sabato 23 Novembre 2024
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Strage a Cutro, chiuse indagini preliminari: 6 indagati

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A circa 17 mesi dalla strage di Cutro, nella quale morirono oltre 90 migranti, la procura di Crotone ha chiuso le indagini preliminari: quattro finanzieri e due militari della Guardia Costiera sono indagati per i reati di naufragio colposo e omicidio colposo plurimo. L’avviso è stato emesso dal sostituto procuratore della Repubblica di Crotone, Pasquale Festa. Le persone che hanno ricevuto la comunicazione sono il capo turno della sala operativa del Comando provinciale di Vibo Valentia, il comandante del Roan locale, l’ufficiale in comando, il comandante del gruppo aeronavale di Taranto, l’ufficiale di ispezione in servizio nel Centro di coordinamento italiano di soccorso marittimo di Roma e l’ufficiale di ispezione nel centro secondario di soccorso marittimo di Reggio Calabria.

Bruxelles cerca amici a Est: aiuti militari all’Armenia, l’alleato di Mosca deluso da Putin

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Il Consiglio dell’Unione Europea ha annunciato ieri che, per la prima volta, l’UE veicolerĂ  aiuti militari all’Armenia. Si parla, nello specifico, di 10 milioni di euro per il sostegno alle forze armene, che saranno dedotti dallo Strumento europeo per la pace, fondo rimpinguato dagli Stati membri che permette di finanziare, fino al 2027, spese militari anche di Paesi terzi. L’Europa si insinua così nello scacchiere dell’Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva (CSTO), l’alleanza militare di cui fa parte l’Armenia insieme alla Russia e ad altri quattro stati post-sovietici. Le autoritĂ  di Yerevan, infatti, cercano da tempo di scollarsi dall’influenza del Cremlino, in particolare da quando, nel 2023, la Russia ha deciso di non intervenire militarmente per difendere la comunitĂ  armena presente nel Nagorno Karabakh, porzione di territorio contesa da decenni con l’Azerbaijan e riconquistata dalle forze azere.

Nello specifico, l’Europa fornirĂ  un accampamento di tende a favore di un’unitĂ  di un migliaio di soldati armeni. L’obiettivo della mossa europea – decisa all’unanimitĂ  dai ministri degli Esteri dei 27 Paesi membri – è formalmente quello di «migliorare le capacitĂ  logistiche delle forze armate armene», contribuire a «una migliore protezione dei civili nelle crisi e nelle emergenze» e «accelerare l’interoperabilità» delle forze armate di Yerevan «in caso di possibile futura partecipazione del paese alle missioni e alle operazioni militari internazionali, comprese quelle schierate dall’Ue». Nella sostanza, si tratta però dell’ennesimo tassello della progressiva avanzata verso Est del blocco occidentale, che peraltro ora coinvolge uno storico alleato della Russia, con l’esplicito intendimento di inglobarlo nel meccanismo di future missioni militari condotte dall’Europa. A esprimere soddisfazione è stato l’Alto Commissario Europeo, Joseph Borrell, il quale ha dichiarato che «la sicurezza è un elemento sempre piĂą importante delle nostre relazioni bilaterali con l’Armenia» e che «questa misura del Fondo europeo per la pace contribuirĂ  ulteriormente alla resilienza del Paese». Nel frattempo, il Ministero degli Esteri azerbaigiano ha descritto la decisione dell’UE come «di parte e unilaterale», affermando che essa costituisce «un passo molto sbagliato e pericoloso che serve ad esacerbare le tensioni nella regione». Le decisioni arrivano nel contesto degli sforzi del governo armeno per avvicinarsi all’Occidente e delle crescenti tensioni con Mosca, che giĂ  da mesi denuncia una politica di accerchiamento da parte delle forze occidentali. Alcuni membri del gruppo politico del primo ministro armeno Nikol Pashinian hanno affermato che il Paese dovrebbe sforzarsi di aderire all’UE.

Una delle cause scatenanti di tale riallineamento è sicuramente il mancato supporto russo all’Armenia nello scontro con l’Azerbaijan per il controllo del Nagorno-Karaback, territorio riconosciuto a livello internazionale come azero ma controllato dall’Armenia dai tempi della dissoluzione dell’Unione Sovietica. Le ostilitĂ , riprese in maniera vigorosa nel 2020 e nel 2023, hanno provocato l’esodo di oltre 100.000 armeni dalla regione, considerato dall’Unione Europea come una vera e propria «pulizia etnica» da parte dell’Azerbaijan. L’inazione da parte del Cremlino nel conflitto, nonostante l’alleanza con l’Armenia attraverso l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), è spiegabile considerando le significative relazioni economiche e politiche che legano la Russia all’Azerbaigian, Paese ricco di risorse energetiche, e nella volontĂ  russa di mantenere un equilibrio di potere nel Caucaso meridionale. La Russia ha infatti cercato di assumere il ruolo di mediatore nell’ambito dello scontro, puntando a facilitare un cessate il fuoco e negoziati di pace tra gli attori in conflitto. Occorre inoltre sottolineare che il CSTO prevede un mandato che si applica alla difesa dei territori dei membri dell’alleanza: dal momento che il Nagorno-Karabakh non è riconosciuto come parte ufficiale dell’Armenia, ma come una regione separatista, il Cremlino potrebbe aver considerato che, nel caso specifico, l’obbligo di difesa collettiva non fosse applicabile.

[di Stefano Baudino]

I fornitori di Ikea stanno disboscando i Carpazi: la denuncia di Greenpeace

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Ikea torna al centro della bufera, dopo un’ultima indagine di Greenpeace in seguito a cui l’organizzazione ambientalista ha lanciato un’inedita petizione: “Ikea dice che la casa è il luogo in cui tutto ha inizio”, ma dobbiamo impedire che “nelle nostre case finiscano le foreste vetuste”. Questo lo slogan che gira attorno alla nuova raccolta firme dell’organizzazione ambientalista, fondata su un’ultima inchiesta che rileva come sette aziende romene che lavorano e producono mobili per la multinazionale svedese paiano ottenere il propri legno da alcune delle ultime foreste vetuste d’Europa, situate nei Carpazi del Paese. Queste, nello specifico, sono foreste che dovrebbero risultare particolarmente protette poichĂ© non intaccate dall’essere umano sin da tempi remoti, e dunque dotate di caratteristiche simili alle antiche foreste primarie. Nonostante esse siano in teoria tutelate dalla legislazione UE, le foreste romene e il loro probabile sfruttamento da parte di Ikea tornano così al centro dell’attenzione, dopo anni di segnalazioni e denunce finite sotterrate da un clima di omertĂ  generale.

La raccolta firme di Greenpeace è rivolta a Jon Abrahamsson Ring, CEO di Inter Ikea Group. “Le nostre vite dipendono da una natura sana, ma la direzione che abbiamo intrapreso verso la produzione di massa e il consumo eccessivo, ne sta determinando la distruzione. E Ikea, l’azienda di cui Lei è amministratore delegato, è ancora parte del problema”; così l’organizazione ambientalista si rivolge all’amministratore delegato della multinazionale svedese, chiedendo che l’azienda dia un taglio allo sfruttamento delle foreste secolari romene. La petizione ruota attorno all’ultima indagine della stessa Greenpeace, relativa alle foreste romene sfruttate da Ikea, redatta in data 10 aprile. Dopo l’inchiesta, compilata dopo una visita in prima persona delle foreste vetuste del Paese, sono stati identificati i depositi dove il legname viene trasportato e lavorato, così come i mobilifici che vengono riforniti. “In base a informazioni pubbliche” Ikea risulta “il principale cliente della maggior parte dei mobilifici indicati nell’indagine di Greenpeace” e “c’è quindi un’alta probabilitĂ  che il legno proveniente da foreste vetuste e aree ad alto valore di conservazione finisca nei mobili IKEA venduti in vari Paesi dell’UE, inclusa l’Italia”. Secondo Greenpeace, in queste foreste, alcune delle quali sarebbero “aree protette ‘Natura 2000’, cioè parte di una rete europea di siti ecologici designati per la conservazione della biodiversitĂ  e degli habitat”, crescerebbero alberi “di etĂ  compresa tra 120 e 180 anni”. Il loro abbattimento, insomma, si configurerebbe come un ingente danno ambientale e paesaggistico.

Non è la prima volta che Ikea finisce sotto inchiesta da parte di giornali e associazioni ambientalistiche. GiĂ  nel 2021 l’azienda era finita al centro di una inchiesta giornalistica che provava come i suoi mobili fossero realizzati grazie al disboscamento illegale delle foreste siberiane, mentre l’anno precedente le false dichiarazioni sulla provenienza del legno giustificarono un procedimento penale amministrativo del Dipartimento Federale dell’Economia (DEFR) in Svizzera. Eppure, è almeno da luglio 2015 che la multinazionale è al centro della bufera per lo sfruttamento delle foreste che utilizza come fonte di approvvigionamento del legno, così come rilevato da una inchiesta del giornale Romania Insider, pubblicata nel giugno del 2016.

[di Dario Lucisano]

Trentino, il TAR ferma Fugatti: no all’abbattimento dell’orsa KJ1

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Accogliendo le istanze avanzate da varie associazioni animaliste, il TAR di Trento ha impartito lo stop alla seconda ordinanza di abbattimento dell’orsa KJ1 firmata nel fine settimana da Maurizio Fugatti, presidente della Provincia autonoma di Trento. I giudici amministrativi hanno infatti disposto la sospensione del provvedimento nella parte in cui viene ordinato l’abbattimento dell’esemplare, «salva l’adozione delle misure alternative all’abbattimento e di tutte le misure destinate ad assicurare la tutela pubblica della pubblica incolumità». L’ordinanza di abbattimento per l’orsa KJ1, ritenuta responsabile dell’aggressione nei confronti di un turista francese di 43 anni verificatasi a Dro martedì 16 luglio, era stata firmata da Fugatti sabato scorso. Nel documento – a differenza di un precedente provvedimento firmato dal presidente della provincia, anch’esso bocciato dal Tar – figuravano i risultati di esami biologici che hanno ricondotto con certezza l’identitĂ  di KJ1 a quella del plantigrado che la settimana scorsa ha aggredito l’uomo.

All’interno dell’ordinanza, il Tribunale Amministrativo Regionale ha spiegato che il presidente Fugatti «ha ribadito che la misura dell’abbattimento è l’unico rimedio praticabile, non essendo al contrario utile la diversa misura della rimozione tramite cattura, in quanto non assicura la tutela immediata dell’incolumitĂ  pubblica», richiedendo «tempi piĂą lunghi e incertezza di positivo risultato, senza tenere conto del rischio cui possono essere esposti gli operatori nell’eseguire». I giudici si sono però opposti a quest’ottica, censurando l’opzione dell’abbattimento, considerato una «soluzione irreversibile», sulla base del «principio di proporzionalità», che, si spiega nell’ordinanza, «impone in linea di principio il divieto di abbattimento, salvo derogarvi, laddove non esista un’altra soluzione valida». Il TAR ha però sottolineato che rimane in ogni caso «demandata nelle more all’autoritĂ  provinciale l’adozione delle misure piĂą adeguate», con l’obiettivo di assicurare «l’eventuale captivazione dell’esemplare identificato come KJ1, ovvero la predisposizione di tutte le cautele per assicurare il costante monitoraggio del territorio e le puntuali segnalazioni alla popolazione che frequenta le zone interessate del pericolo esistente e dei comportamenti da seguire», tra cui anche «l’interdizione all’accesso in determinate aree». Insomma, l’orsa – che attualmente si muove nell’area insieme ai suoi tre cuccioli – non potrĂ  essere abbattuta, ma rimane aperta l’opzione della cattura con probabile successiva detenzione.

Nei giorni precedenti, il TAR aveva bocciato un’altra ordinanza firmata da Fugatti per l’abbattimento dell’orsa KJ1, giĂ  allora indiziata di aver aggredito il turista francese. In quel caso, i giudici avevano sospeso il provvedimento e detto no all’abbattimento perchĂ© «senza alcuna possibile alternativa e, allo stato, senza un accertamento definitivo dell’effettiva riconducibilitĂ  dell’aggressione all’orsa nominata Kj1». Il presidente della provincia non si era però arreso, firmando un’altra ordinanza che, a differenza di quella inizialmente prodotta, conteneva i risultati dei test effettuati dalla Fondazione Mach di San Michele all’Adige sui campioni biologici dell’orsa raccolti dal Corpo forestale provinciale sul luogo dell’attacco. A fare ricorso al TAR anche contro il secondo provvedimento di Fugatti erano però state alcune sigle animaliste, tra cui la Lega Anti Vivisezione e l’ENPA (che da sempre considerano «ursicide» le politiche intraprese negli ultimi anni dalla giunta Fugatti), le quali avevano sottolineato i «vizi di sostanza e di forma» dell’ordinanza del presidente della provincia di Trento. E i giudici amministrativi hanno dato loro ragione.

[di Stefano Baudino]

Bangladesh: salgono a 163 le vittime delle rivolte

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Domenica, la Corte Suprema del Bangladesh ha deciso di fare alcune concessioni alla popolazione in rivolta da oltre una settimana per via delle nuove politiche sul lavoro, riducendo significativamente (dal 56% al 7%) il numero di posti di lavoro governativi riservati ai veterani di guerra e ai loro discendenti. Tanto non è bastato a placare le rivolte: mentre per il capo dell’esercito la situazione al momento «è sotto controllo», il bilancio delle vittime tra chi protesta è arrivato a 163. Gli studenti hanno promesso di proseguire le proteste fino a quando non saranno scarcerati i manifestanti detenuti e fin quando i funzionari responsabili delle violenze non saranno licenziati.

L’Italia e altri sette Paesi vogliono cambiare la strategia europea in Siria

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Il ministro degli Esteri Tajani, insieme agli omologhi di Austria, Croazia, Cipro, Repubblica Ceca, Grecia, Slovacchia e Slovenia, ha invitato l’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri, Josep Borrell, a rivedere le strategie dell’Unione per la Siria, nell’ottica di realizzare in merito una politica piĂą «realista». Secondo quanto espresso dai ministri in una nota, infatti, «il pensiero strategico della UE è in ritardo», con gli «obiettivi politici» fermi al 2017 e mai aggiornati. A fronte dei miliardi di euro erogati in aiuti umanitari, «il popolo siriano è ancora in miseria», mentre il potere di Assad non viene minimamente scalfito, grazie anche al «sostegno di Russia e Iran». Per questo motivo, i ministri ritengono che «sia giunto il momento di ripensare il nostro approccio alla Siria», per garantire al Paese una differente prospettiva futura e fermare il flusso di migranti che parte dal Paese, ad oggi «all’origine della piĂą grande crisi di profughi nel mondo».

Sono infatti 13,8 milioni, secondo i dati del ministero degli Esteri, gli sfollati interni e i rifugiati di un conflitto che ha avuto inizio 13 anni fa e del quale non si intravede la fine. Le iniziative europee per contrastare Assad, basate essenzialmente sulle sanzioni, non hanno fino ad oggi sortito alcun risultato. Nel 2011, all’indomani dello scoppio della guerra civile, l’Unione ha sospeso i rapporti bilaterali con il regime di Assad, adottando anche sanzioni nei confronti di quest’ultimo. Tra le principali misure economiche, che sono state prorogate fino al 1° giugno 2025, vi sono l’embargo di armi, il divieto di importazione di greggio, il divieto a investire nella costruzione di centrali elettriche, restrizioni all’esportazione di alcuni tipi di tecnologie, il divieto di commercio di oro e beni culturali di provenienza siriana e il divieto, per gli istituti finanziari, di aprire nuove filiali in UE. Queste iniziative hanno subito degli aggiustamenti, nel corso degli anni, per poter garantire gli aiuti umanitari alla popolazione – sono stati erogati piĂą di 33 miliardi fino ad oggi, cifra che ha reso l’Unione Europea il maggior donatore internazionale.

Eppure, nessuna di esse ha avuto l’effetto di contrastare in maniera definitiva il potere di Assad, che, come scrive la nota del ministero degli Esteri, «resta saldamente in sella», anche grazie al sostegno elargito al regime di Assad da parte di Paesi quali l’Iran, la Russia e la Cina. A conferma di ciò vi è il fatto che, nel maggio dello scorso anno, la Lega Araba ha riammesso il Paese tra i propri membri. «I ministri degli esteri di Giordania, Arabia Saudita, Iraq ed Egitto hanno sottolineato la prioritĂ  di porre fine alla crisi e a tutte le morti e le distruzioni che ha causato, e di porre fine alle sofferenze del popolo siriano e alle ripercussioni negative regionali e internazionali della crisi, attraverso una soluzione politica che preservi l’unitĂ , la coesione e la sovranitĂ  della Siria, che soddisfi le aspirazioni del suo popolo e contribuisca alla promozione di condizioni favorevoli al ritorno volontario e sicuro dei rifugiati, alla partenza di tutte le forze straniere illegali dalla Siria, alla realizzazione degli interessi nazionali e al ripristino della sicurezza, della stabilitĂ  e del ruolo della Siria» riporta il documento finale di un incontro svoltosi ad Amman, in Giordania, tra i ministri degli Esteri dei Paesi membri della Lega.

La guerra civile in Siria prende le mosse dalla “primavera araba”, espressione giornalistica affermatasi per indicare quel vasto movimento di proteste che, a partire dal 2011, ha coinvolto, oltre alla Siria, anche Tunisia, Egitto, Libia e Yemen. Questi tumulti, nati dal basso, hanno fornito il pretesto perfetto alle potenze occidentali per intervenire, con l’obiettivo di “esportare la democrazia” (in particolare agli Stati Uniti, come illustrato in un approfondimento dedicato specificamente a questo conflitto, dal titolo Siria e Yemen, due guerre per procura tutt’altro che finite, contenuto nel Monthly Report n. 35 de L’Indipendente). Il conflitto si è trasformato di fatto in una guerra per procura e, ad oggi, rappresenta il secondo peggiore al mondo per le ricadute sulla popolazione civile. Secondo i dati dell’UNHCR, infatti, oltre il 70% della popolazione ha bisogno di assistenza umanitaria, mentre il 90% vive al di sotto della soglia di povertĂ .

[di Valeria Casolaro]

Scampia, crolla ballatoio: 2 morti e 13 feriti

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Ieri sera, a Napoli, nel quartiere di Scampia, è crollato un ballatoio di collegamento nella Vela Celeste. Il cedimento, verificatosi al terzo piano, ha coinvolto anche i ballatoi del secondo e del primo piano, causando la morte di due persone e il ferimento di altre 13, tra cui figurano 7 bambini, alcuni dei quali sono ricoverati in condizioni serie. Dopo aver scavato tra le macerie, i vigili del fuoco hanno completato l’evacuazione dei piani alti, escludendo ci possano essere altre persone coinvolte. Il sindaco e il prefetto della cittĂ  partenopea hanno effettuato un sopralluogo.

Un ex militare del Kosovo è stato condannato per i crimini contro i serbi

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Pjetër Shala, ex membro dell'Esercito di Liberazione del Kosovo (UCK), è stato condannato a 18 anni di carcere dal Kosovo Specialist Chambers, un tribunale speciale nei Paesi Bassi istituito per giudicare i presunti crimini commessi dai separatisti albanesi tra il 1998 e il 2000, alla fine della guerra del Kosovo. Shala, soprannominato “Il Comandante Lupo”, è stato riconosciuto colpevole di tre crimini di guerra: omicidio, tortura e detenzione arbitraria. Si tratta di una delle prime volte in cui anche i miliziani kosovari (che erano appoggiati dagli Stati Uniti e dalla NATO nella guerra di "l...

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Rojava: la rivoluzione del Kurdistan siriano compie dodici anni

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Il 19 luglio del 2012, la popolazione di Kobane (cittadina di meno di 50 mila abitanti situata nel nordest della Siria, al confine con la Turchia) ha respinto le forze armate siriane di Assad e creato un proprio autogoverno. Il contesto è quello della guerra civile scoppiata nel Paese nel 2011 e che, a 13 anni di distanza, ancora non vede la fine. Nella memoria curda, questo verrà ricordato come il Giorno della Libertà e l'inizio della Rivoluzione del Rojava. La rivolta della popolazione curda di Kobane coinvolgerà nei giorni seguenti anche quella di Afrîn e delle zone vicine, muovendosi lungo...

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Messico, 3mila migranti diretti verso il confine con gli USA

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Una carovana di circa 3mila migranti provenienti da una decina di Paesi dell’America latina è partita nelle ultime ore  dal confine meridionale del Messico, diretta verso gli Stati Uniti. L’iniziativa è frutto di una convocazione avvenuta tramite i social network. Come punto di partenza è stato stabilito Ciudad Hindago, nello stato del Chiapas, nel Messico del Sud. I migranti, che hanno iniziato il loro viaggio a piedi anche con bimbi piccoli e passeggini, hanno inscenato la manifestazione mentre nella campagna per le presidenziali degli Stati Uniti il candidato repubblicano Donald Trump ha promesso, in caso di vittoria, espulsioni di massa.