domenica 20 Aprile 2025
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Polli stipati, incapaci di muoversi e macellati in 40 giorni: la campagna contro KFC Italia

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Polli stipati in capannoni con densità fino a 20 esemplari per metro quadrato, processi di accrescimento rapido che potrebbero compromettere la salute degli animali e condizioni igieniche pessime, con lettiere che non vengono mai cambiate e si impregnano di deiezioni: è quanto denunciato dall’Organizzazione non profit Essere Animali, che ha lanciato una campagna firmata già da oltre 40.000 persone per richiedere che la catena di fast food KFC Italia garantisca standard più elevati per il consumo. Il tutto con l’aggiunta di nuove immagini scattate in allevamenti italiani, le quali secondo l’organizzazione documentano la “sofferenza dei polli”. In particolare, Essere Animali chiede che KFC Italia aderisca all’European Chicken Commitment (ECC), un’iniziativa che promuove condizioni migliori per i polli da carne già sottoscritta da oltre 300 aziende in Europa.

KFC, una delle più grandi catene di fast food al mondo, è presente in oltre 115 Paesi con circa 18.000 ristoranti e una media di 8 milioni di clienti quotidiani. La sua offerta si concentra principalmente su pollo fritto, ma anche su altre preparazioni a base di carne avicola. L’azienda è accusata di non aver ancora aderito allo European Chicken Commitment (ECC) – ovvero un insieme di linee guida formulato per migliorare il benessere degli animali allevati per la carne, in particolare affrontando il problema del sovraffollamento nei capannoni e la selezione genetica che porta a una crescita rapida ma dannosa per la salute dei polli – in Italia, nonostante altre filiali europee come quella in Francia, Germania e Regno Unito abbiano già sottoscritto l’impegno.

Per questo motivo, l’organizzazione Essere Animali ha lanciato una campagna che comprende immagini e un video denuncia, nel quale si vedono esemplari ammucchiati, lanciati e presi a calci all’interno di quelli che sarebbero allevamenti italiani usati dalla multinazionale. In particolare, vengono denunciate condizioni di sovraffollamento con polli allevati che «vengono stipati in capannoni con una densità che può raggiungere i 20 polli per m². Questa alta concentrazione determina una riduzione dell’attività locomotoria e dell’espressione di diversi comportamenti tipici della specie, quali razzolare e stirarsi»; accrescimento rapido che «ha effetti deleteri sulla salute dei polli e può provocare lesioni e deformità dolorose. Gli animali sono più soggetti a un’elevata incidenza di problemi muscolari, scheletrici, respiratori e cardiovascolari, che possono essere causa di morte prematura. La sproporzione tra muscolatura e struttura ossea limita fortemente la loro capacità di movimento. Le razze ad accrescimento rapido richiedono generalmente più antibiotici rispetto a quelle con crescita più lenta» e, infine, lettiere mai cambiate che provocherebbero esemplari feriti e malati «a causa dell’ammoniaca contenuta nelle deiezioni», che «può provocare bruciature sul petto e alle zampe».

La petizione ha già raccolto oltre 40.300 firme e può essere sottoscritta a questo link.

[di Roberto Demaio]

Minerali “insanguinati”: la Repubblica Democratica del Congo denuncia Apple

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La Repubblica democratica del Congo si è rivolta ad un gruppo internazionale di avvocati per presentare due denunce penali contro le filiali Apple in Francia e Belgio. L’accusa rivolta alla multinazionale californiana è quella di aver contaminato la propria catena di approvvigionamento con “minerali insanguinati” provenienti da zone di conflitto nell’Africa sub-sahariana. Inoltre, il colosso USA è stato accusato di usare pratiche commerciali ingannevoli per rassicurare i propri consumatori sulla questione. Secondo la nazione africana, tali attività hanno alimentato un ciclo di violenza e di conflitti che ha contribuito al lavoro minorile forzato e alla devastazione ambientale.

La porzione orientale della Repubblica Democratica del Congo è una regione da tempo martoriata da sanguinosi conflitti tra milizie, gli stessi che sono al centro delle gravi accuse mosse nei confronti dell’azienda statunitense. Accusata di alimentare controverse catene di approvvigionamento di minerali essenziali alla produzione di smartphone e computer, la Apple ha però respinto ogni accusa. Secondo gli avvocati, minerali quali stagno, tantalio e tungsteno – noti come minerali 3T, fondamentali per l’industria elettronica – vengono estratti illegalmente da miniere controllate da gruppi armati nell’est della Repubblica Democratica del Congo e successivamente riciclati attraverso il Ruanda. Un portavoce dell’azienda ha dichiarato alla BBC che, con l’aggravarsi del conflitto nella regione, l’azienda ha imposto ai suoi fornitori di sospendere l’approvvigionamento di minerali dalle zone più critiche, ribadendo che i suoi fornitori rispettano standard rigorosi.

Qualunque sia la verità, il fenomeno in corso è tutt’altro che una novità. Parlando di “minerali insanguinati” non si può ad esempio non pensare ai “blood diamonds”, o meglio, all’estrazione di diamanti legata a devastanti guerre civili in varie parti dell’Africa, oggetto anche di un famoso romanzo firmato John le Carré. La Repubblica Democratica del Congo, tra le regioni più ricche di risorse minerarie al mondo, è così da lungo tempo teatro di una crisi umanitaria senza precedenti, scaturita e aggravata dalla competizione feroce tra oltre 100 gruppi armati per il controllo delle miniere. Secondo le Nazioni Unite, milioni di persone hanno subito violenze di ogni genere, inclusi omicidi di massa e stupri sistematici.

In particolare però, dietro le accuse ad Apple si cela un conflitto diplomatico più ampio tra la Repubblica Democratica del Congo e il Ruanda, dove quest’ultima è accusata di sostenere il gruppo armato M23, responsabile del saccheggio di risorse minerarie. Non è chiaro se la Repubblica Democratica del Congo intenda realmente ottenere una condanna contro Apple o se utilizzi il caso per spostare l’attenzione dalla propria gestione controversa della crisi. A detta del Ruanda, la denuncia potrebbe essere niente più che una trovata mediatica. Ad ogni modo, la denuncia del governo congolese potrebbe avere effetti imprevisti, creando un precedente per mettere in luce più facilmente la complicità e le responsabilità delle multinazionali in questioni lesive dei diritti umani. La sola pressione esercitata su Apple e altre aziende tecnologiche potrebbe inoltre aprire nuove prospettive per migliorare la trasparenza nelle catene di approvvigionamento globali. O almeno è quanto auspicano diverse organizzazioni per i diritti umani che da tempo denunciano le atrocità legate al traffico di minerali e il ruolo della fame globale di queste risorse indispensabili a soddisfare la crescente domanda tecnologica.

[di Simone Valeri]

Venezia, manifestazione anti-militarista: polizia carica i manifestanti

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Un’ottantina di agenti in tenuta antisommossa per contenere una folla di 40 manifestanti riunitisi in un presidio antimilitarista. È avvenuto ieri a Venezia, nel sobborgo di Tessera, dove trova sede uno stabilimento di Leonardo S.p.A, la maggiore azienda di difesa del Paese. Quando un altro gruppo composto da una decina di persone è arrivato al presidio, le forze dell’ordine hanno chiuso le strade e bloccato i manifestanti, sfoderando i manganelli e procedendo a una carica. Il presidio era stato organizzato per denunciare la presenza della stessa Leonardo nella provincia lagunare, dove produce elicotteri da guerra.

La Federazione Calcistica Norvegese intende boicottare Israele alla Coppa del Mondo 2026

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norvegia calcio

La Federazione Calcistica Norvegese ha chiesto che gli organismi calcistici internazionali conducano indagini sui crimini israeliani prima delle qualificazioni per la Coppa del Mondo 2026, annunciando il possibile rifiuto a disputare le partite contro Israele a causa del ruolo di quest'ultimo nel conflitto con Gaza iniziato il 7 ottobre 2023.
Lise Klaveness, presidente della Federazione, ha sottolineato la necessità che la FIFA avvii indagini sui crimini commessi durante il conflitto. In un comunicato, ha dichiarato: «Sosteniamo la posizione del governo norvegese e chiediamo l’immediata cessaz...

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Tumori, in Italia 390mila casi nel 2024

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Le nuove diagnosi di tumore in Italia nel 2024 sono state 390.100, di cui 214.500 negli uomini e 175.600 nelle donne. Si tratta di cifre vicine a quelle registrate nel 2022 e nel 2023, quando furono rispettivamente 391.700 e 395.900. È quanto attestato nel volume “I numeri del cancro”, presentato oggi dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica e da numerosi altri osservatori e associazioni. La mortalità per tumore negli adulti fra i 20 e i 49 anni, tra il 2006 al 2021, è scesa del 21,4% per le donne e del 28% negli uomini. Per carcinoma polmonare, la mortalità tra gli individui di sesso femminile scende del 46,5%. Metà dei malati è destinata a guarire.

 

L’esercito turco circonda Kobane e si prepara all’invasione del Kurdistan siriano

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La Turchia si sta preparando ad attaccare i curdi della città di Kobane, intorno alla quale ha ammassato truppe e mezzi militari delle milizie che sostiene in Siria. Solo l’intercessione degli Stati Uniti, che sostengono i curdi, avrebbe momentaneamente fermato l’operazione che sembrava imminente. Ieri sarebbe infatti entrato in vigore un cessate il fuoco tra le parti ostili, ma è difficile valutarne la tenuta in quanto in alcune zone i combattimenti non si sono fermati. La Turchia, che considera i curdi come terroristi e che per questo ha negato ogni possibile accordo, ha già da tempo spiegato che il suo interesse è quello di creare una zona cuscinetto al proprio confine con la Siria e che non permetterà ai curdi di mantenere un’autorità politica sul territorio. In chiave anti-turca, Israele appoggia le rivendicazioni curde, mentre a sud, nel Golan occupato, espande le proprie operazioni militari e si dice favorevole ad una zona controllata al suo confine dalla comunità dei drusi.

A rivelare l’ingente presenza di truppe e mezzi di artiglieria nei pressi di Kobane dell’esercito turco e delle milizie siriane è stato il Wall Street Journal, che ha avuto modo di leggere una lettera riservata inviata da Ilham Ahmed, funzionaria dell’amministrazione civile del Rojava, all’attenzione del presidente eletto statunitense Donald Trump. Nel documento, Ahmed indica che l’obiettivo della Turchia sarebbe quello di «stabilire un controllo di fatto del nostro territorio» prima dell’insediamento di Trump alla Casa Bianca. D’altronde, la stessa Turchia ha più volte dichiarato che intende creare lì una zona cuscinetto. Come riportato dalla testata libanese Al-Mayadeen, Ankara vorrebbe istituire una cintura di sicurezza larga 30 chilometri al confine con la Siria.

Ieri, 18 dicembre, grazie all’intervento statunitense, sarebbe stato raggiunto un accordo di cessate il fuoco tra le milizie islamiche e le forze curde, che hanno momentaneamente fermato l’invasione di terra. Difficile capire come e quanto durerà tale accordo. Come riportato da Reuters, un funzionario turco smentisce l’accordo per l’impossibilità di intrattenere colloqui di qualsiasi genere con soggetti considerati come terroristi. D’altronde, anche qualora l’accordo ci sia, non ha di certo impedito gli scontri armati. Le forze curde del SDF e le milizie filo-turche si sono scambiate colpi di artiglieria pesante vicino all’area di Jisr Qarquzaq. Inoltre, Al-Mayadeen riferisce che droni turchi hanno bombardato le posizioni curde delle Forze Democratiche Siriane (SDF) nel villaggio di Birkhat, nella campagna occidentale della città di Tal Abyad, e hanno anche bombardato un sito nel villaggio di Khalidiya vicino al distretto di Ain Issa, a nord di Raqqa, in concomitanza con il ritiro di un convoglio militare delle forze russe. Secondo Politico, con la mediazione del cessate il fuoco e la protezione curda, gli Stati Uniti starebbero tentando di scongiurare un’evasione di massa di combattenti dell’ISIS dalle prigioni curde. Una faccenda intricata, dal momento che gli USA hanno sostenuto e sostengono il cambio di regime in favore di Hayat Tahrir al-Sham (HTS), il quale ha avuto proprio il sostegno delle milizie del vecchio Stato Islamico durante l’operazione che ha cacciato Bashar al-Assad.

Sempre ieri, il ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa’ar ha incontrato Jens Plotner, consigliere per la politica estera e la sicurezza della Germania, al quale avrebbe detto che «La comunità internazionale ha un ruolo nella protezione delle minoranze in Siria, compresa la minoranza curda che è sotto attacchi e minacce in questi giorni». Da quando il governo di al-Assad è stato rovesciato, Israele ha più volte supportato le rivendicazioni curde per una propria autorità politica delle zone che presidiano e amministrano. Chiaramente, la posizione di Israele è in chiave anti-turca, non volendo che Ankara avanzi in Siria e aumenti ancora di più il suo peso specifico sul Paese. A sud, sulle alture del Golan occupato, Israele fortifica la propria presenza e allarga le operazioni militari. Martedì 17 dicembre, il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, si è recato in visita al Monte Hermon – noto ai siriani come Jabel Sheikh – spiegando che Israele è intenzionato a stabilizzare e allargare la propria zona cuscinetto con la Siria. Inoltre, il governo israeliano sta appoggiando l’ipotesi di un’autorità della comunità drusa sui territori siriani al proprio confine. Non è esclusa la possibilità che una parte del territorio dove insistono i drusi, come la cittadina di Hader, venga direttamente annessa ad Israele.

Insomma, il destino della Siria, nel pieno del caos, sembra quello di una balcanizzazione del proprio territorio, la cui unità potrebbe mantenersi secondo una proposta curda, la quale però sembra difficilmente ricevibile da parte degli altri attori in gioco. I curdi hanno infatti proposto la costruzione di una “Nuova Siria” sulla base di una confederazione democratica che rispetti tutte le minoranze e tutte le entità adesso in campo nel Paese. Questa permetterebbe il mantenimento dell’unità nel rispetto delle differenze, accantonando l’odio e il conflitto. Una proposta che pare utopistica, visti gli interessi in gioco da parte dei soggetti, interni ed esterni, coinvolti.

[di Michele Manfrin]

Proteste a Damasco: “Stato democratico e libertà per le donne”

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Centinaia di cittadini siriani si sono riuniti nel centro di Damasco per chiedere uno Stato laico, democratico e rispettoso dei diritti delle donne. «Vogliamo una democrazia, non uno Stato religioso», hanno intonato i manifestanti, esibendo cartelli con messaggi a favore della laicità e dell’unità del Paese. Le proteste si sono svolte nella centrale piazza Umayyad. Forte la componente femminista della manifestazione: molti partecipanti hanno cantato slogan e sventolato striscioni a sostegno della popolazione femminile, sotto il motto «Non esiste una nazione libera senza donne libere».

“Potenza di bilanciamento”: la strategia francese nell’Indo-Pacifico

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La vasta regione indo-pacifica, estesa tra la costa orientale dell'Africa e quella occidentale delle Americhe, è considerata dalla Francia un'area di importanza strategica. Qui, dove vivono più di 1,5 milioni di cittadini francesi delle comunità d'oltremare, Parigi mantiene una presenza militare significativa, sia a causa del suo passato coloniale, sia per il crescente numero di sfide geopolitiche, ambientali e commerciali. Quasi il 90% della Zona Economica Esclusiva (ZEE) francese, la seconda più grande al mondo dopo quella degli Stati Uniti, si trova proprio in quella vasta porzione geografi...

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UK, sanzionati 5 ufficiali georgiani per avere represso le proteste

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Il Regno Unito ha sanzionato cinque alti funzionari georgiani accusandoli di aver represso troppo duramente le proteste antigovernative delle ultime settimane. A essere colpiti, in particolare, sono stati esponenti di alto livello del ministero degli Interni del Paese, che ha supervisionato l’operato delle forze dell’ordine durante le manifestazioni. Dopo le elezioni, e specialmente nelle ultime settimane, migliaia di persone hanno riempito le strade in risposta alla decisione di Sogno Georgiano, il partito al governo, di sospendere i negoziati per l’adesione all’UE. Il Regno Unito accusa la polizia di aver utilizzato sempre più la forza nel tentativo di disperdere le manifestazioni.

Terrorismo e mafia, nasce il coordinamento per la verità sul “disegno comune” delle stragi

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Con un comunicato storico, le associazioni dei familiari delle vittime di terrorismo e mafia hanno annunciato la nascita di un coordinamento unitario per chiedere verità e giustizia sugli attentati che hanno insanguinato il nostro Paese negli ultimi decenni. Secondo i promotori, infatti, è ormai evidente come lo stragismo in Italia abbia seguito un filo conduttore: un «disegno comune» finalizzato a destabilizzare l’ordine costituito attraverso una “strategia della tensione” – pista sempre più battuta dalle inchieste di molte Procure, con vari e importanti sbocchi processuali – che non si sarebbe arrestata con la strage di Bologna, ma sarebbe proseguita sino alla fase di passaggio tra la prima e la seconda repubblica, quando continuarono a cadere vittime delle bombe esponenti dello Stato e civili.

«Fino a oggi abbiamo tenuto sempre alta l’attenzione, seguito processi lunghissimi, commissioni parlamentari e vigilato sui depistaggi, le falsificazioni e le mistificazioni – hanno scritto nel comunicato congiunto le associazioni dei familiari delle vittime delle stragi –. Questo continueremo a fare ma insieme, perché ormai è chiaro che la storia dello stragismo ha evidenti collegamenti comuni e continui e che in tutte queste vicende, sempre, pezzi dello Stato sono stati responsabili di depistaggi, azioni criminali e manomissioni». Decine le firme in calce, tra cui quelle delle associazioni dei familiari delle vittime degli attentati di Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Rapido 904, Italicus e Bologna, così come della strage di Via D’Amelio e di Via dei Georgofili. Ma ci sono anche quelle dei familiari dei magistrati Bruno Caccia e Mario Amato, del poliziotto Nino Agostino, del medico Attilio Manca e dell’educatore carcerario Umberto Mormile. Tutte vittime di omicidi segnati da pesanti ombre, molte delle quali ancora senza verità. Chiari gli obiettivi del coordinamento: tra i più importanti, quello di «individuare e mettere in evidenza il disegno comune che lega tutte le stragi avvenute nel nostro Paese, teso a determinarne un cambiamento di ordine politico attraverso la cosiddetta strategia della tensione», di «concordare iniziative atte a contrastare qualsiasi ipotesi di depistaggio e mistificazione dei fatti e, in particolare, bloccare il tentativo di riscrivere la storia del Paese sottovalutando, se non addirittura ignorando, le responsabilità dell’eversione nera nelle stragi, anche in quelle comunemente dette di mafia». Si punta inoltre a organizzare iniziative divulgative ed effettuare un censimento delle fonti documentali sulla storia recente del Paese, digitalizzando la documentazione giudiziaria affinché sia «consultabile da parte di tutti».

La nascita del coordinamento si inserisce in un clima di forte tensione tra i familiari delle vittime delle stragi e la presidente della Commissione Antimafia Chiara Colosimo, contro cui le associazioni si sono scagliate in primis a causa di una fotografia che la vede sorridente e con le mani intrecciate a quelle di Luigi Ciavardini, terrorista nero condannato anche per la strage di Bologna e l’omicidio del magistrato Mario Amato, scattata e pubblicata su Facebook dalla stessa Colosimo prima della sua salita al vertice di Palazzo San Macuto. Mesi fa, l’ex magistrato e ora senatore del M5S Roberto Scarpinato aveva presentato a Colosimo un’articolata memoria in cui ha enucleato tutti i principali “buchi neri” della stagione stragista, che suggeriscono concreti elementi di collegamento tra mafia, eversione di estrema destra, servizi e massoneria deviati, cui però la presidente non ha dato seguito, preferendo incentrare i lavori della Commissione solo sulla strage di Via D’Amelio. Escludendo, sin da subito, di esplorare i legami tra mafia ed entità esterne dietro all’intera stagione stragista.

Il denominatore più evidente tra le stragi cosiddette “terroristiche” e “mafiose” è quello degli accertati depistaggi di natura istituzionale, che si allineano in un lungo filo rosso che collega gli episodi più tragici dell’intera storia repubblicana. Il secondo è quello del clima di fortissima instabilità politica che ha contraddistinto le tappe più salienti della strategia di “destabilizzazione” attuata a suon di bombe: ai tempi della Strage di Piazza Fontana lo scenario politico fu segnato dal grande successo del PCI alle elezioni nazionali del 1968 e dalle lotte sindacali operaie e studentesche che avevano animato l’ “autunno caldo” del 1969; negli anni Novanta, lo scacchiere politico era stato invece sconquassato dalle inchieste di Mani Pulite, che rasero al suolo i partiti “storici” della prima repubblica, aprendo le porte alla potenziale disfatta delle forze politiche più rappresentative dell’ottica dello status quo (a livello sia nazionale che geopolitico) e di una certa attitudine al compromesso con fazioni e personaggi del crimine organizzato. Secondo i familiari delle vittime – ma anche di molti magistrati che si sono occupati nel tempo delle cointeressenze tra mafia, eversione nera e entità istituzionali e massoniche – non si tratta solo di semplici coincidenze.

[di Stefano Baudino]