato d’emergenza
Francia: è morta Brigitte Bardot, aveva 91 anni
Brigitte Bardot, attrice e cantante francese diventata un’icona internazionale negli anni Cinquanta e Sessanta, è morta in ospedale all’età di 91 anni. Raggiunse la fama mondiale con E Dio creò la donna (1956), incarnando per due decenni l’archetipo del sex symbol. Nata a Parigi nel 1934, iniziò come ballerina e modella prima di affermarsi nel cinema e nella musica. Nel 1973 si ritirò dalle scene per dedicarsi all’attivismo animalista, fondando una propria fondazione. Negli anni successivi le sue posizioni politiche radicali e alcune condanne per odio razziale hanno segnato una figura pubblica sempre più controversa. Negli ultimi mesi era stata ricoverata in clinica per problemi di salute.
Corte dei Conti, la riforma è legge: scudo erariale permanente e risarcimenti limitati
Con un’approvazione lampo e un’inusuale seduta nel periodo natalizio, il Parlamento ha reso definitiva una riforma organica della Corte dei Conti che ne ridisegna profondamente poteri e funzioni. La fretta è stata giustificata dalla scadenza dello scudo erariale temporaneo, prorogato fino a fine 2025, che il nuovo testo rende permanente. Modifiche controverse riguardano poi due aspetti sostanziali della riforma: l’introduzione di un tetto massimo al risarcimento per danno erariale e l’espansione abnorme del controllo preventivo, con l’inedita previsione di un meccanismo di silenzio-assenso. Secondo i critici, si tratta di un doppio colpo alla tutela del patrimonio pubblico, che finisce per alleggerire in modo irragionevole il peso della responsabilità per funzionari e amministratori.
Il cuore critico della riforma approvata risiede nella drastica limitazione della responsabilità risarcitoria. D’ora in poi, per danni erariali accertati senza dolo o colpa grave, l’importo da pagare da parte del condannato non potrà superare il 30% del danno accertato, né comunque oltrepassare l’ammontare di due annualità della sua retribuzione lorda. Una misura che trasforma radicalmente la natura del risarcimento. Questo “doppio tetto” ha immediatamente sollevato forti perplessità circa la sua ragionevolezza e il possibile futuro vaglio di costituzionalità. L’effetto, secondo gli oppositori, è infatti quello di una «enorme deresponsabilizzazione dei pubblici amministratori che scaricano sulla collettività il restante danno erariale». Come ha sottolineato l’Associazione dei magistrati della Corte dei Conti, il risarcimento viene infatti «trasformato in una sanzione limitata», mentre la parte rimanente la pagheranno «i cittadini con le tasse».
La seconda colonna controversa dell’intervento legislativo è la totale rivisitazione del sistema dei controlli preventivi. Viene infatti introdotto un controllo “a chiamata”, esteso a tutti gli appalti «sopra soglia» Ue, che di fatto consegna agli stessi amministratori la chiave per attivare o meno la verifica della Corte. Un dirigente ha tre opzioni: può chiedere un semplice parere, sottoporre l’atto a controllo preventivo vero e proprio oppure agire in autonomia. Nei primi due casi, però, se la Corte dei Conti non risponde entro trenta giorni (termine estendibile al massimo fino a novanta), scatta automaticamente il «silenzio assenso»: il parere si intende favorevole e il funzionante sarà esente da qualsiasi futura responsabilità erariale per quell’atto. Tale meccanismo, raccontato dai promotori della riforma come strumento di snellimento, nasconde secondo i critici paradossi e rischi significativi. In primo luogo, non essendo previsto alcun aumento di organico per la Corte, si prefigura un ingolfamento dell’istituzione. L’associazione dei magistrati contabili ha già paventato il rischio di un collasso nel caso i Comuni decidano di inviare in massa gli atti attuativi del PNRR per ottenere il visto. L’ingolfamento, a sua volta, alimenterebbe automaticamente il meccanismo del silenzio-assenso, creando di fatto dei «salvacondotti preventivi» su misura.
La riforma completa il suo disegno con una seconda parte, demandata a futuri decreti delegati, che prevede una profonda riorganizzazione interna dell’istituzione. Saranno accorpate le sezioni centrali regionali e i magistrati dovranno svolgere funzioni sia di controllo che giurisdizionali e consultive, in un contesto di crescente mole di lavoro. Contemporaneamente, si sancirà la separazione tra le funzioni requirenti e giudicanti. Si tratta di cambiamenti strutturali che, uniti alle modifiche operative, fanno temere un indebolimento sistemico dell’organo di vigilanza. L’associazione Libera ha parlato senza mezzi termini di «un provvedimento che depotenzia drasticamente le funzioni di controllo della Corte dei Conti e la responsabilità dei funzionari per i danni finanziari causati alla pubblica amministrazione», inserendolo in «un’azione di progressivo e sistematico indebolimento delle istituzioni indipendenti di controllo».
La motivazione ufficiale del governo, quella di contrastare la «paura della firma» per sbloccare l’azione amministrativa, viene considerata dalle opposizioni e dagli osservatori una «foglia di fico». Il principio di responsabilità personale per i danni causati all’erario, cardine di una sana amministrazione, viene svuotato di sostanza. Il M5S evidenzia però una palese disparità di trattamento: «La paura della firma, infatti, è propria di tutti i professionisti, si pensi ai medici o agli avvocati: i cittadini cioè rispondono sempre e comunque delle proprie azioni, mentre, con il disegno di legge, si afferma nuovamente il principio che gli uomini di potere non rispondono pienamente dei danni causati». Il giudizio complessivo dei magistrati contabili è durissimo e suona come un monito: «Oggi si scrive una pagina buia per tutti i cittadini. Si tratta di una scelta che segna un passo indietro nella tutela dei bilanci pubblici e inaugura una fase in cui il principio di responsabilità nella gestione del denaro dei cittadini risulta sensibilmente indebolito».
Guatemala, bus precipita in un burrone: 15 morti
Almeno 15 persone, tra cui un minore, sono morte e altre 19 sono rimaste ferite in Guatemala dopo che un pullman è precipitato in un burrone profondo quasi 75 metri. Il mezzo viaggiava da Città del Guatemala verso il dipartimento di San Marcos, al confine con il Messico. L’incidente è avvenuto ieri nel dipartimento di Sololá, in una zona montuosa oltre i 3.000 metri di altitudine nota come Cumbre de Alaska, caratterizzata da strade accidentate e frequente nebbia. Le cause sono ancora sconosciute. Il governo ha proclamato tre giorni di lutto nazionale.
USA-Venezula, tensione sempre più alta: Maduro accusa Trump di pirateria
Cresce la tensione tra Venezuela e Stati Uniti. Gli attacchi autorizzati dalla Casa Bianca verso decine di imbarcazioni al largo delle coste venezuelane hanno causato la morte di oltre 100 persone, come denunciato da un gruppo di esperti incaricati dall’ONU. Questi ultimi hanno sottolineato l’illegalità del blocco navale americano, di fatto «un uso proibito della forza militare» che attiva «un diritto di legittima difesa» per lo Stato vittima. Il Venezuela è in stato di mobilitazione, di fronte a quelli che il suo presidente, Nicolás Maduro, ha definito atti di «pirateria e saccheggio delle risorse di Stati sovrani», invitando l’omologo Donald Trump ad abbandonare le mire espansionistiche, suscettibili di rendere il Paese caraibico un nuovo teatro della terza guerra mondiale a pezzi.
Continuano le operazioni militari statunitensi al largo delle coste venezuelane, a distanza di oltre due mesi dalle prime minacce. Il dispiegamento di migliaia di soldati si affianca agli affondamenti di almeno venti piccole imbarcazioni accusate di narcotraffico, che hanno causato più di 100 esecuzioni extragiudiziali. Secondo la Casa Bianca, il governo di Maduro foraggerebbe il traffico di stupefacenti nell’ambito del Cartel de los Soles, la cui stessa esistenza non è stata ancora verificata. Le accuse, unitamente al rispolvero del ruolo del poliziotto del mondo e all’accondiscendenza degli alleati, hanno permesso agli Stati Uniti di stringere la morsa intorno al Venezuela, mettendo nel mirino il petrolio di cui è ricco. Se formalmente le azioni statunitensi sono mosse dalla volontà di spezzare il presunto sostegno di Maduro al narcotraffico, l’interesse economico e le pressioni politiche per un cambio di regime sono evidenti.
Pochi giorni fa, Trump ha dichiarato che gli Stati Uniti terranno il carico di petrolio venezuelano (4 milioni di barili) sequestrato al largo delle coste di Caracas. In un intervento al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, l’ambasciatore statunitense Mike Waltz ha dichiarato che «gli Stati uniti faranno tutto ciò che rientra nel loro considerevole potere per proteggere il nostro emisfero, i nostri confini e il popolo americano». Il rispolvero della dottrina Monroe a distanza di 2 secoli dalla sua messa a punto ha incontrato l’indignazione del Venezuela. Nella stessa sede, Samuel Moncada, il rappresentante di Caracas all’ONU ha infatti descritto le azioni di Washington come la «più grande estorsione della nostra storia», accusando l’amministrazione Trump di «saccheggio, depredazione e ricolonizzazione».
Oltre all’indignazione dello Stato caraibico, gli attacchi USA hanno attivato il Consiglio ONU per i diritti umani, che ha delegato un’indagine a un gruppo di 4 esperti indipendenti. Secondo questi ultimi, «non esiste alcun diritto di imporre unilateralmente delle sanzioni tramite un blocco armato», il quale si configura come «un uso proibito della forza militare» che attiva «un diritto di legittima difesa» per lo Stato vittima. Il gruppo di esperti ha poi auspicato delle indagini ulteriori sulle morti causate dagli attacchi USA, contro il basilare diritto alla vita.
Se continuerà, la guerra politico-economica del petrolio avrà ripercussioni sull’intero mercato energetico globale (e globalizzato), rischiando di consegnare a quella che Papa Francesco definiva la terza guerra mondiale a pezzi un nuovo tassello strategico. Cina e Russia hanno condannato in sede ONU la pressione militare ed economica esercitata dagli Stati Uniti sul Venezuela; l’Europa, trincerata nel silenzio, conferma invece la marginalità geopolitica in cui si è impantanata negli ultimi tempi.
Taiwan, terremoto di magnitudo 6.4
Un terremoto di magnitudo 6.4 ha scosso la costa nord-orientale di Taiwan, alle 23:05 locali (16:05 italiane). Al momento, l’agenzia meteorologica dell’isola non segnala vittime o danni particolari anche se l’attenzione resta alta. L’epicentro si è registrato in mare, al largo della contea di Yilan, a una profondità di circa 90 chilometri. Il sisma è stato avvertito anche in Giappone, in particolare sulle isole Ishigaki e Iriomote.
Ok dal Senato: la riforma della Corte dei Conti è legge
Con 93 voti a favore, 51 contrari e 5 astenuti, il Senato ha approvato in via definitiva il disegno di legge sulla Corte dei Conti, confermando il testo licenziato dalla Camera. Sono stati infatti respinti tutti gli emendamenti presentati dai partiti di opposizione. Tra le varie misure, la riforma riduce il risarcimento per danno erariale, dovuto cioè da funzionari e amministratori che causano un danno economico allo Stato.
La menzogna del riarmo spiegata punto per punto, a partire dalle parole
Pochi giorni prima di Natale il Capo di stato maggiore della difesa del Regno Unito, Richard Knighton ha lanciato il suo annuncio-bomba: «Le famiglie devono essere pronte a mandare i loro figli e le loro figlie in guerra contro la Russia». Mentre in Europa, e in Italia di conseguenza, la parola più usata dalla politica è riarmo, il Regno Unito si prepara a mobilitare la sua popolazione. E per farlo, tuona Knighton, è necessario che le scuole incoraggino i ragazzi ad abbandonare gli studi. «Abbiamo bisogno di più persone che lascino la scuola per entrare in questo settore. (…) Abbiamo bisogno che i genitori e le scuole incoraggino i bambini e i giovani a intraprendere la carriera militare». Presto comunque, le famiglie «sapranno cosa significa il sacrificio per la nostra nazione». Knighton precisa che le possibilità di un attacco russo sono remote, ma intanto è necessario militarizzare la società e prepararsi a un’economia di guerra.
Una profezia che avrebbe dovuto far inarcare più di qualche sopracciglio, ma che invece è passata quasi inosservata se non accolta con favore da tutti coloro che guardano con favore al riarmo dell’Europa, come il nostro ministro Crosetto, e che nel clima bellicista di questi ultimi tempi sembrano non averne mai abbastanza. Lo scorso marzo era stata la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ad aprire le danze, tuonando a gran voce che era necessario riarmare l’Europa. E da quel momento fu tutto un susseguirsi di dichiarazioni entusiaste, almeno sulla carta, nei confronti del nuovo, grandioso piano che prese il nome di ReArm Europe (riarmo europeo), poi prudentemente rinominato Readiness 2030 (prontezza 2030). Il dibattito politico ha ruotato attorno alla necessità, vera o apparente, di concludere in fretta il riarmo dell’Europa. Peccato che non esista nessun riarmo. E che la parola riarmo sia il classico esempio di come le parole vengano usate per manipolare l’opinione pubblica e pilotarne le emozioni; ciò che una buona propaganda si prefigge di fare.
L’antitesi della parola riarmo è il sostantivo disarmo. Un’Europa disarmata è un’Europa indifesa, sostengono i fautori della dottrina della deterrenza. L’utilizzo della parola riarmo, infatti, non è casuale. Lascia presupporre e che esista una debolezza, una vulnerabilità che il Nemico, ovviamente disumanizzato e spietato come ogni Nemico che si rispetti, vuole e può sfruttare in ogni momento per invaderci, distruggerci e assoggettarci al suo potere. La parola riarmo fa leva su una paura ancestrale: l’essere indifesi. E chi mai vorrebbe esserlo davanti a un Nemico esiziale come la Russia? Ecco allora che il riarmo diventa necessario, un obbligo morale, un’urgenza che non può essere disattesa in alcun modo.
Peccato però che l’Europa non sia mai stata disarmata. Dopo il crollo del muro di Berlino e la fine della guerra fredda ci furono effettivamente un paio di anni in cui la spesa militare decrebbe, per poi tornare ad assestarsi su una tendenza abbastanza stabile. Nel 2024 prima del grande piano di riarmo, l’Europa spendeva già più del doppio della Russia. Il Centro Studi Europeo riporta che: «L’ampio divario tra spesa russa ed europea nel 2024 suggerisce cautela nel concludere che sia necessario un forte aumento della spesa militare». Badate bene, aumento dice e non riarmo. «La spesa militare russa è in buona parte destinata a rimpiazzare le ingenti perdite sul campo di mezzi e munizioni sostenute dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina. Di conseguenza, nel 2024 l’aumento degli arsenali russi è stato ben inferiore a quello suggerito dalla sua spesa militare. La spesa europea non viene invece erosa da attività belliche e quindi va interamente, per la componente relativa agli armamenti, a incrementare le capacità di difesa».
Sempre nel 2024 la spesa degli Stati membri nel settore della difesa aveva raggiunto i 343 miliardi di euro, facendo registrare un aumento per il decimo anno consecutivo. In parole povere la spesa militare in Europa era già cresciuta esponenzialmente prima dell’invasione russa dell’Ucraina. Ma perché è così importante? Perché le parole che usiamo creano la realtà. Letteralmente. Le parole non sono mai soltanto parole, sono orizzonti. Chiamare il riarmo attraverso la formula «ulteriore e ingiustificato aumento della spesa militare» per rilanciare le politiche espansionistiche e le industrie morenti di Francia, Germania e Regno Unito non avrebbe avuto lo stesso effetto.
Naturalmente la parola riarmo non è stata l’unica parola usata in questi ultimi mesi allo scopo di manipolare l’opinione pubblica. Il podio in classifica lo merita «la leva obbligatoria su base volontaria», il nuovo diktat della Germania. Anche se a giudicare dalle manifestazioni rabbiose degli studenti e dei giovani scesi in piazza non ha attecchito fino in fondo.
Già rodati e collaudati, invece, sono «gli attacchi di difesa preventiva», un’espressione che è tutta un programma. La dottrina della Difesa Preventiva, tanto amata oggi da Israele, fu ampiamente usata da Bush per giustificare l’invasione dell’Iraq, in cerca di quelle fantomatiche «armi biologiche di distruzione di massa» paventate da Powell, allora segretario di Stato. Powell al termine del suo mandato ammise di essersi sbagliato. Il suo celebre discorso all’ONU rappresentò una macchia indelebile alla sua carriera, scuse che però non resuscitarono le centinaia di migliaia di civili morti in Iraq, che dopo l’invasione statunitense divenne l’epicentro del terrorismo, una conseguenza diretta di quella guerra di difesa preventiva che era stata combattuta proprio con lo scopo di prevenire il terrorismo.
Ma la Storia non insegna, tant’è che il nostro italianissimo Cavo Dragone, presidente del comitato militare Nato, valuta «cyber attacchi preventivi» contro la Russia. Queste terminologie che possono suonare comiche, astruse, perfino banali in realtà fanno una grande presa sul nostro inconscio, spingendoci a normalizzare e ad accettare dichiarazioni che formulate diversamente avremmo aberrato. Nella nostra memoria risuona il detto «meglio prevenire che curare», un’espressione che fa parte del bagaglio mnemonico collettivo: ecco allora che la guerra e gli attacchi divengono una forma di prevenzione. E colui che li attua va quasi a sovrapporsi alla figura benevola del medico che somministra al paziente uno stile di vita volto ad assicurarne il benessere e la salute.
Sono tantissime le parole, le espressioni, i titoli giornalistici che quotidianamente vengono usati su di noi e contro di noi per spingerci a normalizzare la guerra o a interpretarla sotto una determinata prospettiva: basti pensare al diverso trattamento riservato a israeliani e palestinesi nei titoli e negli articoli di giornale. I primi sono sempre vittima di «stragi», sono «uccisi, colpiti, assassinati», i secondi, invece, sono «danni collaterali» di attacchi missilistici contro cellule terroristiche. Di rado vengono uccisi, almeno nella terminologia giornalistica, perché la parola «ucciso» implica la presenza di un assassino e di un colpevole da ricercare e condannare. I palestinesi semplicemente muoiono. «Morti 100/200/300 (e via dicendo) palestinesi a Gaza» recitano i giornali; perché il verbo morire è qualcosa di molto più naturale; si muore di malattia, incidenti, vecchiaia. I palestinesi muoiono o semplicemente cadono morti come i frutti che cadono dall’albero.
Di esempi ce ne sarebbero ancora tantissimi, ma c’è un’ultima chicca che vorrei condividere, la punta di diamante della dottrina del riarmo, e di ogni propaganda bellica di ogni tempo, epoca e luogo. Un’arma propagandistica che nonostante sia vecchia quanto il mondo non ha mai perso d’efficacia e che alimenta tutta la retorica del riarmo, o più precisamente del nuovo esponenziale aumento della spesa militare in Europa: l’invasione barbarica. Questa è un’arma propagandistica difficile da combattere non soltanto perché fa leva su una paura ancestrale, ma perché storicamente non si tratta di una minaccia inventata. Nel corso della storia tutti i popoli del mondo sono stati invasi e hanno subito invasioni su larga scala. Diventa davvero difficile perciò riuscire a distinguere tra minacce reali e minacce inventate.
Oggi il ruolo di nuovo, temibile invasore barbarico è stato affibbiato alla Russia. E la reale invasione russa dell’Ucraina ha contribuito ad alimentare questa paura. Naturalmente è una cosa ben diversa invadere i territori dell’Ucraina rispetto all’attaccare una coalizione di Stati Europei che fanno parte della Nato, ognuno dotato di apparati bellici e costretti a difendersi l’un l’altro in base all’Articolo 5. La Russia oggi viene descritta come una terra smaniosa di terre da conquistare (le nostre) e popoli da sottomettere (i nostri). Una visione che fa paura e giustamente spaventa; ma che non tiene conto né delle caratteristiche della Russia né della sua specificità. Quando diversi analisti provano a spiegare che la Russia, il più grande Stato al mondo che si estende su ben due continenti, non ha bisogni di nuovi territori, dato che il problema della Russia non è la mancanza di territori ma la mancanza di popolazione, perché sì la Russia è tra gli Stati più sottopopolati, viene banalmente etichettato come filoputiniano. Rintracciare nelle cause dell’invasione russa dell’Ucraina non una guerra combattuta con fini espansionistici ma con fini geopolitici ben precisi (la volontà della Russia di fare dell’Ucraina uno Stato-cuscinetto e di fermare l’avanzata della Nato) ha valso di volta a intellettuali, storici e opinionisti l’accusa di essere filo-russi. Non che la guerra tra Russia e Ucraina non sia qualcosa di aberrante, ogni guerra lo è, ma distorcerne le reali cause per evocare scenari fantomatici (invasione dell’Europa) rientra a pieno titolo della propaganda.
Il Nemico, nella propaganda, non è soltanto colui che compie azioni malvagie o moralmente discutibili (come iniziare una guerra d’invasione ad esempio) per perseguire i suoi fini; il Nemico non conosce limiti, freni o paure. Il Nemico è animato dal desiderio di assoggettare e depredare ogni angolo del pianeta, anche a costo di iniziare guerre contro intere coalizioni armate. La sua sete di conquista è illimitata, la sua malvagità inumana, e con la sua sola presenza rappresenta una minaccia esistenziale per ogni abitante del mondo civilizzato. Un ritratto simile è tanto macchiettistico quando irrealistico, sarebbe sembrato ridicolo perfino nelle pagine di qualche vecchia spy-story americana e in qualche romanzetto comunista di epoca staliniana, eppure è così ci è stato descritto Vladimir Putin negli ultimi quattro anni. Riumanizzare la figura di Putin non significa sminuire i suoi crimini o le sue tante colpe, ma significa restituire dignità intellettuale al discorso sulla guerra o sulla pace. Un’altra parola che oggi è stata spogliata di senso, significato e valore. La pace andrebbe costruita, lentamente e pazientemente, ma ovviamente la pace non è tra le priorità di quest’Europa e di quest’Unione che alimenta la discordia, fomenta le tensioni, foraggia e viene foraggiata dall’industria bellica e circuisce l’opinione pubblica a suon di propaganda. Ben conscia che, mi permetto di apportare una piccola modifica a questo celebre detto latino: si vis bellum, para bellum. Se vuoi la guerra, prepara la guerra. E devo ammettere che ci stanno riuscendo benissimo.







