Migliaia di dipendenti di Amazon incroceranno le braccia dalla giornata di oggi, nel pieno della fase cruciale in vista delle festività natalizie, dopo che i funzionari sindacali dell’International Brotherhood of Teamsters hanno dichiarato che l’azienda non si è presentata al tavolo delle trattative per negoziare i contratti. I Teamsters affermano di rappresentare 10.000 lavoratori statunitensi di Amazon in 10 diverse strutture. Con oltre 700.000 lavoratori in circa 1.000 magazzini sparsi negli USA è dunque improbabile che lo sciopero possa paralizzare le operazioni di Amazon, ma l’iniziativa potrebbe creare intoppi nella catena di approvvigionamento e lanciare un segnale chiaro all’azienda.
Zelensky ammette: non abbiamo le risorse per vincere in Donbass e Crimea
L’Ucraina non ha i mezzi per riprendersi il Donbass e la Crimea. A dirlo è lo stesso presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, in un’intervista esclusiva al quotidiano francese Le Parisien. «Di fatto, questi territori sono ora controllati dai russi. Non abbiamo la forza per riconquistarli», ha detto il presidente ucraino, chiedendo agli USA e all’UE di fornire maggiore sostegno al Paese e di aumentare le proprie pressioni su Putin. Anche il segretario generale della NATO, Mark Rutte, ha chiesto che gli alleati compiano maggiori sforzi nel sostenere l’Ucraina, un appello a cui i leader dell’Unione Europea hanno risposto prontamente, sottolineando il proprio «incrollabile sostegno» a Kiev. Le dichiarazioni di Zelensky, della NATO e dell’UE arrivano proprio dopo la prima conferenza stampa di Trump dalla vittoria delle elezioni, in cui il futuro presidente ha fatto capire candidamente cosa pensa riguardo alla guerra in Ucraina: permettere l’uso dei missili statunitensi a lunga gittata per colpire il territorio russo è stato un errore, e il conflitto va terminato il più presto possibile.
L’intervista di Zelensky a Le Parisien è stata rilasciata martedì 17 dicembre in seguito a un incontro online con i lettori del giornale, in cui ha commentato l’esito dei suoi colloqui con il futuro presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, a Parigi. Nel corso del dibattito, il presidente ucraino ha commentato l’attuale situazione sul campo, sostenendo apertamente che in questo momento il Paese non ha le risorse necessarie per riprendersi le aree sotto controllo russo: «Possiamo contare solo sulla pressione diplomatica della comunità internazionale per costringere Putin a sedersi al tavolo delle trattative», ha detto il leader ucraino, lanciando un appello agli alleati: «Vorremmo vedere un maggiore sostegno da parte degli Stati Uniti all’Ucraina. Il nostro team sta già lavorando con quello del presidente Trump: costruire rapporti con la nuova amministrazione sarà la nostra priorità. Gli Stati Uniti sono stati e rimangono il nostro principale donatore in questa guerra, ma voglio sottolineare che sia l’Europa che gli Stati Uniti sono importanti per l’Ucraina: non poniamo nessuno al di sopra degli altri».
Zelensky si è poi spostato a Bruxelles per un incontro con il Consiglio Europeo. In occasione della visita, Rutte ha richiamato la volontà degli alleati a «mantenere l’impegno finanziario di 40 miliardi di euro in assistenza alla sicurezza per l’Ucraina» ed espresso la linea strategica della NATO: «I Paesi dell’Alleanza Atlantica devono assicurare di mettere l’Ucraina in una posizione di forza fino al giorno in cui questa deciderà di iniziare a parlare con i russi su come porre fine a tutto questo; ma ovviamente i colloqui devono essere guidati dall’Ucraina, e solo in una posizione di forza». Durante l’incontro successivo, i leader dell’Unione Europea hanno concordato su una bozza di testo, che dovrà essere approvata, in cui esprimono il «sostegno incrollabile dell’UE a fornire continuo supporto politico, finanziario, economico, umanitario, militare e diplomatico all’Ucraina e al suo popolo», ribadendo allo stesso tempo «la ferma condanna della guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina, che costituisce una manifesta violazione della Carta delle Nazioni Unite».
La bozza di testo concordata dai vertici dell’Unione Europea mira a lanciare un «chiaro segnale» alla futura amministrazione Trump: «la Russia non può prevalere». I vari appelli e le diverse dichiarazioni, dopo tutto, arrivano in concomitanza con le dichiarazioni del tycoon sulla situazione ucraina e sulle recenti decisioni del presidente Joe Biden, rilasciate in occasione della sua prima conferenza stampa post-elezioni: «Non penso che avrebbero dovuto permettere che i missili venissero lanciati a 200 miglia verso la Russia», ha detto Trump, definendo la scelta di permettere all’Ucraina di usare i missili statunitensi a lunga gittata ATACMS per colpire il territorio russo «stupida», e preannunciando che potrebbe revocarla. Ha aggiunto inoltre: «Penso che sia stata una brutta cosa e che abbia attirato i coreani». Il futuro presidente ha poi reiterato la sua intenzione di terminare la guerra nel più breve tempo possibile, affermando: «È giusto che rivogliano la loro terra, ma le città sono in gran parte distrutte», rimarcando il numero di morti e i danni che il conflitto sta causando. Infine, ha concluso: «Vorremmo che i russi si fermassero e che si fermasse anche l’Ucraina».
[di Dario Lucisano]
A Valditara non piacciono le critiche: volano querele per giornalisti e intellettuali
La mattina di lunedì 16 dicembre, lo scrittore Nicola Lagioia e il giornalista Giulio Cavalli hanno scoperto di essere stati querelati dal ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara. Le loro colpe sarebbero rispettivamente quelle di aver associato alcune pratiche del governo al razzismo e di aver osato criticare la forma con cui il ministro aveva scritto un post sulla limitazione degli stranieri nelle classi italiane. Che a Valditara non andassero giù le contestazioni, comunque, era certamente cosa nota: è infatti particolarmente conosciuto l’episodio in cui ha rimproverato una preside fiorentina che aveva ricordato ai propri studenti i crimini del fascismo, così come quello dello scrittore Christian Raimo, sospeso per aver mosso una critica al ministro.
A rendere nota la notizia delle querele presentate dal ministro sono stati gli stessi Lagioia e Cavalli sulle proprie pagine social. Il primo, alla trasmissione “Che sarà” di Serena Bortone su Rai3, aveva commentato così lo scorso marzo un tweet pieno di errori grammaticali pubblicato dal ministro Valditara sul tema dell’integrazione degli alunni stranieri nelle scuole: «Molti bambini stranieri probabilmente dimostrerebbero di padroneggiare l’italiano meglio del ministro Valditara che scrisse un tweet totalmente sgrammaticato di cui anche lui si scusò. Se facessimo un test di italiano molti di questi studenti lo passerebbero e il ministro lo fallirebbe». Per questa frase, l’ex direttore del Salone internazionale del Libro di Torino è stato querelato dal ministro. «Sono stato citato in giudizio per diffamazione dal ministro della pubblica istruzione Giuseppe Valditara (con una richiesta di 20.000 euro di danno) – ha scritto su Instagram Lagioia –. Non siamo dunque tecnicamente nel penale, ma nell’intimidazione “civile”. Nel paese in cui l’ultimo Nobel per la letteratura è andato a chi “nella tradizione dei giullari medievali fustiga il potere e riabilita la dignità degli umiliati” credevo fosse lecito. Ma forse non siamo più quel paese».
Giulio Cavalli è stato invece querelato, insieme al direttore de La Notizia Pedullà, per un articolo comparso sul quotidiano in cui ha associato alcune pratiche del governo Meloni al razzismo. «Un ministro non è “un libero cittadino”, spiace dirlo – ha scritto Cavalli sul suo sito –. Un ministro rappresenta il potere esecutivo, è un’apicale figura politica, è per definizione soggetto alle critiche, alle ironie, agli scufrugliamenti e ai giudizi del popolo che si ritrova temporaneamente a governare. Il diritto di critica, di dissenso, di contestazione è la base di ogni democrazia matura». Il giornalista non ha dubbi: l’azione di Valditara rientra nel novero delle cosiddette «querele temerarie», ovvero azioni legali strumentalmente utilizzate da personaggi di potere al fine di intimidire e silenziare chi esprime dissenso. Considerate, ricorda Cavalli, «una seria minaccia alla libertà di espressione e al diritto all’informazione, scoraggiando la partecipazione democratica».
Non è la prima volta che questo schema si ripete. Nel febbraio del 2023, Valditara aveva bollato come «del tutto impropria» una comunicazione inviata dalla preside del liceo Leonardo da Vinci di Firenze, Annalisa Savino, in seguito all’aggressione di membri di Azione studentesca ai danni di alcuni studenti, sul fascismo nato dalla violenza e dall’indifferenza. Valditara aveva affermato che «non compete a una preside lanciare messaggi di questo tipo» e perché in «Italia non c’è alcuna deriva violenta e autoritaria, non c’è alcun pericolo fascista», aggiungendo: «Se l’atteggiamento dovesse persistere vedremo se sarà necessario prendere misure». A novembre a subire le conseguenze delle critiche espresse all’indirizzo di Valditara era stato il professore e scrittore Christian Raimo, il quale ha ricevuto una sospensione per tre mesi dall’insegnamento, con una decurtazione del 50% dello stipendio. Il provvedimento disciplinare è stato emesso dall’Ufficio Scolastico Regionale in seguito alle parole rivolte da Raimo nei confronti del capo del dicastero di Viale di Trastevere in un dibattito pubblico sulla scuola alla festa nazionale di Alleanza Verdi-Sinistra, dove aveva parlato di lui come di un «bersaglio debole da colpire», paragonandolo alla «Morte Nera» di Star Wars. Ora con il sindacato e gli avvocati cercherò di difendermi», aveva dichiarato il professore all’agenzia LaPresse, aggiungendo di sentirsi «traumatizzato».
[di Stefano Baudino]
Yemen, raid israeliani su basi Houthi: almeno 9 morti
L’esercito israeliano ha effettuato una serie di attacchi in Yemen contro diverse aree controllate dagli Houthi, milizia sciita sostenuta dall’Iran. I raid, compiuti in risposta al lancio di un missile da parte degli Houthi verso Israele e intercettato dai sistemi di difesa israeliani, hanno colpito porti e infrastrutture energetiche in tutto il Paese, provocando secondo i media locali almeno 9 morti. L’Iran ha definito gli attacchi israeliani sullo Yemen «una flagrante violazione dei principi e delle norme del diritto internazionale» e ha condannato «l’appoggio incondizionato degli Usa».
UE, rinviata la legge contro la deforestazione
Dopo l’approvazione del Parlamento europeo arriva il via libera definitivo per rinviare di un anno l’entrata in vigore della legge dell’UE contro la deforestazione per i prodotti di importazione. La norma prevede il divieto di commerciare una varietà di prodotti agricoli, come caffè e cacao, nel caso in cui arrivino da terreni recentemente disboscati o che abbiano contribuito al degrado forestale. Il rinvio è stato proposto dalla Commissione Europea per dare più tempo ai diversi Paesi e ai lavoratori del settore di adeguarsi alle norme. Ora la legge entrerà in vigore il 30 dicembre 2025 per le grandi aziende e il 30 giugno 2026 per le PMI.
Bolivia: con strano tempismo l’ex presidente Morales è stato accusato di reati sessuali
La procuratrice boliviana Sandra Gutiérrez ha richiesto la detenzione dell’ex presidente Evo Morales, accusandolo di aver avuto rapporti sessuali con una ragazza minorenne durante il suo mandato come capo dello Stato. In particolare, Morales è accusato di aver sfruttato la propria posizione politica per accordarsi con i genitori della ragazza, che avrebbe anche partorito un figlio, offrendo loro in cambio dei favori. Morales ha respinto le accuse, sostenendo che siano di natura politica: «Denuncio al mondo che sono vittima di una brutale guerra legale portata avanti dal governo di Luis Arce, che ha promesso di consegnarmi come trofeo di guerra agli Stati Uniti», ha dichiarato Morales. «L’unico crimine che ho commesso è che, essendo il primo presidente indigeno, ho realizzato un Paese con un’economia giusta per la popolazione». In generale, da quando ha annunciato la sua candidatura alla presidenza, è in corso un duro scontro politico tra lui e l’attuale presidente Luis Arce, che ha spinto anche i sostenitori di Morales a lanciare dure proteste in tutto il Paese.
La richiesta di detenzione nei confronti dell’ex presidente Evo Morales è supportata da un’accusa di tratta di minori. Il motivo per cui le autorità boliviane hanno emesso un mandato di arresto nei suoi confronti per traffico di esseri umani, e non per stupro di minore è che nel Paese è necessaria una denuncia della persona che ha subito la violenza o dei suoi genitori affinché si avvii un processo legale, mentre in questo caso si è proceduto d’ufficio. Sembrerebbe che lunedì 16 dicembre la polizia abbia tentato di arrestare Morales, venendo tuttavia fermata dai suoi sostenitori. Dopo la notizia, Morales ha accusato direttamente il governo di aver indirizzato la magistratura contro di lui, richiamando l’episodio dello scorso ottobre, quando l’ex presidente ha denunciato di essere stato oggetto di un attentato: «Il governo ha un esercito di pubblici ministeri, giudici, poliziotti e militari, che cercano non solo di eliminarmi politicamente e moralmente, ma anche fisicamente. Ecco perché hanno cercato di avvelenarmi e uccidermi». L’ex presidente respinge completamente le accuse, sostenendo di non avere mai avuto relazioni con la ragazza.
Sin da quando Morales ha deciso di ricandidarsi, in Bolivia è scoppiata una dura battaglia politica con il presidente Arce, che ha portato i cittadini a mobilitarsi. Lo scorso 14 ottobre Morales è stato chiamato a deporre per il presunto caso pregresso di stupro e pedofilia che lo coinvolge, ma l’ex presidente ha rigettato le accuse sostenendo che esse derivassero da un tentativo di smembrare il fronte evista e screditare la sua immagine, portato avanti dal governo Arce. In seguito alle accuse, i sostenitori di Morales sono scesi in piazza per mostrare sostegno nei suoi confronti, istituendo decine di posti di blocco in tutti i maggiori centri boliviani, provocando una carenza di carburante e approvvigionamento di cibo. In breve tempo le proteste nate per sostenere Morales si sono trasformate in un più generale sollevamento antigovernativo contro il presidente Luis Arce, e le strade del Paese sono diventate teatro di scontri tra forze dell’ordine e manifestanti, con gas lacrimogeni da una parte e lanci di dinamite dall’altra.
Morales era già stato accusato di abusi sessuali, così come di avere avuto figli da passate relazioni con ragazze di giovane età. A tal proposito è noto lo scandalo che ha coinvolto Gabriela Zapata nel 2016: ai tempi dello scandalo, Zapata aveva poco meno di 30 anni, mentre la loro relazione, secondo quanto dichiarato da entrambi, risaliva al 2005, quando lei aveva tra i 18 e i 19 anni. Nel 2007 Zapata aveva effettivamente partorito, ma il bambino era morto non appena nato, per poi essere ritirato fuori nove anni dopo. Morales disse di non saperne nulla ed espresse il desiderio di vedere il bambino, Ernesto Fidel Morales Zapata, chiedendosi come mai glielo avessero tenuto nascosto per così tanto tempo. Alla fine si scoprì che Ernesto Fidel non era mai esistito.
[di Dario Lucisano]
La Cina ha sviluppato una tecnologia che accelera di 3.600 volte la produzione del ferro
Una nuova tecnologia sviluppata da ricercatori cinesi per la produzione del ferro è pronta a rivoluzionare l’industria siderurgica globale. Mentre gli altiforni convenzionali impiegano dalle cinque alle sei ore per produrre il ferro, una nuova tecnica permette di raggiungere lo stesso risultato in soli tre/sei secondi. Ciò rappresenta uno sbalorditivo aumento di velocità di 3.600 volte – motivo per il quale quello così prodotto viene denominato “ferro flash”. Implementando questa nuova tecnica, la Cina può aumentare enormemente la sua capacità di produzione e diminuire i costi e la sua dipendenza dall’importazione dei materiali necessari alla produzione. Tale tecnologia promette inoltre di diminuire drasticamente l’immissione di carbonio durante il processo di lavorazione.
Dopo oltre un decennio di intensa ricerca, la tecnologia per produrre il “ferro flash” è ora pronta a rivoluzionare il settore dell’industria siderurgica, tanto nel Paese quanto a livello globale. Le specifiche sono state descritte da Zhang Wenhai, dell’Accademia Cinese di Ingegneria, e dal suo team in un articolo peer-reviewed pubblicato sulla rivista Nonferrous Metals lo scorso novembre. Il cuore di questa tecnologia prevede l’iniezione di polvere di minerale di ferro finemente macinata in un forno surriscaldato, innescando una reazione chimica rapida e intensa. Il risultato è un’esplosione di goccioline di ferro liquido rosso vivo e incandescenti, che si raccolgono sul fondo del forno formando un flusso di ferro ad alta purezza che può essere utilizzato direttamente per la fusione o la produzione di acciaio in un solo passaggio.
In questo modo, si aumenta di 3.600 volte della velocità di produzione del ferro. Il nuovo metodo, come spiegato dai ricercatori cinesi, funziona eccezionalmente bene anche per i minerali a bassa o media resa, i quali abbondano in Cina. I metodi di produzione del ferro esistenti dipendono infatti fortemente dai minerali ad alto rendimento e Pechino spende un’enorme quantità di denaro per importare questi minerali dall’Australia, dal Brasile e dall’Africa. La Cina è infatti il terzo produttore di minerale di ferro al mondo, ma anche il maggior consumatore. L’offerta interna non è sufficiente per soddisfare la domanda: il Paese è infatti il più grande produttore di acciaio a livello globale, materiale ottenuto proprio dal ferro.
Secondo i calcoli di Zhang e dei suoi colleghi, la nuova tecnologia potrebbe migliorare l’efficienza energetica dell’industria siderurgica cinese di oltre un terzo, eliminando la necessità del carbon coke. Questo consentirebbe all’industria siderurgica di raggiungere l’ambito obiettivo di emissioni di anidride carbonica quasi zero.
[di Michele Manfrin]
Francia, Corte di Cassazione conferma condanna a Nicolas Sarkozy
L’ex presidente francese Nicolas Sarkozy è stato condannato definitivamente per corruzione di magistrato e traffico di influenze a tre anni di carcere, di cui uno senza condizionale, con il braccialetto elettronico. Lo riportano le agenzie di stampa francesi, le quali spiegano che la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso contro la condanna d’appello del maggio 2023. Oltre alla pena detentiva, Sarkozy perderà il diritto di eleggibilità per tre anni e subirà la privazione dei diritti civili. Anche il suo avvocato Thierry Herzog e l’ex magistrato Gilbert Azibert sono stati condannati. Sarkozy, che si è sempre dichiarato innocente, ha annunciato il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo.