martedì 9 Dicembre 2025
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Blackout telecomunicazioni: Lampedusa e Linosa isolate da una settimana

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Da una settimana Lampedusa e Linosa sono isolate da internet e telefono a causa della rottura del cavo sottomarino in fibra ottica che collega le isole alla Sicilia. Funzionano solo alcune linee Tim e connessioni satellitari private come Starlink, con gravi disagi per residenti e servizi: uffici, banche e poste sono senza rete, i POS inutilizzabili e non è possibile prelevare contanti. Il cavo, lungo 57 chilometri e partente da Licata, sarebbe stato danneggiato da un’imbarcazione, ma le cause non sono certe. I lavori di riparazione sono stati rallentati dal maltempo. Il sindaco Filippo Mannino ha chiesto l’intervento della Protezione civile, segnalando rischi per l’ordine pubblico.

Il processo per le torture nel carcere di Santa Maria Capua Vetere rischia di essere affossato

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Uno dei processi più importanti della storia recente del nostro Paese rischia di essere silenziosamente disinnescato. Il dibattimento per le violenze e le torture inflitte ai detenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere il 6 aprile 2020, in piena ondata pandemica, potrebbe infatti subire una battuta d’arresto fatale dopo tre anni di udienze e decine di testimonianze agli atti. Nello specifico, la minaccia giunge da un ricorso alla Corte Costituzionale che alcuni difensori dei 105 imputati intendono sollevare, contestando la recente sostituzione del presidente del collegio giudicante. Una mossa che le parti civili temono possa essere un pretesto per far deragliare l’intero procedimento.

La vicenda processuale si è complicata dopo che il presidente originario, Roberto Donatiello, è stato trasferito alla Corte d’Appello di Napoli. Al suo posto è subentrata la magistrata Claudia Picciotti, che ha prontamente proseguito il calendario delle udienze verso una possibile sentenza nel 2026. Tuttavia, nella cornice dell’ultima udienza, alcuni avvocati difensori hanno chiesto alla Corte di sollevare una questione di legittimità costituzionale presso la Consulta, sostenendo una violazione del principio del giudice naturale precostituito per legge (articolo 25). Contestualmente, hanno anche formalmente richiesto alla Corte d’Appello di Napoli il provvedimento che dispone il trasferimento del giudice Donatiello. Secondo molti osservatori, si tratterebbe di una strategia dilatoria, finalizzata a rallentare il processo nella speranza che per alcuni imputati il reato di tortura possa essere derubricato a lesioni, divenendo così soggetto a prescrizione. La decisione spetta ora alla giudice Picciotti, che dovrebbe pronunciarsi nel merito già in occasione della prossima udienza.

Nella primavera del 2020, durante le prime settimane di lockdown a causa della pandemia da Covid-19, nel centro di detenzione campano scoppiarono violenti tafferugli sfociati dalle proteste dei detenuti a causa della difficile situazione sanitaria e il sovraffollamento delle celle, che rendevano impossibile il distanziamento sociale. Le telecamere di sicurezza ripresero la reazione brutale della polizia penitenziaria, che utilizzò manganelli, calci, pugni e testate contro i detenuti, spesso inermi e barcollanti. In seguito a questi eventi, diversi agenti furono sospesi dal servizio. Il processo avviato dall’inchiesta della Procura ha ipotizzato per circa cinquanta pubblici ufficiali il reato di tortura, fattispecie introdotta nel 2017, sottoposta negli ultimi anni al fuoco di fila dei principali azionisti della maggioranza di governo: all’inizio della legislatura, Fratelli d’Italia ha infatti presentato un progetto di legge alla Camera per abrogare il reato di tortura e istigazione alla tortura, proponendo invece l’introduzione di una nuova aggravante comune per adempiere agli obblighi internazionali derivanti dalla Convenzione contro la tortura (CAT), mentre il leader leghista e vicepremier Matteo Salvini ha più volte promesso ai poliziotti del Sap l’abrogazione del reato.

Il sindacato di Polizia Penitenziaria Uspp ha chiesto ripetutamente il reintegro degli agenti che, dopo i fatti, furono sospesi, affermando che la sospensione avrebbe causato gravi difficoltà economiche ai poliziotti penitenziari, soprattutto a quelli con posizioni considerate meno gravi. Grazie all’intervento di Andrea Delmastro, Sottosegretario alla giustizia del governo guidato da Giorgia Meloni, 22 agenti erano stati riammessi in servizio nell’agosto del 2023. Nell’estate dello scorso anno, sono stati raggiunti da altri sei membri della polizia penitenziaria coinvolti nel processo, che hanno ottenuto il reintegro. Nel settembre 2024, poi, altri 9 agenti sono potuti tornare al loro posto di lavoro.

La tangentopoli ucraina è arrivata al cerchio magico di Zelensky

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Un sistema di tangenti e appalti truccati nella società statale dell’energia nucleare Energoatom, con richieste del 10-15% su vari contratti. È l’accusa avanzata dalle agenzie anticorruzione NABU e SAPO nei confronti di politici e imprenditori ucraina che avrebbero rubato allo Stato una cifra tra i 75 e i 100 milioni di euro. L’inchiesta ha portato alla luce un sistema radicato, capace di prosperare nell’ombra sfruttando l’emergenza bellica come scudo politico, malgrado la retorica riformatrice del governo. La tangentopoli ucraina si è trasformata in un terremoto politico che si spinge fino al “cerchio magico” di Volodymyr Zelensky che, quando arrivò governo nel 2019, portò con sé una trentina di fedelissimi provenienti dal mondo dello spettacolo. Oggi, travolti da scandali e defezioni, di quel gruppo non è rimasto più nessuno.

Fra i principali indagati figura Timur Mindich, imprenditore ed ex socio di Zelensky nello studio di produzione Kvartal 95 fondato prima dell’elezione, individuato come presunto “deus ex machina” della pista corruttiva e fuggito in Israele poco prima delle perquisizioni. Le rivelazioni del deputato Oleksiy Goncharenko e del giornalista Volodymyr Boiko hanno portato alla luce un documento della NABU in cui si sostiene che l’oligarca avrebbe sfruttato la legge marziale, la sua amicizia con Zelensky e i legami con funzionari ed ex funzionari per arricchirsi illegalmente. Tra gli indagati figurano anche l’ex vicepremier Oleksiy Chernyshov, sospettato d’aver ricevuto 100mila euro e l’ex ministro dell’Energia (poi ministro della Giustizia) Herman Halushchenko. La ministra dell’Energia, Svitlana Hrynchuk, non ancora incriminata ma accusata d’omessa vigilanza, s’è dovuta dimettere. Nell’inchiesta è coinvolto anche Rustem Umerov, il capo del Consiglio di sicurezza nazionale, ex ministro della Difesa, che il leader ucraino ha scelto al posto del dimissionario Andry Yermak, per guidare la delegazione ucraina ai negoziati sul piano di pace. Il suo nome è emerso come possibile anello di congiunzione tra il sistema di tangenti e alcuni appalti nel settore della difesa, in particolare in relazione a forniture gestite da un gruppo che ruotava attorno a Mindich.

Per Zelensky il colpo è politico prima ancora che giudiziario. Il presidente aveva costruito il proprio consenso sulla promessa di sradicare le pratiche corruttive che affliggono l’Ucraina da decenni. Ora è proprio il suo cerchio magico a finire sotto accusa. E questo, come ha rimarcato lo stesso presidente Donald Trump dopo i colloqui in Florida, “complica le cose”. L’Operazione Midas è la radiografia di un sistema che si è arricchito lucrando sulla guerra e che, nonostante i proclami e gli appelli alla trasparenza, continua a replicare i suoi antichi vizi, mettendo in luce le fragilità di un sistema di potere accentratore, incapace di accettare critiche e incline a premiare la lealtà più dell’efficienza.

L’opinione pubblica assiste con crescente sfiducia, mentre tra gli alleati internazionali serpeggia il timore che lo scandalo possa indebolire non solo Zelensky, ma la credibilità stessa di Kiev nel momento più delicato del conflitto, in cui il piano di Trump per risolvere la crisi ucraina sta prendendo forma, nonostante i tentativi di sabotaggio degli “alleati” europei. Proprio ieri, Zelensky ha ricevuto un forte sostegno dal suo omologo francese Emmanuel Macron, che ha ribadito l’impegno degli europei per ottenere «una pace giusta e duratura». In conferenza stampa accanto al presidente francese, il leader ucraino ha nominato i tre punti al centro delle discussioni di questi giorni: la questione territoriale, il problema dei finanziamenti per la ricostruzione e le garanzie alla sicurezza da parte di Stati Uniti ed Europa. Punti che saranno all’ordine del giorno dell’incontro odierno tra l’inviato americano Steve Witkoff e Vladimir Putin. La Russia, ha spiegato il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, conta di avere dalla delegazione americana maggiori informazioni sulle proposte americane concordate con i negoziatori ucraini. Intanto, Mosca rivendica la liberazione e il controllo di Pokrovsk, città del Donetsk fulcro della guerra da mesi, e di Volchansk, nel Kharkiv. Secondo l’Institute for the Study of War (Isw), le forze russe hanno realizzato a novembre il loro più grande avanzamento sul terreno in Ucraina nell’ultimo anno, conquistando circa 700 chilometri quadrati.

Incendio Hong Kong, arrestate 13 persone per omicidio colposo

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La polizia di Hong Kong ha arrestato 13 persone con l’accusa di omicidio colposo a seguito dell’incendio nel complesso residenziale Wang Fuk Court, che ha distrutto sette torri e provocato almeno 151 vittime. Le prime verifiche indicano che il rogo è stato favorito da materiali e impalcature non conformi: reti plastiche, polistirolo e ponteggi di bambù che avrebbero accelerato la propagazione delle fiamme. Nei giorni successivi al disastro, le autorità hanno avviato un’indagine su presunti casi di corruzione e negligenza durante i lavori di ristrutturazione, mentre sale l’indignazione pubblica per le responsabilità su prevenzione e controlli.

Il movimento contro la militarizzazione delle scuole sta ottenendo importanti vittorie

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scuola osservatorio militarizzazione

Nel periodo in cui l’Italia sta per spendere la cifra più alta di sempre per la difesa (34 miliardi di euro complessivi, con un incremento di 1 miliardo in un solo anno) e il ministro della Difesa Crosetto ha annunciato una proposta di legge per reintrodurre il servizio militare in Italia, il movimento che si oppone alla militarizzazione delle scuole sta ottenendo importanti vittorie. Sono infatti numerosi gli eventi previsti negli istituti scolastici e universitari che sono stati cancellati grazie alle proteste di insegnanti e studenti.
Si parte da La Spezia, dove, alle scuole superiori, sare...

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PNRR, via libera all’ottava rata da 12,8 miliardi

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La Commissione Europea ha dato il via libera all’erogazione dell’ottava rata del PNRR all’Italia, dal valore di 12,8 miliardi di euro. La Commissione ha certificato che l’Italia ha raggiunto i 32 obiettivi previsti per l’ottenimento della rata, che includevano tra le varie cose, i settori della pubblica amministrazione, degli appalti pubblici, dell’occupazione, dell’istruzione, del turismo, delle energie rinnovabili e dell’economia circolare. In totale, dall’avvio del Piano, sono stati trasferiti all’Italia oltre 153 miliardi di euro complessivi, oltre i due terzi della cifra totale.

Esclusiva: il racconto dei tre italiani feriti dai coloni israeliani in Palestina

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DA TUBAS – PALESTINA OCCUPATA. «Quando abbiamo aperto la porta ci siamo trovati di fronte una decina di coloni israeliani a volto coperto. Due avevano dei fucili, gli altri dei bastoni, hanno iniziato a picchiarci con bastoni, calci e pugni». R. è una dei quattro internazionali – 3 italiani e un canadese – feriti all’alba di ieri, 30 novembre, in un agguato dei coloni nel villaggio palestinese a Ein al-Duyuk, nella Valle del Giordano. È stanca e ancora scossa, mentre racconta quanto accaduto in un’intervista telefonica a L’Indipendente. Chiede di non rivelare il suo nome per paura di nuove rappresaglie e ricomincia il racconto di una storia che appare incredibile, ma all’ordine del giorno nella Cisgiordania occupata. «A un certo punto hanno anche preso il caffè dalla cucina e hanno detto “vi piace il caffè arabo? Vi piace il caffè arabo?” E ce l’hanno buttato addosso», testimonia un’altra delle ragazze italiane aggredite. «Ci hanno preso a calci in faccia, ci hanno picchiato con i calci dei fucili nelle costole, sulle gambe, sulle braccia… il ragazzo che era con noi è quello che sta peggio, l’hanno anche ripetutamente colpito ai genitali».

I coloni sono violenti e fuori controllo. Nelle case i palestinesi e gli stranieri che vivono in Cisgiordania si danno i turni di guardia. R. spiega come è iniziato tutto: «Di solito gli attacchi non vengono mai fatti dopo le 3 di notte, più o meno è quella l’ora in cui il nostro turno di sorveglianza finisce». Erano circa le quattro quando abbiamo sentito delle voci e abbiamo visto la luce di una torcia; delle persone fuori dalla porta dicevano Italians italians wake up, Jews, jews” (italiani sveglia, ci sono gli ebrei). Questo era evidentemente fatto apposta per farci pensare che erano dei palestinesi che stavano cercando di avvertirci perché erano arrivati i coloni. Quindi un po’ nella confusione, svegliandoci di soprassalto, siamo andati alla porta e l’abbiamo aperta. Sono entrati i coloni e hanno iniziato a colpirci come furie. Ci hanno anche spruzzato del liquido addosso che pensiamo fosse alcol, e continuavano a chiederci da dove venivamo, che cosa facevamo lì, a dirci che dovevamo andarcene e non tornare mai più».

I quattro internazionali sono attivisti di Faz3a, la campagna palestinese attiva in Cisgiordania occupata che porta solidarietà nelle comunità sotto attacco da militari e coloni israeliani. Il racconto avviene da Ramallah, dove sono tornati per riposare a seguito delle cure nell’ospedale di Gerico. «È difficile dire quanto sia durato, però pensiamo più o meno una ventina di minuti – continua R. – I coloni sono andati via portandosi tutti i nostri averi, quindi telefoni, passaporti, gli zaini con tutto quello che avevamo, vestiti e quant’altro. Sono andati via dicendoci di nuovo che non dovevamo tornare. Appena sono spariti le persone del villaggio sono arrivate a soccorrerci, in realtà ci hanno detto che già stavano arrivando appena hanno sentito le urla, ma mentre salivano dalla collina hanno sentito che i due coloni armati stavano caricando i fucili, e quindi si sono fermati perché gli avrebbero sparato. I coloni gli hanno anche tirato delle pietre».

La violenza dei coloni contro i palestinesi è infatti ancora più grande. Se è vero che con gli internazionali si “limitano” solitamente ad attacchi squadristi di stampo intimidatorio, quando affrontano i palestinesi non si fanno problemi a causare ferite gravissime e, non di rado, a uccidere.

Secondo un rapporto dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA), sono almeno 700 i palestinesi a essere stati feriti nei 1600 attacchi fatti dai coloni dall’inizio del 2025. Il numero – che calcola solo gli attacchi con danni alle proprietà o vittime – è quasi raddoppiato rispetto all’anno passato. Enormi i danni alle proprietà palestinesi, dove spesso vengono prese di mira le infrastrutture idriche ed elettriche. Anche il numero di palestinesi uccisi dalla violenza colona è esploso: dal 7 ottobre 2023 sono stati almeno 34, inclusi tre bambini. 20 di essi sono stati uccisi dai coloni, mentre gli altri 14 sono stati colpiti dai proiettili di coloni e militari dell’esercito che sparavano fianco a fianco, testimoniando una totale collaborazione nello stesso intento di pulizia etnica. Sono almeno 3200 i palestinesi costretti a lasciare la propria casa e la propria terra proprio a causa del terrorismo dei coloni e delle restrizioni amministrative e demolizioni imposte da Tel Aviv. La maggior parte delle persone sfollate appartiene alle comunità beduine che risiedono nelle aree C, ossia le zone sotto il totale controllo amministrativo israeliano ma che – in base al diritto internazionale – dovrebbero essere parte dello Stato di Palestina.

La completa impunità assicurata ai coloni, specialmente dal 7 di ottobre, la legittimazione da parte di Tel Aviv della politica di occupazione e annessione illegale delle terre palestinesi e l’inazione internazionale nonostante il genocidio in corso, hanno dato carta bianca ai circa 700mila coloni presenti in Cisgiordania. Il ministro della sicurezza Ben Gvir si era impegnato per regalare loro circa 100 mila fucili, donati alle “squadre di sicurezza” delle colonie, le famose “settlers security”, che assomigliano molto alle milizie che nella storia italiana abbiamo conosciuto al tempo del fascismo. Secondo l’organizzazione israeliana per i diritti umani Yesh Din, almeno il 93% delle inchieste aperte dai giudici israeliani sulle aggressioni dei coloni si è chiuso senza condanne.

«Sì, a noi hanno fatto male, contusioni, ematomi vari, però è un minimo rispetto a quello che fanno continuamente ai palestinesi», conferma l’attivista. «La famiglia da cui eravamo ospiti ci ha quindi soccorso subito e ci ha portati in ospedale». «Noi eravamo lì a fare quella che preferiamo chiamare presenza solidale, perché non è più protettiva; ormai i coloni agiscono apertamente dato il silenzio della comunità internazionale anche dopo i due anni di quello che succede a Gaza. La nostra presenza permetteva almeno alle persone del villaggio di riposare un po’, e di poter dormire senza dover stare svegli tutta la notte temendo attacchi», continua. «Questo attacco è anche un attacco alla solidarietà internazionale. L’hanno fatto per spaventarci, per mandarci via. Ma non ce ne andremo da Ein al-Duyuk. Né dalla Cisgiordania sotto occupazione».

Le bande armate avanzano ad Haiti

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Le bande armate haitiane hanno lanciato diversi attacchi nel Paese, avanzando nelle regioni centrali. Da quanto comunicano le autorità, il 50% della regione di Artibonite è caduto sotto il controllo delle gang, che starebbero avanzando anche nel Dipartimento dell’Ovest. Gli attacchi si sono concentrati nelle città di Bercy e Pont-Sondé, tutt’ora sotto il controllo dei gruppi paramilitari. Le autorità comunicano che le bande avrebbero ucciso diversi residenti e bruciato alcune abitazioni, costringendo i cittadini alla fuga. Ignoti i numeri di morti e feriti.

L’UE vuole che i social media siano responsabili per le frodi che promuovono

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Il Parlamento e il Consiglio europei hanno raggiunto un accordo per far avanzare un pacchetto di norme volto a proteggere i cittadini dalle frodi finanziarie online. O, quantomeno, a garantire loro un risarcimento in caso di danno. Le nuove regole impongono infatti ai prestatori di servizi di pagamento dei controlli più rigorosi e, qualora i sistemi di prevenzione risultino inefficaci, li obbligano a coprire le perdite subite dai consumatori. Non solo: gli istituti finanziari avranno la possibilità di rivalersi sui social media che hanno ospitato o favorito le operazioni dei truffatori.

Sebbene l’intesa debba essere ancora adottata formalmente dalle istituzioni UE, questa è stata comunque annunciata con orgoglio lo scorso giovedì, 27 novembre. “I consumatori trarranno beneficio da nuove regole armonizzate sulla regolamentazione dei servizi di pagamento”, spiega René Repasi, Membro del Parlamento legato al Partito Socialdemocratico tedesco. “Verranno applicate misure obbligatorie di prevenzione contro le frodi che si tradurranno in un numero minore di truffe nei pagamenti. Le banche devono condividere più peso, se non fanno la loro parte“. Se gli strumenti adottati dovessero dimostrarsi comunque insufficienti a frenare le frodi, gli istituti finanziari dovranno risarcire pienamente i loro clienti, a patto però che le vittime denuncino il crimine alle autorità di polizia.

Le nuove norme – il Payment Services Regulation (PSR) e la Third Payment Services Directive (PSD3) – puntano a rafforzare la responsabilità delle banche, ma si estendono a tutte le tipologie di servizi di pagamento: dalle istituzioni specializzate ai conti correnti postali, fino ai fornitori tecnici. Pur senza menzionare esplicitamente realtà quali PayPal, l’obiettivo dichiarato è quello di innalzare gli standard di sicurezza per chiunque gestisca transazioni online, indipendentemente dalla veste commerciale in cui si identificano. Il pacchetto introduce inoltre garanzie sull’accesso al contante, maggiore trasparenza sulle commissioni, sistemi di open banking più flessibili e procedure di autorizzazione semplificate per i nuovi operatori.

Ancor più, il pacchetto di leggi introduce una svolta epocale che con ogni probabilità non mancherà di generare dissapori politici a livello internazionale: le realtà finanziarie che hanno coperto le perdite causate dalle frodi potranno, in alcuni casi, essere rimborsate dalle piattaforme online che hanno ospitato inserzioni legate alle truffe. Questa disposizione si affianca alle norme già consolidate – in particolare il Digital Services Act (DSA) – e colpisce social media, motori di ricerca e altri intermediari digitali che diffondono contenuti fraudolenti nonostante eventuali segnalazioni da parte del pubblico. Le aziende coinvolte, perlopiù Big Tech d’oltreoceano, dovranno inoltre assumersi l’onere di verificare che gli inserzionisti siano effettivamente autorizzati a offrire servizi finanziari nei Paesi in cui intendono pubblicare i loro annunci.

Le motivazioni di misure tanto incisive non sono difficili da intuire, chiunque abbia esplorato nei scorsi mesi sui social sarà incappato in pubblicità deepfake in cui vengono promosse strategie per ottenere in qualche modo soldi – l’ultima in cui siamo incappati in ordine di tempo aveva per protagonista un sedicente Marco Travaglio. Per avere un metro del fenomeno, basti sapere che a inizio novembre sono emersi documenti interni a Meta che hanno rivelato come il 10% del fatturato 2024 dell’azienda – circa 16 miliardi di dollari – sia stato ricavato da inserzionisti fraudolenti. Con simili cifre in ballo, viene difficile credere che basti affidarsi semplicemente alla buona volontà delle piattaforme per contrastare il fenomeno.

Poco sorprendentemente, la Computer & Communications Industry Association (CCIA) – la lobby europea che rappresenta Amazon, Google, Meta e Apple – ha bollato come “difettoso” il pacchetto normativo in discussione, sostenendo che le misure proposte sarebbero non solo inutili, ma persino controproducenti. A complicare ulteriormente la strada verso l’approvazione definitiva potrebbe essere la crescente disponibilità della Commissione europea ad alleggerire le proprie regole digitali, nel tentativo di assecondare le richieste dei fornitori di servizi e di smorzare le tensioni con l’Amministrazione Trump, che in più occasioni ha minacciato di reagire contro l’applicazione delle leggi europee ritenute penalizzanti per le grandi imprese tecnologiche statunitensi.

Tajikistan: cinque morti in attacchi dall’Afghanistan

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Il presidente del Tajikistan Emomali Rahmon ha annunciato che cinque persone sono state uccise in seguito ad attacchi con droni scagliati dall’Afghanistan nella scorsa settimana. L’annuncio arriva a margine di un incontro con le autorità di sicurezza del Paese, organizzato dopo che il ministro degli Esteri del Paese ha riferito di un attacco avvenuto lo scorso mercoledì, in cui sono stati uccisi tre cittadini cinesi; successivamente, spiega il presidente, si è verificato un altro attacco in cui sono stati uccise altre due persone e altre cinque sono rimaste ferite. L’Afghanistan ha commentato la vicenda affermando che gli attacchi sarebbero stati lanciati da gruppi che avrebbero l’obiettivo di destabilizzare il Paese.