sabato 23 Novembre 2024
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Acqua contaminata da batteri, pesticidi e Pfas: Nestlé nella bufera in Germania

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Si allarga lo scandalo sull’acqua Nestlé nel continente europeo. In seguito alle indagini aperte in Francia su casi di varie contaminazioni e sul filtraggio illegale dell’acqua minerale scoperchiati dai media d’oltralpe, infatti, gli ambientalisti tedeschi hanno richiesto alle autorità del loro Stato provvedimenti immediati. In prima linea c’è, in particolare, l’organizzazione non-profit Foodwatch, che ha indirizzato una lettera aperta – già sottoscritta da oltre 38mila consumatori – a Christoph Ahlborn, amministratore delegato di Nestlé Deutschland, in cui si richiede esplicitamente il tempestivo ritiro delle bottiglie contaminate dal mercato tedesco e una piena trasparenza sulla quantità di acqua venduta in Germania, con la finalità di tutelare la salute pubblica.

L’iniziativa di Foodwatch non sembra aver comunque ancora schiodato le autorità tedesche da un sostanziale immobilismo sul punto. L’Ufficio federale per la protezione dei consumatori e la sicurezza alimentare ha infatti reso noto di non reputarsi competente, mentre il dipartimento dell’ordine pubblico di Francoforte ha deciso di non mettere mano a misure speciali, sottolineando che la responsabilità dovrebbe spettare alle autorità francesi. Negli ultimi mesi le inchieste di organi di stampa francesi come Le Monde e France Info hanno rivelato che i pozzi utilizzati per imbottigliare la famosa acqua minerale Perrier di Nestlé erano contaminati, tra l’altro, da feci, batteri Escherichia coli, PFAS e pesticidi. Mentre la Commissione europea ha aperto un’indagine sul caso, che nei prossimi giorni dovrebbe sfociare nella pubblicazione di un rapporto, non si ha notizia di alcun richiamo pubblico o avvertimento alle autorità di altri paesi membri dell’UE. Secondo la direttiva europea in materia, l’“acqua minerale naturale” deve soddisfare determinati criteri, tra cui la sua “purezza originaria” e la provenienza da riserve idriche sotterranee protette dalla contaminazione. Sulla base di quanto emerso dalle inchieste, invece, Nestlé e altri produttori in Francia avrebbero contraffatto l’acqua minerale, prelevandola da fonti contaminate, purificandola e vendendola come “acqua minerale naturale”.

In un’altra inchiesta, Le Monde e Radio France avevano reso noto il contenuto di documenti da cui si era rilevato l’utilizzo negli impianti di Nestlé Waters di filtri nascosti all’interno degli armadi elettrici, nonché pubblicato i risultati di un corposo report dell’Igas (Ispezione degli affari sociali) redatto nell’estate del 2022, tenuto segreto e consultato dagli autori dell’inchiesta giornalistica, che indicava che almeno il 30% dei marchi francesi aveva utilizzato tecniche di filtrazione non conformi alla normativa. Secondo quanto appurato dai media, a entrare in gioco sarebbe stato anche il governo di Parigi, che – senza far passare la questione dal vaglio della magistratura o delle istituzioni europee – avrebbe deciso di trattare con Nestlé, indicando alle Prefetture di autorizzare tecniche di microfiltrazione al di sotto degli 0,8 micron in cambio della rinuncia, da parte dell’azienda, di una serie di trattamenti non regolamentari.

[di Stefano Baudino]

Il fondatore di Sea Shepherd è stato arrestato per la sua lotta contro la caccia alle balene

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Durante una sosta in Groenlandia, mentre era in missione per intercettare la baleniera giapponese Kangei Maru, Paul Watson, fondatore di Sea Shepherd e co-fondatore di Greenpeace, è stato arrestato. L’arresto è avvenuto ieri mattina, domenica 21 luglio, ed è stato effettuato dalla polizia federale danese, che ha risposto a un mandato internazionale varato dalle autorità giapponesi. Secondo la Fondazione Capitano Paul Watson (CPWF), la cattura dell’attivista non sarebbe un caso e sarebbe avvenuta sulla base di un vecchio “avviso rosso” emesso dallo stesso Giappone per contrastare gli interventi anti-caccia alle balene di Watson in Antartide. “Questo sviluppo è stato una sorpresa”, sostiene la CPWF, “poiché i legali della Fondazione avevano riferito che l’avviso rosso era stato ritirato”. Nonostante ciò, a detta della stessa Fondazione, il Giappone avrebbe “reso la notifica riservata per facilitare il viaggio di Paul allo scopo di effettuare un arresto“, così da potere riprendere la propria attività di caccia alle balene anche in acque diverse dal proprio territorio, in teoria ferma dal 2016.

L’arresto di Paul Watson è avvenuto a Nuuk, capitale della Groenlandia, quando la polizia federale danese è salita a bordo della barca dell’attivista, la M/Y John Paul DeJoria, non appena aveva attraccato. A quanto riporta la CPWF, l’equipaggio si sarebbe fermato per fare rifornimento mentre era in viaggio verso il passaggio a nordovest (rotta navale che collega l’Oceano Atlantico con il Pacifico) nell’ambito di una nuova campagna mirata a intercettare la nuova nave giapponese nel Pacifico settentrionale. La Fondazione ritiene infatti che il Giappone abbia intenzione di riprendere l’attività di caccia alle balene anche in acque non territoriali, e per tale motivo reputa “la riattivazione dell’avviso rosso contro il Capitano Watson politicamente motivata”, soprattutto considerata la “coincidenza con il varo della nuova nave officina”. In questo momento, Watson risulta sotto custodia, ed è sotto processo presso il tribunale distrettuale di Sermersooq, a cui la polizia ha avanzato richiesta di detenzione. Toccherà al Ministero della Giustizia decidere su una sua eventuale estradizione in Giappone.

La caccia alle balene è un’attività oggi vietata nella maggior parte del mondo, ma in molti Paesi i cacciatori continuano a praticarla. Tra di essi, vi è certamente il Giappone, dove la pratica viene vista come una tradizione particolarmente cementificata nella storia. Nel 2016, il Paese ha fermato l’attività di pesca d’alto mare nell’Antartide, ma ha continuato a cacciare balene nelle sue acque territoriali. Contro la pratica della caccia alle balene si sono mossi ambientalisti e attivisti di tutto il mondo, prima fra tutti la ONG Sea Shepherd, fondata dallo stesso Paul Watson. Costituita nel 1977, Sea Shepherd è un’organizzazione internazionale senza fini di lucro la cui missione è quella di fermare la distruzione dell’habitat naturale e il massacro delle specie selvatiche negli oceani nel mondo interno, al fine di conservare e proteggere l’ecosistema e le differenti specie.

[di Dario Lucisano]

Roma, tre giovani evasi dal carcere minorile Casal del Marmo

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Tre minori di nazionalità tunisina sono evasi ieri pomeriggio dal carcere minorile di Roma Casal del Marmo, scavalcando il muro di cinta del penitenziario. I tre giovani hanno approfittato del caos venutosi a creare in seguito a una rissa per fuggire. L’evasione è avvenuta intorno alle 17.30 ed è stata subito segnalata dalla polizia penitenziaria. A darne notizia è stato il segretario generale Fns Cisl Lazio, Massimo Costantino, il quale ha riferito che all’interno dell’istituto «ci sono circa 55 detenuti su una capienza di 45». Si tratterebbe del secondo caso di evasione avvenuta nel carcere minorile dopo quella che si verificò nel 2013.

Barcellona vuole tassare i turisti che arrivano in nave da crociera

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Continua la lotta alla speculazione turistica a Barcellona, una delle città spagnole più colpite dal fenomeno del turismo di massa. Nella giornata di ieri, domenica 21 luglio, il Sindaco socialista Jaume Collboni ha rilasciato una intervista in cui propone una nuova iniziativa per disincentivare il turismo mordi e fuggi: aumentare la tassa per tutti coloro che arrivano in crociera e rimangono in città meno di 12 ore. A oggi, la tassa ammonta a 7 euro, ma non è ancora chiaro a quanto il primo cittadino abbia intenzione di aumentarla. La proposta di Collboni si colloca così sulla scia delle altre iniziative volte a diminuire l’ondata di turisti che stringe la città, e contro la quale i cittadini si stanno mobilitando da mesi.

L’iniziativa di aumentare la tassa per i crocieristi è stata lanciata da Collboni in una intervista rilasciata al País. Qui, il sindaco spiega come la tassa di soggiorno della città sia divisa in una sezione regionale e una locale. «Abbiamo già alzato la sezione locale al massimo, 4 euro, e ora un crocierista di passaggio paga complessivamente 7 euro. Vogliamo aumentare ulteriormente la sezione locale della tassa di soggiorno per i crocieristi che trascorrono meno di 12 ore a Barcellona». La proposta deve ancora passare dal Governo e dal Parlamento della Regione. Il senso dietro l’iniziativa è quello di «far coprire i costi di questo uso intensivo dello spazio pubblico, della pulizia, della sicurezza e dell’ordine pubblico per la città» agli stessi turisti che fanno aumentare le spese in tali settori. Oltre a proporre l’aumento della tassa locale, Collboni afferma di starsi battendo per una riduzione del numero delle affittanze turistiche, così da diminuire il tetto massimo delle case in affitto per brevi periodi e aumentare quelle dedicate ai cittadini.

Quella di tassare i crocieristi non è certamente la prima iniziativa presa dalla città di Barcellona per contrastare il turismo di massa. È ormai mesi che il centro catalano si batte contro la speculazione turistica, e giusto due settimane fa, sabato 6 luglio, migliaia di persone hanno manifestato contro il sovraffollamento di turisti in città e contro la crescente dipendenza dell’economia locale dal turismo di massa, in una città che conta 1,6 milioni di abitanti e 30 milioni di turisti annuali. La manifestazione, all’insegna dello slogan “Basta! Mettiamo limiti al turismo”, ha visto i cittadini sparare ai turisti con delle pistole ad acqua, in segno di protesta. Barcellona non è l’unica città spagnola che si è sollevata contro il turismo di massa. Ad aprile i cittadini delle Canarie si sono riuniti per la prima volta nella loro storia in una manifestazione congiunta contro il turismo che da anni soffoca le isole, e in generale la questione è molto sentita anche in grandi poli di attrazione come le Baleari, Madrid, e Malaga.

[di Dario Lucisano]

Strage del Vajont: dopo 60 anni il Senato ha ammesso che ci furono delle responsabilità

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Era la sera del 9 ottobre 1963 quando il monte Toc franò nel bacino del Vajont, causando la tracimazione di 260 milioni di metri cubi d’acqua che ingoiarono la valle, provocando la morte di quasi 2mila persone. Oltre 60 anni dopo, il Senato italiano ha eliminato la parola “incuria” dalla legge in memoria della catastrofe, un atto di tardiva giustizia per ammettere che vi furono responsabilità dirette delle amministrazioni locali e nazionali per aver omesso di valutare le criticità dell’opera, che erano state segnalate a più riprese prima della tragedia. Per anni, infatti, diversi documenti e il lavoro d’inchiesta della giornalista Tina Merlin attestarono smottamenti e crepe nella diga, che era stata progettata e costruita dalla Sade, una delle più fiorenti società idroelettriche d’Italia, assorbita dall’Edison nel 1962 e poi confluita nella Montedison. Tuttavia, non venne fatto nulla e l’indomani del 9 ottobre 1963 la politica pianse la “tragedia naturale”. La decisione del Senato, arrivata in seguito ad anni di richieste da parte delle comunità locali e delle associazioni dei superstiti della strage, dovrà ora essere ratificata in via definitiva dalla Camera dei Deputati.

La rimozione del termine “incuria” dalla legge sulla memoria del Vajont è stata proposta da Marco Dreosto, segretario della Lega del Friuli Venezia Giulia. La modifica non è nemmeno dovuta passare dall’aula di Palazzo Madama, essendo il frutto di una decisione unanime della commissione Affari Costituzionali. La sera della tragedia, 270 milioni di metri cubi di roccia si staccarono dal versante nord del monte Toc, abbattendosi nel bacino del Vajont. L’impatto generò un’onda alta 250 metri che colpì Casso, Erto, il Longarone e la Valle del Piave. Il disastro provocò la morte di 1918 persone, tra cui 487 bambini e adolescenti. Il processo penale sulla strage iniziò nell’ottobre del 1968 davanti al Tribunale de L’Aquila, concludendosi in Cassazione nel marzo del 1971, solo due settimane prima che maturasse la prescrizione. A essere condannati, rispettivamente a 5 anni e 8 mesi e a 3 anni e 8 mesi per i reati di inondazione aggravata dalla previsione dell’evento, frana e omicidi, furono soltanto Alberico Biadene (responsabile in capo della diga) e Francesco Sensidoni (ingegnere capo del servizio dighe). Entrambi, però, beneficiarono di 3 anni di condono. Gli altri nove imputati, tra cui figuravano anche il capocantiere, l’ispettore generale del genio civile, il geologo del servizio dighe, il dirigente ufficio studi Sade e il direttore generale Enel-Sade, furono invece assolti. Il processo civile partì nel 1971, concludendosi solo il 27 luglio del 2000 con la firma dell’accordo definitivo per il risarcimento delle vittime e dei danni causati dal disastro. Vennero individuati tre corresponsabili: lo Stato italiano e gli eredi della Sade, ovvero Enel e Montedison. Essi si ripartirono per un terzo ciascuno i 900 miliardi di oneri e danni.

Il primo sponsor politico della Sade fu il democristiano Giuseppe Togni, il quale nominò la Commissione di collaudo della diga: correva l’1 aprile 1958 e la faraonica opera sarebbe stata conclusa due anni dopo, con l’impiego di 360mila metri cubi di calcestruzzo. Dei cinque membri della Commissione, tuttavia, almeno due avevano un palese conflitto di interessi. Nel 1957, la Sade aprì il cantiere senza aspettare l’autorizzazione da Roma. Non attese nemmeno il via libera ministeriale per il collaudo dell’invaso, prima che a novembre 1960 sul monte Toc, sul versante sinistro del lago, comparisse un’enorme cicatrice lunga quasi due chilometri e mezzo, a circa due terzi della pendice. Sotto alle case, ai prati e ai boschi c’era infatti una paleofrana destinata a scivolare inesorabilmente verso il bacino della Sade. A raccontare sulle colonne de L’Unità le vicende di Erto e Casso, dei paesi e della gente di montagna che veniva sfrattata dalle proprie case e dalle proprie terre per fare spazio alla Sade e al suo grande progetto di produrre e vendere elettricità per il Paese fu la coraggiosa giornalista Tina Merlin, che denunciò il pericolo della diga. Denunciata per notizie false e tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico per un articolo del 5 maggio 1959 intitolato “La Sade spadroneggia, ma i montanari si difendono”, venne assolta con formula piena dal giudice Angelo Salvini nel novembre del 1960. Nonostante ciò, si continuò il progetto, nascondendo le prove e l’evidenza dei fatti. Mentre negavano il pericolo, infatti, gli esperti, per conto della Sade, nel 1961 progettavano e realizzavano un tunnel di “sorpasso frana”, ovvero una galleria lunga circa 1.8 chilometri (costata un miliardo di lire) che avrebbe collegato le due parti del bacino in caso di frana, garantendo al torrente Vajont la possibilità di continuare la sua corsa verso il Piave. Gli ingegneri si illusero, probabilmente, di poter gestire il tracollo semplicemente alzando o abbassando il livello dell’invaso. Proprio questa variante al progetto, in sede giudiziaria, fu considerata tra le prove che la Sade sapeva e si preparava al peggio.

[di Stefano Baudino]

Gaza, Israele fa evacuare Khan Younis est e la bombarda: 27 morti

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Nella mattinata di oggi, l’esercito israeliano (IDF) ha dato ordine di evacuazione ai circa 400.000 civili rifugiati nell’area orientale di Khan Younis, dicendo loro di dirigersi al campo profughi di al-Mawasi; qualche minuto dopo l’annuncio, ha iniziato i bombardamenti sulla zona, colpendo le persone in viaggio, e uccidendone almeno 27. La conta delle vittime è in costante aumento, e l’ospedale di Nasser ha comunicato all’emittente qatariota Al Jazeera di stare continuando ad accogliere feriti e corpi di defunti. A ora sembrano esserci 36 feriti. Nel frattempo continuano i bombardamenti al centro della Striscia, presso il governorato di Deir al Balah, dove le IDF hanno preso di mira una casa, uccidendo 2 persone.

Francia: blocchi ai porti, attacchi alle banche e barricate in difesa dell’acqua

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Un anno e mezzo dopo la mobilitazione a Saint-Soline, rimasta nella memoria per la violenta repressione poliziesca, torna a manifestare la galassia ecologista che si oppone alla costruzione dei «mega-bacini idrici ed il loro mondo» sul territorio francese. Con una serie di accese manifestazioni a La Rochelle, il coordinamento anti-bacini, composto da più di cento collettivi e organizzazioni legati al Soulèvement de la Terre ed a Bassines Non Merci, ha cercato di bloccare e “disarmare” il porto de La Pallice, il secondo per esportazione di cereali del Paese, che dovrebbe essere allargato per perseguire gli interessi commerciali delle grandi imprese della zona. Durante le manifestazioni sono stati registrati diversi scontri con la polizia, tra barricate incendiate e sedi di banche e assicurazioni danneggiate, con almeno una decina di feriti tra manifestanti e agenti. «Il porto, i suoi profitti e il suo allargamento sono alla base della costruzione dei mega-bacini. Nel Poitou, l’acqua utilizzata per l’irrigazione agricola è principalmente destinata alla coltura intensiva dei cereali come il grano e il mais, che sono esportati massivamente», scrivono i manifestanti. Questo modello agro-industriale ha già contaminato, attraverso l’utilizzo di agenti chimici e fertilizzanti, le falde acquifere e il suolo della regione. «E ora, vogliono prendersi anche l’acqua».

Un gruppo di agricoltori coi loro trattori ha bloccato, dal mattino di sabato, uno degli accessi al porto e all’impresa di cereali Soufflet, mentre nel pomeriggio due grossi cortei – tra le 5 mila e le 10 mila persone – hanno manifestato tra le strade della città, con un gruppo di attivisti che, dotato di kayak e salvagenti, ha raggiunto il porto via mare. Vari gli scontri con le forze di polizia, che hanno utilizzato ingenti quantitativi di gas lacrimogeni e bombe stordenti per bloccare e deviare il corteo (che non era stato autorizzato). Sono state attaccate e danneggiate sedi di banche, imprese di assicurazioni e supermercati. Numerose barricate sono state costruite e date alle fiamme per tenere a distanza i gendarmi mobili. Si contano almeno 5 feriti tra i manifestanti e 4 tra le forze dell’ordine, oltre che 7 persone poste in stato di fermo con accuse di vario tipo. Una persona si trova tuttora in stato di arresto. La repressione è stata intensa ma meno violenta dell’anno scorso, dove il corteo arrivato al bacino in costruzione di Saint-Soline aveva contato oltre 200 feriti, tra cui due manifestanti finiti in coma per settimane. È l’intero modello economico basato sull’agro-industria estrattivista quello cui si oppongono i manifestanti: «L’agro-industria si accaparra e privatizza l’acqua, mercantilizzando l’alimentazione», dicono. «Il porto e i suoi silos giganti sono uno strumento di speculazione finanziaria sui prodotti di prima necessità, oltre che essere uno strumento dell’estrattivismo neo-coloniale». Se la metà dei flussi del porto alimenta l’agro-industria, l’altra metà è dedicata all’industria del petrolio. Total, CMA-CGM, Lafarge, Bolloré sono solo alcune delle imprese del fossile che speculano nel porto de La Rochelle «catalizzatore di un capitalismo che ci fa sbattere dritto contro il muro del cambiamento climatico», denunciano ancora i manifestanti nei loro comunicati.

«Questo modello [economico capitalista, ndr] ha generato una grave crisi ambientale. Nonostante si provi a colpevolizzare la società per gli impatti del cambiamento climatico, che si manifestano sotto forma di inondazioni, siccità, migrazioni forzate, sono le grandi imprese transnazionali che hanno la vera responsabilità e che restano impunite».
Il giorno prima, venerdì 19, un altro corteo aveva tentato di raggiungere Cérience, una filiale della mega-cooperativa Terrena, una delle principali promotrici dei mega-bacini nel Poitou. Bloccati dalla polizia, i manifestanti hanno evitato lo scontro, mentre un altro corteo, composto da 600 ciclisti, ha raggiunto un secondo bacino idrico all’interno del quale ha lanciato manciate di lenticchie d’acqua, ossia delle piante acquatiche note per la loro natura infestante e la rapida capacità riproduttiva al fine di bloccare le pompe e le tubature del bacino.

Queste due giornate di azioni hanno completato il campeggio del movimento, riunito nel Villaggio dell’Acqua dal 16 luglio a Melle. Qui, migliaia di persone hanno partecipato a discussioni, formazioni, atelier e workshop per organizzarsi contro la speculazione estrattivista dell’acqua e della terra. Vogliono una moratoria contro la costruzione dei mega-bacini idrici che stanno venendo costruiti in Francia per proteggere l’agro-industria dalle ondate di siccità portate dal cambiamento climatico sempre più visibile. Queste strutture, finanziate al 70% dal denaro pubblico, sono concepite per le colture intensive dei grandi produttori agro-industriali, a discapito degli abitanti, dei piccoli produttori e delle terre sulle quali vengono costruiti. Nonostante le numerose proteste e le azioni di sabotaggio, che sono continuate nei mesi, il ministro dell’Agricoltura ha annunciato la volontà di costruire altri 100 mega-bacini entro la fine dell’anno. Il coordinamento Bassines Non Merci e i Soulèvement de la Terre, insieme alle altre decine di organizzazioni e collettivi, hanno dichiarato che la lotta non è finita e che le mobilitazioni continueranno.

[ di Moira Amargi – corrispondente da La Rochelle]

Austria, 40 arresti per avere fermato un corteo di estrema destra

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Nella giornata di ieri, in Austria, le forze dell’ordine hanno arrestato oltre 40 persone che hanno provato a fermare una manifestazione dell’estrema destra. La contro-manifestazione era stata sostenuta dai partiti di sinistra, che hanno lanciato un appello a protestare contro la crescita della destra radicale nel Paese. Durante la manifestazione la polizia ha schierato centinaia di agenti per tenere divise le parti, ma gli scontri non sono mancati: 10 individui mascherati sono stati arrestati per avere lanciato sassi e bottiglie, ferendo 3 poliziotti; la loro provenienza politica non risulta ancora chiara; altre 43 persone sono invece state temporaneamente arrestate perché avevano rifiutato di spostarsi dal percorso del corteo, dopo averlo deliberatamente bloccato.

Nella storia gli omicidi sono drasticamente calati ovunque, soprattutto in Italia

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Una nuova ricerca di Our World In Data mostra come i casi di omicidio siano calati drasticamente in tutta Europa. Dal 1250 a oggi, il tasso di morti risulta infatti diminuito sempre più nel corso del tempo, tanto da arrivare a registrare un numero di casi per 100.000 abitanti inferiore di oltre 120 volte. Eppure, non è necessario scomodare Medioevo ed Età Moderna per notare il netto miglioramento della mortalità per omicidio. Anche nel corso del '900, infatti, nonostante qualche alto e basso, la tendenza è stata quella di una costante diminuzione dei numeri, specialmente in Paesi come l'Italia...

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Presidenziali USA: Joe Biden ha annunciato il proprio ritiro

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«Poter svolgere il ruolo di presidente è stato il più grande onore della mia vita. E benché fosse mia intenzione cercare la rielezione, credo che sia nell’interesse del mio partito e del mio Paese rinunciare a questa corsa e concentrarmi, per il resto del mio mandato, a svolgere i miei doveri di presidente». Con queste parole, rilasciate attraverso il proprio profilo su X, il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha annunciato la decisione di gettare la spugna e non concorrere per un secondo mandato alle prossime elezioni presidenziali americane. La decisione arriva al culmine delle pressioni interne al Partito Democratico e da parte dei finanziatori affinché l’anziano leader si ritirasse dalla corsa dopo il disastroso esito del dibattito televisivo contro Donald Trump, che il 27 giugno scorso aveva reso ormai impossibile smentire il declino cognitivo del presidente in carica.

«Parlerò alla Nazione più tardi nel corso della settimana», scrive Biden, ma dalla lettera emerge come l’intenzione di Biden sia quella di rimanere presidente in carica fino alla fine naturale del mandato. Anche se è prevedibile che nelle prossime ore si scatenerà un fuoco di sbarramento da parte dei repubblicani, che chiederanno le sue dimissioni immediate, domandandosi come possa continuare a guidare l’America nei prossimi mesi un presidente che ha ammesso di non essere in grado di ricandidarsi.

La domanda principale ora, ad ogni modo, è chi succederà a Biden nel difficilissimo compito di sfidare Donald Trump alle prossime elezioni presidenziali, che si terranno tra appena tre mesi e mezzo, il 5 novembre prossimo. Nella lettera, Biden ringrazia la propria vicepresidente, Kamala Harris, per essere stata «una straordinaria partner», ma non le esplicita alcun appoggio ufficiale come sua sostituta come candidato presidente contro Donald Trump. Proprio Kamala Harris sembrerebbe la naturale sostituta di Biden nella corsa presidenziale, sia per il suo ruolo di vice, sia perché rimane pochissimo tempo per svolgere nuove primarie, sia perché, grazie al fatto di essere già candidata a un secondo mandato alla vicepresidenza in coppia con Biden, potrebbe utilizzare i soldi già raccolti dai donatori da parte del comitato elettorale. Tuttavia, la sua nomina non è automatica e nei giorni scorsi non sono mancate voci autorevoli all’interno del Partito Democratico che hanno proposto che siano organizzate primarie ristrette per la scelta del candidato.