A circa 17 mesi dalla strage di Cutro, nella quale morirono oltre 90 migranti, la procura di Crotone ha chiuso le indagini preliminari: quattro finanzieri e due militari della Guardia Costiera sono indagati per i reati di naufragio colposo e omicidio colposo plurimo. L’avviso è stato emesso dal sostituto procuratore della Repubblica di Crotone, Pasquale Festa. Le persone che hanno ricevuto la comunicazione sono il capo turno della sala operativa del Comando provinciale di Vibo Valentia, il comandante del Roan locale, l’ufficiale in comando, il comandante del gruppo aeronavale di Taranto, l’ufficiale di ispezione in servizio nel Centro di coordinamento italiano di soccorso marittimo di Roma e l’ufficiale di ispezione nel centro secondario di soccorso marittimo di Reggio Calabria.
Bruxelles cerca amici a Est: aiuti militari all’Armenia, l’alleato di Mosca deluso da Putin
Il Consiglio dell’Unione Europea ha annunciato ieri che, per la prima volta, l’UE veicolerĂ aiuti militari all’Armenia. Si parla, nello specifico, di 10 milioni di euro per il sostegno alle forze armene, che saranno dedotti dallo Strumento europeo per la pace, fondo rimpinguato dagli Stati membri che permette di finanziare, fino al 2027, spese militari anche di Paesi terzi. L’Europa si insinua così nello scacchiere dell’Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva (CSTO), l’alleanza militare di cui fa parte l’Armenia insieme alla Russia e ad altri quattro stati post-sovietici. Le autoritĂ di Yerevan, infatti, cercano da tempo di scollarsi dall’influenza del Cremlino, in particolare da quando, nel 2023, la Russia ha deciso di non intervenire militarmente per difendere la comunitĂ armena presente nel Nagorno Karabakh, porzione di territorio contesa da decenni con l’Azerbaijan e riconquistata dalle forze azere.
Nello specifico, l’Europa fornirĂ un accampamento di tende a favore di un’unitĂ di un migliaio di soldati armeni. L’obiettivo della mossa europea – decisa all’unanimitĂ dai ministri degli Esteri dei 27 Paesi membri – è formalmente quello di «migliorare le capacitĂ logistiche delle forze armate armene», contribuire a «una migliore protezione dei civili nelle crisi e nelle emergenze» e «accelerare l’interoperabilità » delle forze armate di Yerevan «in caso di possibile futura partecipazione del paese alle missioni e alle operazioni militari internazionali, comprese quelle schierate dall’Ue». Nella sostanza, si tratta però dell’ennesimo tassello della progressiva avanzata verso Est del blocco occidentale, che peraltro ora coinvolge uno storico alleato della Russia, con l’esplicito intendimento di inglobarlo nel meccanismo di future missioni militari condotte dall’Europa. A esprimere soddisfazione è stato l’Alto Commissario Europeo, Joseph Borrell, il quale ha dichiarato che «la sicurezza è un elemento sempre piĂą importante delle nostre relazioni bilaterali con l’Armenia» e che «questa misura del Fondo europeo per la pace contribuirĂ ulteriormente alla resilienza del Paese». Nel frattempo, il Ministero degli Esteri azerbaigiano ha descritto la decisione dell’UE come «di parte e unilaterale», affermando che essa costituisce «un passo molto sbagliato e pericoloso che serve ad esacerbare le tensioni nella regione». Le decisioni arrivano nel contesto degli sforzi del governo armeno per avvicinarsi all’Occidente e delle crescenti tensioni con Mosca, che giĂ da mesi denuncia una politica di accerchiamento da parte delle forze occidentali. Alcuni membri del gruppo politico del primo ministro armeno Nikol Pashinian hanno affermato che il Paese dovrebbe sforzarsi di aderire all’UE.
Una delle cause scatenanti di tale riallineamento è sicuramente il mancato supporto russo all’Armenia nello scontro con l’Azerbaijan per il controllo del Nagorno-Karaback, territorio riconosciuto a livello internazionale come azero ma controllato dall’Armenia dai tempi della dissoluzione dell’Unione Sovietica. Le ostilitĂ , riprese in maniera vigorosa nel 2020 e nel 2023, hanno provocato l’esodo di oltre 100.000 armeni dalla regione, considerato dall’Unione Europea come una vera e propria «pulizia etnica» da parte dell’Azerbaijan. L’inazione da parte del Cremlino nel conflitto, nonostante l’alleanza con l’Armenia attraverso l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), è spiegabile considerando le significative relazioni economiche e politiche che legano la Russia all’Azerbaigian, Paese ricco di risorse energetiche, e nella volontĂ russa di mantenere un equilibrio di potere nel Caucaso meridionale. La Russia ha infatti cercato di assumere il ruolo di mediatore nell’ambito dello scontro, puntando a facilitare un cessate il fuoco e negoziati di pace tra gli attori in conflitto. Occorre inoltre sottolineare che il CSTO prevede un mandato che si applica alla difesa dei territori dei membri dell’alleanza: dal momento che il Nagorno-Karabakh non è riconosciuto come parte ufficiale dell’Armenia, ma come una regione separatista, il Cremlino potrebbe aver considerato che, nel caso specifico, l’obbligo di difesa collettiva non fosse applicabile.
[di Stefano Baudino]
I fornitori di Ikea stanno disboscando i Carpazi: la denuncia di Greenpeace
Ikea torna al centro della bufera, dopo un’ultima indagine di Greenpeace in seguito a cui l’organizzazione ambientalista ha lanciato un’inedita petizione: “Ikea dice che la casa è il luogo in cui tutto ha inizio”, ma dobbiamo impedire che “nelle nostre case finiscano le foreste vetuste”. Questo lo slogan che gira attorno alla nuova raccolta firme dell’organizzazione ambientalista, fondata su un’ultima inchiesta che rileva come sette aziende romene che lavorano e producono mobili per la multinazionale svedese paiano ottenere il propri legno da alcune delle ultime foreste vetuste d’Europa, situate nei Carpazi del Paese. Queste, nello specifico, sono foreste che dovrebbero risultare particolarmente protette poichĂ© non intaccate dall’essere umano sin da tempi remoti, e dunque dotate di caratteristiche simili alle antiche foreste primarie. Nonostante esse siano in teoria tutelate dalla legislazione UE, le foreste romene e il loro probabile sfruttamento da parte di Ikea tornano così al centro dell’attenzione, dopo anni di segnalazioni e denunce finite sotterrate da un clima di omertĂ generale.
La raccolta firme di Greenpeace è rivolta a Jon Abrahamsson Ring, CEO di Inter Ikea Group. “Le nostre vite dipendono da una natura sana, ma la direzione che abbiamo intrapreso verso la produzione di massa e il consumo eccessivo, ne sta determinando la distruzione. E Ikea, l’azienda di cui Lei è amministratore delegato, è ancora parte del problema”; così l’organizazione ambientalista si rivolge all’amministratore delegato della multinazionale svedese, chiedendo che l’azienda dia un taglio allo sfruttamento delle foreste secolari romene. La petizione ruota attorno all’ultima indagine della stessa Greenpeace, relativa alle foreste romene sfruttate da Ikea, redatta in data 10 aprile. Dopo l’inchiesta, compilata dopo una visita in prima persona delle foreste vetuste del Paese, sono stati identificati i depositi dove il legname viene trasportato e lavorato, così come i mobilifici che vengono riforniti. “In base a informazioni pubbliche” Ikea risulta “il principale cliente della maggior parte dei mobilifici indicati nell’indagine di Greenpeace” e “c’è quindi un’alta probabilitĂ che il legno proveniente da foreste vetuste e aree ad alto valore di conservazione finisca nei mobili IKEA venduti in vari Paesi dell’UE, inclusa l’Italia”. Secondo Greenpeace, in queste foreste, alcune delle quali sarebbero “aree protette ‘Natura 2000’, cioè parte di una rete europea di siti ecologici designati per la conservazione della biodiversitĂ e degli habitat”, crescerebbero alberi “di etĂ compresa tra 120 e 180 anni”. Il loro abbattimento, insomma, si configurerebbe come un ingente danno ambientale e paesaggistico.
Non è la prima volta che Ikea finisce sotto inchiesta da parte di giornali e associazioni ambientalistiche. GiĂ nel 2021 l’azienda era finita al centro di una inchiesta giornalistica che provava come i suoi mobili fossero realizzati grazie al disboscamento illegale delle foreste siberiane, mentre l’anno precedente le false dichiarazioni sulla provenienza del legno giustificarono un procedimento penale amministrativo del Dipartimento Federale dell’Economia (DEFR) in Svizzera. Eppure, è almeno da luglio 2015 che la multinazionale è al centro della bufera per lo sfruttamento delle foreste che utilizza come fonte di approvvigionamento del legno, così come rilevato da una inchiesta del giornale Romania Insider, pubblicata nel giugno del 2016.
[di Dario Lucisano]
Trentino, il TAR ferma Fugatti: no all’abbattimento dell’orsa KJ1
Accogliendo le istanze avanzate da varie associazioni animaliste, il TAR di Trento ha impartito lo stop alla seconda ordinanza di abbattimento dell’orsa KJ1 firmata nel fine settimana da Maurizio Fugatti, presidente della Provincia autonoma di Trento. I giudici amministrativi hanno infatti disposto la sospensione del provvedimento nella parte in cui viene ordinato l’abbattimento dell’esemplare, «salva l’adozione delle misure alternative all’abbattimento e di tutte le misure destinate ad assicurare la tutela pubblica della pubblica incolumità ». L’ordinanza di abbattimento per l’orsa KJ1, ritenuta responsabile dell’aggressione nei confronti di un turista francese di 43 anni verificatasi a Dro martedì 16 luglio, era stata firmata da Fugatti sabato scorso. Nel documento – a differenza di un precedente provvedimento firmato dal presidente della provincia, anch’esso bocciato dal Tar – figuravano i risultati di esami biologici che hanno ricondotto con certezza l’identitĂ di KJ1 a quella del plantigrado che la settimana scorsa ha aggredito l’uomo.
All’interno dell’ordinanza, il Tribunale Amministrativo Regionale ha spiegato che il presidente Fugatti «ha ribadito che la misura dell’abbattimento è l’unico rimedio praticabile, non essendo al contrario utile la diversa misura della rimozione tramite cattura, in quanto non assicura la tutela immediata dell’incolumitĂ pubblica», richiedendo «tempi piĂą lunghi e incertezza di positivo risultato, senza tenere conto del rischio cui possono essere esposti gli operatori nell’eseguire». I giudici si sono però opposti a quest’ottica, censurando l’opzione dell’abbattimento, considerato una «soluzione irreversibile», sulla base del «principio di proporzionalità », che, si spiega nell’ordinanza, «impone in linea di principio il divieto di abbattimento, salvo derogarvi, laddove non esista un’altra soluzione valida». Il TAR ha però sottolineato che rimane in ogni caso «demandata nelle more all’autoritĂ provinciale l’adozione delle misure piĂą adeguate», con l’obiettivo di assicurare «l’eventuale captivazione dell’esemplare identificato come KJ1, ovvero la predisposizione di tutte le cautele per assicurare il costante monitoraggio del territorio e le puntuali segnalazioni alla popolazione che frequenta le zone interessate del pericolo esistente e dei comportamenti da seguire», tra cui anche «l’interdizione all’accesso in determinate aree». Insomma, l’orsa – che attualmente si muove nell’area insieme ai suoi tre cuccioli – non potrĂ essere abbattuta, ma rimane aperta l’opzione della cattura con probabile successiva detenzione.
Nei giorni precedenti, il TAR aveva bocciato un’altra ordinanza firmata da Fugatti per l’abbattimento dell’orsa KJ1, giĂ allora indiziata di aver aggredito il turista francese. In quel caso, i giudici avevano sospeso il provvedimento e detto no all’abbattimento perchĂ© «senza alcuna possibile alternativa e, allo stato, senza un accertamento definitivo dell’effettiva riconducibilitĂ dell’aggressione all’orsa nominata Kj1». Il presidente della provincia non si era però arreso, firmando un’altra ordinanza che, a differenza di quella inizialmente prodotta, conteneva i risultati dei test effettuati dalla Fondazione Mach di San Michele all’Adige sui campioni biologici dell’orsa raccolti dal Corpo forestale provinciale sul luogo dell’attacco. A fare ricorso al TAR anche contro il secondo provvedimento di Fugatti erano però state alcune sigle animaliste, tra cui la Lega Anti Vivisezione e l’ENPA (che da sempre considerano «ursicide» le politiche intraprese negli ultimi anni dalla giunta Fugatti), le quali avevano sottolineato i «vizi di sostanza e di forma» dell’ordinanza del presidente della provincia di Trento. E i giudici amministrativi hanno dato loro ragione.
[di Stefano Baudino]
Bangladesh: salgono a 163 le vittime delle rivolte
Domenica, la Corte Suprema del Bangladesh ha deciso di fare alcune concessioni alla popolazione in rivolta da oltre una settimana per via delle nuove politiche sul lavoro, riducendo significativamente (dal 56% al 7%) il numero di posti di lavoro governativi riservati ai veterani di guerra e ai loro discendenti. Tanto non è bastato a placare le rivolte: mentre per il capo dell’esercito la situazione al momento «è sotto controllo», il bilancio delle vittime tra chi protesta è arrivato a 163. Gli studenti hanno promesso di proseguire le proteste fino a quando non saranno scarcerati i manifestanti detenuti e fin quando i funzionari responsabili delle violenze non saranno licenziati.
Scampia, crolla ballatoio: 2 morti e 13 feriti
Ieri sera, a Napoli, nel quartiere di Scampia, è crollato un ballatoio di collegamento nella Vela Celeste. Il cedimento, verificatosi al terzo piano, ha coinvolto anche i ballatoi del secondo e del primo piano, causando la morte di due persone e il ferimento di altre 13, tra cui figurano 7 bambini, alcuni dei quali sono ricoverati in condizioni serie. Dopo aver scavato tra le macerie, i vigili del fuoco hanno completato l’evacuazione dei piani alti, escludendo ci possano essere altre persone coinvolte. Il sindaco e il prefetto della cittĂ partenopea hanno effettuato un sopralluogo.
Messico, 3mila migranti diretti verso il confine con gli USA
Una carovana di circa 3mila migranti provenienti da una decina di Paesi dell’America latina è partita nelle ultime ore dal confine meridionale del Messico, diretta verso gli Stati Uniti. L’iniziativa è frutto di una convocazione avvenuta tramite i social network. Come punto di partenza è stato stabilito Ciudad Hindago, nello stato del Chiapas, nel Messico del Sud. I migranti, che hanno iniziato il loro viaggio a piedi anche con bimbi piccoli e passeggini, hanno inscenato la manifestazione mentre nella campagna per le presidenziali degli Stati Uniti il candidato repubblicano Donald Trump ha promesso, in caso di vittoria, espulsioni di massa.