domenica 14 Dicembre 2025
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Il Portogallo è stato paralizzato dal primo sciopero generale dopo 12 anni

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Era da 12 anni, dai piani di austerità imposti dall’Unione europea per superare la crisi economica, che i portoghesi non organizzavano uno sciopero generale. A farli tornare in piazza giovedì scorso è stata la riforma del lavoro presentata dal governo di centrodestra,  che renderà più semplici i licenziamenti e aumenterà la precarietà. Il progetto è stato descritto dai sindacati come «un’offensiva contro tutti i lavoratori, portoghesi e non». La classe lavoratrice ha così risposto in modo compatto e 3 milioni di persone non si sono presentate sul posto di lavoro, affiancate in piazza da una folta schiera di studenti, disoccupati e pensionati. Per 24 ore, il Portogallo è stato paralizzato dallo sciopero generale: si sono fermati i trasporti, le scuole sono rimaste chiuse, così come gli uffici pubblici, e diverse fabbriche hanno interrotto la produzione. I sindacati rilanciano, minacciando ulteriori mobilitazioni fino al ritiro del progetto di riforma.

In Portogallo, in occasione del primo sciopero generale degli ultimi 12 anni, più della metà della forza-lavoro ha incrociato le braccia. Come dichiarato dai sindacati promotori, CGTP e UGT, 3 milioni di persone (su un totale di circa 5,5 milioni tra occupati e disoccupati) non si sono presentate sul posto di lavoro, aderendo invece alle varie manifestazioni sparse per il Paese. La più partecipata è stata quella della capitale, Lisbona, dove si sono registrati anche degli scontri tra la polizia e un gruppo di manifestanti arrivati davanti al Parlamento. Nonostante questo episodio, il decorso della mobilitazione è stato sostanzialmente pacifico. Non sono mancati però i disagi, tra trasporti locali in tilt, uffici pubblici chiusi, corse di treni e voli cancellati. Questi ultimi hanno interessato molti italiani che si sono visti cancellare il rientro dopo la partita di calcio tra Benfica e Napoli disputatasi a Lisbona.

«Lo sciopero generale che si tiene oggi è uno dei più grandi di tutti i tempi, se non il più grande di tutti i tempi», ha dichiarato Tiago Oliveira, segretario di CGTP, il maggiore sindacato del Portogallo. Di fronte alla massiccia partecipazione, Oliveira ha parlato di una «forza inequivocabile che chiede salari più alti e maggiori diritti», schieratasi contro la riforma del lavoro presentata dal governo di Luís Montenegro. Rispolverando la retorica neoliberista dello «stimolare la crescita economica», l’esecutivo di centrodestra ha messo a punto una riforma che colpisce la stabilità lavorativa. Il tutto in un Paese dove già attualmente 1,3 milioni di lavoratori si trovano in una condizione di precarietà, alle prese, tra le altre cose, con un mercato immobiliare impazzito. Tra il primo trimestre del 2024 e quello del 2025, i prezzi delle case sono ad esempio aumentate del 16,3 per cento, registrando la crescita più marcata tra i membri dell’Unione europea.

Uno dei punti della riforma presentata dal governo colpisce il reintegro del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo, rendendolo facoltativo; un altro amplia invece i termini per i contratti a tempo determinato e altre situazioni di precarietà. Dopo la bocciatura popolare, il governo guidato da Luís Montenegro è atteso in Parlamento, dove la proposta di riforma dovrà essere discussa. Il rischio di bocciatura è alto; quello di Montenegro è infatti un governo di minoranza che al momento si regge sull’astensione del Partito Socialista. Sarà dunque da vedere se la mossa dell’esecutivo rafforzerà la deregolamentazione in Portogallo o, spinta dalla mobilitazione popolare, sarà il passo falso che porterà a una nuova crisi di governo, la quarta dal 2022 ad oggi.

Palmira, attentato a soldati siriani e USA: 3 morti

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Mentre erano impegnati in un pattugliamento congiunto a Palmira, città della Siria centrale, dei militari statunitensi e siriani sono caduti in un’imboscata. Dalle prime ricostruzioni, ad aprire il fuoco sarebbe stato un miliziano dell’ISIS. Attualmente si contano due soldati e un interprete statunitensi uccisi, oltre a diversi feriti. Lo riferisce l’agenzia di stampa statale siriana Sana, spiegando che l’aggressore è stato ucciso.

IA generativa: anche Walt Disney sale a bordo del grande business

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Nonostante sia famosa per difendere le proprie proprietà intellettuali con le unghie e con i denti, The Walt Disney Company ha scelto di stringere un’alleanza strategica con OpenAI. Il colosso dell’intrattenimento ha concesso in licenza all’azienda di intelligenza artificiale 200 dei suoi personaggi più iconici e, al tempo stesso, ha investito un miliardo di dollari nella società guidata da Sam Altman attraverso un’operazione di equity investment. La mossa, descritta dal CEO Bob Iger come un modo per “salire a bordo” di una tecnologia in grado di “stravolgere il modello di business” della casa di Topolino, segna un cambio di passo rilevante, evidenziando la necessità per Disney di presidiare un settore in rapida evoluzione, trasformando l’intelligenza artificiale generativa da potenziale minaccia a leva di innovazione.

La notizia è stata diffusa giovedì 11 dicembre attraverso due comunicati congiunti che annunciano l’avvio di un accordo triennale. L’intesa prevede la concessione in licenza una lista di personaggi che è ancora argomento di trattativa, tuttavia sono già stati nominati esplicitamente Topolino, Stitch, Simba, Elsa di Frozen, ma anche figure provenienti dai franchise Marvel e Star Wars quali Deadpool, Capitan America, Darth Vader e Yoda. Queste IP saranno messe a disposizione dell’intelligenza artificiale generativa di OpenAI, con particolare attenzione a Sora, la piattaforma capace di produrre clip video di 30 secondi. Iger, intervistato da CNBC, ha però chiarito che OpenAI potrà utilizzare le proprietà intellettuali in esclusiva per un anno, precisando con una certa enfasi che l’accordo non comprende le voci originali dei personaggi.

Disney ha imposto una serie di paletti rilevanti, riservandosi il diritto di limitare l’uso del proprio brand per “prevenire la generazione di contenuti illegali o dannosi”. L’azienda si è inoltre garantita la facoltà di selezionare alcune delle clip prodotte da Sora, con l’intento di distribuirle sulla piattaforma di streaming Disney+. Restano poco chiari gli oneri che OpenAI dovrà sostenere per la licenza, tuttavia quel che è certo è che il miliardo di dollari versato da Disney rappresenta una boccata d’ossigeno per Altman, il quale è alla guida di un’impresa perennemente in perdita e che, di recente, avrebbe lanciato un “codice rosso” per la paura di perdere la propria posizione dominante nel settore dell’intelligenza artificiale. 

Curiosamente, sempre ieri, Disney ha inviato a Google una lettera di diffida, accusando la Big Tech di una “violazione volontaria particolarmente allarmante” delle sue proprietà intellettuali, “perché sta sfruttando il suo dominio nell’IA generativa e in molti altri mercati per rendere i suoi servizi di IA illeciti il più disponibili possibile”. La mossa ricalca quanto già visto nella causa intentata contro Midjourney e conferma l’approccio protezionista che da sempre contraddistingue il gigante dell’animazione. Nel corso della sua storia, il ramo statunitense di Disney ha infatti esercitato un’influenza diretta sulla stesura di leggi volte ad ampliare la durata dei suoi diritti d’autore e perseguito con minuziosa petulanza chiunque abbia rappresentato i suoi personaggi senza autorizzazione, arrivando persino a colpire gli asili nido.

Perché, allora, adottare un approccio tanto diverso nei confronti di OpenAI? Non esiste una spiegazione ufficiale che chiarisca questa dissonanza, tuttavia la scelta sembra dettata da esigenze pragmatiche: l’accordo consente a Disney di partecipare finanziariamente a una possibile rivoluzione tecnologica e di non rischiare di restare indietro rispetto a nuovi attori emergenti. Considerando che una parte consistente delle produzioni di IA generativa si muove in aperta violazione dei diritti d’autore, la compagnia potrebbe aver dunque deciso di monetizzare, indirizzare e governare un fenomeno di cui, altrimenti, avrebbe subito passivamente. Da qui la decisione di concentrare le proprie risorse su un interlocutore riconoscibile come OpenAI, il quale ha certamente un suo pedigree, ma è meno dotato della forza e della complessità contrattuale di altri giganti del settore. Quali Google, per esempio. Si tratta in ogni caso di un approccio che appare più prudenziale che entusiastico, con Bob Iger convinto che l’intelligenza artificiale non sia (ancora) in grado di sostituire i creativi della sua scuderia, tuttavia, nel dubbio, l’azienda ha annunciato che diventerà cliente di OpenAI, così da mettere gli strumenti di IA a disposizione dei propri dipendenti.

Bielorussia, Lukashenko grazia 123 prigionieri

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Il presidente della Bielorussia Aleksandr Lukashenko ha graziato 123 prigionieri, tra cui l’esponente dell’opposizione Maria Kolesnikova e Ales Bialiatski, l’attivista per i diritti umani vincitore del premio Nobel per la Pace nel 2022. La scarcerazione è avvenuta nell’ambito di un più ampio accordo raggiunto col presidente USA Donald Trump per revocare le sanzioni americane alla Bielorussia. Liberati anche 5 cittadini ucraini, come riferito dal presidente Volodymyr Zelensky, che ha lodato «gli sforzi congiunti con gli Stati Uniti».

La Catalogna dichiara lo stato di emergenza a causa della peste suina

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BARCELLONA – La Generalitat della Catalogna ha diramato lo stato d’emergenza per contenere la diffusione di un nuovo focolaio della peste porcina africana. Il virus, per il momento, la situazione sembra essere sotto controllo, ma il rischio epidemico è tale da mettere gravemente in pericolo il settore della carne di suino, uno dei mercati essenziali dell’economia catalana e spagnola. I primi casi sono datati 26 novembre, quando a Bellaterra, in un’area limitrofa del Parco Naturale della Collserola (alla periferia di Barcellona), sono stati rivenuti i cadaveri di due cinghiali. Nel corso delle due settimane successive, fin quando è stata approvata l’applicazione dello stato di emergenza, i casi di cinghiali infetti sono saliti a tredici, spingendo le autorità a dichiarare l’emergenza e il blocco delle esportazioni di carne.

Immediatamente la Generalitat, in accordo con la Commissione Europea, ha adottato misure di contenimento per evitare che il virus possa diffondersi fuori dal perimetro nel quale sono stati ritrovati i vari cinghiali infetti. Per 91 municipi dell’area sono state imposte alla popolazione restrizioni d’accesso ai parchi naturali, alle zone boschive, ai prati, ai campi coltivati e ai sentieri di campagna esterni alle aree urbane, fatta eccezione per le aree di accesso delle case. Inoltre si proibisce il trasporto di mandrie fuori dall’area d’alto rischio e l’introduzione di maiali domestici e prodotti d’origine suina all’interno del territorio. A questo si aggiunge il divieto di caccia, escludendo l’attività necessaria per contrastare il virus.

Intanto nel perimetro circostante al rinvenimento dei due primi casi è stata definita una fascia di controllo di venti chilometri, che include il Parco Naturale della Collserola, nel quale è stata messa in moto una ricerca approfondita di eventuali altri cinghiali infetti o resti di cibo contaminato.

Il virus, che non rappresenta rischi per gli esseri umani, né per le specie animali che non siano suine, può presentare una carica virale molto alta e, in alcuni casi, la mortalità dovuta all’infezione raggiunge il 100% delle probabilità. Le vie di trasmissione possono essere oronasali, cutanee, subcutanee ed endovenose e il periodo di incubazione oscilla tra i tre e i ventuno giorni. Nonostante al momento non sia stato riscontrato alcun tipo di infezione in maiali, né d’allevamento, né domestici, la diffusione del virus può avvenire attraverso contatto tra animali, ingestione d’alimenti, trasporto, contatto con abbigliamento e parassiti. 

Nonostante il virus non rischi di compiere il salto di specie e risultare così pericoloso per la salute degli umani, la diffusione tra i cinghiali si sta ripercuotendo rapidamente sull’economia legata al settore. La crisi ha portato alla sospensione delle esportazioni di prodotti derivati dal suino a più di quaranta paesi nel mondo, tra i quali si annoverano Russia, Brasile, Stati Uniti, Messico e Giappone. La Cina, invece, principale importatore di prodotti spagnoli derivati dal suino, continua a mantenere gli accordi commerciali, applicando delle restrizioni esclusivamente ai prodotti provenienti dalla provincia di Barcellona. Soltanto lo scorso novembre, in occasione della visite dei reali di Spagna a Pechino e dell’incontro tra Felipe VI e Xi Jinping, il colosso asiatico aveva approvato tre nuovi protocolli destinati a beneficiare il settore della pesca e della carne di suino. Nel 2024 le esportazioni spagnole verso la Cina hanno raggiunto le 540.000 tonnellate con un valore superiore al miliardo di euro. 

Il blocco delle destinazioni d’esportazione si è riflesso rapidamente anche nel mercato interno: in poco più di due settimane il valore della carne di maiale all’ingrosso ha subito un calo drastico per tre volte, raggiungendo in queste ultime ore la cifra di 1,04 euro al chilo. La conseguenza diretta colpisce violentemente il settore dell’allevamento, che già per la prossima settimana stimano una perdita economica media di 31 milioni di euro, che si sommano ai 30 milioni persi dal ritrovamento dei cinghiali infetti. Inoltre, la crisi sta colpendo anche le persone che lavorano nel settore; negli ultimi giorni 458 persone impiegate nei macelli dell’area hanno subito una sospensione del contratto di lavoro da parte di Grupo Jorge, azienda aragonesa di prodotti carnici.

Resta da capire l’origine del virus: nonostante non sia ancora stata data una spiegazione ufficiale, il Ministero dell’Agricoltura ha annunciato l’apertura di un’investigazione. Difatti, il primo cadavere di cinghiale sarebbe stato rinvenuto a cento metri dal centro di ricerca IRTA CreSA che negli ultimi giorni stava lavorando sul virus. Nonostante ciò non si scartano altre ipotesi, tra le quali la possibilità che il virus provenga da resti di salumi infetti provenienti dall’estero gettati nella spazzatura in un’area vicina al parco naturale della Collserola.

Se da un lato questa situazione mette in evidenza il disastro economico che potrebbe esplodere in caso di epidemia tra gli allevamenti, dall’altro gli effetti e le responsabilità della crisi non sono da limitare alla diffusione del virus. Negli ultimi anni la Catalogna ha visto un incremento senza eguali della produzione di prodotti derivati dal suino attraverso un processo che ricalca le caratteristiche delle monocolture intensive. Come affermato da Javier Guzmán, direttore della ONG Justicia Alimentaria, il collasso scaturito dalla crisi è il risultato di un mercato gestito da poche aziende ma che fa sì che un intero territorio, tanto umanamente, quanto ambientalmente, sia organizzato verso un’unica attività economica. Questo processo, monopolizza la forza lavoro e si fonda su un paradossale circolo vizioso nel quale, a volte,  due impostazioni economiche fondate su questo principio sono relazionate, come nel caso delle monocolture intensive di soia e mais che diventano il mangime destinato all’allevamento dei maiali. 

Il settore della carne di maiale, motivo d’orgoglio per le istituzioni nazionali e comunitarie, si è dimostrato fragile. Nonostante la situazione non sia ancora divenuta tragica, l’affidabilità economica di questo colosso leader nel settore alimentare in Europa e nel mondo ha già iniziato a vacillare.

Cortina ’26: gli sprechi e i costi reali delle olimpiadi

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Il conto alla rovescia è quasi terminato: il 6 febbraio 2026 iniziano le Olimpiadi invernali Milano Cortina, appuntamento che è stato presentato attraverso un’unica parola d’ordine: sostenibilità. Come spesso accade i grandi eventi fanno però rima con costi elevati in termini economici, sociali e ambientali e le “nostre” Olimpiadi non fanno eccezione, a cominciare dalla pista da bob di Cortina la cui spesa da 47 milioni è lievitata a un totale di 124 milioni di euro. Quello dello Sliding Center “Eugenio Monti” – luogo dove si disputeranno le gare di bob, skeleton e slittino – è un caso così pa...

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“Troppi errori”: Nature ritira lo studio catastrofista sui costi dei cambiamenti climatici

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Uno studio scientifico, secondo cui il cambiamento climatico costerebbe 38 trilioni di dollari all’anno entro il 2049, è stato ritirato in seguito a due commenti diffusi ad agosto sulla qualità dei dati e sulla metodologia adottata. The economic commitment of climate change, pubblicato il 17 aprile 2024 su Nature, analizzava l’impatto delle variazioni di temperatura e precipitazioni sulla crescita economica globale. Sotto accusa per aver sovrastimato gli effetti economici del cambiamento climatico, i ricercatori del Potsdam Institute for Climate Impact Research (PIK) hanno ammesso gli errori, aggiungendo che le modifiche sono «troppo sostanziali per una correzione» per una semplice rettifica, portando alla ritrattazione dell’articolo. Una decisione che comporta anche una botta alla reputazione dell’antica rivista scientifica britannica, affossando uno lavoro che è stato citato ben 168 volte e consultato oltre 300mila volte, ripreso da media, analisti finanziari e documenti sul rischio climatico, inclusi quelli di alcune banche centrali per giustificare politiche green.

Il lavoro, firmato da Maximilian Kotz, Leonie Wenz e Anders Levermann, si inseriva nel filone dell’economia climatica empirica, che tenta di quantificare l’impatto diretto delle variabili climatiche sulla crescita del PIL. Utilizzando dati storici su temperatura, precipitazioni e reddito pro capite di oltre 1.600 regioni nel mondo, lo studio applicava modelli econometrici non lineari per stimare come deviazioni climatiche persistenti influenzino la produttività economica. La tesi centrale era che una quota consistente dei danni futuri fosse già “incorporata” nel sistema economico, a causa delle emissioni passate, anche in scenari di rapida mitigazione. Da qui la cifra shock: 38 trilioni di dollari di perdite annue entro metà secolo, pari a circa il 19% del reddito globale. Si tratta di una delle stime più elevate mai apparse su una rivista scientifica generalista.

Le prime contestazioni sono emerse pochi mesi dopo, sotto forma di commenti tecnici (“Matters Arising”) pubblicati su Nature. I critici hanno individuato da subito problemi specifici: anomalie nei dati economici di alcuni Paesi – in particolare una serie storica dell’Uzbekistan tra gli anni Novanta e Duemila – che, per via della struttura del modello, esercitavano un peso sproporzionato sulle stime globali. Altri rilievi riguardavano la gestione dell’incertezza statistica, giudicata insufficiente rispetto all’ampiezza delle conclusioni. Secondo i commentatori, correggere quei problemi riduceva drasticamente l’entità dei danni stimati e ampliava gli intervalli di confidenza, rendendo le cifre headline molto meno solide. Dopo una rianalisi interna e la pubblicazione di una versione rivista come preprint, gli stessi autori hanno riconosciuto che le modifiche non erano compatibili con una semplice correzione, portando al ritiro completo dell’articolo. È il sesto articolo ritirato dalla rivista Nature quest’anno, dal 27 gennaio a oggi. Le ritrattazioni non rappresentano di per sé un fallimento del procedimento scientifico, ma uno dei suoi meccanismi fondamentali di autocorrezione. Il problema emerge quando studi ancora provvisori o metodologicamente fragili vengono rapidamente trasformati in strumenti di legittimazione politica, regolatoria o finanziaria, prima che il dibattito scientifico abbia fatto il suo corso. In questi casi, il danno non riguarda solo la qualità della ricerca, ma anche la fiducia del pubblico nelle istituzioni scientifiche.

La decisione di Nature di ritirare l’articolo ha avuto un’eco amplificata sui social media, dove molti utenti hanno bollato i ricercatori come “corrotti”, e utilizzato il caso per bollare l’intero cambiamento climatico come una “truffa politica”. Tuttavia, la ritrattazione di The economic commitment of climate change non dimostra che l’intera scienza del clima sia una farsa né che i danni economici del riscaldamento globale siano inventati, evidenzia semmai la necessità di distinguere tra ricerca scientifica, narrazione mediatica e uso politico dei risultati. Al di là del dibattito sulle origini antopriche o meno, la letteratura scientifica sull’impatto del “cambiamento climatico” su ecosistemi, agricoltura, salute umana e sistemi socio-economici comprende migliaia di studi indipendenti, modelli fisici, osservazioni satellitari e valutazioni interdisciplinari, che non dipendono da un singolo articolo. Detto ciò, stime estreme, se comunicate senza l’adeguata cautela metodologica, possono alimentare sensazionalismo e allarmismo, portando a strumentalizzazioni ideologiche, a maggior ragione su temi così controversi e divisivi. La lezione non è quella di screditare la scienza, ma di ricordarne i limiti e le responsabilità, in un periodo in cui essa, invece, è finita per assurgere a culto infallibile. Tra modelli complessi, incertezze statistiche e decisioni pubbliche esiste un passaggio delicato che richiede rigore, trasparenza e sobrietà comunicativa.

Droni tra Russia e Ucraina: morti a Saratov, blackout e feriti a Odessa

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Almeno due persone sono morte nelle ultime ore dopo un attacco di droni ucraini contro la regione russa di Saratov, nel sud-ovest del Paese. Il governatore Roman Busargin ha riferito di danni a diversi appartamenti di un edificio residenziale e alla rottura di finestre in un asilo e in un policlinico, entrambi vuoti al momento dell’attacco. Il ministero della Difesa russo ha dichiarato di aver abbattuto 41 droni ucraini durante la notte. In Ucraina, raid russi hanno colpito infrastrutture energetiche a Kherson e Odessa, causando blackout diffusi e almeno quattro feriti.

Uscire dall’infanzia?

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L’infanzia non è irreversibile. L’aurora della vita si può ripresentare ogni giorno nel ciclo stesso di ogni giornata, come una rinascita. Questo avviene, ad esempio, se decidiamo di tornare a scuola, se cioè ci prendiamo del tempo e assumiamo l’atteggiamento dello stupore che porta a un insegnamento continuo, a un ricominciare a imparare qualcosa di nuovo, senza porci il problema che rappresenti sempre una conferma – questa sì che è vecchiaia, una vecchiaia non anagrafica ma ideologica, che riduce i margini delle nostre espressioni, che ci fa sentire inadatti, prigionieri dello stress di aderire sempre a ciò che ci viene proposto o imposto.

La curiosità che ne può scaturire sta su due fronti: una curiosità oggettiva, verso le cose, verso tutto ciò che abita il mondo e una curiosità soggettiva, quella ad esempio che il bambino, l’essere bambino, il sentirsi bambino attira verso di sé come portatore di una logica differente dall’adesione automatica ai luoghi comuni.

Il bambino allora catalizza l’interesse degli altri che gli riconoscono una identità, un modo stupefatto di vedere le cose, di insegnarci un linguaggio che ha una sua logica imprendibile ma generosa. Un bambino che prende sul serio la realtà perché gioca, la smonta e ne esce per poi ricominciare a esplorare.

Partiamo dall’idea che il bambino non deve diventare qualcun altro. Altrimenti finirebbe come Pinocchio, che dopo aver attraversato le vicende più straordinariamente simboliche, aver incontrato i personaggi più strampalati e quelli più saggi, si trasforma irreversibilmente da burattino di legno a “burattino” in carne e ossa, perché deve gettare via se stesso come nel finale della storia di Collodi, quando Geppetto mostra al Pinocchio, diventato “buono” e “ragazzino perbene”, quella sua “buffa”, legnosa identità di prima, appoggiata a una seggiola. Ha osservato acutamente Giorgio Manganelli che Pinocchio, in realtà, «non sarebbe mai più stato né burattino né ragazzo. Pinocchio ritrova la felicità dinamica della puerizia, la sua vocazione ad iniziare».

Grande tema l’infanzia, tema filosofico, esistenziale che ci interroga sull’essere, e sul restare, umani in un mondo che impone passaggi come prove di inevitabile crescita, quasi di guarigione da quella condizione immaginifica, aperta all’imprevedibile che dovrebbe essere l’infanzia, quale condizione per scoprire e insieme immaginare: tenendo sempre, costantemente collegati questi due orizzonti.

Alessandro Gaudio ha scritto un libro che rappresenta anche una guida originale e importante su questi argomenti (Elogio dell’infanzia, Algra Editore 2025), incrociando le esperienze della soggettività tra apprendimento e lettura, mediante la letteratura ma nel superamento stesso del linguaggio. Il suo libro mi ha ricollegato a Wittgenstein e Popper maestri di scuola, a quella riforma scolastica nell’Austria di cent’anni fa, ispirata alla psicologia di Karl Bühler, che voleva andare contro l’idea di una scuola primaria diretta a formare piccoli uomini “delle classi lavoratrici del popolo, pii, buoni, docili e industriosi”. Andar contro per dare invece valore, nell’apprendimento, a fattori quali il contesto, il punto di vista, la reciprocità.

«Viaggiare fino all’isola remota e marginale dell’infanzia – scrive Gaudio – significa tentare di mantenersi in quello stato di assoluta libertà, staccarsi dal tempo in cui viviamo», attivare i contro-codici della memoria e della immaginazione, superando la repressione della fantasia che vorrebbe impedire qualsiasi legame «tra infanzia ed espressione artistica, tra infanzia e poesia». Anche per interrompere la catena distruttiva dell’istruzione permanente e di una obbediente pedagogia degli adulti.

USA, revocate sanzioni al giudice che ha processato Bolsonaro

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Gli Stati Uniti hanno revocato le sanzioni imposte al giudice della Corte suprema brasiliana Alexandre de Moraes, che aveva presieduto il processo conclusosi con la condanna a oltre 27 anni di carcere dell’ex presidente Jair Bolsonaro per tentato colpo di Stato. Le sanzioni, introdotte a luglio mentre il procedimento era ancora in corso, prevedevano il congelamento di eventuali beni negli USA e il divieto di rapporti economici con cittadini statunitensi. Erano state applicate in base al Global Magnitsky Act, con l’accusa di censura, detenzioni arbitrarie e indagini politicizzate, in particolare contro Bolsonaro, alleato di Donald Trump.