mercoledì 17 Dicembre 2025
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La Sardegna verso il via libera alla fabbrica di bombe: i pacifisti si mobilitano

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La giunta regionale sarda guidata da Alessandra Todde è indirizzata a dare al più presto il via libera al raddoppio degli impianti della Rwm Italia, la controllata del colosso tedesco Rheinmetall che a Domusnovas, nel Sulcis, produce bombe, mine, droni e sistemi d’arma. Una decisione molto contestata, che sta per essere formalizzata e che rappresenta una sonora delusione per il fronte ambientalista e pacifista che aveva sostenuto l’elezione della governatrice, il quale promette già battaglia in tribunale e nelle piazze. L’approvazione, giustificata da Todde con i pareri tecnici favorevoli ricevuti e il rischio di commissariamento in caso di diniego, autorizzerebbe l’ampliamento di uno stabilimento che esporta ordigni verso teatri di guerra, sancendo la vittoria della logica industriale e occupazionale in un’area con un tasso di disoccupazione giovanile prossimo al 40%.

La decisione deve arrivare nel rispetto dei termini fissati da una pronuncia del TAR del mese scorso, che ingiunge alla Regione di deliberare entro il 16 dicembre. La governatrice, esponente del Movimento 5 Stelle, ha motivato la sua intenzione affermando di avere «un ruolo istituzionale da svolgere sino in fondo, piaccia o non piaccia». «Potrei strappare qualche applauso se dicessi no alla Valutazione di Impatto Ambientale per Rwm, negando una nuova autorizzazione per i manufatti già realizzati, e il giorno dopo mi ritroverei i tribunali e gli uffici dello Stato che commissariano la Regione – ha aggiunto la governatrice –. Il parere degli uffici della Regione va rispettato e applicato».

Tuttavia, questa giustificazione tecnica non ha placato le proteste. Il fronte del no, che riunisce associazioni come Italia Nostra, Usb Sardegna, il Comitato per la riconversione della Rwm e War Free, contesta radicalmente la validità della valutazione ambientale positiva. In una lettera inviata a Todde, che si è anche trasformata in una petizione su Change.org, gli ambientalisti evidenziano come lo stabilimento sia classificato «“ad alto rischio di incidente rilevante” realizzato all’interno dell’area di rispetto di un corso d’acqua ad alto rischio di esondazione». La domanda che pongono è tagliente: «come si può parlare di bassi rischi ambientali?».

La protesta, però, non si limita al profilo della sicurezza. Gli oppositori sollevano una pesante questione politica ed etica, ricordando che un’eventuale decisione positiva «consentirebbe di ampliare il business di una fabbrica che produce ordigni di tutti i tipi, persino Droni Killer israeliani, che esporta poi verso paesi impegnati nelle guerre in corso, come l’Arabia Saudita, l’Ucraina, la Turchia». I firmatari lanciano un appello alla governatrice: «Presidente Todde, la pace è la più grande opera di prevenzione delle catastrofi climatiche e della perdita del senso di umanità, Le chiediamo di spendersi in questa direzione. Ci troverà al suo fianco. C’è ancora un po’ di tempo, ci ripensi, non tradisca i suoi principi e quelli di chi ci ha creduto dandole il voto, ma anche di chi, pur non avendola votata, è pronto a sostenere con lei questa causa». Ove invece la Regione dovesse dare parere favorevole, avvertono gli scriventi, da parte loro «sarebbe scontato un ricorso al TAR».

L’intenzione della governatrice crea frizioni anche all’interno della sua maggioranza. Mentre da partiti come Pd, Verdi e Orizzonte Comune è calato un imbarazzato silenzio, Sinistra Futura ha annunciato il suo voto contrario in giunta. Il segretario regionale di Rifondazione Comunista, Enrico Lai, ha parlato senza mezzi termini di «scelta scellerata». La decisione risulta ancora più stridente considerando il contesto in cui Todde l’ha preannunciata: un convegno nazionale dell’Arci a Cagliari dedicato a promuovere collaborazione e pace nel Mediterraneo.

Il nodo centrale rimane quello occupazionale. La Rwm, che nel 2023 ha registrato un utile di 19 milioni di euro, rappresenta un datore di lavoro cruciale in un’ex area mineraria in cerca di riscatto. L’ampliamento promette nuovi posti in un territorio stremato. Tuttavia, i critici accusano l’azienda di aver già ampliato alcuni reparti frazionando i lavori, eludendo così le norme della Via.

Con l’imminente via libera politico, nel Sulcis aumenterebbe la produzione di bombe, droni, testate per missili e sistemi subacquei. Per la Rheinmetall si tratterebbe di un affare importante, per i movimenti pacifisti di una ferita e per Alessandra Todde di una pesante grana politica. La battaglia, in attesa del voto formale della giunta, è già iniziata e si prepara a spostarsi sui tavoli del TAR, oltre che nelle piazze sarde. Una mobilitazione trasversale – che unisce ambientalisti, antimilitaristi, sindacati di base e una parte del mondo cattolico, anche sulla scia di recenti prese di posizione della Conferenza Episcopale – si prepara a far sentire la sua voce contro quella che considera una scelta immorale e pericolosa.

Iran, attacchi nel Belucistan: 3 guardie rivoluzionarie morte

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Oggi nella provincia iraniana sudorientale del Sistan e Belucistan, situata vicino al confine con il Pakistan, si è verificato un attacco ai danni di membri della Guardia Rivoluzionaria, in seguito a cui sono morti tre pasdaran. Da quanto comunicano i media iraniani, i membri dei pasdaran sono caduti in una imboscata mentre pattugliavano un’area montuosa nei pressi della città di Lar. Nessun gruppo ha ancora reclamato l’attacco. L’area del Belucistan è spesso teatro di scontri e attacchi da parte di gruppi separatisti attivi tanto in Iran quanto in Pakistan.

La pace di Trump tra Thailandia e Cambogia è già finita: mezzo milione in fuga

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In meno di due mesi dalla tregua mediata da Donald Trump a Kuala Lumpur, la pace fra Thailandia e Cambogia è già crollata: oltre 500 mila persone sono state costrette ad abbandonare le proprie abitazioni dopo i nuovi scontri al confine. Lunedì la Thailandia ha lanciato attacchi aerei sulla vicina Cambogia, con entrambe le parti che si incolpano per i rinnovati combattimenti sul confine conteso. L’escalation militare tra i due Paesi rientra in una storia di rivalità pluridecennale sulla demarcazione coloniale dei loro 800 chilometri di confine e sulla sovranità rivendicata su alcuni templi.

Gli scontri di questa settimana sono i più sanguinosi dai cinque giorni di combattimenti di luglio, che hanno causato 43 morti e circa 300 mila sfollati su entrambi i lati del confine, prima che fosse concordata una tregua precaria mediata dagli Stati Uniti. Il 26 ottobre le due parti avevano firmato un accordo di cessate il fuoco, sotto l’egida di Trump. Una tregua fragile che si è sgretolata in poche settimane, con gli scontri che si sono estesi a nuove aree del confine, costringendo a un esodo di massa di civili. Bangkok e Phnom Penh si incolpano a vicenda per la ripresa dei combattimenti, che il 9 dicembre si sono estesi a cinque province dei due Paesi. Lunedì l’esercito thailandese ha colpito con raid aerei le postazioni cambogiane lungo il confine. Phnom Penh denuncia almeno quattro civili uccisi, Bangkok parla di un soldato morto e rivendica azioni difensive. I governatori delle province di frontiera hanno annunciato l’evacuazione di decine di migliaia di persone. In molte zone si segnalano code chilometriche e fughe disperate, con famiglie che abbandonano ogni bene. «I civili hanno dovuto evacuare in gran numero a causa di quella che abbiamo valutato come una minaccia imminente alla loro sicurezza. Oltre 400 mila persone sono state trasferite in rifugi sicuri» in 7 province, ha spiegato ai giornalisti il portavoce del ministero della Difesa thailandese, Surasant Kongsiri. In Cambogia, «101.229 persone sono state evacuate in rifugi sicuri e presso le case dei parenti in 5 province», ha dichiarato invece la portavoce del ministero della Difesa Maly Socheata.

Il conflitto fra Thailandia e Cambogia non è una novità: la disputa su quella frontiera si trascina da un secolo e riguarda soprattutto aree contese in base a vecchie mappe coloniali, con al centro siti di grande valore storico e simbolico. Le violenze di confine più gravi risalgono proprio agli scontri intorno al tempio di Preah Vihear tra il 2008 e il 2011, che causarono almeno 28 morti e costrinsero all’evacuazione di decine di migliaia di residenti locali. Nel corso degli anni, la contesa ha ripetutamente alimentato sentimenti nazionalistici in entrambi i Paesi e ciclici scontri armati. La tregua di ottobre, raggiunta grazie all’intervento del presidente degli Stati Uniti e agli sforzi diplomatici di Cina e Malesia, sembravano aver rappresentato un raro successo, tantoché la Cambogia aveva persino candidato Trump al Premio Nobel per la Pace. L’accordo prevedeva la riduzione delle truppe lungo il confine, il dispiegamento di osservatori e l’accelerazione delle operazioni di sminamento. Tuttavia, il patto era apparso in bilico già il mese scorso, quando la Thailandia ne aveva sospeso l’attuazione accusando la Cambogia di aver piazzato nuove mine nelle aree contese.

Ora, il ritorno dei bombardamenti chiude brutalmente quella che Trump aveva presentato come una pace storica. Di fronte all’escalation, la comunità internazionale ha lanciato appelli al contenimento. Giorni fa il segretario di Stato americano Marco Rubio aveva invitato entrambe le parti a rispettare gli impegni presi a Kuala Lumpur, chiedendo la rimozione delle armi pesanti dal confine, il coordinamento della rimozione delle mine terrestri e altre misure. Sul campo, tuttavia, le posizioni rimangono rigide. Durante un evento politico in Pennsylvania, il presidente statunitense ha commentato la ripresa degli scontri, annunciando di dover fare una telefonata «per far finire la guerra». «Ho risolto otto guerre, inclusa quella fra Thailandia e Cambogia, che oggi hanno ripreso. Domani le chiamerò. Chi può fare una telefonata e risolvere una guerra?», ha ribadito Trump.

Australia: vietati i social ai minori di 16 anni, è il primo Paese al mondo

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L’Australia diventa il primo Paese al mondo a vietare per legge l’accesso ai social network ai minori di 16 anni. Il divieto riguarda Facebook, Instagram, TikTok, X, Snapchat, Threads e Reddit, ma anche YouTube e Twitch, inizialmente escluse, oltre a Kick. Per il momento sono esentate le piattaforme usate per messaggiare o giocare, tra cui Discord, Messenger, Pinterest, Roblox, WhatsApp e YouTube Kids. La normativa, era stata approvata dal Parlamento australiano su impulso del Primo Ministro Anthony Albanese il 28 novembre del 2024, per tutelare la salute mentale dei minorenni. Negli ultimi anni, la letteratura scientifica ha accumulato dati sulla correlazione tra uso precoce dei social e aumento di ansia, depressione, disturbi del sonno e difficoltà di attenzione, dipendenza da stimoli rapidi e gratificazione immediata.

Il Social Media Minimum Age Bill prevede il divieto di accesso ai principali social network per i minori di 16 anni, spostando l’onere della verifica dell’età sulle piattaforme. La legge segna un passaggio che potrebbe aprire una nuova stagione di regolamentazione globale delle piattaforme digitali. Non saranno i genitori a dover dimostrare l’età dei figli, ma le aziende tecnologiche, chiamate a impedire l’iscrizione e l’uso dei social agli adolescenti. In caso di violazioni sono previste sanzioni fino a 50 milioni di dollari australiani, circa 28,5 milioni di euro. Il provvedimento nasce in un clima di crescente allarme pubblico per il benessere mentale dei giovani e intercetta un consenso diffuso. Le Big Tech e parte di accademia e società civile, da Amnesty alla Commissione diritti umani australiana, hanno però criticato la legge temendo effetti sui diritti e sui legami sociali dei minori. Allo stesso tempo, una parte consistente dell’opinione pubblica dubita dell’efficacia reale del divieto, temendo che venga aggirato con facilità o che produca effetti collaterali indesiderati. I nodi restano aperti: la verifica dell’età rischia di aprire la strada a sistemi di identificazione digitale invasivi, il confine tra tutela e controllo appare sottile e resta il dubbio sulla capacità di una legge nazionale di arginare colossi globali abituati a eludere le regole.

Il punto centrale rimane l’impatto dei social sullo sviluppo cognitivo ed emotivo di bambini e adolescenti. Negli ultimi anni, la letteratura scientifica internazionale ha consolidato un quadro sempre più critico sugli effetti dei social media sulla salute mentale degli adolescenti, in una fase della vita in cui il cervello è ancora in formazione. Studi pubblicati su JAMA Network hanno evidenziato come periodi anche brevi di sospensione dall’uso dei social portino a una riduzione significativa di ansia e sintomi depressivi, suggerendo una relazione diretta tra piattaforme digitali e disagio psicologico. Ricerche apparse su Nature e The Lancet, basate su dati longitudinali raccolti nel Regno Unito e negli Stati Uniti, mostrano che un uso intenso e precoce dei social è associato a un calo della soddisfazione di vita, a disturbi del sonno, difficoltà di attenzione e peggioramento dell’autostima negli anni successivi. Particolarmente preoccupanti sono i dati relativi alle ragazze adolescenti, più vulnerabili agli effetti del confronto sociale e dell’esposizione a modelli corporei idealizzati. Metanalisi recenti sottolineano inoltre un’associazione tra uso problematico dei social e aumento di ansia, depressione e comportamenti autolesionisti, pur evidenziando che i rischi crescono soprattutto con un utilizzo passivo, compulsivo e non mediato dagli adulti. Non è un caso che le associazioni pediatriche internazionali stiano rivedendo le proprie linee guida, suggerendo di rimandare l’uso dello smartphone e l’accesso ai social il più possibile. L’idea che un tredicenne possa gestire senza danni un flusso costante di contenuti algoritmici, notifiche e confronti sociali è sempre più contestata. I social media non sono spazi neutrali: sono ambienti progettati per catturare attenzione, generare dipendenza e raccogliere dati.

In questo contesto, la scelta australiana appare meno radicale di quanto venga raccontata e potrebbe inaugurare una nuova linea di intervento anche altrove. Vietare i social ai minori non significa negare il digitale, ma rompere il tabù occidentale secondo cui la tecnologia sarebbe neutra, inevitabile, progresso puro, un destino ineluttabile da assecondare. Resta da capire se il coraggio politico saprà resistere alle pressioni delle Big Tech e se il modello australiano diventerà un precedente capace di ispirare anche altri Paesi.

Repubblica Democratica del Congo: i ribelli conquistano Uvira

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Nonostante la recente ratifica dell’accordo di cessate il fuoco tra Ruanda e Repubblica Democratica del Congo, i ribelli congolesi dell’M23 – sostenuti da Kigali – continuano ad avanzare. Il portavoce del gruppo ha annunciato la conquista della città lacustre di Uvira, situata al confine con il Burundi, nella provincia orientale del Sud Kivu. Le ONG congolesi segnalano da tempo che l’M23 non avrebbe arrestato la propria avanzata verso Uvira; solo nella scorsa settimana gli scontri nella provincia del Sud Kivu avrebbero portato all’uccisione di oltre 70 persone e costretto alla fuga circa 200mila residenti.

La nuova Nakba palestinese: tra gli sfollati dei campi profughi di Tulkarem

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CAMPO PROFUGHI DI TULKAREM, PALESTINA OCCUPATA – Con l’aiuto del buio la nuova Nakba assume un contorno più definito. Nel cuore di Tulkarem, un pezzo di città è nero, silente, fantasma. Poche luci fanno da testimoni a una presenza umana, i fantasmi non voluti che occupano il campo profughi di Tulkarem ormai da più di dieci mesi. Nur scruta il campo vuoto, scuote la testa, è preoccupata. «Laggiù c'è casa mia», dice, indicando un punto ben preciso, come chi conosce perfettamente il territorio. «Quella luce ieri non c’era». Difficile dire se provenga dalla sua abitazione o da una intorno, anche l...

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Morto a 100 anni Sergio Flamigni, ex senatore e studioso del caso Moro

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Sergio Flamigni, ex senatore del PCI ed esponente di primo piano della cultura politica italiana, è morto a 100 anni. Partigiano nella zona di Forlì, entrò in Parlamento nel 1968, restando deputato per tre legislature e poi senatore fino al 1987. Partecipò alle principali commissioni d’inchiesta, tra cui quelle sul sequestro e l’uccisione di Aldo Moro e sulla loggia massonica P2 di Licio Gelli. Dal 1988 pubblicò numerosi saggi su terrorismo e storia repubblicana. Nel 2005 fondò a Roma l’Archivio Flamigni, dedicato alla documentazione su terrorismo, stragi, mafie ed eversione.

L’Italia a tavola conquista l’UNESCO, è la prima cucina patrimonio dell’umanità

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cucina italiana unesco patrimonio

La cucina italiana è la prima al mondo ad essere considerata, nella sua interezza, come patrimonio dell’umanità. Il riconoscimento ufficiale da parte dell’UNESCO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura) è arrivato oggi grazie al parere positivo del Comitato intergovernativo dell’organizzazione – riunito a Nuova Delhi dall’8 al 13 dicembre – ed è stato accolto in sala da un grande applauso.

La candidatura ufficiale risale al 23 marzo 2023, quando i ministeri della Cultura e dell’Agricoltura presentarono hanno il dossier intitolato “La Cucina Italiana, tra sostenibilità e diversità bioculturale”. Qui la cucina italiana viene descritta come un vero e proprio sistema culturale fondato su 3 punti chiave. Il primo è quello che richiama tradizione, identità e memoria collettiva, considerando le pratiche culinarie come trasmissione di saperi, legami familiari e comunitari; il secondo riguarda la diversità bioculturale e la biodiversità territoriale, visto che ogni regione contribuisce con piatti e ingredienti che riflettono ecosistemi, produzioni locali e tradizioni agroalimentari. Il terzo invece ha a che fare con sostenibilità e cultura del cibo: la candidatura enfatizza la cucina come rituale sociale quotidiano basato su condivisione, comunità, cura e identità, tutti elementi considerati patrimonio immateriale.

È quindi innanzitutto un riconoscimento del valore culturale che il cibo ha nel nostro Paese e di come vada ben oltre al semplice “saziarsi”: la convivialità del pasto, la memoria che si tramanda insieme all’affetto e le infinite varianti di gusti e sapori, declinati con la specificità di ogni Regione. Ed è un passo che potrebbe portare all’aumento del turismo internazionale, alla possibile crescita dell’export delle nostre eccellenze agroalimentari e, si spera, ad una maggiore attenzione istituzionale alla tutela della biodiversità agricola e dei saperi culinari tradizionali.

«Siamo i primi al mondo a ottenere questo riconoscimento, che onora quello che siamo e la nostra identità. Perché per noi italiani la cucina non è solo cibo o un insieme di ricette. È molto di più: è cultura, tradizione, lavoro, ricchezza», è il contenuto del videomessaggio diffuso dal presidente Giorgia Meloni. Mentre il ministro degli Esteri Antonio Tajani, presente a Nuova Delhi, ha preso la parola per ricordare come la cucina italiana sia «anche uno straordinario volano di crescita e prosperità» e spiegare che nel 2024 l’export dell’agro-alimentare italiano è salito a 68 miliardi di euro, mentre nei primi otto mesi di quest’anno si è registrato un ulteriore aumento del 6%.

 

Sondaggio, i ragazzi italiani rifiutano la guerra: il 68% non si arruolerebbe

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Mentre il ministro della Difesa italiano Guido Crosetto suggerisce un possibile ritorno della leva militare, le persone che verrebbero direttamente coinvolte dalla misura esprimono il proprio dissenso. Secondo un sondaggio dell’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza, infatti, il 68% dei giovani italiani di età compresa tra i 14 e i 18 anni non vuole andare in guerra. Il questionario – articolato in 32 domande – è stato effettuato su un campione di 4.000 persone, e non è ancora stato pubblicato nella sua interezza. La domanda posta dal Garante era: «Se il mio Paese entrasse in guerra mi sentirei responsabile e se servisse mi arruolerei. Quanto sei d’accordo con questa affermazione?». Tra i maschi la percentuale di persone in disaccordo è risultata pari al 60,2% e tra le femmine al 73,6%.

La consultazione, intitolata “Guerra e conflitti”, è stata lanciata lo scorso 18 novembre e resterà attiva sul portale del Garante dell’infanzia fino al 19 dicembre. Il sondaggio è stato elaborato lo scorso settembre dalla Consulta delle ragazze e dei ragazzi dell’Autorità garante, un gruppo di adolescenti tra i 13 e i 17 anni, con il supporto tecnico dello psicologo e psicoterapeuta Diego Miscioscia, socio fondatore dell’istituto Il Minotauro e autore di “La guerra è finita – Psicopatologia della guerra e sviluppo delle competenze mentali della pace”. L’obiettivo è quello di «colmare un vuoto di informazione sul sentiment degli adolescenti in relazione ai conflitti in corso e allo scopo di fornire alle istituzioni spunti di riflessione», ha affermato la garante nazionale Marina Terragni.

Il dossier contempla anche nodi più sottili: le domande affrontano il rapporto con la violenza, la paura e la responsabilità e indagano se i giovani parlano di guerra e pace a scuola. Non mancano quesiti sulla possibile influenza di giochi e simulazioni belliche sul comportamento e sulle modalità con cui si fronteggiano i «conflitti nel mio quotidiano», da quelli familiari alle tensioni tra coetanei e online. I dati provvisori riservano una sorpresa riguardo alle fonti di informazione: contrariamente allo stereotipo della generazione digitalmente nativa, «è la televisione, e non internet o i giornali, il medium a cui prevalentemente si rivolgono per avere informazioni credibili», ha osservato Terragni. Un dato che appare significativo in un panorama mediatico spesso caratterizzato da un tono allarmistico riguardo a scenari di guerra imminenti.

La natura di alcune domande ha sollevato però perplessità e critiche da parte di molti osservatori. Il quesito cardine sull’arruolamento, ad esempio, è stato tacciato da alcuni di essere costruito per associare l’entrata in guerra del Paese al concetto di “responsabilità” personale, in una forma che non lascerebbe spazio a considerare come un atto di responsabilità potrebbe essere, in certi contesti, proprio il rifiuto di combattere. Altre domande indagano l’opinione sulle mobilitazioni pacifiste, chiedendo se siano ritenute utili, inutili o lascino indifferenti, o propongono riflessioni sulla massima latina «si vis pacem para bellum» (se vuoi la pace, prepara la guerra), recentemente citata anche dall’Alto rappresentante agli Esteri dell’UE Kaja Kallas.

Alcuni critici vedono nel questionario un tentativo di tastare il polso rispetto alla penetrazione di una propaganda bellicista sempre più esplicita e, contestualmente, di misurare l’impatto che le grandi mobilitazioni contro i massacri in Palestina e il riarmo europeo hanno avuto sulle generazioni più giovani. La sezione che equipara i conflitti internazionali a quelli quotidiani, con domande come «Secondo te c’è differenza tra conflitto e guerra?», viene letta da alcuni come un possibile tentativo di banalizzare le dinamiche geopolitiche o, al contrario, di disinnescare il conflitto sociale interno associando l’idea di pace a una passività accettante. L’Autorità garante ha replicato alle polemiche sottolineando che sul sito è possibile «farsi un’idea corretta e non ideologica» del questionario e che lo scopo è puramente conoscitivo. La decisione di diffondere alcuni risultati in anticipo è però vista da molti come una risposta difensiva a critiche giornalistiche che avevano etichettato le domande come eccessivamente “patriottiche”.

A ogni modo, il rifiuto dell’arruolamento da parte di oltre due terzi del campione è un segnale chiaro. Secondo alcuni analisti, esso rischia però di essere strumentalizzato per sostenere una ancor più strenua necessità di “militarizzazione” delle coscienze e dei luoghi formativi. La consultazione, al di là delle possibili interpretazioni soggettive, offre comunque uno spaccato significativo in merito a ciò che pensano ragazzi sottoposti al costante flusso di notizie sui conflitti, confermando che molti di loro hanno sviluppato forti anticorpi contro la propaganda bellicista.

Miami, eletta sindaca Eileen Higgins: è la prima dem in 30 anni

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Eileen Higgins è stata eletta sindaca di Miami con il 59% dei voti, diventando la prima democratica a ottenere l’incarico in quasi trent’anni, oltre che la prima donna e la prima non ispanica dagli anni ’90. Ha sconfitto il repubblicano Emilio Gonzalez, sostenuto da Donald Trump, fermo al 41%, offrendo slancio ai democratici in vista delle midterm 2026. La campagna, pur in un contesto formalmente apartitico, ha toccato temi nazionali come accessibilità economica, immigrazione ed economia. Ex commissaria di Miami-Dade, Higgins, 61 anni, ha centrato il programma su alloggi accessibili, trasporti e fiducia nelle istituzioni.